N. 10 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 febbraio 1995
N. 10 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 14 febbraio 1995 (della regione Emilia-Romagna) Acque minerali e termali - Disciplina operativa concernente partecipazioni e proventi del Tesoro, nonche' norme sugli organismi e sulle procedure attinenti ai mercati, alla tesoreria e all'E.A.G.A.T. - Trasferimento delle partecipazioni azionarie gia' appartenenti all'E.A.G.A.T. al Ministero del tesoro - Direzione generale del tesoro - Obbligo di detto Ministero, di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di provvedere alla dismissione delle partecipazioni stesse valendosi delle disposizioni in materia di acceleramento delle procedure di dismissione delle partecipazioni possedute direttamente dallo Stato, di cui al d.-l. 31 maggio 1994, n. 332, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 1994, n. 474, senza la predisposizione di nessuna delle cautele da dette norme previste, ma formalmente sulla base di criteri di valorizzazione delle finalita' istituzionali delle aziende interessate, tenuto conto della importanza delle stesse per l'economia generale nonche' degli interessi turistici e locali - Lamentata lesione delle competenze regionali in materia di assistenza sanitaria, di acque minerali e termali e di termalismo terapeutico - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Insussistenza del presupposto della necessita' ed urgenza per la decretazione d'urgenza. (D-L. 7 gennaio 1995, n. 1, art. 7). (Cost., artt. 117, primo comma, 118, primo comma, 97, primo comma, 32, 77, secondo comma, e 72, secondo comma).(GU n.11 del 15-3-1995 )
Ricorso della regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore Pierluigi Bersani, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 202 del 31 gennaio 1995, rappresentata e difesa, come da mandato rogato dal notaio dott. Claudio Viapiana di Bologna, atto n. 12736 di rep. del 1 febbraio 1995, dall'avv. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 7, primo e secondo comma, del decreto-legge 7 gennaio 1995, n. 1, recante "Disciplina operativa concernente partecipazioni e proventi del Tesoro, nonche' sugli organismi e procedure attinenti ai mercati, alla tesoreria e all'EAGAT" (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 5 del 7 gennaio 1995), in quanto, in violazione degli artt. 117 e 118, primo comma, anche in relazione all'art. 32 e all'art. 97, primo comma, della Costituzione, nonche' in violazione dell'art. 77 e 72, secondo comma, della Costituzione dispone la dismissione delle aziende termali facenti parte del servizio sanitario nazionale e gia' in corso di trasferimento alle regioni ed agli enti locali. F A T T O In base agli artt. 117 e 118, primo comma, della Costituzione, la regione e' titolare delle funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria. Di essa fa parte integrante l'assistenza mediante il "termalismo terapeutico". Infatti, secondo l'art. 36 della legge n. 833 del 1978, "le prestazioni idrotermali, limitate al solo aspetto terapeutico, da erogarsi presso gli appositi presidi di servizi di cui al presente articolo, nonche' presso aziende termali di enti pubblici e privati, riconosciute ai sensi dell'art. 6, lett. t), e convenzionate ai sensi dell'art. 44 sono garantite nei limiti previsti dal piano sanitario nazionale di cui all'art. 53 e nelle forme stabilite con le modalita' di cui al secondo comma dell'art. 3" della stessa legge. Lo stesso art. 36, dopo aver disposto che "la legge regionale promuove la integrazione e la qualificazione sanitaria degli stabilimenti termali pubblici, in particolare nel settore della riabilitazione, e favorisce altresi' la valorizzazione sotto il profilo sanitario delle altre aziende termali" (secondo comma), stabiliva che "le aziende termali gia' facenti capo all'EAGAT e che saranno assegnate alle regioni, per l'ulteriore destinazione agli enti locali, in base alla procedura prevista dall'art. 113 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dall'art. 1-quinquies della legge 21 ottobre 1978, n. 641, sono dichiarate presidi e servizi multizonali delle unita' sanitarie locali nel cui territorio sono ubicate" (attuale terzo comma). Converra' ricordare che, in effetti, il decreto-legge n. 481 del 18 agosto 1978 (conv. nella legge n. 641 del 1978), aveva provveduto alla soppressione dell'EAGAT (secondo quanto disposto dall'art. 113 del d.P.R. n. 616/1977), e aveva disposto che le partecipazioni azionarie delle societa' inquadrate nello stesso EAGAT fossero assegnati all'Ente partecipazioni e finanziamento industria manifatturiera - EFIM e collocati dall'EFIM in una speciale gestione priva di personalita' giuridica, contabilmente e finanziariamente separata. L'EFIM avrebbe poi provveduto, nei modi e nei termini previsti da apposito provvedimento legislativo, oltre che ( a) al ripianamento delle perdite e al risanamento delle gestioni delle societa' gia' facenti capo all'EAGAT e ( b) all'inquadramento nell'EFIM delle societa' o stabilimenti di imbottigliamento di acque minerali, al ( c) "trasferimento alle regioni delle attivita', patrimoni, pertinenze e personale delle aziende termali, ivi comprese le attivita' e i patrimoni alberghieri, per l'ulteriore destinazione agli enti locali nei tempi e nei modi previsti dalla legge di riforma sanitaria". In sintesi, il quadro della legislazione ordinaria attuativa degli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione all'assistenza sanitaria e' univoco nel caratterizzare l'assistenza termale come uno dei settori prestazionali del servizio sanitario nazionale, e nel caratterizzare le strutture termali di proprieta' pubblica ( ex EAGAT) come strutture di servizio del SSN, e come tali di pertinenza, in primo luogo, delle regioni. Solo transitoriamente era previsto un periodo di gestione EFIM, che fu anch'esso in seguito soppresso nel 1992. In contrasto con tale disegno il Governo ha tuttavia ritenuto una prima volta di provvedere con il decreto-legge 7 settembre 1994, n. 528, recante (come quello successivo qui impugnato) "Disciplina operativa concernente partecipazioni e proventi del Tesoro, nonche' sugli organismi e procedure attinenti ai mercati, alla tesoreria e all'EAGAT": il cui art. 8 disponeva che il comitato liquidazione EAGAT consegnasse "le attivita' esistenti, i libri contabili, gli inventari ed il rendiconto con gli allegati analitici relativi all'intera gestione al Ministro del tesoro - Ispettorato generale per gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti disciolti", primo comma e che "ai fini della migliore valorizzazione del patrimonio dell' ex EAGAT", l'Ispettorato generale per gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti disciolti potesse "avvalersi delle disposizioni in materia di accelerazione delle procedure di dismissione delle partecipazioni possedute direttamente dallo Stato, previste dal decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, anche con le modalita' di cui all'art. 4 della legge 4 dicembre 1956, n. 1404". La regione Emilia-Romagna ricorreva a codesta ecc.ma Corte costituzionale contro tali disposizioni, ritenendo che, pur in assenza di una formale negazione del "diritto delle regioni al successivo trasferimento", il generale riferimento alle procedure di dismissioni previste dal decreto-legge n. 332 del 1994 e il riferimento alle "modalita' di cui all'art. 4 della legge 4 dicembre 1956, n. 1404" (eventuale nomina di un commissario liquidatore) inducessero piuttosto a pensare ad una alienazione a privati di tali partecipazioni. Ne risultava che le aziende termali pubbliche, ivi comprese quelle aventi sede ed operanti nella regione Emilia-Romagna (si pensi in particolare alle aziende di Castrocaro e di Salsomaggiore), sarebbero state alienate e liquidate sul mercato, con una destinazione assolutamente incompatibile con la loro qualificazione di presidi e strutture del servizio sanitario nazionale, e con il passaggio delle loro attivita' alle regioni. Peraltro, il decreto-legge 7 settembre 1994, n. 528, non e' stato convertito in legge. Non solo, ma durante i lavori parlamentari per l'eventuale (poi mancata) conversione, proprio l'art. 8, contestato dalla ricorrente, regione, e' stato espressamente soppresso dalla Commissione bilancio della Camera, che riteneva invece che non ci si dovesse allontanare dal criterio della destinazione alle regioni ed agli enti locali, secondo modalita' da stabilire nella legge di ritorma del settore. Inopinatamente e contro ogni regola implicita ed esplicita in tema di rapporti tra decretazione governativa e Parlamento, il Governo ha, subito dopo la scadenza, reiterato i contenuti del precedente, compresi quelli gia' contestati dalla ricorrente regione e gia' bocciati dalla Camera dei deputati, tornando ad inserenire nel successivo decreto-legge n. 617 del 1994 (all'art. 7) disposizioni secondo le quali da una parte le partecipazioni azionarie, gia' appartenenti al soppresso Ente autonomo gestione aziende termali - EAGAT, sarebbero state trasferite "al Ministero del tesoro - Direzione generale del tesoro" (primo comma), dall'altra lo stesso Ministero avrebbe provveduto alla "dismissione" di tali partecipazioni, avvalendosi delle procedure di privatizzazione. Anche tale decreto-legge, (anch'esso impugnato dalla ricorrente regione), rimaneva non convertito. Ma il Governo, pur dimissionario, provvedeva ad una nuova reiterazione con il decreto-legge 7 gennaio 1995, n. 1, qui impugnato, e di nuovo inseriva le disposizioni contestate (e gia' rifiutate in sede parlamentare), con la sola precisazione che alla dismissione si provvedera' "sulla base di criteri di valorizzazione delle finalita' istituzionali delle aziende interessate, tenuto conto dell'importanza delle stesse per l'economia generale, nonche' degli interessi turistici e locali" (art. 7, secondo comma). Ma la sottrazione delle aziende termali alla loro destinazione al servizio della regione e del servizio sanitario nazionale che cosi' si determina viola gli artt. 117 e 118, primo comma, della Costituzione, anche in relazione all'art. 32 e all'art. 97, primo comma, ed e' inoltre assunta in difetto dei requisiti di necessita' e di urgenza di cui all'art. 77 e 72, secondo comma, della Costituzione, risultando costituzionalmente illegittima, per le seguenti ragioni di D I R I T T O L'impugnato decreto-legge n. 1 del 1995 (come gia' i precedenti n. 617 del 1994 e n. 528 del 1994) in pratica dispone delle aziende termali ex EAGAT, qualificate quali strutture del Servizio sanitario nazionale, funzionali alle prestazioni di assistenza termale e destinate ad essere trasferite alle regioni, totalmente ignorando tale loro destinazione, e facendone invece beni puramente economici, da "monetizzare" attraverso l'alienazione al miglior offerente. Di piu', cio' avviene senza minimamente preoccuparsi della continuita' del servizio pubblico reso da tali aziende, e della loro stessa natura di aziende e strutture termali. Non e' neppure disposta nessuna delle cautele che l'art. 2 del decreto-legge n. 332 del 1994 (conv. in legge n. 474/1994), di disciplina generale delle dismissioni, prevede per le societa' a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici, sotto la forma dei "poteri speciali" da assicurarsi alla mano pubblica (quali la nomina di alcuni amministratori e sindaci, il veto all'adozione delle delibere di scioglimento della societa', di trasferimento dell'azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all'estero, di cambiamento dell'oggetto sociale, di modifica dello statuto, ecc.). Ne' d'altronde e' disposto che parte almeno della partecipazione azionaria vada riservata alle Regioni ed alle comunita' locali (mentre la legge 30 dicembre 1991, n. 412, concernente la trasformazione in societa' per azioni degli stabilimenti appartenenti all'INPS, dispone la partecipazione, a titolo gratuito, della regione e del comune nel cui territorio e' ubicato lo stabilimento termale). Tutto si riduce alla semplice dismissione mediante alienazione delle aziende, alla conseguente dispersione delle risorse termali oggi disponibili per le comunita' locali e per la comunita' nazionale, alla sottrazione alle regioni ed alle comunita' locali delle risorse destinate all'esercizio delle loro funzioni. Ne' cio' e' nella sostanza contraddetto dalla precisazione (che il presente decreto-legge aggiunge rispetto a quanto disponeva il precedente) che alla dismissione si provvedera' "sulla base di criteri di valorizzazione delle finalita' istituzionali delle aziende interessate, tenuto conto dell'importanza delle stesse per l'economia generale, nonche' degli interessi turistici e locali" (art. 7, secondo comma). In questa precisazione si puo' riscontrare forse una pallida eco delle ragioni affermate dalla ricorrente regione: ma in realta' essa non assicura in nessun modo il permanere delle aziende termali nell'ambito delle risorse a disposizione della comunita', permanere che e' contrastante con l'idea stessa della "dismissione". La ricorrente regione non intende negare la potesta' del legislatore di trovare di volta in volta il migliore bilanciamento tra i diversi valori costituzionali coinvolti nelle possibili scelte, e nello specifico il potere del legislatore di trovare le piu' giuste ed equilibrate modalita' atte ad assicurare la titolarita' regionale delle funzioni e delle attivita' di assistenza termale, l'interesse delle comunita' locali ad una adeguata presenza in aziende cruciali per il loro sviluppo economico e territoriale, l'interesse statale ad una utilizzazione economica delle aziende o di parte di esse. Cio' che non puo' in nessun modo giustificarsi invece e' che i valori predetti e costituzionalmente tutelati vengano semplicemente sacrificati di fronte all'esclusivo interesse dello Stato a procurare liquidita' monetarie. Si vuol dire che da sempre le aziende termali pubbliche costituiscono una parte delle risorse sanitarie della comunita' nazionale e delle comunita' regionali e locali interessate, e che tale destinazione e' chiaramente consacrata dalle norme legislative tuttora vigenti, quali l'art. 36 sopra citato della legge di riforma sanitaria. Cio' d'altronde e' stato espressamente sancito da codesta ecc. Corte costituzionale quando ha ritenuto, di fronte alla provincia di Bolzano che contestava la destinazione finale delle strutture termali ai comuni, che tale devoluzione "non preclude alla medesima "Provincia" l'esercizio delle sue potesta' legislative ed amministrative in materia, ma al piu' pone alle dette potesta' il solo limite - da ritenere essenziale alla realizzazione delle riforma economico-sociale sanitaria - della destinazione del bene termale alla tutela della salute" (sent. 12 maggio 1988, n. 532, punto 4 in diritto). La disciplina qui contestata invece da una parte sopprime tale necessaria "essenziale" destinazione del bene termale alla salute, dall'altra, portando le strutture termali in ambito puramente privato, preclude alle regioni l'esercizio delle potesta' legislative ed amministrative che le riguardano, in pratica sopprimendone l'oggetto. Sembra dunque chiara non solo la lesivita' ma l'illegittimita' costituzionale di una disciplina che, senza alcun disegno di riorganizzazione dei servizi, irrazionalmente ed arbitrariamente sottrae risorse essenziali del servizio sanitario e delle comunita' locali, riducendone il significato al solo valore economico per lo Stato, in assenza di qualunque equilibrio e bilanciamento degli interessi e dei valori costituzionalmente protetti, senza alcuna garanzia di tutela degli interessi pubblici del settore. Come detto in premessa, la disposizione qui impugnata corrisponde nella sostanza all'art. 8 del precedente decreto-legge n. 528 del 1994: articolo che era stato espressamente soppresso durante il procedimento di conversione (poi non ultimato). Ora, anche nell'ambito di una prassi costituzionale di "reiterazione" dei decreti-legge non convertiti che gia' di per se' e' problematica, sulla quale anche codesta ecc.ma Corte costituzionale ha mostrato qualche riserva (ad esempio nella sent. n. 302 del 1988), non si puo' non rilevare che il Governo non puo' certo non tenere conto di quanto deciso dal Parlamento, titolare effettivo della funzione legislativa. Ed infatti, come ricorda gia' Crisafulli, e' frequente il fenomeno della reiterazione di decreti "parzialmente modificati in accoglimento di emendamenti gia' apportati nel corso dell'iter parlamentare rimasto poi interrotto" (Lezioni di diritto costituzionale, Padova 1984, II, p. 88). D'altronde, della determinata rilevanza delle determinazioni parlamentari e' chiara affermazione la legge n. 400 del 1988, di diretta attuazione della disciplina costituzionale, nella parte in cui, tra l'altro, interdice al Governo la facolta' di "rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere" (art. 15, secondo comma, lett. c). Non sembra dubbio, pertanto, che la riproduzione di una disposizione espressamente soppressa da una delle Camere configura, quanto meno, una grave violazione delle regole di correttezza costituzionale nei rapporti tra Parlamento e Governo. Infine, una specifica contestazione deve rivolgersi al ricorso da parte del Governo allo strumento del decreto-legge per disciplinare in modo parziale e frammentario una materia, quale quella del destino delle Aziende termali pubbliche, sulla quale il legislatore ha promesso ed ha in corso una riforma organica, nel cui ambito potranno essere con ponderazione valutati i diversi elementi del problema. In particolare, poi, e' evidente che, qualunque sia la disciplina, il processo di attuazione richiedera' comunque un lungo periodo, misurabile in mesi se non in anni. In questo contesto, sembra evidente che non esiste alcuna "straordinaria necessita' ed urgenza", nel senso costituzionale del termine, di stabilire che le Aziende termali dovranno essere cedute ai privati, impegnando in questa direzione una procedura che la Costituzione ha voluto straordinaria, quale quella del decreto-legge, seguito dalla peculiare procedura di conversione anziche' dall'ordinario procedimento legislativo. E' chiaro infatti che dallo stesso punto di vista del Governo il problema non era e non poteva essere quello di avere una disposizione da applicare immediatamente, per far fronte ad una situazione che richiede immediato intervento (secondo la logica propria del decreto-legge), ma in luogo di cio' la generica "urgenza" di arrivare in tempi possibilmente rapidi ad una definizione legislativa della materia. In altre parole, in casi come questo lo strumento del decreto-legge e' palesemente utilizzato come surrogato di una procedura legislativa abbreviata. Sembra cioe' sufficientemente chiaro che ci si trova, piuttosto che in una ipotesi di ragionevole applicazione dell'art. 77 Cost., in una ipotesi di applicazione dell'art. 72, secondo comma, della Cost., secondo il quale "il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali e' dichiarata l'urgenza". Dal confronto tra le due disposizioni costituzionali emerge evidente il disegno di distinguere quegli straordinari casi in cui all'urgenza si associa una reale necessita' di provvedere immediatamente (per i quali e' consentito il decreto-legge) dagli altri di "urgenza" della legislazione, per i quali va utilizzato lo strumento appropriato del procedimento abbreviato. Nei fatti, poi, un ulteriore indizio sintomatico, se non un riscontro totalmente univoco, del difetto dei requisiti costituzionali sta nella stessa mancata conversione dei due primi decreti. In effetti, il riscontro dei requisiti costituzionali non puo' non essere finalizzato anche alla evidente necessita' di contrastare la prassi dei decreti "a catena" (a volte dai molti anelli), attraverso i quali intere materie vengono di fatto rette per mesi ed a volte anni da atti mai convertiti e via via formalmente decaduti, creandosi (soprattutto nelle questioni organizzative, come la presente) dei veri e propri fatti compiuti, che alla fine il legislatore si trova comunque costretto a ratificare. Si consideri, inoltre, che in Parlamento, durante le votazioni sul primo decreto, l'articolo in questione era stato addirittura (come sopra illustrato) stralciato e soppresso, per rinviare ogni decisione alla riforma organica. Sembra dunque palese il difetto dei requisiti costituzionali, difetto che non sarebbe sanabile neppure dalla eventuale legge di conversione, secondo la piu' recente giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale. Tutto cio' premesso, la ricorrente regione Emilia-Romagna, come sopra rappresentata e difesa, chiede:
Voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art 7, primo e secondo comma, del decreto-legge 7 gennaio 1995, n. 1, per violazione, nei termini illustrati, delle disposizioni e dei principi della Costituzione e della legislazione ordinaria attuativa. Padova-Roma, addi' 5 febbraio 1995 Avv. prof. Giandomenico FALCON - avv. Luigi MANZI 95C0229