N. 51 SENTENZA 8 - 20 febbraio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Locazione  - Impugnazione per revocazione dell'ordinanza di convalida
 di sfratto per morosita' emessa sulla base della  falsa  attestazione
 della  persistenza  della  morosita'  resa  dall'intimante  -  Omessa
 previsione -  Violazione  del  diritto  di  difesa  -  Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (C.P.C., art. 395, prima parte, n. 1)
 
(GU n.9 del 1-3-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Cesare  MIRABELLI,   prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 395 del  codice
 di  procedura  civile, promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1994
 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente  tra  Licoli
 Antonio  e  Palmentieri  Giovanni,  iscritta  al  n. 399 del registro
 ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Udito nella camera di consiglio del 25  gennaio  1995  il  Giudice
 relatore Cesare Ruperto;
                           Ritenuto in fatto
    A  seguito di citazione per convalida di sfratto per morosita', il
 Pretore  di  Napoli,  sull'attestazione   della   persistenza   della
 morosita'  ed  in  assenza  dell'intimato,  aveva emesso la richiesta
 ordinanza di convalida.
    Avverso tale provvedimento il conduttore - intimato aveva proposto
 domanda di revocazione al  Pretore  medesimo,  prospettando  il  dolo
 dell'attore  e  la falsita' dell'attestazione. Il Tribunale, adito in
 appello  nei  confronti  della  sentenza  che  aveva  rigettato  tale
 domanda,  con  ordinanza  emessa  il  23 marzo 1994, ha sollevato, in
 riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 395 c.p.c., nella parte in cui
 non prevede la revocazione delle ordinanze di  convalida  di  sfratto
 per morosita' emesse sulla base di dichiarazione di persistenza della
 morosita' "non rispondente alla situazione obiettiva".
    Premette  il Tribunale che dalla giurisprudenza di questa Corte si
 desume  come  la  revocazione  delle  ordinanze  in   argomento   sia
 attualmente  limitata  al  solo  caso  di  errore  di  fatto (laddove
 l'opposizione di terzo, sia ordinaria che revocatoria, risulta estesa
 integralmente ai citati provvedimenti). La lacuna  concreterebbe  una
 disparita'  di  trattamento,  accentuata dall'assenza di un appagante
 rimedio  avverso  l'ordinanza  emessa  in  base  a   dolo   accertato
 dell'intimante  o,  comunque,  in base a prove false (e non potendosi
 ritenere sufficiente la generale azione  risarcitoria  ex  art.  2043
 c.c. riconosciuta all'intimato da una isolata decisione della S.C.).
    Del  resto,  dal nuovo regime degli strumenti di garanzia previsti
 per i provvedimenti cautelari introdotto dalla  recente  riforma  del
 processo  civile,  sarebbe  mutuabile  un  principio,  secondo cui le
 esigenze  di  celerita'  dei  provvedimenti  speciali   non   possono
 comprimere   i  diritti  delle  parti  oltre  ragionevoli  limiti  di
 tollerabilita'.
    Nel caso oggetto del giudizio a quo  ricorrerebbe,  a  parere  del
 remittente,  l'ipotesi  di cui all'art. 395, n. 1, c.p.c. (dolo della
 parte), in quanto risulterebbe mendace la dichiarazione del  locatore
 circa  il mancato pagamento dei canoni entro il termine di grazia: il
 che chiarirebbe altresi' la rilevanza della questione.
    Il  Tribunale  si   diffonde   quindi   nell'illustrazione   della
 fattispecie,   a   sostegno  della  prospettazione  circa  l'asserita
 idoneita'  del  comportamento  dell'intimante  a  trarre  in  inganno
 l'intimato  determinandone  l'assenza  all'udienza  di  convalida (in
 particolare il giudice a quo  sottolinea  come  il  rilascio  di  una
 quietanza da parte del procuratore dell'attore non avrebbe potuto non
 assumere  carattere  liberatorio  circa l'obbligazione ed il senso di
 definire la  controversia,  a  fortiori  nell'incertezza  sull'esatto
 importo della somma dovuta).
    In  conclusione,  l'attestazione della persistenza della morosita'
 sarebbe frutto della mala fede del locatore; si'  che  ricorrerebbero
 in astratto i presupposti per l'esperibilita' della revocazione, onde
 il  negarla  si  risolverebbe  in  una compressione intollerabile del
 diritto di difesa.
                        Considerato in diritto
    1. - Il giudice a quo  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 395 c.p.c., nella parte in cui non prevede l'impugnabilita'
 per  revocazione dell'ordinanza di convalida di sfratto per morosita'
 emessa sulla base della falsa attestazione  della  persistenza  della
 morosita'  stessa, resa dall'intimante. La censura deve correttamente
 intendersi  come  riferita  al  caso  contemplato  dal  n.  1   della
 disposizione  de  qua,  che  assoggetta a revocazione le sentenze che
 siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno  dell'altra.  In
 difetto di specifici rimedi processuali, tale lacuna normativa appare
 al  giudice remittente contrastante con l'art. 24 della Costituzione,
 per la compressione del diritto di difesa che ne deriverebbe. Sarebbe
 altresi' ravvisabile una disparita'  di  trattamento  tra  l'intimato
 vittima  del dolo e chi puo' invece giovarsi del rimedio in argomento
 nel caso di errore di  fatto,  contemplato  dal  n.  4  della  stessa
 disposizione, dopo la sentenza n. 558 del 1989 di questa Corte.
    2. - La questione e' fondata.
    Alla  mancata  comparizione  dell'intimato  l'art.  663  c.p.c. fa
 conseguire l'emissione dell'ordinanza di  convalida,  subordinandola,
 nell'ipotesi  di  sfratto  intimato per mancato pagamento dei canoni,
 alla sola attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore
 circa la persistenza della morosita'.
    Il dato testuale della norma impugnata,  confermato  dal  costante
 orientamento  della Cassazione, limita l'impugnazione per revocazione
 alle sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado. Nella
 citata sentenza n. 558 del 1989, questa Corte ha tuttavia rilevato la
 sostanziale modifica del quadro normativo  relativo  alla  disciplina
 del  rapporto  locatizio rispetto a quello esistente all'epoca in cui
 fu dettato lo speciale procedimento per convalida. Tale argomento  si
 rafforza  oggi  ulteriormente  alla  luce  della  nuova  formulazione
 dell'art. 8, n. 4, c.p.c., che unifica "le cause relative a  rapporti
 di locazione .. d'immobili urbani" in un caso di competenza pretorile
 ratione   materiae   ,   riflettendo   e   completando  sul  versante
 processuale, quell'organico assetto delle locazioni gia' definito con
 la legge 27 luglio 1978, n. 392.
    La considerazione a suo tempo mutuata dalla sentenza  n.  167  del
 1984, per cui "la sostanziale ingiustizia del provvedimento decisorio
 e' da temere nell'ordinanza di convalida di sfratto in assai maggiore
 misura  di  quel  che  non  possa  lamentarsi  in sentenza passata in
 giudicato", vale a fortiori  nel  caso  in  esame,  dove  la  mancata
 comparizione  dell'intimato  potrebbe  essere determinata proprio dal
 venir meno di quell'inadempimento  che  la  parte  attrice  puo'  poi
 falsamente attestare come persistente.
    Il  contenuto  decisorio del provvedimento che ne consegue, la sua
 efficacia  esecutiva,  l'attitudine  a  produrre  effetti   di   cosa
 giudicata e la rilevanza delle situazioni su cui esso e' destinato ad
 incidere   immediatamente,   non   giustificano   una  minore  tutela
 nell'ipotesi  descritta,  tanto  piu'  ove si consideri la cognizione
 sommaria e la brevita' dei termini a comparire che caratterizzano  il
 procedimento per convalida di sfratto.
    Ne'  l'esigenza  di  celerita'  posta  a base di quest'ultimo puo'
 essere  di  ostacolo  ad  un  rimedio   straordinario,   estremamente
 circoscritto  nei  suoi contenuti, applicato al caso in cui una parte
 sia venuta meno ai propri doveri di lealta' e correttezza  attraverso
 comportamenti suscettibili di integrare perfino ipotesi di reato.
    Del  resto  questa  Corte  ha gia' avvertito l'opportunita' di una
 revisione legislativa del regime d'impugnabilita'  dei  provvedimenti
 di convalida, cosi' esplicitamente escludendo che la stabilita' degli
 stessi  possa  essere  sempre  compatibile  con  la  salvaguardia del
 diritto di difesa.
    La finalita' primaria di assicurare tale garanzia, secondo l'eadem
 ratio decidendi di cui alla sentenza n. 558 del 1989, rende quindi la
 questione meritevole di accoglimento; restando assorbita  la  censura
 riferita  al  secondo  parametro  indicato  dal  giudice a quo, cioe'
 all'art. 3 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 395, prima parte
 e numero 1, c.p.c., nella parte in cui  non  prevede  la  revocazione
 avverso  i  provvedimenti  di  convalida di sfratto per morosita' che
 siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1995.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: RUPERTO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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