N. 283 SENTENZA 23 giugno - 6 luglio 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Ordinamento  penitenziario  -  Cittadini extracomunitari - Espulsione
 dal territorio dello Stato  -  Presunta  sotanziale  impunita'  dello
 straniero   -  Richiamo  alla  sentenza  della  Corte  n.  62/1994  -
 Discrezionalita'legislativa   -   Non    fondatezza    -    Manifesta
 infondatezza.
 
 (D.-L.  30  dicembre  1989,  n.  416,  art. 7, commi 12-bis e 12-ter,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990,  n.  39,
 nel  testo  introdotto  dall'art. 8, primo comma, del d.-l. 14 giugno
 1993, n. 187, convertito, con modificazioni, dalla  legge  12  agosto
 1993, n. 296).
 
 (Cost., artt. 3, 27, terzo comma).
 
(GU n.32 del 3-8-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof.
    Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco   GUIZZI,   prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.    Fernando
    SANTOSUOSSO,
 avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 12- bis
 e 12-ter, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416  (Norme  urgenti
 in  materia  di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini
 extracomunitari e di regolarizzazione dei  cittadini  extracomunitari
 ed apolidi gia' presenti nel territorio dello Stato), convertito, con
 modificazioni,  dalla  legge  28  febbraio  1990,  n.  39, cosi' come
 aggiunti dall'art. 8, primo comma, del decreto-legge 14 giugno  1993,
 n. 187 (Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonche'
 sull'espulsione    dei    cittadini   stranieri),   convertito,   con
 modificazioni, dalla legge 12  agosto  1993,  n.  296,  promossi  con
 ordinanze  emesse il 10 agosto 1993 dal Tribunale di Bergamo, il 3 ed
 il 20 dicembre 1993 dal Tribunale di Roma, il  2  dicembre  1993  dal
 Tribunale  di  Roma  (n. 2 ordinanze), il 19 gennaio 1994 dal Giudice
 per le indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di  Roma,  il  2
 dicembre  1993  dal  Tribunale  di  Roma  ed  il 29 dicembre 1993 dal
 Giudice per le indagini preliminari  presso  il  Tribunale  di  Roma,
 rispettivamente iscritte ai nn. 8, 21, 26, 48, 66, 101, 108 e 207 del
 registro  ordinanze  1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica nn. 6, 7, 9, 11, 12, 17, prima serie  speciale,  dell'anno
 1994;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  25  maggio  1994  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre.
                           Ritenuto in fatto
   1.   -   Nel   corso   di  un  giudizio  nel  quale  uno  straniero
 extracomunitario, Lamlih Hicham, condannato in primo grado alla  pena
 di  anni  nove di reclusione per i reati di ratto a fine di libidine,
 violenza  carnale  e  atti  di  libidine  e  sottoposto  alla  misura
 cautelare  della  custodia in carcere, chiedeva di essere espulso dal
 territorio  dello  Stato  italiano,  il  Tribunale  di   Bergamo   ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita'  costituzionale  dei commi 12- bis e 12- ter dell'art. 7
 del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito dalla legge 28
 febbraio 1990, n. 39, i quali  sono  stati  introdotti  dall'art.  8,
 primo  comma,  del  decreto-legge  14 giugno 1993, n. 187, convertito
 dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, nella parte in cui consentono  al
 giudice  procedente  di  disporre, su richiesta dello straniero o del
 suo difensore, l'immediata espulsione nello stato di  appartenenza  o
 in quello di provenienza degli stranieri extracomunitari sottoposti a
 custodia  cautelare  per  uno  o  piu'  delitti, consumati o tentati,
 diversi da quelli indicati nell'art. 275, terzo comma, c.p.p.
   Ritenuta la rilevanza della questione e ricordata la giurisprudenza
 costituzionale  sulla  possibilita'  di  attaccare  norme  penali  di
 favore, il giudice a quo dubita che le disposizioni contestate creino
 una   disparita'   di  trattamento  tra  cittadini  e  stranieri,  in
 conseguenza del sostanziale privilegio accordato agli  stranieri  con
 il   provvedimento  di  espulsione,  e  che  le  stesse  disposizioni
 configurino  in  modo  irragionevole  e   contradittorio   l'istituto
 dell'espulsione, ove questo sia considerato in rapporto alle esigenze
 cautelari  tipiche,  come  la  pericolosita' sociale e il pericolo di
 fuga, praticamente neutralizzate dalle disposizioni medesime.
    2. - Una questione analoga, ancorche' riferita al solo  comma  12-
 bis  del  gia'  citato  decreto-legge  n.  416  del  1989,  e'  stata
 sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della  Costituzione,  dal
 Tribunale  di  Roma,  chiamato  a decidere sull'istanza di espulsione
 dello straniero extracomunitario Viruez Solano Pedro, condannato  con
 sentenza  irrevocabile  alla  pena  di  anni cinque e mesi quattro di
 reclusione e venti milioni di  multa  per  il  reato  di  spaccio  di
 stupefacenti.
    Verificata   la   rilevanza  della  questione  in  relazione  alle
 condizioni soggettive dell'istante, al titolo del reato per il  quale
 il richiedente era stato condannato e al residuo di pena da scontare,
 il  giudice rimettente denuncia, innanzitutto, il possibile contrasto
 della norma impugnata con l'art. 3 della Costituzione, in conseguenza
 dell'ingiustificata posizione di privilegio accordata allo  straniero
 rispetto al cittadino relativamente ai diritti fondamentali coinvolti
 dall'espiazione  di  una pena, nonche' dell'irragionevolezza connessa
 alla  contradittorieta'  dell'istituto  dell'espulsione   considerato
 rispetto  ad  altri tipi di espulsione (artt. 211 e 235 c.p. e 86 del
 d.P.R. n. 309 del 1990), i quali esigono la previa  espiazione  della
 pena.   In   secondo   luogo,  la  norma  contestata  impedirebbe  la
 realizzazione della finalita' rieducativa  del  condannato  collegata
 dall'art.   27,  terzo  comma,  della  Costituzione  alla  detenzione
 penitenziaria, oltre a inficiare  il  perseguimento  delle  ulteriori
 finalita'   previste   dallo   stesso   art.  27,  consistenti  nella
 dissuasione, nella prevenzione e nella difesa sociale.
    3. - Con  ulteriori  quattro  ordinanze  dal  contenuto  identico,
 adottate  nel  corso di altrettanti procedimenti instaurati a seguito
 delle istanze di  espulsione  rispettivamente  proposte  da  Rapalino
 Avila  Miguel,  sottoposto  alla  misura  cautelare della custodia in
 carcere, e dai condannati con sentenza irrevocabile Cepeda Vengoechea
 Rafael Angel, Waundah Martin Nzauo e Oluebeka Gregory, tutti ritenuti
 responsabili dei reati  di  illecita  detenzione  e  importazione  di
 sostanza   stupefacente,  il  Tribunale  di  Roma  ha  sollevato,  in
 riferimento all'art. 27, terzo comma, della  Costituzione,  questione
 di legittimita' costituzionale del menzionato art. 7, comma 12-bis.
    Ritenuta  la rilevanza della questione in relazione a ciascuno dei
 procedimenti  in  atto,  il  tribunale  rimettente,  muovendo   dalla
 premessa  valutativa  per la quale l'espulsione viene configurata, in
 sostanza, come una parziale impunita' prevista  nei  confronti  dello
 straniero,  sospetta che essa violi il principio costituzionale sulla
 funzione rieducativa della pena, considerato  che  questa  Corte  (v.
 sentenza  n.  313/1990) ha esteso l'applicazione di tale principio al
 di la' della mera fase esecutiva della pena, avendolo  definito  come
 una  delle  qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena
 nel  suo  contenuto  ontologico  e  l'accompagnano  da  quando  nasce
 nell'astratta  previsione  normativa  fino  a  quando  in concreto si
 estingue.  Cosi'  inteso,   tale   principio   sarebbe   contraddetto
 dall'impugnata espulsione, poiche' quest'ultima renderebbe inefficaci
 tanto le valutazioni fatte dal legislatore nel prevedere, in funzione
 di  prevenzione generale, un determinato trattamento sanzionatorio in
 rapporto alla diversa gravita' delle  azioni  criminose  prefigurate,
 quanto  le  determinazioni  sulla  pena  effettuate dal giudice della
 cognizione anche nella prospettiva della funzione  rieducativa  della
 sanzione penale.
    Su  tali  basi  si  chiede  a  questa Corte di valutare se non sia
 irragionevole un bilanciamento in conseguenza del quale le  finalita'
 di  politica  penitenziaria  sottese  alla disciplina denunciata sono
 ritenute  cosi'  preponderanti   da   giustificare   la   sostanziale
 inattuazione,  per una categoria limitata di persone, delle finalita'
 costituzionalmente connesse alla sanzione  penale.  Tanto  piu'  cio'
 vale  in  relazione ai reati ascritti ai richiedenti l'espulsione nei
 giudizi a quibus, poiche' nel caso  del  traffico  internazionale  di
 sostanze   stupefacenti,   praticato   dalle   grandi  organizzazioni
 criminali,  l'applicazione della norma denunciata rischia di tradursi
 in  un  incentivo  all'attivita'  criminosa  di  numerosi  stranieri,
 generalmente utilizzati come "corrieri".
    Ne'   la   misura  dell'espulsione,  concludono  le  ordinanze  di
 rimessione, potrebbe avere una  qualche  giustificazione  ipotizzando
 una  sua  equiparazione con l'istituto dell'indulto, dal momento che,
 mentre in quest'ultimo caso si tratta di un provvedimento di clemenza
 di carattere generale, la cui temporaneita' sarebbe confermata  dalla
 prescritta    inapplicabilita'   dell'indulto   ai   reati   commessi
 successivamente  alla  proposta  di  delegazione,  nel   caso   della
 contestata espulsione, invece, non si riscontrano limiti temporali di
 applicazione,   riguardando   tale  misura  anche  i  reati  commessi
 successivamente all'entrata in vigore della legge che lo istituisce.
   4. - A seguito di un'istanza di espulsione  avanzata  da  Fernandez
 Fernandez  Carlos  Armando,  sottoposto  a  misura  cautelare  per il
 delitto di illecita importazione di sostanze stupefacenti,  anche  il
 Giudice  per  le  indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma
 12-bis, del decreto-legge n. 416 del 1989 in riferimento  all'art.  3
 della Costituzione. Gli argomenti addotti a sostegno dei propri dubbi
 di  costituzionalita'  sono  gli  stessi formulati, sotto il medesimo
 profilo,  dall'ordinanza  del  Tribunale  di  Roma  sintetizzata  nel
 precedente punto n. 2.
    5. - Una questione analoga e' stata sollevata, in riferimento agli
 artt.  3  e  27  della  Costituzione,  dal  Giudice  per  le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Roma, nei confronti del  ricordato
 art.  7,  comma 12-bis, con una distinta ordinanza adottata nel corso
 di un procedimento instaurato a seguito di un'istanza  di  espulsione
 presentata da Ahmed Safar Mohammed, detenuto in espiazione della pena
 di  anni  sei  di  reclusione  e di quaranta milioni di lire di multa
 inflittagli con sentenza irrevocabile. Anche tale ordinanza, muovendo
 dalla configurazione dell'espulsione come una sorta di  impunita'  di
 fatto,   totale  o  parziale,  adduce  argomenti  analoghi  a  quelli
 sviluppati dalle ordinanze di rimessione  precedenti  sulla  presunta
 disparita'  di  trattamento  fra cittadini e stranieri, nonche' sulla
 vanificazione delle finalita' della pena.
    6. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, nel costituirsi nei
 giudizi introdotti dalle ordinanze riportate nei precedenti punti nn.
 1 e 2 e da una delle ordinanze riassunte nel punto n. 3 (segnatamente
 nell'ordinanza del 2 dicembre 1993, iscritta  con  il  numero  48  al
 Registro  delle  ordinanze  di  rimessione  del 1994), ha chiesto una
 pronunzia  d'inammissibilita'  o  d'infondatezza,   che   ripeta   le
 motivazioni  contenute  nella  sentenza  n.  62  del  1994,  resa  in
 relazione a questioni di legittimita' costituzionale del tutto simili
 a quelle proposte con le ordinanze in esame.
                        Considerato in diritto
   1. - Pur se la prima delle ordinanze di rimessione riassunte  nella
 narrativa  in  fatto  contesta  formalmente l'art. 7, commi 12- bis e
 12-ter, mentre tutte le altre impugnano soltanto  il  comma  12-  bis
 dello  stesso  articolo,  le  otto  ordinanze  indicate  in  epigrafe
 dubitano    della    legittimita'    costituzionale     dell'istituto
 dell'espulsione, come risulta regolato dai suddetti commi dell'art. 7
 del  decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia
 di  asilo  politico,  di   ingresso   e   soggiorno   dei   cittadini
 extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari e
 apolidi  gia'  presenti  nel  territorio dello Stato), convertito con
 modificazioni  dalla  legge  28  febbraio  1990,  n.  39,  nel  testo
 integrato  con  gli  emendamenti  aggiuntivi  introdotti dall'art. 8,
 primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187  (Nuove  misure
 in  materia di trattamento penitenziario, nonche' sull'espulsione dei
 cittadini stranieri), convertito con  modificazioni  dalla  legge  12
 agosto  1993, n. 296. Mentre le ordinanze di rimessione riassunte nei
 punti  nn.  2  e  5  della  narrativa   in   fatto   dubitano   della
 costituzionalita' della norma impugnata sotto i profili degli artt. 3
 e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione, al contrario le ordinanze
 riportate nei precedenti  punti  nn.  1  e  4  prospettano  dubbi  di
 legittimita' costituzionale solamente in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione e quelle riferite nel precedente punto n. 3 solamente in
 riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    Poiche'   tutte   le   otto   ordinanze   sollevano  questioni  di
 costituzionalita' identiche o simili, aventi ad oggetto  la  medesima
 norma, i relativi giudizi possono essere riuniti per venir decisi con
 un'unica sentenza.
    2.  - Va, innanzitutto, dichiarata la manifesta infondatezza della
 questione di legittimita' costituzionale della  norma  contestata  in
 riferimento  ai vari profili attinenti all'art. 3 della Costituzione.
 Infatti, con la sentenza n. 62 del  1994  questa  Corte  si  e'  gia'
 pronunziata  nel  senso della non fondatezza della medesima questione
 sotto i diversi profili di legittimita' costituzionale sollevati  dal
 Tribunale  di  Bergamo,  dal  Tribunale  di Roma e dal Giudice per le
 indagini preliminari presso il Tribunale di  Roma  con  le  ordinanze
 riferite  nei  punti  nn.  1,  2,  4 e 5 della narrativa in fatto. E,
 tenuto anche  conto  che  i  giudici  a  quibus  non  adducono  nelle
 ordinanze  appena  citate argomenti nuovi rispetto a quelli esaminati
 nella precedente decisione, non sussistono motivi per non ribadire la
 pronunzia adottata con la sentenza n. 62 del 1994.
    3.  -  Non  fondata  e',  invece,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  7,  comma 12-bis, del decreto-legge n. 416
 del 1989 nel testo introdotto dall'art. 8, primo comma, del  decreto-
 legge  n.  187 del 1993, sollevata, in riferimento all'art. 27, terzo
 comma, della Costituzione, dal Tribunale di Roma e dal Giudice per le
 indagini preliminari presso il Tribunale di  Roma  con  le  ordinanze
 riferite nei punti nn. 2, 3 e 5 della narrativa in fatto.
   Per  quanto  anche  una delle ordinanze introduttive del precedente
 giudizio avesse proposto la medesima questione  di  costituzionalita'
 in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, tuttavia
 in  quell'occasione  questa  Corte  non  e' entrata nel merito, ma ha
 adottato una pronunzia d'inammissibilita' avendo  il  giudice  a  quo
 espressamente  sollevato  la  detta questione in modo ipotetico. Ora,
 invece, le sei ordinanze che prospettano dubbi  di  costituzionalita'
 in  riferimento al citato art. 27 propongono la medesima questione in
 modo attuale ovvero argomentano plausibilmente sulla rilevanza  della
 questione stessa rispetto al giudizio principale.
    Venendo   al  merito  dei  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
 sollevati,  occorre  premettere  che  questa  Corte  nella  ricordata
 sentenza n. 62 del 1994 ha affermato che l'espulsione dello straniero
 extracomunitario  disciplinata  dall'impugnato  art. 7, comma 12-bis,
 lungi dal  costituire,  come  pretendono  i  giudici  a  quibus,  una
 sostanziale  impunita'  dello straniero che si trovi nelle condizioni
 richieste dalla legge, comporta semplicemente  la  sospensione  della
 esecuzione   della   custodia   cautelare  in  carcere  ovvero  della
 espiazione della pena, tanto che, in caso di rientro dello  straniero
 espulso  nel  territorio  dello Stato o in caso di mancata esecuzione
 dell'espulsione, si impone il ripristino dello  stato  di  detenzione
 (v. comma 12-quater del medesimo art. 7).
    Pur  se  questa Corte, come ricordano alcuni dei giudici a quibus,
 ha recentemente affermato che la finalita' rieducativa della pena  e'
 una  proprieta'  essenziale  che  caratterizza  quest'ultima  nel suo
 contenuto ontologico e "l'accompagna da quando  nasce,  nell'astratta
 previsione  normativa,  fino  a  quando  in concreto si estingue" (v.
 sentenza n.  313/1990),  e'  indubitabile  che  la  connotazione  ora
 considerata,  al pari delle altre che con essa coesistono, concernono
 il trattamento penitenziario in quanto applicato, mentre non  possono
 venire  in  questione  quando  tale trattamento e' interrotto ovvero,
 come nel caso della espulsione esaminata, quando e' sospeso. In altri
 termini,  con  riferimento  ai  momenti  durante  i  quali  lo  Stato
 legittimamente non svolge i poteri inerenti all'esecuzione della pena
 o della custodia cautelare, non si puo' pretendere, come questa Corte
 ha da tempo precisato (v. sentenze nn. 12 e 48 del 1966), che trovino
 applicazione le esigenze e gli imperativi che la Costituzione collega
 alla  predetta esecuzione. Sotto questo profilo, pertanto, i dubbi di
 costituzionalita' prospettati dai giudici  a  quibus  in  riferimento
 alle  finalita'  che  l'art.  27,  terzo  comma,  della  Costituzione
 connette  alla  pena  non  hanno  valore  rispetto  alla   disciplina
 dell'espulsione   dello   straniero   contenuta   nelle  disposizioni
 impugnate, dal momento  che  quest'ultima  comporta  necessariamente,
 come   si   e'   prima  ricordato,  la  sospensione  del  trattamento
 penitenziario, tanto ove questo sia  conseguenza  dell'esecuzione  di
 una pena, quanto ove sia effetto di una misura cautelare detentiva.
    Cio'  non  toglie,  tuttavia,  che  l'applicazione dell'espulsione
 prevista dall'art. 7, comma  12-bis,  del  decreto-legge  contestato,
 proprio  perche'  produce  l'effetto  di  sospendere la pena, implica
 un'interferenza su quest'ultima e, conseguentemente, sull'adempimento
 delle   funzioni   connesse    all'applicazione    del    trattamento
 penitenziario.  Ma  la  legittimita' costituzionale di tale incidenza
 non puo' essere valutata in riferimento ai  connotati  costituzionali
 che  la  pena  deve  avere,  bensi'  con  riguardo alla non manifesta
 irragionevolezza  della  scelta  discrezionale  con   la   quale   il
 legislatore  ha  introdotto nell'ordinamento penale un istituto, come
 l'espulsione disciplinata dalle disposizioni  impugnate,  comportante
 la  sospensione dell'esecuzione della pena o della custodia cautelare
 e, quindi, la  temporanea  astensione,  da  parte  dello  Stato,  dal
 perseguimento   delle   finalita'   costituzionalmente   connesse  al
 trattamento penitenziario. Ma, sotto il profilo ora precisato, questa
 Corte non ha che da ribadire le considerazioni gia' svolte nel  senso
 del  rigetto nella sentenza n. 62 del 1994 (punto n. 5 in diritto) in
 relazione alle censure di palese  irragionevolezza  allora  sollevate
 contro le disposizioni oggetto dei presenti giudizi.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art. 7, comma 12-bis, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416
 (Norme  urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno
 di cittadini extracomunitari  e  di  regolarizzazione  dei  cittadini
 extracomunitari  e apolidi gia' presenti nel territorio dello Stato),
 convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel
 testo introdotto dall'art.  8,  primo  comma,  del  decreto-legge  14
 giugno   1993,  n.  187  (Nuove  misure  in  materia  di  trattamento
 penitenziario,  nonche'  sull'espulsione  dei  cittadini  stranieri),
 convertito  con  modificazioni  dalla  legge  12 agosto 1993, n. 296,
 sollevata,  in  riferimento   all'art.   27,   terzo   comma,   della
 Costituzione,  dal  Tribunale  di  Roma e dal Giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Roma con le ordinanze indicate  in
 epigrafe;
      dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni  di
 legittimita' costituzionale del citato art. 7, commi 12-bis e 12-ter,
 sollevate,  in  riferimento  all'art.  3  della   Costituzione,   dal
 Tribunale  di  Bergamo e dal Tribunale di Roma con le ordinanze indi-
 cate in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 6 luglio 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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