N. 465 SENTENZA 15 - 30 dicembre 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Non  consentito  esercizio  dell'opzione  a
 continuare  il  rapporto  di  lavoro  di cui all'art. 6 del d.-l.  n.
 791/1981, a chi inizia l'attivita' lavorativa meno di sei mesi  prima
 del   raggiungimento   dell'eta'   pensionabile   -   Richiamo   alla
 giurisprudenza della Corte di cassazione circa la  nullita'  assoluta
 di  un  eventuale  licenziamento    ad nutum - Inammissibilita' - Non
 fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (D.-L.  22  dicembre  1981,  n.  791,   art.   6,   convertito,   con
 modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.1 del 4-1-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
    Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof.
    Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco   GUIZZI,   prof.   Cesare   MIRABELLI,  prof.  Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6,  del  decreto
 legge   22   dicembre   1981   n.   791   (Disposizioni   in  materia
 previdenziale), convertito con modificazioni nella legge 26  febbraio
 1982 n. 54, promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il 16 dicembre 1993 dal Pretore di Milano
 nel procedimento civile vertente tra Italo Rotta e s.p.a. Seat Italia
 iscritta al n. 72 del registro  ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  11, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
      2) ordinanza emessa il 26 marzo 1994 dal  Tribunale  di  Sassari
 nel  procedimento  civile  vertente  tra  Angela  Pinna  e  ditta  E.
 Cesaraccio  iscritta  al  n.  305  del  registro  ordinanze  1994   e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 23, prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio vertente tra Rotta Italo e  la  Seat
 Italia  s.p.a.  il  Pretore  di  Milano  con  ordinanza  emessa il 16
 dicembre  1993  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.   3   della
 Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 6
 decreto-legge 22  dicembre  1981  n.  791  (Disposizioni  in  materia
 previdenziale)  convertito  in  legge  26  febbraio 1982 n. 54, nella
 parte in cui non consente a chi inizia l'attivita'  lavorativa  pochi
 mesi  prima (meno di 6) del raggiungimento dell'eta' pensionabile, di
 esercitare l'opzione a  continuare  il  rapporto  di  lavoro  di  cui
 all'art. 6 del citato decreto-legge n. 791/1981. Tale norma, infatti,
 con  lo  stabilire  che  l'esercizio  della  facolta' di opzione deve
 essere comunicato al datore di lavoro almeno  sei  mesi  prima  della
 data  di  conseguimento  del  diritto  alla  pensione  si porrebbe in
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione  a  causa  del  trattamento
 ingiustificatamente   discriminatorio   operato   nei   riguardi  dei
 lavoratori che si trovano nella suddetta situazione.
    2.  -  Nel giudizio avanti alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei ministri  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata
 infondata.
   Ha rilevato la difesa erariale che non sembra  contrastare  con  il
 principio di ragionevolezza l'aver previsto un termine perentorio per
 l'esercizio  da  parte del lavoratore della facolta' di optare per la
 prosecuzione del rapporto di lavoro, tanto piu' che  la  ratio  della
 norma  e'  anche  quella di consentire una "programmazione" del turn-
 over da parte del datore di lavoro.
    Sotto  tale  profilo,  ha  osservato  l'Avvocatura  dello   Stato,
 l'esercizio   della  opzione  corrisponderebbe  ad  una  esigenza  di
 certezza nello  svolgimento  e  nella  risoluzione  del  rapporto  di
 lavoro.
    3. - Analoga questione e' stata sollevata dal tribunale di Sassari
 con  ordinanza  emessa  il  26  marzo  1994, nel corso di un giudizio
 vertente tra Prima Angela e la ditta E. Cesareccio, avente ad oggetto
 la declaratoria di illegittimita' del licenziamento ad essa  intimato
 nonostante  che  la  lavoratrice avesse tempestivamente comunicato la
 volonta' di avvalersi del diritto di opzione ex art. 6  decreto-legge
 22  dicembre  1981,  n.  791  (Disposizioni in materia previdenziale)
 convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54.
    Il giudice a quo lamenta che la mancata estensione  ai  lavoratori
 che  abbiano  esercitato l'opzione della tutela reale di cui all'art.
 18 dello  Statuto  dei  lavoratori,  vanificherebbe  in  concreto  la
 possibilita'  di  maturare  la  massima  anzianita' contributiva e si
 porrebbe percio' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione sia nel
 caso in cui la disposizione sia interpretata nel modo piu' letterale,
 escludendosi comunque -  anche  per  le  imprese  che  ne  abbiano  i
 requisiti  dimensionali  -  la  possibilita'  di emettere l'ordine di
 reintegrazione nel posto di lavoro; sia nel  caso  in  cui  la  norma
 venga  interpretata  nel  senso  della  applicabilita'  della  tutela
 reintegratoria solo ove  l'impresa  abbia  i  requisiti  dimensionali
 prescritti.
    Nella   prima   interpretazione,  rileva  il  giudice  a  quo,  la
 disparita'  di   trattamento   consisterebbe   nel   fatto   che   il
 raggiungimento  della  massima  anzianita' contributiva viene rimesso
 l'orientamento contingente  del  datore  di  lavoro;  nella  seconda,
 invece,  il principio di eguaglianza sarebbe compromesso in quanto la
 possibilita' di continuare  a  prestare  l'attivita'  lavorativa  per
 raggiungere  una  maggiore  anzianita'  contributiva  dipenderebbe, a
 parita' di mansioni e retribuzioni,  dalle  dimensioni  occupazionali
 dell'impresa.
    4.  -  Anche  in  tale  giudizio  e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale   dello   Stato,   concludendo   per   l'inammissibilita'  o
 l'infondatezza della questione.
    Ha rilevato la difesa erariale che con riguardo alla questione  di
 legittimita'   costituzionale   sollevata   sotto  il  profilo  della
 "ritenuta" applicabilita' della tutela reintegratoria solo  nel  caso
 della sussistenza dei prescritti requisiti dimensionali dell'impresa,
 questa  difetterebbe  di rilevanza nel giudizio a quo dal momento che
 l'impresa  occupa  meno  di  15  dipendenti;  in  ordine  al  profilo
 "ammissibile", ha osservato l'Avvocatura generale dello Stato, che la
 questione  potrebbe  risolversi  con  una  sentenza interpretativa di
 rigetto tenuto conto  delle  argomentazioni  svolte  dalla  Corte  di
 cassazione nella sentenza n. 11311 del 23 novembre 1990.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Data  l'analogia  delle  questioni i giudizi possono essere
 riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
    2. - Il Pretore di Milano dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 6, del decreto legge 22 dicembre 1981  n.  791,  convertito
 con  modificazioni nella legge 26 febbraio 1982 n. 54, nella parte in
 cui, nel prevedere  che  l'esercizio  della  facolta'  di  opzione  a
 proseguire  il rapporto di lavoro debba essere esercitato nel termine
 di sei mesi prima  del  raggiungimento  dell'eta'  pensionabile,  non
 consente  a  chi  inizia  l'attivita' lavorativa successivamente alla
 suddetta data di usufruire del previsto beneficio.
    Osserva il giudice a  quo  che  tale  disposizione  opererebbe  un
 trattamento  ingiustificatamente  discriminatorio  nei  riguardi  dei
 lavoratori che si trovano nella sopra descritta situazione.
    3. - La questione va dichiarata inammissibile.
    Dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione  e  dagli  atti  di
 causa  risulta infatti che nel caso di specie il lavoratore non ha in
 concreto   esercitato   l'opzione;   pertanto,   conformemente   alla
 consolidata  giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo sentenza n.
 362 del 1994) viene meno il presupposto essenziale per  la  rilevanza
 della  questione,  atteso che solo a fronte di un esercizio, anche se
 tardivo, della facolta' di opzione,  puo'  affrontarsi  la  questione
 della ragionevolezza del termine previsto.
    4. - La questione sollevata dal Tribunale di Sassari ha ad oggetto
 lo  stesso  art.  6  del  decreto-legge  22  dicembre  1981  n.  791,
 convertito con modificazioni nella legge 26  febbraio  1982,  n.  54,
 nella  parte  in cui non estende ai lavoratori che abbiano esercitato
 l'opzione a continuare a prestare l'attivita' lavorativa,  la  tutela
 reintegratoria  stabilita  dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n.
 300.
    A parere del remittente tale mancata estensione vanificherebbe  in
 concreto  la  possibilita'  di  usufruire del beneficio previsto e si
 porrebbe percio' in contrasto con l'art.  3  della  Costituzione,  in
 quanto  la prosecuzione dell'attivita' lavorativa per raggiungere una
 maggiore anzianita' contributiva verrebbe a dipendere, a  parita'  di
 mansioni e retribuzioni, dalle dimensioni occupazionali dell'impresa.
    5.  -  La  questione  non  e'  fondata  nei termini che saranno di
 seguito precisati.
    Va premesso che la  norma  impugnata  consente  al  lavoratore  di
 continuare a prestare la propria opera oltre la scadenza del rapporto
 al fine di incrementare la propria anzianita' contributiva sempre che
 (circostanza questa non ricorrente nel corso di specie) non sia stato
 gia'  raggiunto l'ammontare massimo del trattamento pensionistico. Da
 cio'  consegue  -  come  costantemente  affermato  dalla   Corte   di
 cassazione e da ultimo anche dalla Corte costituzionale (sentenze nn.
 225  del  1994  e  309 del 1992) - che a seguito dell'esercizio della
 facolta' di opzione di cui all'impugnato art. 6,  quarto  comma,  del
 decreto-legge   n.  791  del  1981,  il  rapporto  di  lavoro  rimane
 assoggettato, quanto  alle  garanzie  di  stabilita',  alla  medesima
 disciplina  ad  esso  applicabile, ma al datore di lavoro non e' piu'
 consentito di collocare a riposo il dipendente per  raggiunti  limiti
 di  eta';  invero,  il  rifiuto del datore di lavoro di consentire la
 prosecuzione del rapporto, malgrado  l'esercizio  della  facolta'  in
 questione  configura  un  atto radicalmente nullo per contrarieta' ad
 una norma imperativa, con conseguente  obbligo  di  riassunzione  del
 lavoratore.
    Ne  deriva  che, pur se, come rilevato dal giudice a quo, l'art. 6
 del decreto-legge n. 791 del 1981, - diversamente da quanto  previsto
 dall'art.  4  della  legge  9  dicembre  1977 n. 903 sulla parita' di
 trattamento tra  uomini  e  donne  nel  rapporto  di  lavoro  -,  nel
 prevedere  la  normativa  applicabile al rapporto di lavoro a seguito
 dell'esercizio della facolta' di opzione, si limita a  richiamare  la
 legge  15 luglio 1966 n. 604 senza far alcun riferimento alle succes-
 sive  modifiche  ed  integrazioni,  in  ogni  caso  dovra'  ritenersi
 preclusa   la   facolta'   del   datore  di  lavoro  di  intimare  il
 licenziamento per raggiunti limiti di eta'.
    6. - Cosi' interpretata la disposizione, non appaiono  ravvisabili
 i  vizi  di  incostituzionalita'  dedotti,  tanto  piu'  che anche la
 giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato in  caso  analogo  la
 nullita'  assoluta  del  licenziamento  "ad nutum" di una lavoratrice
 ultracinquantacinquenne   in   possesso   dei   requisiti   per    il
 conseguimento   della  pensione  di  vecchiaia,  con  il  conseguente
 permanere degli originari obblighi  contrattuali  compreso  l'obbligo
 del   datore   di   lavoro   di  far  lavorare  la  dipendente  e  di
 corrisponderle le retribuzioni.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara   inammissibile   la    questione    di    legittimita'
 costituzionale  dell'art. 6 del decreto legge 22 dicembre 1981 n. 791
 (Disposizioni in materia previdenziale), convertito con modificazioni
 nella legge  26  febbraio  1982  n.  54,  sollevata,  in  riferimento
 all'art.  3 della Costituzione, dal Pretore di Milano con l'ordinanza
 di cui in epigrafe;
      dichiara non fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 6, del decreto
 legge  22  dicembre   1981,   n.   791   (Disposizioni   in   materia
 previdenziale),  convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio
 1982 n. 54, sollevata, in riferimento all'art. 3 della  Costituzione,
 dal Tribunale di Sassari con l'ordinanza di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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