N. 15 SENTENZA 12 - 19 gennaio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego   pubblico   -   Personale  delle  cancellerie  e  segreterie
 giudiziarie e personale  amministrativo  in  servizio  presso  organi
 della  giustizia  amministrativa  -  Indennita' giudiziaria - Diritto
 all'adeguamento triennale - Interpretazione autentica della normativa
 vigente con fissazione degli emolumenti nella misura  vigente  al  1›
 gennaio  1988  -  Lavori  preparatori  parlamentari  non  chiari  ne'
 inequivoci   e   pertanto   non   risolutivi   ne'   vincolanti   per
 l'interpretazione  della  legge - Corretta qualificazione della legge
 n. 537/1993 come norma di interpretazione autentica  conseguentemente
 caratterizzata  dalla  retroattivita'  -  Non  irragionevolezza di un
 meccanismo di adeguamento automatico previsto per i magistrati attesa
 la mancanza di  omogeneita'  tra  tale  particolare  categoria  e  il
 personale  amministrativo  giudiziario soggetto alla comune normativa
 del pubblico impiego - Intangibilita' dei giudicati gia' formatisi in
 materia - Non fondatezza.
 
 (Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, sessantunesimo comma;  legge
 22 giugno 1988, n. 221, art. 1).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 36, 73, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113).
 
(GU n.4 del 25-1-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI, prof.
 Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,   prof.
 Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
 prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei    giudizi    di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   3,
 sessantunesimo  comma,  della  legge  24  dicembre   1993,   n.   537
 (Interventi correttivi di finanza pubblica) e dell'art. 1 della legge
 22  giugno  1988,  n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle
 cancellerie e segreterie giudiziarie), promossi con ordinanze  emesse
 il   24   febbraio   1994   dal  Tribunale  amministrativo  regionale
 dell'Abruzzo - sezione staccata di Pescara,  l'8  febbraio  1994  dal
 Tribunale amministrativo regionale della Toscana (n. 2 ordinanze), il
 12  maggio  1994 dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto, e
 il 20 aprile e  il  2  febbraio  1994  dal  Tribunale  amministrativo
 regionale  del  Lazio, rispettivamente iscritte ai nn. 304, 395, 396,
 425, 621 e  626  del  registro  ordinanze  1994  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale della Repubblica nn. 23, 27, 29 e 43, prima serie
 speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di costituzione di Maria Rosaria Rosa ed altri e di
 Antimo Ponticiello ed  altri  nonche'  gli  atti  di  intervento  del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22  novembre  1994  il Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
    Udito l'avvocato Renato Recca per Maria Rosaria Rosa  ed  altri  e
 per  Antimo  Ponticiello  ed  altri e l'avvocato dello Stato Giuseppe
 Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di altrettanti giudizi promossi da personale  delle
 cancellerie e segreterie giudiziarie o da personale amministrativo in
 servizio  presso  organi  della  giustizia  amministrativa  - giudizi
 diretti   ad   accertare   il   diritto   all'adeguamento   triennale
 dell'indennita'   giudiziaria   e   ad  ottenere  l'annullamento  dei
 provvedimenti di diniego delle amministrazioni di appartenenza  -,  i
 Tribunali  amministrativi regionali dell'Abruzzo, sezione staccata di
 Pescara (con ordinanza emessa il 24 febbraio 1994; R.O.  n.  304  del
 1994),  della  Toscana  (con  due ordinanze, entrambe dell'8 febbraio
 1994; R.O. n. 395 e 396 del 1994), del Veneto (con  ordinanza  emessa
 il  12  maggio  1994;  R.O.  n.  425  del  1994) e del Lazio (con due
 ordinanze, del 20 aprile e del 2 febbraio 1994; R.O. n. 621 e 626 del
 1994),  hanno  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  3,  sessantunesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n.
 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),  di  interpretazione
 autentica  dell'art.  1  della  legge  22  giugno  1988,  n.  221. Il
 Tribunale  amministrativo  del  Lazio,  pur  considerando  lo  stesso
 contenuto  normativo,  ha  denunciato  quest'ultima disposizione come
 interpretata dalla legge n. 537 del 1993.
    L'art. 3, sessantunesimo comma,  della  legge  n.  537  del  1993,
 autoqualificandosi    come    norma   interpretativa,   prevede   che
 l'indennita'  concessa  dalla  legge  19  febbraio  1981,  n.  27  ai
 magistrati  ed  attribuita dall'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n.
 221 al personale delle cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie
 (successivamente    estesa    al   personale   amministrativo   delle
 giurisdizioni speciali dalla legge 15  febbraio  1989,  n.  51),  sia
 corrisposta  a  questo  personale  nella misura vigente al 1› gennaio
 1988, senza cioe' l'adeguamento automatico triennale stabilito per  i
 magistrati.
    Le  ordinanze  di  rimessione  sottolineano  che l'interpretazione
 autentica  dettata  dalla  norma   denunciata   si   discosta   dalla
 interpretazione  giurisprudenziale,  avendo  i giudici amministrativi
 ritenuto in piu' occasioni che anche il personale in questione avesse
 diritto  alle variazioni percentuali previste dall'art. 3 della legge
 n. 27 del 1981 per l'analoga indennita' attribuita ai magistrati.
    I giudici rimettenti riconoscono che  la  Costituzione  non  vieta
 leggi  retroattive,  salvo in materia penale, ma osservano che queste
 leggi devono rispondere a ragionevolezza e non devono  violare  altri
 principi  costituzionali.  Nel  caso  della  norma  che  essi  devono
 applicare  vi  sarebbe  contrasto  con  gli  artt.  3  e   36   della
 Costituzione.  Il  legislatore, stabilendo che l'indennita' spetta al
 personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie in misura fissa,
 avrebbe vanificato lo scopo di questo compenso, che e' di  retribuire
 nuovi  oneri  e  maggiori  responsabilita'  derivanti  dalla  recente
 legislazione in materia di giustizia.  L'esclusione  dell'adeguamento
 triennale condurrebbe irragionevolmente all'erosione del valore reale
 dell'indennita',    a   causa   della   svalutazione   monetaria,   e
 contrasterebbe   quindi   con   i   principi   di    adeguatezza    e
 proporzionalita'   della   retribuzione;  inoltre  sarebbe  fonte  di
 ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai magistrati,  per
 i  quali  il  diritto  alle variazioni percentuali continua ad essere
 assicurato,  mentre  la  stretta  connessione  tra  l'attivita'   dei
 magistrati  e  quella  del  personale  di  cancelleria,  il comune ed
 analogo contributo alla realizzazione del  servizio  giustizia  e  la
 necessita'  di  un pari impegno postulerebbero meccanismi retributivi
 fondati su  criteri  analoghi.  Secondo  un'ordinanza  di  rimessione
 l'art.  3  della Costituzione sarebbe violato anche per la disparita'
 di trattamento che si verrebbe a creare tra  coloro  che  hanno  gia'
 percepito  l'indennita'  giudiziaria  rivalutata, avendo ottenuto una
 sentenza favorevole passata in giudicato prima dell'entrata in vigore
 della legge n. 537 del 1993, e  coloro  che  non  possono  conseguire
 l'adeguamento a seguito della disposizione censurata.
    I Tribunali amministrativi regionali dell'Abruzzo, della Toscana e
 del  Veneto ritengono che l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge
 n.  537  del  1993  sia  in  contrasto  anche  con  altri   parametri
 costituzionali:    con    l'art.    24,   perche'   la   disposizione
 interpretativa, sopraggiungendo quando piu'  sentenze  hanno  accolto
 una  diversa  interpretazione,  ostacolerebbe  l'esito  delle domande
 giudiziali   degli   interessati,   i   quali   rimarrebbero    privi
 dell'effettiva  tutela  dei  loro  diritti;  con  l'art.  97,  per la
 violazione  del  principio   di   buon   andamento   della   pubblica
 amministrazione;   con  gli  artt.  108  e  113,  per  l'interferenza
 sull'indipendenza della giurisdizione amministrativa e per la lesione
 del principio di trasparenza dei rapporti tra Stato e cittadini.
    La norma censurata,  avendo  lo  scopo  di  elidere  un  indirizzo
 giurisprudenziale  consolidato,  violerebbe  inoltre l'autonomia e la
 pienezza della giurisdizione  amministrativa.  Questo  in  contrasto,
 secondo   l'ordinanza  di  rimessione  del  Tribunale  amministrativo
 regionale dell'Abruzzo, con l'art. 101  della  Costituzione,  ovvero,
 secondo  i  Tribunali  amministrativi della Toscana e del Veneto, con
 gli artt. 102, 103 e 104 della Costituzione.
    Secondo il Tribunale amministrativo dell'Abruzzo  sarebbe  violato
 anche   l'art.   73   della   Costituzione,   per  l'incidenza  della
 disposizione impugnata,  atteso  il  suo  carattere  retroattivo,  su
 diritti quesiti dei ricorrenti.
    Le  ordinanze  di rimessione motivano la rilevanza della questione
 affermando  di  dover  applicare  la  nuova  normativa,   della   cui
 costituzionalita'  dubitano,  per valutare la pretesa dei ricorrenti,
 volta al riconoscimento dell'indicizzazione triennale dell'indennita'
 giudiziaria.
    2. - In tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che  ha  concluso  per  la  non fondatezza o per la manifesta
 infondatezza delle questioni.
    L'Avvocatura ricorda che l'unico limite alle norme retroattive  e'
 costituito dall'esigenza di rispettare il principio di ragionevolezza
 e gli altri valori costituzionali.
    Nel  caso  in  esame  il  legislatore  avrebbe  agito  nell'ambito
 naturale della sua funzione di produzione  normativa,  senza  violare
 principi  costituzionali.  Infatti  l'art.  3,  sessantunesimo comma,
 della legge n. 537 del  1993,  oltre  a  non  ledere  giudicati  gia'
 formatisi,  non ha sottratto ai ricorrenti alcuno strumento di tutela
 giurisdizionale   nei   confronti   degli   atti    della    pubblica
 amministrazione,  ne'  ha menomato l'autonomia riconosciuta al potere
 giurisdizionale nell'applicazione del diritto oggettivo ai fini della
 definizione delle singole controversie.
    Non vi sarebbe alcuna ingiustificata disparita' di trattamento per
 il fatto che l'indicizzazione  dell'indennita'  giudiziaria,  esclusa
 per  il  personale  delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie,
 continua invece ad essere prevista per i magistrati. Si e' infatti in
 presenza di situazioni obiettivamente diverse, dei magistrati  e  del
 personale  di  cancelleria,  che  il legislatore puo' disciplinare in
 maniera  differenziata,  perche'  il  principio  di  eguaglianza  non
 postula un sistematico ed aprioristico livellamento di peculiari sta-
 tus diversi tra loro.
    Non vi sarebbe neppure un'ingiustificata disparita' di trattamento
 tra  coloro  che,  avendo  ottenuto  una  sentenza  favorevole  prima
 dell'entrata in vigore della legge n. 537 del 1993,  hanno  percepito
 l'indennita' rivalutata e coloro che non possono piu' conseguirla. Si
 tratterrebbe  di  una  mera  disparita'  di  fatto,  che ricorre ogni
 qualvolta vi sia ius superveniens (in senso favorevole o  sfavorevole
 alla  parte)  ovvero  un mutamento di indirizzo giurisprudenziale: il
 giudicato  serve  a  concludere  una  lite  ed  il  suo  esito  resta
 circoscritto alle parti che vi hanno partecipato.
    L'Avvocatura  esclude inoltre qualsiasi violazione dei principi di
 adeguatezza e proporzionalita' della retribuzione, che va riferita al
 complessivo  trattamento  retributivo,  osservando  che  l'indennita'
 giudiziaria  si  aggiunge  al normale trattamento. Ritiene infine non
 pertinente il riferimento agli artt. 73 e 97 della Costituzione.
    3. - Nel giudizio dinanzi alla  Corte  si  sono  costituiti  Maria
 Rosaria  Rosa ed altri, Antimo Ponticiello ed altri, tutti ricorrenti
 nei procedimenti che hanno dato luogo alle  ordinanze  di  rimessione
 del Tribunale amministrativo del Lazio.
    Le  memorie,  che  concludono  per l'accoglimento delle questioni,
 sottolineano che l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge  n.  537
 del  1993 ha imposto un'interpretazione contraria alla giurisprudenza
 formatasi in senso  favorevole  al  riconoscimento  del  diritto  del
 personale  delle cancellerie e segreterie giudiziarie all'adeguamento
 triennale dell'indennita'.
    Le  parti  private ritengono che non vi sarebbe alcuna ragionevole
 giustificazione per ammettere l'indicizzazione  dell'indennita'  solo
 per  il  personale  togato,  negandola  per  quello  di cancelleria e
 segreteria, tenuto conto che essa costituisce componente normale  del
 trattamento economico del personale beneficiario.
    Nelle memorie si ribadiscono inoltre le argomentazioni enunciate a
 sostegno  dei dubbi di legittimita' costituzionali nelle ordinanze di
 rimessione.
    4. -  In  prossimita'  dell'udienza,  l'Avvocatura  ha  depositato
 memorie  nei  giudizi  promossi  dal  Tribunale  amministrativo della
 Toscana (R.O. n. 395 del 1994) e  dal  Tribunale  amministrativo  del
 Veneto  (R.O.  n.  425  del  1994),  insistendo  nelle conclusioni di
 manifesta infondatezza delle questioni.
    L'Avvocatura osserva che l'art.  3,  sessantunesimo  comma,  della
 legge  n.  537  del  1993,  nel  recare  l'interpretazione  autentica
 dell'art. 1 della legge n. 221 del 1988, si  e'  limitato  a  rendere
 esplicita  la  ratio  normativa  di  tale  disposizione, nel senso di
 precisare  che  le  misure  dell'indennita'  giudiziaria,  dovuta  al
 personale   dirigente   e  qualifiche  equiparate  nonche'  a  quello
 appartenente alle qualifiche funzionali dei ruoli delle cancellerie e
 segreterie giudiziarie, sono quelle  della  speciale  indennita'  non
 pensionabile vigenti al 1› gennaio 1988.
    Cio' troverebbe conferma negli atti preparatori della legge n. 221
 del  1988,  dai  quali  si  evince che una specifica disposizione che
 prevedeva  la  rivalutazione  automatica  dell'emolumento,   proposta
 dall'Amministrazione  giudiziaria,  e'  stata  eliminata su esplicita
 richiesta del Tesoro, tenuto anche conto che gli  oneri  relativi  al
 provvedimento stesso sono stati considerati costanti nel tempo.
    Secondo    l'Avvocatura   con   l'interpretazione   autentica   il
 legislatore ha voluto porre termine al contenzioso amministrativo che
 si  stava  formando,  in  materia  di  rivalutazione  dell'indennita'
 giudiziaria,  in  contrasto  con lo spirito e la lettera della norma,
 senza per questo ledere gli articoli 102, 103, 104, 108 e  113  della
 Costituzione.  Difatti non sarebbero violate la funzione, l'autonomia
 e l'indipendenza dei giudici amministrativi, ne' sarebbe limitata  la
 tutela  giurisdizionale  dei  diritti e degli interessi legittimi dei
 dipendenti. Del resto, alla data di entrata in vigore della legge  n.
 537  del 1993 non si era formata in materia di adeguamento automatico
 di indennita' giudiziaria una  giurisprudenza  consolidata,  tale  da
 consentire  l'estensione  del  giudicato  anche nei confronti dei non
 ricorrenti.
    Secondo l'Avvocatura le leggi n. 221 del 1988 e n. 51 del 1989 non
 hanno inteso estendere agli interessati la  speciale  indennita'  non
 pensionabile  del  personale di magistratura, bensi' hanno introdotto
 un diverso  trattamento  economico  accessorio.  Difatti  sono  state
 espressamente  stabilite  le  misure percentuali dovute ai dirigenti;
 risultano indicati i criteri di erogazione dell'indennita' stessa; e'
 stata rimessa alla contrattazione decentrata, da recepire con decreto
 interministeriale, la determinazione degli importi  mensili  per  gli
 appartenenti alle qualifiche funzionali. In tale sede, poi, mentre si
 e'  fatto  espresso  rinvio  per la determinazione degli importi alle
 misure della speciale  indennita'  non  pensionabile  vigenti  al  1›
 gennaio   1988,   non  e'  stato  previsto  l'adeguamento  automatico
 dell'indennita'. Di conseguenza non sarebbe possibile applicare  alla
 stessa   il   particolare   regime   previsto  per  l'indennita'  dei
 magistrati;   regime,   d'altronde,   in  linea  con  il  sistema  di
 rivalutazione stipendiale sancito per tale categoria di personale.
    L'Avvocatura, inoltre,  contesta  che  i  principi  costituzionali
 impongano  che  le voci retributive debbano adeguarsi automaticamente
 al costo della vita. In particolare tutti  gli  emolumenti  accessori
 fruiti  da  numerose categorie di personale dello stesso comparto dei
 ministeri sono corrisposte in misura fissa ovvero in importi che  nel
 tempo non hanno subito adeguamenti.
    5.  -  In  prossimita'  dell'udienza  anche le parti private hanno
 depositato memorie, ribadendo che  sussisterebbe  una  disparita'  di
 trattamento  operata  nei  confronti  del  personale  amministrativo,
 tenuto conto che l'indennita' giudiziaria e' stata estesa ad esso  in
 ragione della stretta connessione del servizio con l'opera svolta dai
 magistrati. Ne' vi sarebbe quella obiettiva diversita' di situazioni,
 che consentirebbe una disciplina legittimamente differenziata.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Le  questioni di legittimita' costituzionale, sollevate dai
 Tribunali amministrativi regionali dell'Abruzzo - sezione staccata di
 Pescara, della Toscana, del Veneto e del Lazio, concernono l'art.  3,
 sessantunesimo   comma,   della   legge  24  dicembre  1993,  n.  537
 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ovvero  l'art.  1  della
 legge  22  giugno  1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale
 delle cancellerie e segreterie giudiziarie), come interpretato  dalla
 legge n. 537 del 1993.
    La  prima  disposizione,  inserita  nel  contesto degli interventi
 correttivi di finanza pubblica, qualificandosi  come  interpretativa,
 prevede  che  l'art.  1  della  legge n. 221 del 1988, attribuendo al
 personale delle cancellerie  e  segreterie  giudiziarie  l'indennita'
 stabilita  dall'art.  3  della  legge  19 febbraio 1981, n. 27 "nella
 misura vigente al 1› gennaio 1988", e' da considerare con riferimento
 alle misure in godimento a quella data. Senza che si  possa,  quindi,
 tenere  conto  dell'incremento  periodico  dell'indennita', che per i
 magistrati e' previsto ogni triennio nella stessa misura  percentuale
 stabilita per l'adeguamento del loro stipendio.
    La  pretesa  avanzata nei giudizi principali dai ricorrenti, tutti
 appartenenti al personale amministrativo giudiziario, si basa su  una
 diversa  interpretazione dell'art. 1 della legge n. 221 del 1988, nel
 senso che il rinvio all'art. 3 della legge n. 27 del  1981  comprenda
 anche    le    modalita'    di   automatico   adeguamento   periodico
 dell'indennita', cosi' come e' previsto per i magistrati.
    I giudici rimettenti, considerato che  la  norma  "interpretativa"
 esclude  la  possibilita'  di  corrispondere  l'indennita' maggiorata
 dell'adeguamento  triennale,  ne  hanno  denunciato  l'illegittimita'
 costituzionale  con  riferimento a molteplici parametri (artt. 3, 24,
 36, 73, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e  113  della  Costituzione).  La
 norma  difatti  sarebbe falsamente interpretativa, avrebbe in realta'
 contenuto retroattivo, giacche' i problemi interpretativi che avrebbe
 inteso dirimere  erano  stati  superati  dalla  giurisprudenza.  Essa
 sarebbe  irragionevole  e  lesiva  del  principio  di eguaglianza, in
 quanto introdurrebbe ingiustificate  disparita'  di  trattamento  tra
 pubblici   dipendenti,   ammettendo  la  indicizzazione  solo  per  i
 magistrati e non  per  il  personale  di  cancelleria  e  segreteria.
 Sarebbe  anche  leso  il  principio di adeguatezza e proporzionalita'
 della retribuzione, giacche' l'indennita' e' da tempo componente  del
 trattamento economico del personale che ne beneficia.
    Il  contrasto  e'  prospettato anche con i principi costituzionali
 che garantiscono il diritto di difesa e  l'autonomia  della  funzione
 giurisdizionale,  in  quanto  la  norma  inciderebbe  su diritti gia'
 maturati  e  vanificherebbe  decisioni   giurisdizionali.   Sarebbero
 inoltre     lesi     l'imparzialita'    ed    il    buon    andamento
 dell'amministrazione, giacche' la legge  interviene  retroattivamente
 su  diritti  di  natura  economica  connessi  al rapporto di pubblico
 impiego. Il contrasto con il principio di eguaglianza e'  prospettato
 anche  sotto  il  profilo della disparita' di trattamento retributivo
 tra chi  ha  ottenuto  una  sentenza  favorevole  prima  della  legge
 interpretativa e chi ha un giudizio in corso.
    2.  -  Le questioni hanno per oggetto la stessa norma, considerata
 da alcune ordinanze con riferimento alla disposizione interpretativa,
 da altre ordinanze con riferimento alla disposizione interpretata,  e
 prospettano   i   medesimi   o   analoghi   profili  di  legittimita'
 costituzionale.  La  evidente  connessione  consente  di  riunire   i
 giudizi, perche' siano decisi con unica sentenza.
    3.  - Tutti i dubbi di legittimita' costituzionale sollevati dalle
 diverse ordinanze hanno quale comune premessa la  considerazione  che
 l'art.  3,  sessantunesimo  comma, della legge n. 537 del 1993, al di
 la' della formale autoqualificazione, non  esprima  l'interpretazione
 autentica  della  precedente  disposizione (art. 1 della legge n. 221
 del 1988), alla quale si riferisce, ma modifichi retroattivamente  la
 disciplina  dettata da quest'ultima, mediante un'innovazione estranea
 alla finalita' di renderne inequivoco il contenuto normativo.
    Il contrasto  con  i  diversi  parametri  costituzionali  invocati
 deriverebbe  dall'uso  irragionevole che il legislatore avrebbe fatto
 del potere di emanare leggi di interpretazione autentica, venendo  ad
 incidere  nell'ambito  proprio  della  giurisdizione  e  determinando
 nell'ambito        giudiziario,         con         l'interpretazione
 legislativamenteimposta, una disparita' di trattamento tra magistrati
 e  personale amministrativo e la lesione del principio di adeguatezza
 e proporzionalita' della retribuzione per quest'ultimo.
    4. - I problemi che si presentano in relazione alle  leggi  inter-
 pretative  sono  stati molte volte esaminati e risolti, sulla base di
 principi che fissano i  criteri  di  soluzione  delle  questioni  ora
 sottoposte all'esame della Corte.
    Ammesso il potere del legislatore di emanare leggi interpretative,
 che  hanno  come  connaturale elemento la retroattivita' (sentenza n.
 123 del 1987), non e' sufficiente che la legge  si  autoqualifichi  e
 sia  formulata  come interpretativa, perche' debba essere considerata
 tale.  Si  deve  difatti  verificare,  ai  fini   del   giudizio   di
 legittimita'  costituzionale, che la qualificazione e la formulazione
 rispondano  effettivamente  ai  caratteri   propri   di   una   legge
 interpretativa  (cfr.  sentenza  n.  233  del  1988).  Caratteri  che
 indubbiamente  sussistono  quando,  rimanendo  immutato   il   tenore
 testuale  della  disposizione interpretata, se ne chiarisca e precisi
 il significato o si privilegi,  rendendola  vincolante,  una  tra  le
 tante interpretazioni possibili (da ultimo sentenze n. 397 del 1994 e
 n. 424 del 1993).
    In  altri  termini  e'  necessario  e  sufficiente  che  la scelta
 ermeneutica  imposta  dalla  legge  interpretativa  rientri  tra   le
 varianti  di  senso  compatibili  con  il  tenore letterale del testo
 interpretato, stabilendo un significato  che  ragionevolmente  poteva
 essere  ascritto  alla  legge  anteriore  (sentenza  n.  39 del 1993;
 ordinanza  n.  480  del  1992).   Cosi'   configurato,   l'intervento
 legislativo   non   presuppone   necessariamente  una  situazione  di
 incertezza o di conflitto  di  interpretazioni,  ma  non  si  sottrae
 all'esigenza  di rispettare il principio generale di ragionevolezza e
 gli altri precetti costituzionali (tra le molte, sentenze  n.  6  del
 1994 e n. 283 del 1993).
    La  legge  interpretativa  inoltre,  pur  se ha il fine di imporre
 all'interprete   un   determinato   significato    normativo    della
 disposizione  interpretata,  non  tocca  la potesta' di giudicare, ma
 muove sul diverso piano delle fonti normative e precisa la regola  ed
 il  modello  di decisione cui l'esercizio della potesta' di giudicare
 deve attenersi (sentenze n. 39 e n. 402 del 1993, n. 6 del 1988). Non
 lede quindi la funzione giurisdizionale, a  meno  che  non  violi  il
 giudicato o non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui concreti
 giudizi  in  corso  per determinarne gli esiti (da ultimo sentenza n.
 397 del 1994).
    5. - L'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del  1993,
 destinato  a  chiarire  il significato dell'art. 1 della legge n. 221
 del 1988 nell'ambito delle possibili interpretazioni  consentite  dal
 tenore  letterale di quest'ultima disposizione, risponde ai requisiti
 propri delle leggi interpretative.
    Con la disposizione interpretata e' stata attribuita al  personale
 delle cancellerie e segreterie giudiziarie l'indennita' stabilita per
 i  magistrati  dall'art.  3 della legge n. 27 del 1981, "nella misura
 vigente al 1› gennaio 1988".  Quest'ultimo  inciso  risulta  aggiunto
 nello  schema  di  disegno  di  legge  di  iniziativa  governativa, a
 richiesta del Tesoro, unitamente  alla  soppressione  della  menzione
 prevista  invece nello schema preliminare del secondo comma dell'art.
 3,  che  stabilisce  per  i   magistrati   l'adeguamento   automatico
 dell'indennita'  ogni  triennio  contestualmente  all'adeguamento dei
 loro stipendi, e cio' proprio al fine di escludere il  meccanismo  di
 adeguamento  automatico  dell'istituenda  indennita' per il personale
 amministrativo.
    Nel corso dell'esame parlamentare nella Commissione giustizia  del
 Senato il relatore ha segnalato la revisione triennale quale elemento
 che  caratterizza  l'indennita',  facendo tuttavia riferimento, oltre
 che allo strumento legislativo, anche alla contrattazione.
    Quale che sia il valore da  attribuire  ai  lavori  preparatori  -
 peraltro  in  questo  caso  non chiari ne' inequivoci - essi non sono
 risolutivi per la interpretazione della legge, ne' vincolano  succes-
 sive  leggi  interpretative,  le  quali  possono  liberamente muovere
 nell'area oggettivamente compresa tra le possibili varianti di  senso
 compatibili con il testo legislativo.
    Dal  tenore  letterale  dell'art.  1  della  legge n. 221 del 1988
 possono derivare almeno due interpretazioni. Una, fatta propria dalle
 ordinanze di rimessione e dalle decisioni  dalle  stesse  richiamate,
 considera  il  rinvio  all'art.  3  della  legge  n. 27 del 1981 come
 comprensivo  non  solo  della  attribuzione  e  della  determinazione
 dell'indennita'  nella misura vigente al 1› gennaio 1988 ma anche dei
 meccanismi di adeguamento automatico cosi' come previsti ed  operanti
 per i magistrati.
    L'altra  lettura  considera  il rinvio come espressamente limitato
 alla misura dell'indennita' alla data considerata,  senza  che  possa
 estendersi  ai  meccanismi  di  adeguamento  coerenti  con la diversa
 configurazione del sistema retributivo dei magistrati.
    Quest'ultima lettura rientra tra  i  possibili  significati  della
 disposizione  interpretata,  del  resto  gia'  individuati,  sia pure
 incidentalmente,  da  questa  Corte  che,  ponendo  in  evidenza   le
 caratteristiche  proprie  dell'indennita'  connesse  allo  status dei
 magistrati, ha segnalato che il legislatore, anche quando ha ritenuto
 di estendere l'indennita' al personale delle cancellerie e segreterie
 giudiziarie ed a quello amministrativo delle  magistrature  speciali,
 l'ha  attribuita  in  misura  fissa,  escludendo l'applicabilita' del
 meccanismo di  adeguamento  automatico  connesso  alla  rivalutazione
 degli  stipendi  prevista  per i soli magistrati (sentenza n. 238 del
 1990).
    Si deve conclusivamente  ritenere  che  l'art.  3,  sessantunesimo
 comma,  della  legge  n. 537 del 1993 e' correttamente qualificato di
 interpretazione autentica  e,  come  tale,  e'  caratterizzato  dalla
 retroattivita'.
    6.  -  Cio'  posto, il contenuto della disposizione denunciata non
 appare irragionevole, ne' in contrasto con i parametri di valutazione
 indicati dalle ordinanze di rimessione.
    L'indennita' concessa ai magistrati dall'art. 3 della legge n.  27
 del  1981  si  configura  diversamente  da  quella  prevista  per  il
 personale delle cancellerie  e  segreterie  giudiziarie  dall'art.  1
 della legge n. 221 del 1988.
    L'indennita' attribuita ai magistrati, fissa nel suo ammontare che
 non  e'  collegato  al livello retributivo ed alla progressione nella
 carriera, si inserisce in un contesto retributivo caratterizzato,  in
 ragione  della  speciale  garanzia  di  indipendenza da assicurare ai
 magistrati, dall'automatico aggiornamento periodico  del  trattamento
 retributivo nella misura percentuale pari alla media degli incrementi
 realizzati  dai pubblici dipendenti nel triennio precedente (artt. 11
 e 12 della  legge  2  aprile  1979,  n.  97).  Questa  caratteristica
 coerentemente si comunica all'indennita'.
    Diversamente per il personale amministrativo giudiziario, al quale
 si applicano le regole comuni del pubblico impiego. L'indennita', che
 assorbe  precedenti  compensi  incentivanti, e' stata rapportata, nel
 suo ammontare,  ai  diversi  livelli  retributivi  ed  alle  distinte
 posizioni   di  carriera  ed  e'  stata  rimessa,  per  il  personale
 appartenente  alle   qualifiche   funzionali,   all'intesa   con   le
 organizzazioni sindacali.
    Non  e'  dunque  irragionevole  la mancata estensione al personale
 amministrativo dello speciale meccanismo  di  adeguamento  automatico
 previsto per i magistrati, che trae giustificazione dalla particolare
 condizione  dei  destinatari  e  dall'assenza  per  essi  di  altri e
 specifici strumenti, legislativi o contrattuali,  di  variazione  del
 trattamento retributivo.
    La  mancanza  di omogeneita' tra le due categorie di dipendenti ed
 il diverso meccanismo di determinazione del  trattamento  retributivo
 sono  sufficienti  per giustificare la diversita' di regime giuridico
 delle indennita' in questione.
    7. - Il carattere  di  interpretazione  autentica  da  riconoscere
 all'art.  3,  sessantunesimo  comma,  della  legge  n.  537  del 1993
 consente di escludere  che  questa  disposizione  interferisca  sulla
 funzione  giurisdizionale  (artt. 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della
 Costituzione)  o  limiti il diritto di difesa degli interessati (art.
 24 della Costituzione). Il legislatore difatti si e' mosso sul  piano
 delle  fonti,  esercitando  il potere di attribuire alla disposizione
 legislativa interpretata un significato obbligatorio per tutti, senza
 con cio' interferire nella diversa funzione del  potere  giudiziario,
 che,  secondo  la  costante  giurisprudenza  della  Corte  (sin dalla
 sentenza n.  118  del  1957),  consiste  nell'adozione  di  decisioni
 vincolate all'ordinamento normativo.
    La  legge  interpretativa  non travolge inoltre i giudicati che si
 sono formati. La necessita' di rispettarli nei singoli casi in cui vi
 sia cosa giudicata giustifica, anzi, la differente condizione di  chi
 abbia  avuto il riconoscimento giudiziale definitivo dell'adeguamento
 automatico dell'indennita' rispetto a chi non lo abbia  ottenuto.  La
 legge   interpretativa  non  appare  inoltre  mossa  dall'intento  di
 interferire nei giudizi in corso, ma e'  raccordata  all'esigenza  di
 chiarire  la  portata della norma interpretata, anche in coerenza con
 le valutazioni di spesa  e  la  copertura  finanziaria  prevista  con
 l'istituzione dell'indennita'.
    8. - Non sussiste neppure il contrasto, denunciato dalle ordinanze
 di rimessione, dell'omesso adeguamento automatico dell'indennita' con
 l'art. 36 della Costituzione.
    I requisiti costituzionali di proporzionalita' e sufficienza della
 retribuzione    devono   essere   valutati,   secondo   la   costante
 giurisprudenza di questa Corte, non  gia'  in  relazione  ai  singoli
 elementi  che compongono il trattamento economico, ma considerando la
 retribuzione nel suo complesso (da ultimo sentenza n. 164 del 1994).
    Non si puo' pertanto fare isolato riferimento ad  una  indennita',
 che   concorre  ad  integrare  il  trattamento  stipendiale.  Ne'  la
 disposizione costituzionale tende a garantire la indicizzazione degli
 elementi retributivi.
    Infine non si vede come possa  essere  configurato  un  contrasto,
 peraltro  dedotto  senza adeguata argomentazione, con l'art. 97 della
 Costituzione.
    Ogni altro profilo rimane assorbito.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondate   le   questioni   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 3, sessantunesimo comma, della
 legge 24 dicembre 1993, n.  537  (Interventi  correttivi  di  finanza
 pubblica)   e  dell'art.  1  della  legge  22  giugno  1988,  n.  221
 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e  segreterie
 giudiziarie), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 73, 97,
 101,  102,  103,  104,  108  e  113 della Costituzione, dai Tribunali
 amministrativi regionali dell'Abruzzo - sezione staccata di  Pescara,
 della  Toscana,  del  Veneto e del Lazio con le ordinanze indicate in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1995.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: MIRABELLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0111