N. 27 SENTENZA 12 - 19 gennaio 1995
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini preliminari - Eccezione relativa alla nullita' del decreto di citazione - Preclusione - Perseguimento da parte del giudice a quo di un petitum inadeguato a risolvere l'anomalia procedimentale - Predisposizione da parte dell'ordinamento, in via sistematica, del rimedio atto a sanzionare processualmente l'esercizio dell'azione penale per un fatto gia' oggetto di provvedimento di archiviazione - Non fondatezza. (C.P.P., art. 555, secondo comma, in relazione all'art. 414, stesso codice). (Cost., art. 24).(GU n.4 del 25-1-1995 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 414 del medesimo codice promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1994 dal Pretore di Brescia - sezione distaccata di Breno - nel procedimento penale a carico di Fostera Giovanni iscritta al n. 270 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 9 novembre 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Ritenuto in fatto 1. - Investito del giudizio in ordine a una imputazione per la quale era stato in un primo tempo emesso provvedimento di archiviazione, cui aveva fatto seguito l'emissione del decreto di citazione a giudizio in assenza della autorizzazione alla riapertura delle indagini prevista dall'art. 414 cod. proc. pen., il Pretore di Brescia, sezione distaccata di Breno, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 555, comma 2, cod. proc. pen., in relazione all'art. 414 citato, nella parte in cui "non consente di rilevare o eccepire la nullita' del decreto di citazione nel caso di mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini preliminari". Espone il giudice a quo che l'imputazione per la quale era stata esercitata l'azione penale, relativa a una fattispecie perseguibile a querela di parte, era la stessa per la quale era stata a suo tempo disposta l'archiviazione; e che il pubblico ministero, a seguito di sollecitazione della parte lesa (estrinsecatasi formalmente in un nuovo atto di querela, peraltro tardivo), aveva provveduto a nuova iscrizione, per l'identico fatto, nel registro delle notizie di reato e proceduto a ulteriori indagini preliminari, conclusesi con l'emissione del decreto di citazione a giudizio, senza curarsi di richiedere preventivamente al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione prescritta dall'art. 414 cod. proc. pen. Tale anomalia procedurale, a parere dell'organo remittente, non e' adeguatamente sanzionata, essendo solo possibile ritenere l'inutilizzabilita' degli atti delle nuove indagini a norma dell'art. 191 cod. proc. pen.; ma non potendosi impedire l'efficacia dell'atto di esercizio dell'azione penale, cui, pertanto, fa seguito inevitabilmente la fase del giudizio. In tal modo verrebbe elusa la funzione di controllo attribuita al giudice per le indagini preliminari dall'art. 414 cod. proc. pen., consentendosi al pubblico ministero di esercitare liberamente l'azione penale senza che siano previamente rimossi dall'organo giurisdizionale gli effetti del decreto di archiviazione. Ne deriva, secondo il Pretore, la menomazione del diritto di difesa, non essendo possibile all'imputato, in mancanza di specifiche previsioni normative, di eccepire davanti al giudice del dibattimento l'invalidita' del decreto di citazione a giudizio. 2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilita' e, in subordine, per l'infondatezza della questione. Osserva in primo luogo l'Avvocatura dello Stato che il remittente e' incorso in un'evidente aberratio ictus, poiche', stando alla prospettazione della questione, il contrasto con l'art. 24 Cost. deriverebbe non dalla norma impugnata, ma dall'art. 414 cod. proc. pen., in quanto non contemplante una sanzione processuale per l'inosservanza da parte del pubblico ministero del dovere di richiedere l'autorizzazione al giudice ai fini della riapertura delle indagini. Nel merito, il diritto di difesa sarebbe pienamente tutelato, sia che si ritenga, come sostiene il giudice a quo e parte della giurisprudenza, che gli atti di indagine non preceduti da autorizzazione del giudice per le indagini preliminari siano inutilizzabili, poiche' in tal caso l'imputato sarebbe tratto a giudizio sulla base dei soli elementi raccolti nella fase conclusasi con l'archiviazione, sia che si configuri l'autorizzazione alla riapertura delle indagini come condizione di procedibilita', in mancanza della quale si imporrebbe il proscioglimento dell'imputato con la relativa formula. Considerato in diritto 1. - E' stata sollevata la questione del contrasto con l'art. 24 Cost. dell'art. 555, comma 2, cod. proc. pen., in relazione all'art. 414 del medesimo codice, nella parte in cui "non consente di rilevare o eccepire la nullita' del decreto di citazione nel caso di mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini preliminari", per la menomazione del diritto di difesa conseguente alla impossibilita' per l'imputato, in mancanza di specifiche previsioni normative, di eccepire davanti al giudice del dibattimento l'invalidita' del decreto di citazione a giudizio. Ad avviso del giudice remittente, l'ordinamento non contempla alcuna sanzione processuale per il caso in cui il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale in ordine al medesimo fatto per il quale sia stata precedentemente disposta l'archiviazione, senza previamente richiedere e ottenere l'autorizzazione alla riapertura delle indagini prescritta dall'art. 414 cod. proc. pen . Ne', a sanzionare tale condotta contraria alla legge processuale, potrebbe ritenersi sufficiente la conseguenza della inutilizzabilita' degli atti di indagine, perche' cio' non avrebbe alcun formale effetto sull'atto dell'esercizio dell'azione penale, in mancanza di una previsione di nullita' che si ricolleghi a tale ipotesi. 2. - Va rigettata l'eccezione di inammissibilita' dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha sostenuto che la norma da sottoporre a censura avrebbe dovuto essere quella recata dall'art. 414 cod. proc. pen., in quanto non contemplante una sanzione processuale per l'inosservanza da parte del pubblico ministero del dovere di richiedere l'autorizzazione al giudice ai fini della riapertura delle indagini. Nella prospettiva del giudice remittente, infatti, l'omessa previsione normativa concerne proprio la nullita' che, nella ipotesi dedotta, dovrebbe inficiare l'atto di esercizio dell'azione penale; atto che, trattandosi di procedimento pretorile, si estrinseca nel decreto di citazione a giudizio regolato appunto dall'art. 555 cod. proc. pen., norma, dunque, correttamente sottoposta a censura. 3. - Va premesso che, diversamente dal previgente ordinamento processuale, il nuovo codice di rito penale assegna una efficacia (limitatamente) preclusiva al provvedimento di archiviazione. Cio' e' reso esplicito proprio dal citato art. 414, in base al quale, dopo l'archiviazione, l'inizio di un nuovo procedimento e' subordinato a un provvedimento autorizzatorio del giudice. Tale provvedimento ha dunque l'effetto di rendere possibile il riaprirsi di un procedimento per il fatto gia' archiviato e, all'esito di esso, l'eventuale esercizio dell'azione penale, che, in difetto dell'autorizzazione, sarebbe precluso. Ora, la caratteristica indefettibile di ogni ipotesi di preclusione e' quella di rendere improduttivi di effetti l'atto o l'attivita' preclusi; ed e' naturalmente compito del giudice quello di sancire tale inefficacia. 4. - Se si prende ad esempio il caso piu' eminente di preclusione, quello del giudicato, puo' rilevarsi che, qualora sia iniziato un secondo giudizio per il medesimo fatto, il giudice ha il dovere di pronunciare sentenza (a seconda delle fasi processuali, di proscioglimento o di non luogo a procedere), "enunciandone la causa nel dispositivo" (art. 649, comma 2, cod. proc. pen.). Ma anche nel caso in esame, nel quale parimenti deve ritenersi precluso l'esercizio dell'azione penale, in quanto riguardante il medesimo fatto gia' oggetto di un provvedimento di archiviazione, in carenza di autorizzazione del giudice a riaprire le indagini, e' la instaurabilita' di un nuovo procedimento e, quindi, la "procedibilita'" a essere impedita; sicche' se il presupposto del procedere manca, il giudice non puo' che prenderne atto, dichiarando con sentenza, appunto, che "l'azione penale non doveva essere iniziata" (cfr. artt. 529, 469, 425, nonche', sia pure in termini formalmente non identici, art. 129, cod. proc. pen.). E' quanto si verifica, ancora, qualora sia esercitata l'azione penale per un fatto per il quale sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere nell'udienza preliminare, in mancanza della revoca giudiziale prevista dagli artt. 434-437 cod. proc. pen. Anche in questa ipotesi la regola della declaratoria dell'effetto preclusivo, sub specie di sentenza di improcedibilita' dell'azione penale, e' da ritenere espressa in termini generali dalle disposizioni sopra menzionate, dovendosi pertanto reputare ininfluente che il nuovo codice, a differenza di quanto comunemente si affermava con riferimento a quello abrogato (art. 90 cod. proc. pen. del 1930), non consideri specificamente tale situazione nell'ambito dell'istituto del ne bis in idem (v. artt. 649, comma 1, e 648, comma 1, cod. proc. pen.). 5. - Giova sottolineare che il petitum perseguito dal giudice a quo (sanzione di nullita' dell'atto di esercizio dell'azione penale) appare del tutto inadeguato a risolvere l'"anomalia" procedimentale da cui ha tratto le mosse la presente questione di costituzionalita'. Invalidato l'atto di impulso processuale, residuerebbe un procedimento eternamente in vana attesa di definizione giudiziale: esso non potrebbe mai risolversi in sede processuale, ma nemmeno essere nuovamente archiviato, se non altro perche' il giudice, ai fini di un nuovo provvedimento di archiviazione, non potrebbe delibare atti di indagine espletati contra legem. 6. - Poiche', invece, l'ordinamento, sistematicamente considerato, appresta gia' un rimedio atto a sanzionare processualmente l'esercizio dell'azione penale per un fatto gia' oggetto di un provvedimento di archiviazione, in mancanza dell'autorizzazione giudiziale ai sensi dell'art. 414 cod. proc. pen., la questione deve essere dichiarata non fondata.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 414 del medesimo codice, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Pretore di Brescia, sezione distaccata di Breno, con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1995. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: SPAGNOLI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1995. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 95C0123