N. 33 SENTENZA 6 - 13 febbraio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Opere  pubbliche  -  Collegio  arbitrale  -  Composizione  -   Omessa
 previsione  che  fra i cinque     componenti uno di essi sia nominato
 dall'ente locale territoriale, diverso dalla regione  che  sia  parte
 della  controversia  -  Violazione  del  principio  di  eguaglianza -
 Illegittimita' costituzionale - Competenza arbitrale - Esclusione con
 apposita clausola - Arbitro nominato dal comune Omessa  previsione  -
 Difetto di rilevanza - Inammissibilita'.
 
 (Legge  regione  Puglia  16  maggio  1985,  n.  27, art. 61; legge 10
 dicembre 1981, n. 741, art. 16; legge regione Puglia 16 maggio  1985,
 n. 27, art. 1).
 
 (Cost., artt. 3, 24, primo e secondo comma, 102 e 117).
 
(GU n.7 del 15-2-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI,  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare   MIRABELLI,   prof.   Fernando
    SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
    Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 16 della  legge
 10  dicembre  1981, n. 741 (Ulteriori norme per l'accelerazione delle
 procedure per l'esecuzione di opere pubbliche) e degli artt. 1  e  61
 della  legge  della  Regione  Puglia  16  maggio  1985  n.  27 (Testo
 unificato ed aggiornato di leggi regionali  in  materia  di  opere  e
 lavori  pubblici),  promosso con ordinanza emessa il 15 febbraio 1994
 dalla Corte di appello di Bari nel procedimento civile  vertente  tra
 il Comune di Sannicandro di Bari e l'Impresa Cuccovillo Angelantonio,
 iscritta al n. 594 del registro ordinanze del 1994 e pubblicata nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  41, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visti l'atto di costituzione del Comune  di  Sannicandro  di  Bari
 nonche' l'atto di intervento della Regione Puglia;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  24  gennaio  1995  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi gli avvocati Vincenzo Caputi Jambrenghi e Felice E.  Lorusso
 per  il  Comune  di  Sannicandro  di Bari e Giuseppe Abbamonte per la
 Regione Puglia.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un  giudizio  civile,  promosso  dal  Comune  di
 Sannicandro  di Bari contro un'impresa di costruzioni appaltatrice di
 un'opera pubblica (nuovo mercato coperto)  per  la  dichiarazione  di
 nullita' della sentenza arbitrale emessa sulla controversia sorta tra
 le  parti  a  seguito  della  delibera  comunale  di  rescissione del
 contratto di appalto per colpa grave e  negligenza  dell'impresa,  la
 Corte  di  appello  di  Bari,  con  ordinanza  del  15  febbraio 1994
 (pervenuta  alla  Corte  costituzionale  il  13  settembre  1994)  ha
 sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 16 della
 legge 10 dicembre 1981 n. 741 (Ulteriori  norme  per  l'accelerazione
 delle  procedure per l'esecuzione di opere pubbliche), in riferimento
 agli artt. 24, primo e secondo comma, e  102  della  Costituzione,  e
 degli artt. 1 e 61 della legge della Regione Puglia 16 maggio 1985 n.
 27  (Testo  unificato  ed aggiornato di leggi regionali in materia di
 opere e lavori pubblici), in riferimento agli artt. 3,  24,  primo  e
 secondo comma, e 117 della Costituzione.
    Nell'ordinanza  si  premette  che  la  "clausola compromissoria e'
 contenuta nel patto con cui i contraenti richiamarono  le  norme  del
 capitolato  speciale  e,  con  quelle, le disposizioni del capitolato
 generale" approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, tra cui anche l'art.
 47, come sostituito dall'art. 16 della legge n. 741 del  1981;  donde
 la  rilevanza  delle  questioni  che  incidono  sulla validita' della
 deroga alla competenza del giudice ordinario - come  disciplinata  da
 quest'ultima norma legislativa - comportando, se accolte, la nullita'
 della sentenza arbitrale per vizio del giudice che l'ha emessa.
    Nel merito si sostiene che l'art. 16 della legge n. 741 del 1981 -
 prevedendo  che "la competenza arbitrale puo' essere esclusa solo con
 apposita clausola inserita nel bando o  invito  di  gara  oppure  nel
 contratto  in  caso  di trattativa privata" - sposta al momento della
 formazione  del  rapporto  di  appalto  la  scelta  della  competenza
 arbitrale, che nella previsione dell'art. 47 del capitolato generale,
 prima   della   modifica,   si  rendeva  necessaria  solo  quando  la
 controversia fosse gia' insorta, autorizzandosi ciascuna delle  parti
 a privilegiare il ricorso al giudice ordinario.
    All'uopo  si richiama la giurisprudenza della Cassazione (sentenza
 n. 1458 del 10 febbraio 1992), secondo la quale occorre  la  concorde
 volonta'  delle  parti per derogare al giudizio ordinario e non gia',
 all'opposto, per escludere il giudizio arbitrale. Difatti, una  norma
 che  prescriva  in  via  di  principio  il  ricorso ad arbitri per la
 risoluzione delle controversie, salvo  patti  difformi  inseriti  nel
 contratto,  solo  apparentemente  introduce  un'ipotesi  di arbitrato
 facoltativo (che la Corte costituzionale  ha  considerato  legittimo,
 proprio  perche' fondato sulla concorde volonta' delle parti), se non
 consente anche ad una sola delle parti  di  optare  per  il  giudizio
 ordinario.   Nella  specie,  il  silenzio  mantenuto  dalla  pubblica
 amministrazione nel bando  di  gara,  quanto  all'individuazione  del
 giudice  delle  controversie,  ha  comportato  una scelta unilaterale
 dell'amministrazione committente in favore della competenza arbitrale
 (prevista in via generale dall'art. 43 del capitolato generale),  che
 il  privato  e'  tenuto  ad  accettare ove non voglia rinunziare alla
 gara;  parimenti  deve  ravvisarvi  un   limite   all'autonomia   dei
 contraenti  anche  nel  caso  della trattativa privata, ove una delle
 parti intenda insistere per la scelta del giudizio arbitrale.
    Quanto alla  seconda  questione,  l'illegittimita'  costituzionale
 delle   norme   regionali   denunciate  consisterebbe  nella  mancata
 previsione che l'ente locale (provincia o comune), che sia  parte  di
 un  contratto  di  appalto,  possa  nominare  il  proprio  arbitro, a
 differenza  di   quanto   invece   e'   consentito   all'appaltatore,
 espressamente  autorizzato  a cio' dall'art. 61 della legge regionale
 n. 27 del 1985. Questo, difatti, prevede che i collegi arbitrali (per
 le controversie relative alle  opere  pubbliche  da  realizzarsi  nel
 territorio  regionale,  art.  1)  siano  composti,  oltre  che da due
 magistrati (uno ordinario ed uno amministrativo), da  due  funzionari
 della  regione  (uno  tecnico  ed  uno  amministrativo)  nominati dal
 Presidente della giunta regionale,  e  da  un  libero  professionista
 nominato dall'appaltatore.
    Ma  una  siffatta  previsione  non garantirebbe l'indipendenza del
 giudice rispetto alle parti in conflitto che, nei giudizi  arbitrali,
 e'  assicurata  dalle clausole che consentono a entrambi i contraenti
 di nominare il proprio arbitro; sarebbe, quindi, lesiva del principio
 di eguaglianza, per la  evidente  disparita'  tra  la  posizione  del
 Comune  e  quella dell'impresa; violerebbe, altresi', l'art. 24 della
 Costituzione, compromettendo il diritto di difesa di una delle parti;
 ed  inoltre  si  porrebbe  in  contrasto   con   l'art.   117   della
 Costituzione,  essendo precluso alla regione di legiferare in materia
 che esula  da  quella  dei  lavori  pubblici,  per  sconfinare  nella
 "disciplina sulla giurisdizione".
    2.  -  Si  e'  costituito in giudizio il Comune di Sannicandro per
 aderire alle considerazioni svolte  nell'ordinanza  di  rimessione  e
 richiamare  la  giurisprudenza  costituzionale  per  la  quale,  alla
 stregua  dei  precetti  desumibili  dagli  artt.  24  e   102   della
 Costituzione, la deroga alla giurisdizione ordinaria e' rigorosamente
 subordinata  alla  concorde  volonta'  delle  parti, sicche' la fonte
 dell'arbitrato non puo' essere rinvenuta in una legge o  in  un  atto
 autoritativo.  Nella  normativa in esame sarebbe "invertito" l'ordine
 logico che consente di ritenere facoltativo, e quindi  legittimo,  il
 ricorso  all'arbitrato,  dal  momento  che  non  si  richiederebbe la
 concorde volonta' per utilizzarlo come strumento di  risoluzione  dei
 conflitti,  bensi'  tale  concorde  volonta'  sarebbe  richiesta  per
 escluderlo. Con l'ovvia conseguenza che e'  sufficiente  omettere  la
 apposita clausola declinatoria nel bando o nel contratto (questo pure
 predisposto autoritativamente), perche' l'arbitrato da facoltativo si
 trasformi  in obbligatorio. E poiche' nelle gare di appalto non vi e'
 alcuna possibilita' per l'impresa  partecipante  di  concorrere  alla
 predeterminazione  del  contenuto  della  clausola  derogativa  della
 competenza arbitrale - restando questa nella esclusiva disponibilita'
 della stazione appaltante - verrebbe meno  quella  concorde  volonta'
 delle  parti ritenuta necessaria per derogare all'ordine comune della
 giurisdizione.
    Per  la  seconda  questione  che  coinvolge  le  norme  regionali,
 nell'atto  di  costituzione  si  afferma  che  l'art.  1  della legge
 regionale n. 27 del 1985, nel definire l'ambito di operativita' della
 normativa, estesa a tutti i lavori pubblici  che  si  realizzano  nel
 territorio   regionale,   non   sarebbe   rispettoso   dell'autonomia
 riconosciuta ai Comuni dalla Costituzione e disciplinata dalla  legge
 statale delimitativa del loro ambito e delle loro competenze".
    Quanto  all'art.  61 della stessa legge regionale, si osserva che,
 poiche' in base ad esso la regione nomina  due  suoi  rappresentanti,
 quali componenti del collegio arbitrale, espropriando il Comune della
 potesta'  di  nominare  un  proprio  arbitro, in tal modo non sarebbe
 garantita la terzieta' del giudice, che e' il  fondamento  della  sua
 funzione e che nei giudizi arbitrali si consegue con il meccanismo di
 designazione dei componenti il collegio.
    Alla  patente  violazione del diritto di difesa e del principio di
 eguaglianza, si aggiungerebbe poi la violazione dell'art.  117  della
 Costituzione,  perche'  la  norma  regionale  (art.  61,  comma  3, e
 successivi  commi  di  dettaglio  dal  4  al  7)  inciderebbe  in  un
 procedimento  giurisdizionale,  disciplinato  dal codice di procedura
 civile e dalla normativa statale speciale  contenuta  nel  capitolato
 generale  sui  lavori pubblici approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962,
 in una materia cioe' che esula dalle  competenze  regionali,  essendo
 riservata alla legge dello Stato.
    3.  -  E'  intervenuta nel giudizio la Regione Puglia, per opporsi
 all'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale.
    Per la prima questione ricorda che le disposizioni del  capitolato
 generale  di  appalto  per  le  opere di competenza del Ministero dei
 lavori pubblici hanno  natura  ed  efficacia  normativa  per  i  soli
 contratti  riguardanti  lo Stato, mentre non operano nei contratti di
 appalto stipulati da altri enti pubblici se non  sono  specificamente
 richiamate  nei contratti medesimi, e in questo caso esse assumono la
 natura di clausole contrattuali. Nella fattispecie in esame le parti,
 mediante il richiamo  alle  norme  del  capitolato  speciale  e,  con
 quelle,  alle  disposizioni  del  d.P.R.  n.  1063  del  1962,  hanno
 esercitato il loro potere di autonomia contrattuale garantito, per le
 situazioni di vantaggio compromettibili, dell'art. 24,  primo  comma,
 della  Costituzione,  essendo  state entrambe libere al momento della
 conclusione del contratto di  scegliere  la  forma  piu'  consona  di
 risoluzione delle eventuali controversie.
    Per  la seconda questione, prospettata nei confronti degli artt. 1
 e 61 della legge regionale n. 27 del 1985, nell'atto di intervento si
 sostiene che la normativa denunciata  garantisce  la  massima  tutela
 possibile  degli  enti  territoriali  diversi  dalla  regione,  nelle
 ipotesi di insorgenza di delicate questioni di diritto devolute  alla
 competenza  arbitrale,  assicurando  agli  enti  locali - mediante la
 nomina,  in  qualita'  di  arbitri,   di   rappresentanti   dell'ente
 territoriale maggiormente rappresentativo (la regione) - competenze e
 capacita'  difficilmente  rinvenibili  all'interno  di enti di minori
 dimensioni, quale il Comune.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  16 della legge 10 dicembre 1981 n. 741 il quale stabilisce
 che la competenza arbitrale, prevista in via generale dagli art. 43 e
 seg. del capitolato generale di appalto per le  opere  di  competenze
 del Ministero dei lavori pubblici (d.P.R. n. 1063/1962), "puo' essere
 esclusa  solo  con  apposita  clausola inserita nel bando o invito di
 gara, oppure  nel  contratto  in  caso  di  trattativa  privata".  Si
 sostiene  nell'ordinanza di rinvio che tale previsione violerebbe gli
 artt. 24 e 102 della Costituzione, in quanto  avrebbe  introdotto  un
 arbitrato solo apparentemente facoltativo (nel senso, richiesto dalla
 giurisprudenza  della  Cassazione,  che  trovi  la  sua  fonte  nella
 concorde  volonta'   delle   parti   contraenti),   ma   in   realta'
 obbligatorio,  dal  momento  che  la  facolta'  di scelta del giudice
 sarebbe rimessa solo  alla  pubblica  amministrazione  committente  e
 quindi   ad  un  atto  autoritativo,  alla  predisposizione  del  cui
 contenuto non puo' concorrere in alcun  modo  l'impresa  partecipante
 alla gara o alla trattativa privata.
    Con la stessa ordinanza il giudice a quo dubita della legittimita'
 costituzionale  degli art. 1 e 61 della legge della regione Puglia n.
 27 del 1985 - che per tutti i lavori pubblici che si realizzano nella
 regione, e quindi anche per quelli comunali, prevedono che i  collegi
 arbitrali  siano  composti  (oltre  che  da  due  magistrati)  da due
 funzionari nominati dalla regione e  da  un  professionista  nominato
 dall'appaltatore,  mentre  non e' previsto alcun arbitro nominato dal
 comune, che pure e' parte del contratto di  appalto  -  perche'  essi
 violerebbero   l'art.   3   della  Costituzione,  in  quanto  sarebbe
 discriminata una parte rispetto all'altra, con conseguente violazione
 dell'art. 24 della Costituzione, non essendo garantito il diritto  di
 difesa,   e  dell'art.  117  della  Costituzione,  perche'  la  norma
 regionale  (art.  61)  "esula  dalla  specifica  materia  dei  lavori
 pubblici   per   sconfinare  nella  materia  della  disciplina  sulla
 giurisdizione".
    2. - La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  16
 della legge n. 741 del 1981 e' inammissibile per irrilevanza.
   Nel  porre  il  dubbio  di  costituzionalita' l'ordinanza di rinvio
 premette che "la clausola compromissoria e' contenuta nel  patto  con
 cui i contraenti richiamarono le norme del capitolato speciale e, con
 quelle,  le  disposizioni  del  capitolato  generale approvato con il
 d.P.R. n. 1063 del 1962, che  includono  l'art.  47  come  sostituito
 dall'art.  16  della legge n. 741 del 1981" e soggiunge che "di detta
 clausola non era necessaria  la  specifica  approvazione,  prescritta
 dall'art.  1341  del codice civile in quanto .. il rinvio integrativo
 in questione non configura una ipotesi di contratto per  adesione  ..
 bensi'  una  fattispecie  di  contratto per relationem perfectam, nel
 quale il riferimento al predetto capitolato  deve  considerarsi  come
 risultato di una scelta concordata". Orbene, e' la stessa premessa da
 cui  muove  il giudice a quo che denota l'irrilevanza della questione
 di costituzionalita' dato che questa e' stata sollevata  nell'assunto
 che,   ai   fini  della  deroga  della  giurisdizione  ordinaria,  e'
 necessaria la concorde volonta' delle parti, la' dove,  si  sostiene,
 "il  silenzio  mantenuto nel bando di gara quanto alla competenza per
 le controversie comporta gia' una scelta unilaterale  della  pubblica
 amministrazione  committente, scelta che il partecipante e' tenuto ad
 accettare ove non voglia rinunciare alla stessa gara; e parimenti  un
 limite  all'autonomia  dei  contraenti  va  ravvisato  nel caso della
 trattativa privata ove uno dei contraenti intenda  insistere  per  la
 soluzione del giudizio arbitrale".
    Da  quanto  precede  risulta,  in  primo  luogo, che il profilo di
 incostituzionalita' relativo "al  bando  di  gara"  non  riguarda  il
 giudizio  a  quo,  in quanto la controversia concerne un contratto di
 appalto concluso a trattativa privata. Quanto poi alla ipotesi  della
 trattativa  privata,  relativamente  alla  quale,  come  si e' appena
 ricordato, si asserisce che "un limite all'autonomia  dei  contraenti
 va  ravvisato  ..  ove  uno  dei  contraenti intenda insistere per la
 soluzione del giudizio arbitrale", l'evenienza cosi' prospettata  non
 concerne  anch'essa  il giudizio a quo, perche' l'ordinanza di rinvio
 precisa - come gia'  detto  -  che  "la  clausola  compromissoria  e'
 contenuta  nel  patto  con cui i contraenti richiamarono le norme del
 capitolato speciale e  con  quelle  le  disposizioni  del  capitolato
 generale  approvato  con  il  d.P.R.  n. 1063 del 1962, che includono
 l'art.  47  come  sostituito  dalla  legge  n.  741  del  1981".  Una
 precisazione,  dunque,  indicativa  di  una  positiva  volonta' delle
 parti,  sia  pure espressa per relationem, di voler compromettere per
 arbitri le eventuali controversie nascenti dal contratto.
    La questione risulta, percio', sotto entrambi i profili del  bando
 di  gara  e  della  trattativa  privata, sollevata in astratto, senza
 attinenza al giudizio a quo, onde la sua irrilevanza.
    3. - In  merito  alla  seconda  questione  con  la  quale  vengono
 congiuntamente  denunciati,  in  riferimento  agli  artt. 3, 24 e 117
 della Costituzione, gli artt. 1 e 61 della legge della regione Puglia
 n. 27 del 1985, va osservato che  l'art.  1  e'  stato  evidentemente
 menzionato  a  scopo meramente cautelativo, ma in realta' e' estraneo
 all'incidente di costituzionalita'. Difatti tale articolo si limita a
 fissare le finalita' e  l'ambito  di  applicazione  della  disciplina
 regionale,  oggetto  della  legge,  indicandoli  nella "materia delle
 opere e dei lavori pubblici o di pubblico interesse che si realizzano
 nella regione, con o senza l'intervento  finanziario  regionale".  La
 questione  di  costituzionalita'  relativa  a detto art. 1 e' percio'
 inammissibile, perche' nessuna diretta rilevanza esso ha nel giudizio
 a quo, come  invece  l'art.  61  della  legge  regionale  stessa  che
 riguarda la composizione dei collegi arbitrali ed il cui sindacato e'
 percio'   esaustivo  ai  fini  della  risoluzione  dell'incidente  di
 costituzionalita' nei termini in cui e' stato sollevato.
    4.  -  Passando  all'esame   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 61, citato da ultimo, (punto n. 3), precede,
 secondo  l'ordine  prospettato  nell'ordinanza  di rinvio, il profilo
 riferito  all'art.  3  della  Costituzione,  rispetto  al  quale   la
 questione e' fondata.
    Osserva  il  giudice a quo che la norma regionale, nello stabilire
 che i collegi arbitrali, per la risoluzione delle controversie  rela-
 tive  ai  lavori  pubblici realizzati nel territorio regionale, siano
 composti da due magistrati, da  due  funzionari  della  regione  (uno
 tecnico   ed  uno  amministrativo),  nominati  dal  presidente  della
 regione, e da un libero  professionista,  nominato  dall'appaltatore,
 determina   con   tale   composizione   una  evidente  disparita'  di
 trattamento tra la posizione  dell'ente  locale  committente,  quando
 esso  sia  diverso  dalla regione, "rispetto all'altro contraente che
 puo' includervi un professionista di propria fiducia".
    L'assunto deve essere condiviso. Essendo l'arbitrato  un  modo  di
 risoluzione   di   controversie   tra  i  soggetti  dell'ordinamento,
 alternativo alla devoluzione di esse al giudice ordinario su concorde
 volonta' delle parti, una legge, la quale preveda la composizione del
 collegio arbitrale per la soluzione di controversie fra  un  soggetto
 pubblico  ed  un  privato,  non puo' far venir meno la caratteristica
 fondamentale dell'istituto secondo cui, se e' dato ad una delle parti
 di designare uno o piu' componenti del collegio che deve decidere  la
 controversia, pari facolta' deve essere concessa all'altra parte.
    Ne',  come  si e' sostenuto dalla regione intervenuta nel presente
 giudizio, tale esigenza puo' ritenersi soddisfatta con l'attribuzione
 ad un altro soggetto  pubblico,  quale  la  regione,  del  potere  di
 nomina,  in un collegio di cinque componenti, di due di essi da parte
 del presidente della regione, scelti uno tra i funzionari  tecnici  e
 l'altro tra quelli amministrativi della regione stessa.
   In   proposito  va  ancora  qui  ricordato  che  nella  censura  di
 incostituzionalita'  si  lamenta   la   mancanza   nell'ente   locale
 territoriale,    che    sia   parte   della   controversia   deferita
 all'arbitrato, della facolta', invece concessa  all'altra  parte,  di
 nominare  uno  degli  arbitri.  Ma questa facolta' non puo' ritenersi
 legittimamente esercitata dal presidente della regione - cui la legge
 impugnata  conferisce  tale  potere  anche  quando  sia  parte  della
 controversia un ente territoriale diverso dalla regione - non potendo
 egli  in  alcun  modo  esprimere  la  volonta'  di  detto ente se non
 alterando il sistema delle  autonomie,  che  considera  assolutamente
 distinte  la  soggettivita'  di  ciascuno  degli  enti  suddetti e la
 conseguente attribuzione dei  poteri  per  la  cura  degli  interessi
 pubblici   dei   quali   essi   siano  rispettivamente  titolari.  La
 prospettazione che traspare dagli argomenti difensivi della regione -
 secondo cui "tale procedimento e' dettato dalla  normativa  regionale
 contestata  proprio  per  garantire la massima tutela possibile degli
 enti territoriali ..", in quanto la regione "in qualita'  di  massima
 espressione  del decentramento amministrativo .. assicura la maggiore
 garanzia di competenza e di capacita'  dei  rappresentanti  dell'ente
 territoriale  locale  nel  procedimento arbitrale, dove si richiedono
 competenze tecniche difficilmente reperibili all'interno dell'ente di
 minori  dimensioni"  -  esprime  una  concezione  dell'assetto  delle
 autonomie  locali, come quello dell'assoggettamento degli enti minori
 alla  "tutela"  di  quelli  maggiori,  non  rispondente  al   disegno
 costituzionale.  Questo,  fatti  salvi  i  poteri  di indirizzo della
 regione concepita come momento centrale del sistema  delle  autonomie
 (sentenza  n.  343/1991), distribuisce con pari dignita' i poteri fra
 gli enti locali in ragione della cura degli interessi  pubblici  loro
 rispettivamente  attribuiti,  senza possibilita' di sovrapposizione o
 di sostituzione  in  ragione  della  maggiore  dimensione  di  alcuni
 rispetto ad altri. Inoltre, la suddetta tesi difensiva della regione,
 muove  da  una premessa estranea alla censura formulata dal giudice a
 quo, il quale lamenta la violazione del principio di parita'  fra  le
 parti  delle  controversie  deferite  ad  arbitrato  per  non  essere
 consentito all'ente committente (nella specie il comune) di  indicare
 "l'arbitro di scelta e nomina proprie, rispetto all'altro contraente,
 che  puo'  includervi un professionista di propria fiducia". Cio' che
 dunque viene censurato nell'ordinanza di rinvio non e' che il  comune
 sia  privato  della  possibilita' di nominare un arbitro scelto fra i
 propri dipendenti o fra i propri cittadini - il che, sia pure  su  di
 un  piano  di  mero  fatto,  avrebbe  potuto  far riconoscere qualche
 fondamento alla tesi difensiva della regione - bensi' che non gli sia
 consentito di nominare un arbitro di propria scelta alla  pari  della
 controparte  della controversia, onde la fondatezza della censura per
 violazione del principio di eguaglianza.
    5. - L'accoglimento della  questione  in  riferimento  all'art.  3
 della  Costituzione,  assorbe  le  altre  censure  dedotte  in ordine
 successivo in riferimento agli artt. 24 e 117 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 61  della  legge
 della  regione  Puglia  16  maggio  1985  n.  27 (Testo modificato ed
 aggiornato di leggi regionali in materia di opere e lavori pubblici),
 nella parte in cui non  prevede  che  fra  i  cinque  componenti  del
 collegio   arbitrale  uno  di  essi  sia  nominato  dall'ente  locale
 territoriale,  diverso   dalla   regione,   che   sia   parte   della
 controversia;
    Dichiara    inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
 costituzionale:
       a) dell'art. 16 della legge 10 dicembre 1981 n. 741  (Ulteriori
 norme  per  l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere
 pubbliche) sollevata, in riferimento agli artt. 24, primo  e  secondo
 comma,  e  102 della Costituzione, dalla Corte di appello di Bari con
 l'ordinanza indicata in epigrafe;
       b) dell'art. 1 della legge della regione Puglia 16 maggio 1985,
 n. 27 (Testo unificato ed aggiornato di leggi regionali in materia di
 opere e lavori pubblici) sollevata, in riferimento agli artt. 3,  24,
 primo  e  secondo  comma,  e  117  della Costituzione, dalla Corte di
 appello di Bari con la medesima ordinanza.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 1995.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 13 febbraio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0202