N. 321 ORDINANZA 7 - 20 luglio 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Militari - Condanna penale -  Perdita  del  grado  e  cessazione  dal
 s.p.e.  -  Autonomia  tra  l'aspetto  sanzionatorio  penale  e quello
 amministrativo-disciplinare   della   questione   -   Richiamo   alla
 giurisprudenza  della  Corte  (v. sentenza n. 197/1993 e ordinanze n.
 137,  201  del   1994)   -   Difetto   di   rilevanza   -   Manifesta
 inammissibilita'.
 
 (C.P.M.P., art. 69).
 
 (Cost., artt. 3 e 27, terzo comma).
 
(GU n.33 del 10-8-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Gabriele PESCATORE;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI,  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.    Giuliano VASSALLI, prof.
    Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare   MIRABELLI,   prof.   Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 69 del codice
 penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il  17  giugno
 1992  e  7  luglio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per la
 Puglia - Sezione di Lecce sul  ricorso  proposto  da  Ripa  Francesco
 contro  il  Ministero  della  Difesa ed altro, iscritta al n. 110 del
 registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  6  luglio  1994  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello.
   Ritenuto che in un giudizio instaurato su ricorso di un maresciallo
 dell'Aeronautica  militare,  per  l'annullamento dei provvedimenti di
 perdita del grado e di cessazione dal  servizio  permanente  adottati
 dall'amministrazione  militare - in base agli artt. 26, lett. g), 60,
 n. 7 lett. a)  e  61  della  legge  31  luglio  1954,  n.  599  -  in
 conseguenza  di  condanna definitiva a sei mesi di reclusione, con il
 beneficio della sospensione condizionale dell'esecuzione della  pena,
 inflitta  al  predetto militare per reato non militare (artt. 476-482
 cod. pen.), il Tribunale amministrativo regionale  per  la  Puglia  -
 Sezione  di  Lecce  ha  sollevato, con ordinanza del 17 giugno 1992-7
 luglio 1993 (pervenuta alla Corte il 25 febbraio 1994), questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 69 del codice penale militare
 di pace, in riferimento  agli  artt.  3  e  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione;
      che  nel  sollevare  la  questione  il  giudice  a quo muove, in
 sintesi, da una ricostruzione della normativa  sopra  richiamata  per
 cui  essa configura la perdita del grado - cui ulteriormente consegue
 la cessazione dal servizio permanente -  quale  misura  sanzionatoria
 non  autonoma bensi' semplicemente riproduttiva della pena accessoria
 della rimozione, derivante, nel caso specifico, dalla condanna penale
 a norma dell'art. 33 del codice penale militare di pace;
      che,  sulla  premessa  di  detta  configurazione,  il  tribunale
 amministrativo   rimettente   ritiene   di  censurare  la  previsione
 dell'art. 69 del codice penale militare di pace, norma  che  -  prima
 della  sua  abrogazione, avvenuta con l'art. 8 della legge 7 febbraio
 1990,  n.  19  -  stabiliva  l'inapplicabilita'   della   sospensione
 condizionale  della pena alle pene accessorie militari (salvo che per
 la sospensione dall'impiego e la sospensione dal  grado),  in  quanto
 essa  si  porrebbe  in  contrasto  con  l'esigenza  di finalizzazione
 rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, della  Costituzione)  e
 con  il  principio  di  ragionevolezza  (art.  3 della Costituzione),
 apparendo  eccessiva  e  controproducente  l'esecuzione  della   pena
 accessoria  che, in concreto, assume portata ed effetti piu' incisivi
 e duraturi di quelli della pena principale (sospesa);
      che,  infine,  il   giudice   rimettente   ritiene   ininfluente
 l'avvenuta  abrogazione  della  norma denunciata, rilevando, a questo
 riguardo, che l'atto amministrativo impugnato nel giudizio a  quo  e'
 stato adottato prima della entrata in vigore della norma abrogatrice,
 e che la legittimita' dell'atto medesimo deve essere valutata in base
 al quadro normativo esistente al momento della sua adozione;
      che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  rilevando:  a)  che  la  norma  impugnata  e'  stata abrogata
 dall'art. 8 della legge n. 19 del 1990, mentre  l'art.  10  di  detta
 legge  ha  disposto che alla data della sua entrata in vigore dovesse
 cessare l'esecuzione di ogni pena accessoria correlata a  condanna  a
 pena   condizionalmente   sospesa,  e  che  inoltre  per  i  pubblici
 dipendenti in precedenza destituiti  a  seguito  di  condanna  penale
 fosse  possibile  la  riammissione  in  servizio  a  domanda,  previo
 procedimento  disciplinare;  b)  che,  come  indicato  nella   stessa
 ordinanza  di rinvio, al ricorrente nel giudizio a quo risulta essere
 stata accordata la  tutela  cautelare,  e  pertanto  i  provvedimenti
 amministrativi impugnati non sono stati eseguiti;
      che,  ad  avviso dell'Avvocatura generale, in questa situazione,
 alla stregua del ricordato mutamento normativo, l'amministrazione non
 potra' in alcun caso porre in esecuzione i provvedimenti  di  perdita
 del  grado  e  di  cessazione  dal  servizio,  per cui, risultando la
 questione irrilevante, cosi' per il periodo anteriore come per quello
 successivo alla vigenza della legge n. 19 del  1990,  l'interveniente
 conclude    per   una   declaratoria   di   inammissibilita'   -   o,
 subordinatamente, di non fondatezza - della questione medesima.
    Considerato che, anche indipendentemente  dal  dato  dell'avvenuta
 abrogazione  della  norma  denunciata e della cessazione dei relativi
 effetti - un aspetto, questo, sul quale il giudice a quo conclude nel
 senso della sua ininfluenza ai fini del rapporto  controverso,  senza
 pero'  affrontare,  nell'esame  della  rilevanza, quei profili di cui
 avrebbe dovuto farsi carico, essendo  insiti  nella  controversia  da
 decidere  e  sui  quali  invece  si  sofferma,  nel  modo  anzidetto,
 l'Avvocatura generale dello Stato per concludere in senso  opposto  -
 la  norma medesima non rileva, in via esclusiva, con riferimento alla
 situazione dedotta nel giudizio principale: essa,  infatti,  riguarda
 l'ambito proprio della pena criminale, laddove oggetto del giudizio a
 quo  sono  provvedimenti  amministrativi,  di  carattere  lato  sensu
 destitutorio, adottati sulla  base  di  altre  norme  (sia  pure  sul
 presupposto della condanna penale);
      che,  pertanto,  attesa  l'autonomia  tra  i  due ordini, quello
 sanzionatorio penale e quello amministrativo-disciplinare  (v.  sent.
 n. 197 del 1993; ordd. nn. 137 e 201 del 1994), la denuncia dell'art.
 69  c.p.m.p.,  contrariamente  a  quanto ritenuto dal rimettente, non
 puo' da sola assumere rilevanza  rispetto  all'oggetto  del  giudizio
 principale;
     che,  d'altra parte, lo stesso tribunale amministrativo mostra di
 aver presenti le norme, diverse da quella denunciata, sulla cui  base
 il  provvedimento  di  perdita  del  grado  e  quello  conseguente di
 cessazione dal servizio permanente sono stati adottati,  per  cui  e'
 dell'applicazione  e della portata di queste ultime norme che si puo'
 controvertere, non senza sottolineare l'influenza, su  questo  piano,
 sia  del principio di eliminazione di automatismi destitutori in ogni
 settore del pubblico impiego ex art. 9,  comma  1,  della  richiamata
 legge  n.  19  del  1990  (cfr. ordd. nn. 403 e 134 del 1992; 113 del
 1991; 130 del 1990), sia dell'incidenza  delle  cause  estintive  del
 reato  rispetto  alla  possibilita'  di  adottare provvedimenti quali
 quelli  impugnati  nel  giudizio  principale,  essendo  nella  specie
 decorso  il  periodo di sospensione della pena ex art. 167 del codice
 penale;
      che,  per  quanto  detto,  la questione non risulta proposta nei
 confronti delle norme in base alle quali sono stati adottati gli atti
 amministrativi oggetto del giudizio a quo,  e  quindi  risolutive  di
 questo; essa va percio' dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 69 del codice  penale  militare
 di  pace,  sollevata  dal  Tribunale  amministrativo regionale per la
 Puglia - Sezione di Lecce, con ordinanza del
 17 giugno 1992 - 7 luglio 1993, in riferimento agli  artt.  3  e  27,
 terzo comma, della Costituzione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 7 luglio 1994.
                       Il Presidente: PESCATORE
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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