N. 759 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 ottobre 1994

                                N. 759
 Ordinanza  emessa  il  27  ottobre  1994  dal  pretore  di  Terni nel
 procedimento penale a carico di Tombesi Euro ed altro
 Inquinamento - Rifiuti (nella specie: "residui" provenienti dalla
    lavorazione di marmi) - Esclusione dalla categoria degli stessi se
    quotati in borse merci o in listini mercuriali istituiti presso le
    locali camere di commercio -  Conseguente  inapplicabilita'  della
    disciplina   penale  in  tema  di  rifiuti  a  seguito  di  scelta
    amministrativa -  Disparita'  di  trattamento  a  seconda  che  il
    materiale sia o meno incluso nei listini ufficiali della Camera di
    commercio  nelle diverse regioni - Lesione del principio di tutela
    del paesaggio  in  senso  ampio;  della  salubrita'  dell'ambiente
    naturale  ed  urbano;  di  certezza del diritto penale, nonche' di
    adeguamento dell'ordinamento  giuridico  italiano  alle  norme  di
    diritto  internazionale generalmente riconosciute - Penalizzazione
    per le imprese che abbiano affrontato ingenti investimenti per  lo
    smaltimento dei rifiuti in armonia con le esigenze dell'ambiente.
 (D.-L. 7 settembre 1994, n. 530).
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41).
(GU n.1 del 4-1-1995 )
                              IL PRETORE
   Nel  procedimento  penale  n.  4207/93A  a carico di Tombesi Euro e
 Tombesi Adino imputati, tra l'altro, "del reato di cui  all'art.  25,
 secondo  comma, del d.P.R. n. 915/1982 perche' ( ..) realizzavano una
 discarica  costituita  da  detriti   e   ritagli   di   marmo   senza
 autorizzazione"  provenienti  dalla  lavorazione di marmi della ditta
 SO.TE.MA. della quale sono titolari e legali rappresentanti,  nonche'
 imputati  del  reato  di  cui agli artt. 3, quinto comma, e 9-octies,
 terzo comma, del d.-l. n. 397/1988 convertito in legge n. 475/1988  e
 3,  terzo  comma,  e  9-octies,  terzo  comma,  del d.-l. n. 397/1988
 convertito in legge n. 475/1988  "perche'  omettevano  di  tenere  il
 prescritto  registro  di  carico  e  scarico  dei  rifiuti (detriti e
 ritagli  di  marmo)"  come  sopra  indicato  facendo  anche  infedele
 comunicazione alla regione (capi B e C della rubrica), osserva quanto
 segue.
    La  difesa  ha preliminarmente richiesto immediata declaratoria di
 non doversi procedere per il reato citato assumendo che il fatto  non
 e' piu' previsto dalla legge come reato ai sensi del decreto-legge n.
 530 del 7 settembre 1994 - art. 12 - in quanto i ritagli di marmo per
 cui  e'  processo  sono considerati residui riutilizzabili dal d.m. 5
 settembre 1994.
    Il  p.m.  di udienza, dott. Francesco Scavo, si e' opposto a detta
 istanza  ed  ha  richiesto  a  questo  pretore  di   dichiarare   non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 del decreto-legge citato, nella sua stesura integrale,  intesa  nella
 sinergia  inscindibile di tutti gli articoli interconnessi, in quanto
 in contrasto con gli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della Costituzione e
 con le direttive CEE in materia di rifiuti.
    Asseriva il p.m.: "Rilevato che nell'odierno processo la difesa ha
 chiesto l'applicazione della normativa di cui al  d.-l.  7  settembre
 1994,  n.  530, in relazione ai capi B e C contestati agli imputati e
 che   pertanto   tale   normativa   deve   ritenersi   potenzialmente
 applicabile,  seppur  non  citata, nei capi in contestazione, ritiene
 che il decreto-legge stesso contenga precetti  in  contrasto  con  la
 Costituzione  della Repubblica. In particolare ritiene il p.m. che il
 decreto-legge  citato  nella  sua  integrita'  normativa,  in  quanto
 contenente  norme  tra  loro  inscindibilmente connesse e comunque in
 particolare il precetto di cui agli artt. 2 e 12 e degli articoli  in
 essi  richiamati,  del  decreto-legge  piu'  volte  citato, come tali
 applicabili al d.P.R. n. 915/1982 nonche' al d.-l.   n.  397/1988  di
 cui  ai  capi  B  e  C, contrasti con gli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41
 della Costituzione. Cio' perche' opera preliminarmente una disparita'
 di  trattamento  inconciliabile  con  i  principi  generali   dettati
 dall'art.  3  della  Costituzione.  Infatti  premesso che i materiali
 derivanti dal ciclo produttivo dell'azienda sono stati fino  ad  oggi
 considerati  per  costante  indirizzo  giurisprudenziale come rifiuti
 dalla Corte di cassazione, si rileva che oggi invece  se  gli  stessi
 sono   indicati   come  residui  e  risultano  inseriti  nel  listino
 mercuriale della camera di  commercio  locale,  consegue  che  questi
 materiali   sfuggono   al   regime   dei  rifiuti  e  sono  di  fatto
 depenalizzati; mentre coloro  che,  producendo  medesimi  residui  in
 localita'  differenti,  oggetto  di  diversa  determinazione da parte
 della camera di commercio locale, potrebbero vedere in  base  a  tale
 diversa   valutazione  soggiacere  la  propria  posizione  a  diversa
 sanzione anche penale. Ritiene il p.m. il contrasto tra  il  decreto-
 legge citato e l'art. 9 della Costituzione in quanto antitetico con i
 principi   generali   concernenti  la  tutela  del  paesaggio  e  del
 patrimonio ambientale del Paese considerato alla stregua  della  piu'
 recente  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  e  della Corte
 costituzionale; ancora rispetto all'art. 10 in  quanto  in  contrasto
 con  i  principi  dettati  dalle normative e direttive comunitarie in
 materia. Infine in contrasto con i rimanenti  articoli  sopra  citati
 per  la  non  osservanza  dei  precetti  ivi contenuti. Cio' premesso
 ritiene il p.m. rilevante e non manifestamente infondata la questione
 di  costituzionalita'  sollevata  nel  presente  giudizio   chiedendo
 altresi'  che  la questione venga portata a conoscenza della Corte di
 giustizia europea con richiesta di sentenza interpretativa nel merito
 della materia in relazione alle direttive europee".
    Rileva il pretore che la questione sollevata dal p.m. merita esame
 in quanto  direttamente  pertinente  e  pregiudiziale  rispetto  alla
 materia processuale in questione.
    Al riguardo osserva il pretore quanto segue.
    1.  -  La  disciplina  giuridica  del  settore  ha  fino  ad  oggi
 considerato come  rifiuti  tutti  i  residui  derivanti  da  processi
 produttivi,  anche  se  riutilizzabili,  escludendo,  allo  stato, la
 possibilita' di evoluzione  diretta  dei  rifiuti  in  materie  prime
 secondarie.
    Costituisce  cristallizzazione  di  questo  principio  la basilare
 sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 5 in data 29  maggio
 1992 - ud. 27 marzo 1992 - Imp. Viezzoli:
    "In  tema  di  smaltimento  di rifiuti industriali, con il d.-l. 9
 settembre 1988, n. 397, convertito in legge 9 novembre 1988, n.  475,
 si e' inteso riservare un regime giuridico diverso da quello cui sono
 sottoposti  i  rifiuti  in  generali  residui  derivanti  da processi
 produttivi,  suscettibili  di  riutilizzazione,  qualificabili,  come
 materie  prime  secondarie  ai  sensi  dell'art.  2  del  detto d.-l.
 Peraltro nel menzionato art. 2 il legislatore  ha  dettato  solo  una
 normativa-quadro,   di  tal  che,  perche'  a  siffatti  residui  sia
 applicabile la nuova disciplina in deroga, e'  necessario  che  siano
 prima  emanate  le  norme di cui ai commi quarto e sesto del predetto
 articolo. Ne consegue che sino a  tale  momento  alle  materie  prime
 secondarie  continua ad applicarsi la disciplina generale sui rifiuti
 di cui al d.P.R.  10  settembre  1982,  n.  915.  (Nell'affermare  il
 principio di cui in massima la Cassazione ha anche evidenziato che le
 materie  prime  secondarie,  proprio  perche' si tratta pur sempre di
 sostanze di cui il donatore si disfa o ha l'intenzione  di  disfarsi,
 non  rappresentano  una categoria autonoma ed alternativa rispetto ai
 rifiuti vari e propri, ma ne costituiscono solo una specie, sia  pure
 particolare,  attesa  la  loro  provenienza  e  la loro attitudine ad
 essere utilizzate come materie prime in altri processi produttivi)".
    In tale contesto la giurisprudenza ha fino ad oggi  affermato  che
 nella generale categoria dei rifiuti rientrano non solo le sostanze e
 gli  oggetti che si possono considerare tali sin dall'origine (ad es.
 immondizie), ma anche quelle sostanze ed oggetti non  piu'  idonei  a
 soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se
 non   ancora  privi  di  valore  economico,  sicche'  "abbandonato  o
 destinato all'abbandono" va inteso non nel senso civilistico  di  res
 nullius o di res derelicta, disponibile alla apprensione di chiunque,
 sebbene  di  sostanza  od oggetto ormai inservibile alla sua funzione
 originaria, dismesso o destinato ad essere dismesso da colui  che  lo
 detiene,  anche mediante un negozio giuridico (cfr. Cass. sez. III 26
 febbraio 1991, n. 2607 - imp. Lunardi).
    Consegue  che,  nella  dottrina  e  giurisprudenza  fino  ad  oggi
 tracciata,  se  quello  sopra delineato e' il concetto di rifiuto, e'
 evidente allora che "le materie prime secondarie, proprio perche'  si
 tratta  pur  sempre  di  sostanze  di  cui il detentore si disfa o ha
 l'intenzione di  disfarsi,  lungi  dal  rappresentare  una  categoria
 autonoma  ed  alternativa dei rifiuti veri e propri, ne costituiscono
 solo una specie, sia pure particolare, attesa la loro  provenienza  e
 la  loro  attitudine ad essere utilizzate come materie prime in altri
 processi  produttivi"  (cfr.  motivazione  citata  sentenza   sezioni
 unite).
    2.   -  La  giurisprudenza  italiana,  e  comunitaria,  ha  sempre
 rifiutato di accogliere la tesi che un  rifiuto,  se  riutilizzabile,
 non  e'  piu'  un  rifiuto,  con  la conseguente deregolamentazione e
 sottrazione alla disciplina  specifica  in  materia  (in  Italia,  il
 d.P.R. n. 915/1982).
    Va  rilevato  che  la  sentenza  "interpretativa"  n.  359  del 14
 febbraio 1988 della Corte europea di  giustizia  precisava  che  "una
 normativa  nazionale  la  quale  adotti  una  definizione  di rifiuto
 escludente le sostanze e gli oggetti suscettibili di  riutilizzazione
 economica  non  e'  compatibile  con  le  direttive  CEE"  (riportata
 integralmente in Amendola - "Inquinamento ed industria" - Roma 1992).
    3. - Le direttive CEE n. 156 del 18 marzo 1991 e  n.  689  del  12
 dicembre 1991 ed il regolamento n. 259 del 1 febbraio 1993, ancora da
 recepire in Italia, hanno impostato un criterio a livello europeo per
 disciplinare  alla  radice  il  concetto,  creando il principio delle
 materie prime secondarie con connesse procedure semplificate per quei
 residui destinati al riutilizzo o alla produzione di energia.
    Va  sottolineato,  al  riguardo,  che  in  particolare  la   nuova
 direttiva-quadro  n. 91/156 (per la quale e' scaduto il 1 aprile 1993
 il termine ultimo per il recepimento in Italia) delinea da un lato in
 modo particolareggiato l'ambito dei rifiuti  recuperabili,  definendo
 sia  le  operazioni  di  recupero  sia  i rifiuti che ad esse possono
 essere   sottoposti   (senza   equivoci   di   carattere   soggettivo
 unilaterale),  e dall'altro autorizza adempimenti semplificati per le
 operazioni che li riguardano (cfr. Amendola -  "I  rifiuti  normativa
 italiana e comunitaria" - Milano 1992).
    4.  -  In  detto  contesto  si inserisce la decretazione d'urgenza
 operata nel nostro Paese in materia, il cui ultimo  provvedimento  e'
 costituito dal d.-l. n. 530 del 7 settembre 1994.
    Ad avviso dello scrivente pretore il citato decreto-legge, preved-
 endo  principi  che  tendono a sottrarsi alla disciplina fino ad oggi
 delineata  dalla  dottrina  e  dalla   giurisprudenza   nazionale   e
 comunitaria come sopra esposta, si pone in contrasto con la direttive
 CEE in materia.
    5.  - In primo luogo si rileva che sussiste netto contrasto con le
 normative di settore esistenti e le sentenze della Cassazione,  della
 Corte  costituzionale  e della Corte europea di giustizia laddove con
 un semplice espediente terminologico  si  sottraggono  in  blocco  ed
 all'improvviso  alla  disciplina  del  d.P.R. n. 915/1982 (che regola
 anche i rifiuti da recuperare  e  riutilizzare)  ed  alla  disciplina
 comunitaria  (che  li  chiama  "rifiuti destinati al recupero") tutti
 quei rifiuti che vengono ribattezzati "residui" e  non  si  chiarisce
 mai espressamente se essi rientrano nella categoria dei "rifiuti".
    Va  osservato che la categoria dei "residui" (definiti dall'art. 3
 - g - "sostanze residuali  suscettibili  di  essere  utilizzate  come
 materia  prima e fonti di energia") rientra senza ombra di dubbio tra
 quelli che il d.P.R. n. 915/1982 e la normativa comunitaria 1991-1993
 chiamano "rifiuti da recuperare".
    Del  resto,  ad  esempio,  l'art.  7  del  decreto  sui  movimenti
 transfrontalieri ammette che i "residui" sono disciplinati, quanto ad
 import-export,  dal  regolamento  CEE  n.  259  il  quale  riguarda i
 "rifiuti"; ed ancora l'art. 1,  quarto  comma,  premette  che  queste
 disposizioni sui residui si applicano in attesa dell'attuazione delle
 direttive  CEE  sui  rifiuti  e  richiama  espressamente  proprio  la
 "definizione e  la  classificazione  dei  rifiuti  effettuaste  dalle
 direttive CEE".
    Questi  punti  confermano  ulteriormente l'identita' di fatto e di
 principio tra "residui" e "rifiuti".
    6.  - Il decreto-legge in esame sottrae in primo luogo a qualsiasi
 procedura ed obbligo tutti quei  "materiali"  che  siano  quotati  in
 borse  merci o in listini e mercuriali ufficiali costituiti presso le
 camere di commercio  dei  capoluoghi  di  regione,  nonche'  tutti  i
 semilavorati  non  costituenti  residui di produzione e di consumo; e
 con cio' si supera anche la categoria dei "residui" creando una  zona
 franca completamente deregolamentata.
    Quindi  per sottrarre quello che fino ad oggi e' stato considerato
 un "rifiuto" addirittura dalla gia' blanda categoria dei "residui" e'
 sufficiente un attestato di quotazione di una camera di  commercio  e
 una  "ricognizione positiva" del Ministero dell'ambiente; ed in detto
 contesto, secondo le evoluzioni del caso, possono in linea teorica  e
 potenziale rientrare gran parte dei rifiuti industriali.
    Si tende cosi' a creare di fatto una sottrazione alla fino ad oggi
 attuata   disciplina  penale  di  detti  materiali  con  la  semplice
 annotazione  nel  corpo  di  un  listino  ufficiale   amministrativo,
 peraltro potenzialmente diverso da regione a regione.
    L'elenco  dei  materiali  predisposto  dal Ministero dell'ambiente
 contiene molti di quelli che la direttiva CEE qualifica come "rifiuti
 recuperabili", unitamente a rifiuti  storicamente  oggetto  di  forte
 contenzioso  penale  a  carico delle aziende produttrici nel contesto
 della disciplina sui rifiuti ex  d.P.R.  n.  915/1982  (si  pensi,  a
 titolo di esempio, alle ceneri ed al caprolattame).
    7. - Il decreto-legge in esame in secondo luogo crea, in attesa di
 future  evoluzioni  regolamentative,  una  disciplina  transitoria ed
 immediata che di fatto sottrae al  regime  di  gestione  dei  rifiuti
 (inclusi  obblighi e doveri) tutti i residui, anche tossici e nocivi,
 definiti come materie prime secondarie dall'allegato 1  del  d.m.  26
 gennaio  1990, incurante del fatto che la Corte costituzionale con la
 sentenza n. 512 del 15 ottobre 1990 ha in gran  parte  cancellato  il
 testo del d.m. stesso argomentando, tra l'altro, che l'individuazione
 di quelle materie prime secondarie non poteva essere compiuta "con le
 garanzie di certezza richieste".
    8.  -  Va  ancora  rilevato che viene ancora allargato l'ambito di
 questi  residui  "identificati"  e  delle  relative   operazioni   di
 "recupero"  con  il  d.m.  5  settembre  1994 perche' l'allegato 3 di
 questo decreto e'  vastissimo  e,  di  fatto,  estende  l'ambito  dei
 residui  a  questi  tutti  i  rifiuti industriali. Le caratteristiche
 previste rischiano di restare lettera morta a livello di fatto se  si
 considera  la  carenza  strutturale,  numerica  e professionale degli
 organi di  controllo  tecnici.  E'  facile  prevedere  che  in  detto
 contesto,  nel  quale  ancora  peraltro  non  e'  stata resa operante
 l'agenzia per l'ambiente, gran parte dei rifiuti industriali  saranno
 trasformati  in "materiali" deregolamentati in toto o, al massimo, in
 "residui". Con azzeramento di tutta la disciplina sui rifiuti fino ad
 oggi seguita ex d.P.R. n. 915/1982 ed  in  palese  contrasto  con  le
 direttive specifiche della CEE in materia.
    9.  -  Si  deve  inoltre  registrare  una modifica ad un principio
 portante del d.P.R. n. 915/1982 eliminando, a determinate condizioni,
 l'obbligo  di  autorizzazione  e  di  iscrizione  all'albo   per   lo
 "stoccaggio    provvisorio"    dei    rifiuti    tossici   e   nocivi
 "nell'insediamento di produzione o trattamento". E  che  trattasi  di
 principio-cardine,  uno degli assi portanti del sistema di disciplina
 sui rifiuti fino  ad  oggi  impostato  dal  d.P.R.  n.  915/1982,  e'
 confermato dal fatto che la Corte costituzionale (2 novembre 1992, n.
 437) aveva bocciato tentativo analogo perche', trattandosi di rifiuti
 pericolosi,  si  elimina  questo obbligo vengono meno quei "requisiti
 specifici affinche' sia garantita l'eliminazione di ogni pericolo per
 la salute ed il degrado ambientale".
    10. - Il sistema sanzionatorio penale e' del tutto svuotato  nella
 sua  portata di fondo perche' le sanzioni penali introdotte dall'art.
 12 del decreto, in non chiaro parallelo con il  d.P.R.  n.  915/1982,
 partono  dal presupposto di comune denominatore che i rifiuti-residui
 sono scarsamente pericolosi per la salute pubblica e per l'ambiente e
 dunque  traccia  norme  ben  piu'  benevole  in  senso  deterrente  e
 repressivo.
    Va  notato,  peraltro,  che trattasi delle stesse sostanze fino ad
 oggi soggette al severo sistema sanzionatorio penale  del  d.P.R.  n.
 915/1982  e  che  hanno  perso  pericolosita'  soltanto grazie ad una
 modifica terminologica di definizione.
    Uno dei punti cardine  e'  costituito  dal  fatto  che  molti  dei
 residui  elencati  nell'allegato 3, per i quali non e' previsto alcun
 tipo di trattamento ne' e' prevista con precisione la destinazione  a
 cui  essi  possono  essere  indirizzati,  vengono  considerati sic et
 simpliciter residui  non  soggetti  al  d.P.R.  n.  915/1982  perche'
 "destinabili"  ad  un  "possibile"  riutilizzo  che  pero'  non viene
 precisato.
    Va ancora  rilevato  che  molti  dei  rifiuti  vengono  ad  essere
 classificati  come  residui  prevedendo per la loro utilizzazione dei
 processi che si possono ricondurre tutti alla combustione,  cosicche'
 nell'ambito  di tali processi vengono ad eliminarsi tutte le sostanze
 organiche in esse contenute appunto mediante  combustione  o,  se  si
 applicasse  la  normativa  sui rifiuti, mediante incenerimento; tutto
 cio' determina che il processo di incenerimento a cui questi  residui
 sono  sottoposti  viene  pero'  sottratto  alla  disciplina  ed  alla
 normativa tecnica precisa che riguarda  l'incenerimento  che  sarebbe
 invece  applicabile  se  tali residui fossero considerati rifiuti; in
 pratica  la  nozione  di  riciclo  viene  di   fatto   a   mascherare
 l'incenerimento   delle  sostanze  inquinanti  presenti  nel  rifiuto
 iniziale.
    Molti dei rifiuti, inoltre, vengono ad essere  denominati  residui
 non  perche' riutilizzabili in reali cicli di produzione come materie
 prime o come energia, ma ammettendo semplicemente  che  essi  possano
 essere   utilizzati  per  riempire  depressioni  del  terreno  o  per
 realizzare  rilevati  e  quindi  di  fatto  possono  essere   attuate
 attivita'  che  se  soggette  alla  normativa  prevista dal d.P.R. n.
 915/1982 sarebbero da considerare  discariche  in  depressione  o  in
 rilevato.
   Anche  in  questo  caso,  come  nel  precedente  in  cui  veniva  a
 determinarsi una deregulation dell'incenerimento, si attua una dereg-
 ulation   della   discarica   che   viene   ad   essere   denominata,
 paradossalmente, ripristino ambientale.
    Altro   elemento   da   considerare   e'  che  in  molti  casi  le
 caratteristiche  sia  dei  prodotti  di  partenza   che   di   quelli
 riutilizzabili,  nel  caso questi differiscano dai primi, non sono in
 alcun modo precisate e  quindi  il  loro  utilizzo  resta  del  tutto
 indefinito   perche'  unico  elemento  di  riferimento  e'  la  frase
 ricorrente  "nelle  forme  usualmente   commercializzate"   che,   in
 considerazione dei notevoli interessi economici che vengono coinvolti
 nelle attivita' di smaltimento rifiuti, e' del tutto irrilevante.
    Sempre   nell'ambito   della   deregulation   delle  attivita'  di
 smaltimento, oltre quanto gia' indicato per  gli  inceneritori  e  le
 discariche,  vengono  ad  essere  anche  sottratte alla normativa dei
 rifiuti anche le attivita' di trattamento finalizzate non al recupero
 ma alla semplice inertizzazione del  rifiuto  stesso  senza  che  per
 questo successivamente sia previsto un qualsiasi riutilizzo.
    11.  -  Il  decreto,  sempre a livello sanzionatorio, introduce un
 pericoloso e opinabile elemento di valutazione soggettiva unilaterale
 laddove prevede nel quarto comma, ultima parte dell'art.  12  che  le
 sanzioni  del  d.P.R. n. 915/1982 si applicano "qualora i residui non
 siano destinati in modo effettivo ed oggettivo al riutilizzo".
    E si riapre cosi' un  contenzioso  interpretativo  antico  che  la
 dottrina  e  la  giurisprudenza avevano cancellato prevedendo il gia'
 sopra esposto concetto dell'impossibilita' del passaggio diretto  tra
 rifiuti  e materie prime secondarie e relegando nel concetto comunque
 di rifiuti anche i materiali suscettibili di riutilizzo.
    Le  citate  direttive  CEE  dettano  invece  norme   oggettive   e
 risolutive in questo campo.
    Il  concetto  di  destinazione  "in modo effettivo ed oggettivo al
 riutilizzo" ricollega di fatto primaria importanza alle dichiarazioni
 unilaterali  e  soggettive  dell'imprenditore,  posto  che  spettera'
 all'accusa provare il contrario e cioe' che non vi e' stato ne' sara'
 possibile  potenzialmente  il  citato riutilizzo. L'opinabilita' e la
 infinita possibilita' di interpretazioni diversificate caso per caso,
 materiale  per  materiale,  creano  di  fatto  una   prospettiva   di
 contenzioso infinito dai contorni e dagli estremi privi di ogni punto
 di riferimento di certezza e limite oggettivo.
    12.  -  Si  rileva  ancora  che  il decreto "sana" qualsiasi reato
 commesso in tema di "residui" in passato utilizzando in bonam  partem
 anche  il  d.m.  del 1990, annullato dalla Corte costituzionale, e le
 norme regionali di  favore;  cosi'  creando  comunque  una  moratoria
 penale  in  un settore di gravissima incidenza sul campo della salute
 pubblica e della tutela dell'ambiente.
    13. - Si rileva inoltre che la modifica in esame,  sulla  base  di
 quanto  sopra esposto, si pone in evidente contrasto con il principio
 "chi inquina paga", oggi chiaramente presupposta da diverse decisioni
 della Corte di cassazione (tra le  altre,  Cass.  pen.  sez.  III,  2
 febbraio  1994,  n.  2525  e  Cass.  pen. sez. III, 6 aprile 1993, n.
 3148). La norma  denunciata  infatti  favorisce  apertamente  chi  ha
 violato   la  legge  e  penalizza,  invece,  anche  sul  piano  della
 concorrenza tra imprese, proprio  le  aziende  che  hanno  affrontato
 rilevanti  investimenti  per  adeguare i propri impianti e le proprie
 procedure di stoccaggio, deposito  e  smaltimento  alle  esigenze  di
 tutela  ambientale;  e  cio'  appalesa, ad avviso dello scrivente, un
 contrasto con l'art. 41 della Costituzione.
    14. - In  detto  svuotamento  sanzionatorio  di  uno  dei  sistemi
 normativi piu' importanti in materia di tutela ambientale, cosi' come
 tracciato  nei punti precedenti, si profila ad avviso dello scrivente
 pretore una violazione del disposto dell'art. 9 secondo comma,  della
 Costituzione, laddove la tutela del paesaggio, inteso secondo le piu'
 recenti   pronunce   della   Corte   di   cassazione  e  della  Corte
 costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza estetica da
 cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi comprensivo
 anche degli inevitabili ed inscindibili aspetti bionaturalistici.
    L'incertezza  del  diritto  derivante  dalla  sinergia del sistema
 creato dal decreto in esame favorisce potenzialmente  la  dispersione
 di  rifiuti, anche pericolosi, nell'ambiente naturale con conseguenze
 grave nocumento per l'integrita' dell'ambiente.
    15. - Per gli stessi motivi esposti in relazione all'art. 9  della
 Costituzione,  si ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto
 anche con l'art. 32 della carta costituzionale. Infatti nel  concetto
 di  tutela  della  salute come principio costituzionalmente garantito
 deve, per forza di cose, ricomprendersi il piu' vasto concetto  della
 salute  pubblica nel senso della salubrita' dell'ambiente naturale ed
 urbano ove ciascun cittadino vive.  Il  diritto  alla  salute  inteso
 anche  come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai ripetutamente
 accertato in giurisprudenza (si veda per  tutte  la  famosa  sentenza
 delle  sezioni  unite  n.  517  del  6 ottobre 1979, nonche' la Corte
 costituzionale in data 30 dicembre 1987, n. 641 ed in data  16  marzo
 1990,  n.  127).  E'  fuor dubbio che la diminuita, ed anzi per certi
 versi  di  fatto  del  tutto  caducata,  possibilita'  di  intervento
 deterrente/punitivo   in   sede   di   illeciti   da  rifiuti,  anche
 potenzialmente pericolosi, crea  i  presupposti  per  una  evoluzione
 incontrollata  del  fenomeno,  incoraggiata  dall'abbassamento  della
 guardia in sede di controlli di p.g.  e  possibilita'  di  intervento
 processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per
 la  salute  e  salubrita'  pubblica  in  un  ambiente che resta cosi'
 maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante.
    16. - Si deve quindi argomentare che, con la chiave di  volta  del
 ricorso    alla    differenziazione    terminologica   ("residui"   e
 "materiali"), il decreto-legge in esame opera una  deregolamentazione
 sulle  stesse  identiche  materie  che la normativa europea qualifica
 come "rifiuti destinati al recupero" e dunque si pone, a  livello  di
 fatto,  in  contrasto  con  le  irettive  CEE sopra citate prevedendo
 rispetto a detti testi normativi un trattamento ben piu'  generoso  e
 per certi versi del tutto deregolamentato.
    Il  contrasto  si sviluppera' in tutta la sua portata allorquando,
 entro il marzo 1995 (vedi legge comunitaria n.  146  del  22  febraio
 1994),  il  Governo dovra' dare attuazione alle due direttive CEE del
 1991 'uniformando la disciplina nazionale alle  definizioni  ed  alle
 classificazioni  dei  rifiuti  individuati  come tali dalla normativa
 comunitaria' e con particolare  attenzione  proprio  al  settore  dei
 rifiuti recuperabili (art. 38/primo comma).
    17.   -   Premesso  quanto  sopra,  questo  pretore  dichiara  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 del  decreto-legge  n.  530  del  7 settembre 1994, nella sua stesura
 integrale, intesa nella sinergia inscindibile di tutti  gli  articoli
 interconnessi,  in  relazione  agli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della
 Costituzione.
    In relazione agli artt. 3 e 25 richiama  le  argomentazioni  sopra
 esposte  con particolare riferimento al fatto che il decreto in esame
 ha attribuito  di  fatto  alle  camere  di  commercio  il  potere  di
 sottrarre  alla disciplina dettata per i rifiuti i materiali inseriti
 nei listini ufficiali, con la conseguenza  di  sottrarre  gli  stessi
 alla   regolamentazione   prevista   dallo   stesso   decreto  o,  in
 alternativa, al trattamento sanzionatorio del d.P.R. n. 915/1982, con
 cio' creando di fatto un contrasto con i principi  costituzionali  di
 parita'  di  trattamento  e  riserva  di legge penale atteso che, tra
 l'altro, dall'inclusione nei listini ufficiali operata  dalla  camera
 di   commercio   in  una  regione  e  non  in  un'altra  dipenderebbe
 l'operativita' o meno degli obblighi sanciti nel decreto, con le rel-
 ative sanzioni, e specularmente di quelli  stabiliti  nel  d.P.R.  n.
 915/1982,  con  la  conseguenza  che  uno  stesso  materiale potrebbe
 ricevere un diverso trattamento a seconda  del  luogo  ove  la  legge
 viene applicata.
    Quanto  alla  violazione  della riserva di legge, il meccanismo in
 questione rende  possibile,  diversamente  configurando  un  elemento
 della  fattispecie penale, la rilevanza penale di un medesimo fatto (
 sub d.-l. n. 530/1994 e sub d.P.R. n.  915/1982)  in  relazione  alla
 diversa e non definitiva classificazione dei materiali da parte delle
 locali camere di commercio.
    Si rileva peraltro che non sana detto problema il d.m. 5 settembre
 1994  perche'  trattasi di d.m. modificabile in ogni momento e quindi
 dalle sue modifiche in  sinergia  con  l'attivita'  delle  camere  di
 commercio,  dipende  l'applicazione  della  legge  penale  con totale
 incertezza del diritto in sede relativa.
    In relazione all'art. 10 della Costituzione si  richiama  in  modo
 integrale  quanto  sopra esposto in riferimento al contrasto di fondo
 generale tra il decreto-legge in esame e la normativa CEE in materia,
 fatto  che  determina  in   via   diretta   una   possibile   mancata
 conformazione  dell'ordinamento  giuridico  italiano  alle  norme del
 diritto internazionale riconosciute.
    In ordine agli  altri  articoli  della  Costituzione  si  richiama
 quanto espresso nei punti precedenti.
    Su detti temi si sottopone, la questione alla Corte costituzionale
 affinche'  stabilisca  se  il  dettato del decreto-legge n. 530 del 7
 settembre 1994 nella sua stesura  integrale,  intesa  nella  sinergia
 inscindibile  di  tutti  gli  articoli interconnessi, con particolare
 riferimento agli artt. 2 e 12 ed agli  articoli  ivi  richiamati,  si
 ponga  in  contrasto  con  gli  artt.  3,  9,  10,  25, 32 e 41 della
 Costituzione.
    Da quanto sopra esposto, emerge che in  applicazione  della  norma
 oggetto  del  giudizio di costituzionalita' alla Corte costituzionale
 dovrebbe procedersi a verifica in ordine al capo di  imputazione  per
 appurare  se la richiesta della difesa debba essere accolta ritenendo
 legittima la classificazione dei materiali in  questione  cosi'  come
 proposta  dalla  difesa stessa in relazione al decreto-legge in esame
 (con conseguente proscioglimento degli imputati in via preliminare) o
 se, invece, debba procedersi a  giudizio  ordinario  sulla  base  dei
 principi  antitetici  sopra  tracciati e secondo i canoni di certezza
 del diritto fino ad oggi seguiti in materia.
    Dalle considerazioni esposte si desume che  il  presente  giudizio
 non  puo'  essere  definito,  allo  stato  e  vigente  i principi del
 decreto-legge n.  530/1994  in  esame,  in  modo  indipendente  dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata, per violazione
 degli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della Costituzione, la questione di
 legittimita' costituzionale del decreto-legge n. 530 del 7  settembre
 1994  avente  per  titolo  "Disposizioni in materia di riutilizzo dei
 residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un  processo
 produttivo  o  in  un  processo di combustione, nonche' in materia di
 smaltimento dei rifiuti", nella sua stesura integrale,  intesa  nella
 sinergia  inscindibile  di  tutti  gli  articoli  interconnessi,  con
 particolare riferimento agli artt.  2  e  12  ed  agli  articoli  ivi
 richiamati;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza  sia
 notificata  agli  imputati,  ai loro difensori, al pubblico ministero
 nonche' al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e  comunicata  al
 Presidente  della  Camera  dei  deputati  ed al Presidente del Senato
 della Repubblica.
      Terni, addi' 27 ottobre 1994
                         Il pretore: SANTOLOCI
 
 94C1377