N. 803 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 ottobre 1994

                                N. 803
 Ordinanza  emessa  il  5  ottobre  1994  dal pretore di Roma, sezione
 distaccata di Tivoli nel procedimento penale a carico di  Lombardozzi
 Giovambattista ed altri
 Inquinamento  -  Scarichi  provenienti  da  insediamenti produttivi -
 Inosservanza dei limiti  di  accettabilita'  previsti  dalle  tabelle
 della  legge  n.  316/1976 e superamento dei limiti di accettabilita'
 inderogabili  per  parametri  di   natura   tossica   persistente   e
 bioaccumulabile  -  Lamentata  depenalizzazione  della  prima ipotesi
 (gia' reato piu' grave tra quelli  previsti  dalla  legge  citata)  e
 riduzione  della  pena per la seconda - Irragionevolezza - Disparita'
 di trattamento rispetto ad ipotesi meno gravi, ma punite con  maggior
 severita'  -  Mancata tutela della salute - Omesso adeguamento con le
 norme del diritto internazionale, in particolare, con le norme CEE  -
 Lesione  del  principio di riserva di legge in materia penale a causa
 della reiterazione a catena dei decreti-legge.
 (D.-L. 17 settembre 1994, n. 537, art. 3, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 10, 11, 25, 32 e 77).
(GU n.4 del 25-1-1995 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  Lombardozzi Giovambattista, Ciccotti Rolando e Martinelli
 Carmine imputati del reato p. e p. dall'art.  110  c.p.  e  art.  21,
 secondo comma, legge n. 319/1976, alla pubblica udienza del 5 ottobre
 1994  ha  pronunciato  la  sotto estesa ordinanza di rimessione degli
 atti alla Corte costituzionale per il giudizio  di  costituzionalita'
 dell'art.  3,  secondo  comma,  d.-l.  17  settembre 1994, n. 537, in
 relazione agli artt. 3, 10, 11, 25, 32 e 77 della Costituzione.
    Il primo e piu' evidente  contrasto  denunciabile  e'  quello  tra
 l'impugnata  norma  e  l'art.  3  della  Costituzione  inteso nel suo
 essenziale  significato  di   limite   di   ragionevolezza   che   le
 disposizioni legislative devono sempre rispettare.
    Si  osserva  a  riguardo  che  in  forza della norma denunciata si
 realizza de facto et de iure, la sostanziale  depenalizzazione  della
 condotta   di   inquinamento  collegata  al  superamento  dei  limiti
 tabellari previsti dalla legge (con la residua rilevanza  penalistica
 della  condotta  inquinante  di  chi  supera la soglia percentuale di
 inquinamento fissata al 20% dei valori  tabellari,  assoggettando  la
 relativa ipotesi alla sola sanzione dell'ammenda).
    Orbene,   in   conseguenza   di   tale  novella,  la  condotta  di
 inquinamento c.d.  sostanziale,  cosi'  definito  perche'  legato  al
 superamento  di  valori considerati inquinanti, riceve un trattamento
 difforme e piu' favorevole rispetto  ai  casi  di  inquinamento  c.d.
 formale  cosi'  definito  perche' connesso alla sola violazione delle
 competenze amministrative dettate dalla legge in merito  al  rilascio
 dell'autorizzazione  allo  scarico, indipendentemente, quindi, da una
 lesivita' in atto dell'interesse sostanziale riguardante l'integrita'
 delle acque.
    Infatti,  tali  violazioni  a  carattere  meramente  formale  sono
 rimaste   assoggettate   alla   pena   alternativa   dell'arresto   o
 dell'ammenda ex  art.  21,  primo  comma,  della  legge  n.  319/1976
 laddove,  per l'ipotesi del superamento dei limiti tabellari da parte
 di scarico produttivo, con la norma denunciata, si e'  realizzata  la
 sostanziale  depenalizzazione  con il residuale ricorso alla sanzione
 penale solo in caso di  superamento  di  una  determinata  soglia  di
 inquinamento.
    Il  trattamento  differenziato  sopra  descritto mostra evidenti i
 segni della incoerenza logica e della disparita' di  trattamento  che
 non  riesce  a trovare alcuna valida giustificazione dalla diversita'
 delle situazioni di fatto disciplinate.
    Al  contrario,  proprio  confrontando  le  realta'  obiettive   da
 disciplinare emerge la violazione del limite di ragionevolezza atteso
 che  e'  stata introdotta, con la norma denunciata, una disciplina di
 maggiore favore per fatti (di inquinamento  sostanziale)  sicuramente
 piu'  gravi  di  quelli (di inquinamento solo formale) per i quali e'
 stata mantenuta inalterata la precedente disciplina; con il risultato
 abnorme di punire piu' gravemente l'inquinamento formale  (arresto  o
 ammenda)  rispetto  all'inquinamento  sostanziale  (solo  ammenda  o,
 persino, al  di  sotto  della  ricordata  soglia  del  20%,  assoluta
 irrilevanza penale).
    Altro  profilo di contrasto denunciabile e' quello riferibile agli
 artt. 10 e 11 della Costituzione  reclamanti  l'obbligo  dello  Stato
 italiano  di  conformarsi  agli  obblighi  internazionalmente assunti
 consentendo in condizioni di parita' con gli altri Stati, anche  alle
 necessarie   limitazioni   di  sovranita'.  Si  osserva  infatti  che
 l'appartenenza dell'Italia all'Unione europea impone al nostro  Paese
 il  pieno  rispetto  delle  direttive  comunitarie che, a seconda dei
 casi, ricevono diretta applicazione nell'ordinamento italiano  ovvero
 vengono applicate attraverso l'intermediazione di leggi di attuazione
 che ne assicurano l'esecuzione ed il rispetto.
    Nella  materia  che qui interessa sussistono direttive comunitarie
 che impongono determinati  criteri  normativi  sulla  gestione  delle
 acque e sulla repressione dei contegni violativi.
    Per  ben  due volte la Corte europea di giustizia ha condannato il
 nostro Paese per il riconosciuto contrasto tra la "Legge Merli" e  le
 vigenti  direttive comunitarie (Corte di giustizia 13 dicembre 1990 e
 28 febbraio 1991) fra le altre ragioni perche' recante  norme  troppo
 permissive   ai   fini   del   rilascio   delle   autorizzazioni   ed
 insufficientemente repressive agli effetti sanzionatori in  relazione
 all'inosservanza  delle  prescrizioni  riportate nelle autorizzazioni
 medesime.
    Con la denunciata norma, che abbassa ulteriormente il  livello  di
 risposta   penale,   gia'   ritenuto  insufficiente,  si  concretizza
 l'ulteriore accentuazione  del  grado  di  inadempienza  dello  Stato
 italiano  verso  le  direttive comunitarie e verso le decisioni della
 Corte europea di giustizia.
    Violato dalla norma denunciata ed, unitariamente, dal d.-l. che la
 contiene e' altresi' il principio di  riserva  di  legge  in  materia
 penale  affermato dall'art. 25 della Costituzione, letto in relazione
 con l'art. 77 della Costituzione sulla  decretazione  di  urgenza  da
 parte del Governo.
    Si  osserva  sul  punto  che la riserva di legge in materia penale
 possiede quale primo e fondamentale significato, quello secondo  cui,
 le  scelte  di  politica  criminale,  sono  monopolio  esclusivo  del
 Parlamento.
    L'ammissibilita'  che  nuove  norme  di   diritto   penale   siano
 introdotte attraverso decreti-legge o decreti legislativi e' connessa
 alla  circostanza  che,  in  entrambi  i  casi,  si  realizza  ed  e'
 assicurato  comunque  l'intervento  del   Parlamento   in   posizione
 sovraordinata,   ora   quale   organo   delegante   (art.   76  della
 Costituzione), ora quale organo cui e' rimesso il potere di conferire
 stabilita'  e  durevolezza,  attraverso  la  legge  di  conversione a
 disposizioni normative precarie e soggette a  decadenza  in  caso  di
 inutile  decorso del termine di sessanta giorni dettato dall'art. 77,
 ultimo comma, della Costituzione.
    Nella specie, attraverso la reiterazione a catena di decreti-legge
 non convertiti disciplinanti l'identica materia penale - l'ultimo  e'
 quello  denunciato di incostituzionalita' con la presente ordinanza -
 si e' di fatto realizzata la  sottrazione  al  Parlamento  della  sua
 esclusiva    competenza   a   disporre   in   materia   penale,   con
 l'inammissibile assunzione  da  parte  dell'esecutivo,  del  relativo
 potere  di  bilanciamento  e  di  valutazione  degli interessi che in
 materia penale e' di  esclusiva  competenza  dell'organo  assembleare
 rappresentativo   della   sovranita'   popolare.   In  altre  parole,
 attraverso  il  procedimento  indiretto  consistito  nella   ripetuta
 adozione  di decreti-legge non convertiti e di identico contenuto, si
 e' realizzato il risultato contrastante con le  precisazioni  di  cui
 alla   Corte   costituzionale  che  vuole  assicurata  la  competenza
 esclusiva del Parlamento in materia penale.
    Da ultimo, e' sussistente un evidente  contrasto  della  norma  in
 esame con l'art. 32 della Costituzione.
    Infatti,  puo'  considerarsi  pacifico  che nel concetto di salute
 pubblica, costituzionalmente garantito, debba ricomprendersi anche la
 salubrita'  dell'ambiente  naturale  ed  urbano  entro  cui  ciascuna
 persona viva.
    Questo concetto viene pacificamente riconosciuto in giurisprudenza
 sicche'  l'affievolita,  ed  in alcuni casi del tutto esclusa, tutela
 penale in materia di inquinamento sostanziale comporta che  la  nuova
 normativa  si  pone  in contrasto con le esigenze che l'art. 32 della
 Costituzione  vuole  assicurate,  anche   e   soprattutto   per   via
 legislativa in materia di tutela della salute.
    La  sollevata questione e' rilevante ai fini del presente giudizio
 atteso che investe la norma che direttamente incide  sul  trattamento
 sanzionatorio applicabile al caso concreto determinandone uno affatto
 diverso. Infatti, nella validita' e vigenza della denunciata norma la
 condotta  degli  imputati  risulterebbe priva di rilevanza penale; in
 opposta  ipotesi  ricadrebbe  sotto  i  rigori   della   preesistente
 disciplina  penale  di cui all'art. 21, secondo comma, della legge n.
 319/1976.
                                P. Q. M.
    Vista la  eccezione  di  incostituzionalita'  sollevata  dal  p.m.
 dell'art.  3,  secondo comma, del d.-l. 17 settembre 1994, n. 537, in
 relazione agli artt. 3, 10, 11, 25 e 32 della Costituzione;
    Ritenuto  che  la  non  manifesta  infondatezza  delle   questioni
 prospettate    e    rilevati    d'ufficio    autonomi    profili   di
 incostituzionalita'  dell'art.  3,  secondo  comma,  del   d.-l.   17
 settembre  1994,  n.  537,  in  relazione agli artt. 3, 25 e 77 della
 Costituzione;
    Ritenuta   la   rilevanza    della    superiore    questione    di
 costituzionalita' ai fini della definizione del presente giudizio;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva  questione  di  costituzionalita'  del  richiamato art. 3,
 secondo comma, del d.-l. 17 settembre 1994, n. 537, in relazione agli
 artt. 3, 10, 11, 25,  32  e  77  della  Costituzione,  disponendo  la
 immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione
 sia notificata alle parti in causa ed al p.m., nonche' al  Presidente
 del Consiglio dei Ministri;
    L'ordinanza verra' comunicata a cura del cancelliere ai Presidenti
 della due Camere;
    Sospende il presente giudizio.
      In Tivoli, addi' 5-24 ottobre 1994
                           Il pretore: CROCE
 
 95C0084