N. 3 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 novembre 1994

                                 N. 3
 Ordinanza  emessa  il  9  novembre  1994  dal  pretore di Cremona nel
 procedimento penale a carico di Bini Mario
 Reato in genere  -  Oltraggio  a  corpo  politico,  amministrativo  o
 giudiziario  (nella specie: oltraggio al corpo di Polizia di Stato) -
 Trattamento sanzionatorio - Misura - Previsione di  una  pena  minima
 edittale   di   mesi   sei   di   reclusione  -  Lamentata  eccessiva
 afflittivita' a fronte del modesto  disvalore  sociale  del  fatto  -
 Lesione del principio di ragionevolezza e della finalita' rieducativa
 della pena.
 (C.P., art. 342, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.4 del 25-1-1995 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Bini  Mario  viene evocato in giudizio, per rispondere del delitto
 p. e p. dall'art. 342 c.p. (oltraggio al prestigio della  Polizia  di
 Stato,  intesa  quale corpo amministrativo, avendo esposto, nel corso
 di una manifestazione pubblica, svoltasi presso il Palazzo  Duemiglia
 di  Cremona,  uno  striscione  recante la scritta: "Eroina, fascisti,
 polizia, uno per uno vi spazzeremo via".  In  Cremona  il  27  giugno
 1992).
    All'esito di rituale istruzione dibattimentale, pubblico ministero
 e difensore hanno concluso come da verbale separato.
    Questo    giudice,    in   base   ad   una   preliminare   analisi
 dell'accadimento, reputa necessario definire il quadro sanzionatorio,
 affinche' la pena eventualmente da infliggere sia adeguata  al  fatto
 commesso.
    In  proposito,  occorre precisare che la disciplina dei delitti di
 oltraggio a p.u. - figure criminose ignote alla quasi  totalita'  dei
 paesi  europei  di  tradizione  liberale -, appare il "prodotto della
 concezione autoritaria e sacrale dei rapporti tra pubblici  ufficiali
 e  cittadini",  propria dell'epoca in cui fu emanato il codice penale
 vigente (vdr. Corte costituzionale sentenza  19-25  luglio  1994,  n.
 341, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale
 dell'art.  341,  primo  comma,  del  codice penale nella parte in cui
 prevede come minimo edittale la reclusione per mesi sei).
    A causa della profonda modifica dei valori sociali e giuridici  di
 riferimento, oggi la coscienza collettiva, ispirata alla costituzione
 democratica    repubblicana,    avverte    che   "il   rapporto   tra
 amministrazione e societa' non e' piu' un rapporto d'imperio,  ma  un
 rapporto strumentale alla cura degli interessi di quest'ultima" (cfr.
 Corte Cost. sent. cit.).
    Queste  considerazioni  gia'  di  per  se'  stesse  permettono  di
 affermare che il minimo di sei mesi  di  reclusione  per  la  modesta
 condotta  oltraggiosa  in  esame,  rientrante  nel  paradigma  legale
 dell'art.  342  c.p.,  sia   il   risultato   di   un   bilanciamento
 manifestamente irragionevole tra la tutela dell'onore e del prestigio
 dei  soggetti  investiti  di  pubblica  funzione  e  la  liberta' del
 cittadino.
    Peraltro,  la  sproporzione  della  risposta   sanzionatoria   per
 comportamenti  che,  seppure punibili, in quanto lesivi del prestigio
 della  autorita',  e  quindi  del  buon  andamento   della   pubblica
 amministrazione,    possono   attestarsi   su   livelli   minimi   di
 offensivita', si  coglie  anche  dal  raffronto  con  il  trattamento
 previsto  dall'articolo  594  c.p.  La plurioffensivita' del reato di
 oltraggio certamente giustifica un trattamento  piu'  grave  rispetto
 all'ingiuria,  ma  non  sfugge ad alcuno che la pena detentiva minima
 per il primo delitto e' dodici volte superiore a quella prevista  per
 il  secondo,  pur  tenendo  conto della diversita' dei beni giuridici
 tutelati dalle fattispecie dianzi indicate.
    Ancora una volta appare, quindi, evidente il regime di  privilegio
 per la posizione della pubblica amministrazione e dei suoi organi con
 notevole pregiudizio della liberta' del cittadino.
    Sotto  altro profilo, puo' notarsi che la tutela penale dell'onore
 e' garantita, in linea generale, dalle norme  dell'ingiuria  e  della
 diffamazione,  che  sono  caratterizzate  per  il diverso modo in cui
 viene leso il bene giuridico protetto: la presenza o meno dell'offeso
 costituisce il discrimen tra le due figure criminose e serve anche  a
 qualificare  la  natura della gravita' della lesione arrecata, che e'
 maggiore quando l'offeso sia assente.
    Tuttavia, per le  offese  al  prestigio  di  organi  pubblici,  il
 criterio  selettivo de quo viene abbandonato, poiche' la diffamazione
 a corpo politico, amministrativo e giudiziario,  ai  sensi  dell'art.
 595,  ult.  comma, c.p.; determina solo l'aumento della pena base (e'
 prevista la reclusione alternativa alla multa), laddove l'offesa  "al
 cospetto"   degli   stessi   integra  un'ipotesi  punita  in  maniera
 significativa. Cosi' la lesione alla reputazione,  che  senza  dubbio
 suscita  un  accentuato  allarme,  perche' crea disistima e menoma la
 favorevole  considerazione  sociale  del  soggetto  pubblico,   viene
 sanzionata   assai   piu'   lievemente  rispetto  ad  un'offesa  piu'
 circoscritta, come puo'  essere  quella  rivolta  in  "presenza"  (e'
 l'equivalente  del  termine  "cospetto"),  che  ha  una  diffusivita'
 ridotta.
    Traendo le conseguenze logiche da tutte le suesposte premesse,  lo
 scrivente  pretore  ritiene  che  la  disciplina normativa della pena
 minima prevista dall'art. 342, primo comma,  c.p.  contrasti  con  il
 principio  di  ragionevolezza  (art.  3 Cost.), il quale esige che la
 pena sia sempre adeguata al disvalore del fatto commesso,  e  con  la
 finalita'  rieducativa  della  pena  (art.  27  Cost.),  in quanto il
 sacrificio della liberta' personale, cagionato  dalla  previsione  di
 una   sanzione  eccessiva,  produce  una  vanificazione  dello  scopo
 indicato,  "che  di   quella   liberta'   costituisce   la   garanzia
 costituzionale  in  relazione  allo stato di detenzione" (Corte cost.
 sentenza 20-28 luglio 1993, n. 343).
    La  rilevanza   della   questione   nel   presente   processo   e'
 indiscutibile,  poiche'  questo giudice, ove la prospettata questione
 fosse accolta, potrebbe applicare una pena inferiore a  mesi  sei  di
 reclusione, di certo conforme alla modesta entita' del fatto.
                                P. Q. M.
    Dichiara  rilevante  e  non manifestamente infondata, in relazione
 agli artt. 3 e 27 della Costituzione, la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  342, primo comma, c.p., nella parte in cui
 prevede il minimo edittale di sei mesi di reclusione;
    Ordina la trasmissione degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e
 sospende il giudizio in corso;
    Dispone  la  notifica  della  presente  ordinanza all'imputato, al
 pubblico ministero, al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e  la
 comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato.
      Cremona, addi' 9 novembre 1994
                           Il pretore: NUZZO
 
 95C0088