N. 131 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 1994- 22 febbraio 1995
N. 131 Ordinanza emessa il 24 maggio 1994 (pervenuta alla Corte costituzionale il 22 febbraio 1995) dal tribunale di Alessandria sulla richiesta di riesame proposta da Mantelli Carlo Processo penale - Misure cautelari - Riesame - Prevista competenza del tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza - Lamentata omessa previsione della competenza del tribunale del circondario - Irragionevolezza - Lesione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia. (C.P.P. 1988, art. 309, settimo comma). (Cost., artt. 3 e 97).(GU n.11 del 15-3-1995 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87, sulla richiesta di riesame depositata il 21 maggio 1994 nell'interesse di Mantelli Carlo ed avente ad oggetto il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Casale Monferrato ha in data 13 maggio 1994 applicato al predetto la misura della custodia cautelare in carcere. 1. - Posizione della questione. La presente impugnazione dovrebbe essere dichiarata inammissibile perche' proposta successivamente alla richiesta di revoca della misura de qua formulata subito dopo l'interrogatorio dell'indagato ex art. 294 del c.p.p. (v. verbale in atti; cfr. Cass. 18 agosto 1992, De Salvo: "In tema di giudizio incidentale di impugnazione avverso i provvedimenti de libertate vale la regola generale secondo la quale, quando siano consentiti piu' mezzi di impugnazione, la scelta di uno di essi consuma la facolta' di ricorso all'altro o agli altri, essendo esaurito lo stesso diritto di impugnazione. Ne consegue che, qualora l'indagato, colpito da misura cautelare personale restrittiva della liberta', subito dopo avere reso l'interrogatorio previsto e disciplinato dall'art. 294, con riferimento agli artt. 64 e 65 del c.p.p., sostanziandola con gli elementi emersi ed acquisiti in tale sede, formuli richiesta di revoca della misura, per sopravvenuta inattualita', carenza di condizioni e di esigenze cautelari, ovvero per sopravvenuta inadeguatezza della misura stessa, quale che sia l'esito di tale istanza, non puo' piu' proporre richiesta di riesame che, comunque riferibile al momento precedente della emissione del provvedimento, si pone concettualmente e logicamente in contraddizione con la richiesta di revoca, la quale implicitamente sconta la legittimita' del provvedimento adottato, essendo fondata e razionalizzata sulla sopravvenienza di una nuova situazione incompatibile con il permanere della misura stessa"; nello stesso senso, Cass. 10 settembre 1992, Glazner ed altro. Cfr. altresi' Cass. 10 settembre 1991, Biagiotti, Cass. 24 marzo 1992, Commisso, e Cass. 7 aprile 1993, Bossi, secondo cui l'inammissibilita' dell'impugnazione ex art. 591, comma 2, del c.p.c. puo' essere dichiarata d'ufficio senza l'osservanza delle forme previste dall'art. 127 del c.p.p.). Nel nuovo sistema processuale penale, tuttavia, la declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione e' riservata (soltanto) al giudice competente a conoscerne (arg. ex artt. 568, comma 5, e 591, comma 2, del c.p.p.). Da cio' deriva che questo Tribunale non puo' illico et immediate dichiarare inammissibile l'impugnazione in esame, dovendo preliminarmente verificare la propria competenza in ordine alla medesima. A tale proposito si rileva che, in virtu' della disposizione contenuta nell'art. 309, comma 7, del c.p.p. e del richiamo fattone dall'art. 310, comma 2, l'organo "della liberta'" (idest: l'ufficio giudiziario competente in ordine ai rimedi de libertate diversi dal ricorso per cassazione, costituiti dal riesame ex art. 309 e dall'appello ex art. 310 del c.p.p.) e' rappresentato dal "tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza" impugnata (c.d. "tribunale provinciale"). La disposizione in parola, nondimeno, nel prevedere per le predette impugnazioni de libertate la competenza di codesto organo anziche' quella del "tribunale nel cui circondario ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza" (c.d. "tribunale circondariale"), ad avviso del Collegio pone una questione di legittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 97 e 3 della Costituzione. 2. - Rilevanza della questione. La rilevanza della quaestio legitimitatis sopra prospettata emerge con tutta evidenza se si considera che il rigetto della relativa eccezione imporrebbe al tribunale ("provinciale") di Alessandria di pronunciarsi sull'impugnazione de qua, mentre il suo accoglimento determinerebbe la trasmissione degli atti al tribunale ("circondariale") di Casale Monferrato ai sensi dell'art. 568, comma 5, ultima parte, del c.p.p. 3.1. - Non manifesta infondatezza della questione. Per quanto concerne la non manifesta infondatezza della questione in relazione al valore della "buona amministrazione" tutelato dall'art. 97 della Costituzione (sulla cui riferibilita' "anche agli organi dell'amministrazione della giustizia" v. Corte cost. 19 gennaio 1989, n. 18; 10 maggio 1982, n. 86), essa puo' essere affermata sotto due diversi profili. Va, in primo luogo, rilevato che la predetta norma ex art. 309, comma 7, del c.p.p., liberando ogni tribunale sito in citta'-non capoluogo (c.d. "tribunale non provinciale") dalla competenza in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti concernenti le misure cautelari personali (nonche' reali ex art. 324, comma 5, c.p.p.), determina automaticamente una dilatazione dell'attivita' svolta in subiecta materia (soltanto) dal tribunale avente sede nel capoluogo della provincia (dilatazione accentuatasi ulteriormente a seguito dell'affermazione della tesi della c.d. competenza generale del "tribunale della liberta'", sostenuta dalla dominante giurisprudenza di legittimita': v. tra le piu' recenti Cass., s.u., 23 novembre 1990, Santucci; Cass. 22 aprile 1991, Romeo; 27 gennaio 1992, Raso; 30 ottobre 1992, Gallucci); e rende conseguentemente piu' difficoltosa l'esplicazione di codesta attivita' da parte del "tribunale provinciale", avuto riguardo anche alla (necessaria) perentorieta' e/o brevita' dei termini posti per la sua decisione (v. artt. 309, commi 9 e 10, e 310, comma 2, ultima parte, del c.p.p.). In secondo luogo, poi, deve evidenziarsi come la disposizione censurata provochi inevitabilmente (scilicet: allorche' il provvedimento impugnato promani da un ufficio con sede in una citta'-non capoluogo) dei tempi morti confliggenti con la rapidita' coessenziale ai procedimenti in discorso, costringendo la parte a portarsi in una diversa citta' per la presentazione dell'atto di impugnazione (v. 309, comma 4, richiamato a sua volta dall'art. 310, comma 2, del c.p.p.) e rendendo ovviamente piu' laboriosa e lenta anche la trasmissione degli atti al giudice ad quem: complicazioni, queste, davvero incomprensibili, visto che l'organo dell'impugnazione e' qui (non gia' la corte d'appello o la corte di cassazione, ma il tribunale, vale a dire) un ufficio giudiziario omologo a quello esistente nello stesso luogo in chi ha sede l'organo "autore" dell'ordinanza impugnata. 3.2. - Alla stregua delle superiori osservazioni sembra, dunque, logico concludere che la mancata previsione della competenza del "tribunale circondariale" si risolve in un obiettivo ostacolo all'esercizio (quanto piu' possibile corretto, semplice e spedito) dell'attivita' giurisdizionale concernente la materia in questione, il quale (ostacolo), essendo privo di una ragionevole giustificazione, appare "incompatibile col principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia" (per usare le parole di Corte cost. 18/1989, cit.). Dissentendo dalla communis opinio, invero, questo Collegio ritiene che l'attuale sistema (incentrato sulla competenza dei "tribunali provinciali" anziche' su quella dei "tribunali circondariali" non possa essere adeguatamente razionalizzato invocando l'esigenza di assicurare una qualche diversita' tra magistrati del riesame e magistrati del giudizio, per concludere che la soluzione dei "tribunali provinciali" (i quali disporrebbero di un organico piu' consistente) diviene possibile organizzare i collegi penali in modo da impedire ogni "confusione di ruoli". Gli e', infatti, che a tale argomentazione e' facile obiettare che: A) l'effettiva concretizzazione della superiore esigenza non puo' di fatto trovare realizzazione neppure presso la maggior parte dei "tribunali provinciali", presupponendo essa l'esistenza di quadri organici da "metafisica giudiziaria" (invero, essendo l'esigenza de qua finalizzata ad impedire che la decisione dell'organo giudicante possa essere condizionata dalla preventiva conoscenza e valutazione dei fatti operata dallo stesso giudice in altre sedi, la medesima esigenza (di avere la sentenza da un organo "non prevenuto") logicamente comporta altresi' la diversita' tra il giudice del dibattimento e quello che (su richiesta del p.m.) abbia applicato la misura coercitiva; con l'ulteriore conseguenza che, quando tale misura sia stata adottata dal tribunale nel corso degli atti preliminari (art. 91 disp. att. del c.p.p.) e quest'ultimo sia un "tribunale provinciale", la completa attuazione dell'esigenza in parola richiederebbe l'intervento di tre diversi collegi: uno per l'applicazione della misura ex art. 91 disp. att., uno per il riesame ex art. 309 ed uno per il dibattimento|); B) indipendentemente da questo, sarebbe (e cio' sembra veramente decisivo) incongruo ed illogico attribuire alla suddetta esigenza la funzione di "elemento di razionalizzazione" del vigente sistema, atteso che essa secondo il "diritto vivente" e' giuridicamente irrilevante, poiche' un'eventuale "confusione di ruoli" tra il giudice del riesame ed il giudice del dibattimento non puo' comunque conretare ne' un'ipotesi di incompatibilita' ne' (conseguentemente) un motivo di astensione o di ricusazione ne' una causa di nullita' (in tal senso v. Cass. 5 luglio 1990, Villani; 11 ottobre 1990, Roos; 22 gennaio 1991, Cavazzini; 4 aprile 1992, Parisi; 16 ottobre 1992, Mirisola; 22 ottobre 1992, Ruggiu. V. altresi' Corte cost. 30 dicembre 1991, n. 502 (che ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che abbia proceduto al riesame dell'ordinanza che disponga una misura coercitiva ai sensi dell'art. 309 del c.p.p.); Corte cost. 25 marzo 1992, n. 124 (che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare all'udienza dibattimentale del giudice che abbia conosciuto gli atti delle indagini preliminari in sede di riesame o di impugnazione di provvedimenti che dispongono di misure coercitive in riferimento agli artt. 76, 77, 25, 101 e 3 Cost.)). 4. - Alla luce delle osservazioni svolte nel paragrafo precedente (ed in particolare di quelle sub B)), dovrebbe essere di gia' evidente come l'attuale determinazione della competenza territoriale dell'organo "della liberta'" possa avere implicazioni contrastanti pure con il canone dell'eguaglianza ex art. 3 della Costituzione, allorche' ci si trovi in presenza di ordinanza de libertate pronunciate dal tribunale ex art. 91 disp. att. del c.p.p. In una simile situazione, per vero, viene a risultare del tutto irragionevole (proprio alla stregua delle superiori osservazioni) che atti aventi identico contenuto e promananti da organi dello stesso tipo siano assoggettati ad una disciplina giuridica differenziata, essendo impugnabili innanzi ad un giudice diverso da quello a quo (ergo: con la garanzia di effettivita' del controllo critico posto in essere dall'organo dell'impugnazione) se emessi da un "tribunale non provinciale"; ed innanzi invece allo stesso organo a quo (ergo: con possibilita' di accoglimento del gravame piu' attenuate, per ovvi motivi) se dati da un "tribunale provinciale". 5. - Mette conto evidenziare a questo punto che la presente quaestio legitimitatis non potrebbe essere considerata inammissibile dalla Consulta sotto il profilo che essa mirerebbe ad una pronuncia "sostitutiva", attraverso la quale la Corte costituzionale dovrebbe modificare il diritto vigente, introducendo nell'art. 309, comma 7, del c.p.p. (nonche' nell'art. 324, comma 5, del c.p.p., in base all'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) la previsione della competenza del "tribunale circondariale" al posto di quella del "tribunale provinciale". Una pronuncia di questo genere, difatti, nel caso di specie sarebbe ad avviso del Collegio pienamente ammissibile perche' per nulla lesiva della c.d. discrezionalita' legislativa, essendo essa (pronuncia) diretta a sostituire l'attuale disciplina con l'unica soluzione normativa compatibile con la direttiva espressa dalla delega legislativa per l'emanazione del nuovo c.p.p. (legge 16 febbraio 1987, n. 81), la quale all'art. 2, n. 59, stabilisce al riguardo la "riesaminabilita' anche nel merito del provvedimento che decide sulla misura dinanzi al tribunale in camera di consiglio". Obliterata (perche' illegittima) la norma sulla competenza del "tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza", invero, codesta direttiva potrebbe essere attuata in modo corretto (idest: senza nessuno degli inconvenienti funzionali evidenziati nel paragrafo 3.1) e senza la discriminazione normativa denunciata nel paragrafo 4)) soltanto con la previsione della competenza del tribunale tout court: vale a dire, per l'appunto, del "tribunale nel cui circondario ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza impugnata".
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 97 e 3 della Costituzione, dell'art. 309, comma 7, del c.p.p., nella parte in cui prevede che sulla richiesta di riesame decide il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza anziche' il tribunale nel cui circondario ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della superiore questione; Sospende il procedimento in corso; Ordina che a cura della cancelleria il presente provvedimento sia notificato alla persona sottoposta alle indagini, al procuratore della Repubblica presso questo tribunale ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; e che lo stesso venga comunicato dal cancelliere ai Presidenti della due Camere del Parlamento. Alessandria, addi' 24 maggio 1994 Il presidente: ZEOLI 95C0307