N. 138 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 1994
N. 138 Ordinanza emessa il 12 novembre 1994 dal magistrato di sorveglianza del tribunale per i minorenni di Catania nel procedimento penale a carico di Mauceri Corrado Pena - Conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita' del condannato - Ragguaglio e quantificazione - Criteri di calcolo improntati al computo di venticinquemila lire o frazione di venticinquemila lire anziche' settantacinquemila lire o frazione di settantacinquemila lire di pena pecuniaria per un giorno di liberta' controllata - Vulnerazione del principio di eguaglianza - Irragionevolezza - Lesione del principio della responsabilita' personale in diritto penale, nonche' del fine rieducativo della pena. (Legge 5 ottobre 1993, n. 402, art. 1; legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 102, terzo comma). (Cost., artt. 3, primo comma, 27, primo e terzo comma).(GU n.11 del 15-3-1995 )
IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Ha emesso la seguente ordinanza nell'udienza del 12 novembre 1994, fissata per la determinazione delle prescrizioni relative alla liberta' controllata, ex artt. 56 della legge n. 689/1981 e 24 d.lgs. n. 272/1989, in conversione, ai sensi degli artt. 102 e segg. della legge n. 689/1981, della pena pecuniaria non pagata; in ordine a: Mauceri Corrado, nato a Pachino il 20 aprile 1975; condannato alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione e L. 200.000 di multa, con sentenza del tribunale per i minorenni di Catania, in funzione di giudice dell'udienza preliminare, il 14 gennaio 1993, irrevocabilmente dall'11 marzo 1993; dichiarato insolvibile, con separato decreto, da altro magistrato dell'ufficio, in data 23 agosto 1994 e, per l'effetto, sottoposto alla liberta' controllata per gg. 8 (otto). I. - Premesso. Mauceri Corrado venne condannato in data 14 gennaio 1993, sentenza divenuta irrevocabile l'11 marzo 1993, per i reati di cui agli artt. 110, 624, 625, n. 4 del c.p., alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione e L. 200.000 di multa. Attesa l'impossibilita' di recuperare la somma ora indicata, il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni di Catania, trasmetteva gli atti all'ufficio sorveglianza, di talche', in data 23 agosto 1994, altro magistrato dell'ufficio medesimo provvedeva, con decreto, a dichiarare insolvibile il condannato e a convertire la pena pecuniaria eseguenda in gg. 8 (otto) di liberta' controllata, in ragione di L. 25.000 per ogni giorno di tale pena sostitutiva, rinviando al seguito la fissazione dell'udienza per l'imposizione delle prescrizioni in ottemperanza a quanto disposto dagli artt. 56 della legge n. 689/1981 e 24 d.lgs. n. 272/1989. All'odierna udienza, questo magistrato riteneva, per le ragioni di cui appresso, che il mantenimento del criterio di ragguaglio sopra indicato, in tema di conversione pena pecuniaria, nonostante la modifica apportata alla norma generale di cui all'art. 135 del c.p. (nonche' alle norme ad essa collegate, quale l'art. 53 della legge n. 689/1981) con l'art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n. 402 (in forza del quale per ogni giorno di pena detentiva deve essere computata una pena pecuniaria di L. 75.000), imponesse di valutare se fosse possibile addivenire a un'interpretazione estensiva della citata nuova norma (fino a ricomprendervi quanto disposto nell'art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981), o, in caso contrario, se ci si trovasse dinnanzi a un quadro normativo di dubbia costituzionalita'. Con riferimento alla prima possibilita', di carattere meramente interpretativo, devesi osservare immediatamente che con la sentenza n. 2288 del 15 giugno 1994, la suprema corte di Cassazione ha affermato in modo inequivoco che l'art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981 non e' stato modificato dalla recente legge di adeguamento dell'art. 135 del c.p., di talche' a tutt'oggi la conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato deve avvenire in ragione di un giorno di liberta' controllata per ogni 25.000 lire. Preso atto dell'indicata pronuncia, ritenuto, pur nella consapevolezza della propria autonomia, che la citata sentenza della suprema corte evidenzi un orientamento preciso dei giudici di legittimita' e consigli, pertanto, ai giudici di merito di attenersi allo stesso, questo magistrato reputa, tuttavia, sussistenti i presupposti per sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale, nei termini e per le ragioni di seguito esposte, con riferimento al quadro normativo venutosi a creare in tema conversione pene pecuniarie, per l'intervenuta modifica del solo art. 135 del c.p. II. - Oggetto della questione. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 402 del 5 ottobre 1993, nella parte in cui non modifica il criterio di ragguaglio di cui all'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 24 novembre 1981, relativo alla conversione di pene pecuniarie per i soggetti insolvibili, in ragione di un giorno di liberta' controllata per ogni 25.000 di multa o ammenda, con conseguente sopravvenuta illegittimita' costituzionale dello stesso art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981, in ordine al criterio di ragguaglio ivi previsto. III. - Profili di dubbia costituzionalita'. a) Violazione dell'art. 3 della Costituzione, primo comma, trattamento differenziato, irragionevolezza, discriminazione. Il travagliato iter giurisprudenziale e legislativo dei criteri di conversione della pena pecuniaria comminata a soggetto insolvibile rappresenta, a parere di questo magistrato, la traccia fondamentale attraverso cui argomentare il vizio in rubrica indicato. Anteriormente al 1979, la materia era regolamentata dall'art. 136 del c.p., secondo il quale le pene della multa e dell'ammenda, non eseguite per insolvibilita' del condannato, si convertivano nella reclusione per non oltre tre anni o nell'arresto per non oltre due anni, a seconda della specie della pena pecuniaria irrogata. Tale criterio era stato ripetutamente sottoposto, senza esito favorevole all'accoglimento, a vaglio di costituzionalita' sotto piu' profili, fino a quando, con la sentenza n. 131 del 21 novembre 1979 codesta ecc.ma corte, operando un manifesto revirement giurisprudenziale, dichiarava la norma sopra indicata in insanabile contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. Le censure di cui alla citata sentenza trovavano fondamento, in primo luogo, nella pacifica constatazione che a fronte di una medesima violazione, sanzionata anche o solo con pena pecuniaria, un soggetto solvibile per tale pena subiva un trattamento afflittivo certo d'intensita' inferiore a quello patito da altro soggetto, condannato alla stessa pena pecuniaria, ma insolvibile. Rilevava, infatti, la Corte come la intrinseca differente afflittivita' della pena pecuniaria, legata alla personale condizione economica del reo, superasse ogni ragionevolezza nel momento in cui dava luogo, in conversione, a una limitazione della liberta' personale cosi' profonda come quella correlata allo stato di detenzione, a maggior ragione se si considera che tale conversione avveniva in forza di una situazione oggettiva del reo e, dunque, allo stesso non imputabile sotto il profilo soggettivo. Alla luce del principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 della Costituzione, cardine dell'ordinamento repubblicano, la Corte individuava, pertanto, nel disposto dell'art. 136 del c.p. elementi di discriminazione nei confronti dei soggetti insolvibili, elementi che non potevano essere superati sic et sempliciter in forza del principio di inderogabilita' della pena (da riferirsi all'irrogazione piu' che all'esecuzione) e che contrastavano, altresi', con la funzione rieducativa della sanzione penale. Attese le censure sopra evidenziate, la Corte auspicava un intervento legislativo che tenesse conto di quanto dalla stessa esposto e che operasse nei modi dovuti sia in sede di irrogazione della pena pecuniaria, calibrando la stessa alle capacita' di reddito del reo, sia con riferimento alla fase di esecuzione, individuando opportuni accorgimenti normativi per trovare un equilibrio fra il principio di inderogabilita' della pena e quello di uguaglianza di ogni individuo di fronte alla legge. Alla luce di tali considerazioni deve leggersi il quadro legislativo determinatosi, dopo l'abrogazione dell'art. 136 del c.p., con la legge n. 689 del 24 novembre 1981. In tema, infatti, di pena pecuniaria il legislatore raccoglieva entrambi i suggerimenti della ecc.ma Corte costituzionale, introducendo l'art. 133-bis del c.p. (facolta' per il giudice di sganciarsi dai limiti edittali in rapporto alle condizioni economiche del reo, art. 100 della legge n. 689/1981) e disciplinando una completa procedura di conversione della pena predetta negli artt. 102 e segg. della indicata legge. Per quanto qui rileva, atteso l'ambito della questione sollevata, pare potersi sintetizzare la ratio della procedura di conversione introdotta con la legge n. 689/1981, secondo il seguente schema: il condannato insolvibile vedeva la propria pena pecuniaria convertita non in pena detentiva, ma, seppur con lo stesso criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 del c.p. (anch'esso modificato dall'art. 101 della legge n. 689/1981), in una pena sostitutiva certo meno afflittiva, quale la liberta' controllata. L'identita' dei criteri di ragguaglio contenuti nel predetto art. 135 del c.p. e in quello di cui al terzo comma, dell'art. 102 della legge n. 689/1981, rendeva manifesta la volonta' del legislatore di offrire al reo, in sede di conversione pena pecuniaria, un trattamento di maggior favore ed evidenziava, altresi', la stretta correlazione determinatasi fra le norme indicate. Tale identita', infatti, rappresentava la garanzia e il fondamento, allo stesso tempo, della piena conformita' alla Costituzione della procedura di conversione introdotta, essendo il fulcro normativo della diversita' di trattamento di colui che non puo' incolpevolmente assolvere al pagamento della pena pecuniaria comminatagli, una diversita', dunque, necessaria e conforme all'art. 3 della Carta costituzionale; il condannato a pena pecuniaria, in liberta' controllata ex art. 102 della legge n. 689/1981, qualora non avesse adempiuto alle prescrizioni impostegli, vedeva ulteriormente convertita, ai sensi dell'art. 108, primo comma della legge medesima, la pena sostitutiva in un pari periodo di pena detentiva, reclusione o arresto secondo la specie dell'originaria pena pecuniaria. L'aggravamento del criterio di conversione fra liberta' controllata e pena detentiva (1 giorno di liberta' controllata = 1 giorno di pena detentiva), rispetto a quello generale di cui all'art. 57, terzo comma, della legge n. 689/1981 (1 giorno di reclusione/arresto = 2 giorni di liberta' controllata), testimoniava la volonta' del legislatore di sanzionare in modo piu' intenso colui al quale fosse stata data l'opportunita', non avendo potuto pagare la pena pecuniaria, di non incorrere in sanzione detentiva, ma che, avendo violato le prescrizioni impostegli, meritava a causa di un comportamento colpevole, di espiare la pena pecuniaria in forma non solo detentiva, ma anche aggravata. Pare evidente, in sostanza, da quanto esposto, che il recupero della reclusione o dell'arresto avvenisse, in sede di conversione pena pecuniaria, solo attraverso una condotta illegittima, riconducibile alla volonta' del reo e non a una condizione oggettiva, estranea allo stesso e dunque a lui non imputabile. L'indicato aggravamento del ragguaglio fra liberta' controllata e pena detentiva, in rapporto a quello "ordinario" di cui all'art. 57, terzo comma, della legge n. 689/1981, peraltro, appariva ragionevole, nell'ottica di chi ha concesso un trattamento di particolare favore, con esito infausto, cosi' come ragionevole risultava l'entita' dell'aggravamento medesimo. Il sistema sopra tratteggiato e' rimasto immutato, come si e' detto, senza andare incontro a censure di costituzionalita', fino all'entrata in vigore dell'art. 1 della legge n. 402 del 5 ottobre 1993, in forza del quale il criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 del c.p. e' stato modificato, dovendosi ora computare per ogni giorno di pena detentiva L. 75.000 e non piu' L. 25.000. Quest'ultimo importo e', invece, rimasto immutato nell'art. 102 della legge n. 689/1981, ignorato dalla legge di riforma ora citata. E' questo giudice pienamente consapevole dell'autonomia concettuale dell'appena ricordata norma, sotto il profilo della diversita' degli istituti regolati, ma crede che la gia' richiamata contestualita' delle innovazioni determinate con la legge n. 689/1981, sia in relazione al ragguaglio di cui all'art. 135 del c.p., sia in rapporto alla conversione pena pecuniaria per gli insolvibili, non sia stata casuale, bensi' sintomatica di un preciso impianto normativo voluto dal legislatore per adeguarsi alle indicazioni di cui alla sentenza n. 131/1979 della Corte costituzionale. Reputa, in sostanza, questo magistrato, che la concordanza fra le innovazioni ora citate, in punto ragguaglio pene pecuniarie, corrispondesse alla volonta' di creare un "sistema" di norme, pur relative a diversi istituti, la cui regolamentazione, tuttavia, si voleva fosse, sotto il profilo de quo, uniforme per esigenze di equita', di giustizia e non ultimo di logica. La modifica apportata con l'art. 1 della legge n. 402/1993 al solo art. 135 del c.p. pare abbia radicalmente e in modo inopinato stravolto il sistema ora delineato, segnando una completa inversione della ratio che aveva sostenuto il legislatore della legge n. 689/1981, il tutto, per quanto qui rileva, non tenendo nel debito conto le problematiche costituzionali che con il sistema medesimo si era cercato di affrontare e risolvere. Sembra, infatti, che il quadro normativo odierno leda, o meglio, sacrifichi il difficile equlibrio fra inderogabilita' della pena e principio di uguaglianza che con la legge del 1981 si era instaurato, in oggi, infatti, dovendo il reo, al quale va convertita la pena pecuniaria, subire un trattamento ingiustificatamente discriminatorio. L'aver previsto che, in sede di conversione, un giorno di liberta' controllata valga L. 25.000, a fronte delle 75.000 previste dall'art. 135 del c.p., significa aver eliminato quel favor riservato al reo insolvibile dalla legge n. 689/1981, grazie soprattutto, si torna a sottolineare, all'uniformita' dei criteri di ragguaglio fra la norma codicistica citata e l'art. 102, terzo comma, della legge medesima. Ecco, allora, perche' e' sorto il dubbio che si sia venuto a ricreare un quadro normativo costituzionalmente censurabile, sotto profili analoghi a quelli posti a fondamento della pronuncia n. 131/1979 di codesta ecc.ma Corte. Illuminante circa lo stravolgimento determinatosi nella materia de qua, in seguito alla legge n. 402/1993, appare la considerazione che in oggi sarebbe piu' favorevole, rispetto alla procedura ex art. 102 della legge n. 689/1981, convertire la pena pecuniaria direttamente in pena detentiva, secondo il vecchio disposto dell'art. 136 del c.p., in relazione all'art. 135 del c.p. come modificato, atteso che il condannato, pur dovendo subire immediatamente un periodo di reclusione o arresto, globalmente, se si considera quale parametro di afflittivita' il criterio di ragguaglio di cui all'art. 57, terzo comma, della legge n. 689/1981 (1 giorno di detenzione = 2 giorni di liberta' controllata), andrebbe incontro, comunque, a una limitazione della liberta' personale di intensita' inferiore. Per scontare, infatti, a titolo esemplificativo, una pena pecuniaria di L. 1.500.000, nel sistema previgente alla legge n. 689/1981, valutato il criterio attuale di cui all'art. 135 del c.p., il reo avrebbe subito una pena detentiva di 20 gg., equiparabile, come intensita' afflittiva, a 40 gg. di liberta' controllata; in oggi, la stessa pena pecuniaria da' luogo a 60 gg. di liberta' controllata, ex art. 102 della legge n. 689/1981, equiparabile a 30 gg. di reclusione o arresto, sotto il profilo dell'afflittivita'. D'altronde, il dubbio evidenziato trova ulteriore conforto, se si valutano le conseguenze che dalle norme vigenti si dovrebbero trarre in ordine al trattamento del condannato insolvibile, qualora allo stesso si debba revocare la liberta' controllata comminatagli in conversione pena pecuniaria, ex art. 108, della legge n. 689/1981. In tale ipotesi, infatti, non si puo' omettere di osservare che il condannato per "pagare" L. 75.000 di multa o ammenda, modulo base di ragguaglio fra pena detentiva e pecuniaria ex art. 135 del c.p., non dovrebbe scontare un giorno di reclusione o arresto, bensi' il triplo, il che costituisce un aggravamento del trattamento di tale intensita' da non apparire piu' ragionevole, come quello, al contrario, che discendeva dall'uniformita' dei criteri di ragguaglio previsti dalla indicata norma codicistica e dall'art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981. Quanto esposto pone, pertanto, legittimamente il dubbio che la norma modificativa introdotta nel 1993, nell'omettere di mutare entrambi i detti criteri, abbia determinato un'ingiustificata discriminazione dei soggetti insolvibili condannati a pena pecuniaria, prevedendo per gli stessi un trattamento iniquo rispetto all'obiettivita' della loro situazione, con conseguente sopravvenuta illegittimita' costituzionale anche dello stesso ragguaglio previsto dall'immodificato art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981. A sostegno, infine, del dubbio sollevato, in forza dell'irragionevolezza della scelta normativa effettuata e dell'effetto discriminante ad essa conseguente, sembra doveroso considerare che le stesse ragioni, legate a fattori economici ed obiettivi, quali costo della vita, inflazione ecc., che ebbero a indurre il legislatore a modificare l'art. 135 del c.p., valgono sine dubio, se non a fortiori, con riferimento a predetto art. 102 della legge n. 689/1981. b) Violazione dell'art. 27 della Costituzione, primo comma, responsabilita' personale, condannato insolvibile, criterio di ragguaglio della pena pecuniaria, carenza. L'articolo della Costituzione ricordato in rubrica pare stabilire un duplice principio, in primis, non e' ammessa nel nostro ordinamento alcuna responsabilita' per fatto altrui, secondariamente non e' parimenti compatibile con l'ordinamento medesimo una responsabilita' incolpevole, cioe' non e' legittimo costituzionalmente che in una norma si stabilisca una sanzione, in relazione a fatti o situazioni che esulano dalla sfera di dominio del soggetto e che sono a lui incolpevolmente pertinenti. Nel caso di specie, lo squilibrio venutosi a creare a seguito della modifica dell'art. 135 del c.p., in rapporto al terzo comma dell'art. 102 della legge n. 689/1981, pone dubbi sulla compatibilita' della vigente normativa con il secondo principio, sopra ricordato, deducibile dall'art. 27, primo comma, della Costituzione. L'eliminazione, infatti, della diretta conversione della pena pecuniaria in sanzione detentiva, in forza dell'insolvibilita' del condannato, disciplinata con la legge n. 689/1981, consentiva di ritenere che l'impossibilita' per quest'ultimo di pagare multa o ammenda non determinasse di fatto una sanzione aggiuntiva a quella irrogata, attesa proprio l'atipicita' e la limitata afflittivita' della liberta' controllata, la cui ulteriore conversione in pena detentiva avveniva in forza di un comportamento colpevole del condannato (non aver rispettato le prescrizioni impostegli). Tale situazione, apparentemente immutata, e' stata, in realta', del tutto stravolta, non potendosi, infatti, omettere di rilevare che il criterio di cui all'art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981, in rapporto a quello di cui all'art. 135 del c.p., e' divenuto spropositatamente gravoso e, pur non dando luogo a pena detentiva, impone al condannato una limitazione di liberta' personale che, proprio in forza del ragguaglio di cui all'art. 57, terzo comma, della legge n. 689/1981, risulta piu' afflittiva della detenzione. Da cio', dunque, si evince, come il legislatore sia in oggi venuto a imporre al condannato, una sanzione aggiuntiva e non equivalente a quella irrogata, non riconducibile sotto alcun profilo alla sfera soggettiva del reo, la cui insolvibilita', infatti, viene considerata ai fini de quibus nella sua mera e oggettiva sussistenza, indipendentemente dalle cause determinanti della stessa. Il mancato adeguamento, pertanto, del criterio di ragguaglio, in tema di conversione pene pecuniarie, consente a questo giudice di ritenere che il quadro normativo venutosi a creare con l'intervenuta modifica apportata al solo art. 135 del c.p. dalla legge n. 402/1993, non sia compatibile con il principio costituzionale in rubrica, sotto il profilo dell'assoluta carenza della riconducibilita' al reo, con riferimento alla colpevolezza in ambito penale, della propria condizione di insolvibile, condizione dalla quale, tuttavia, in oggi il legislatore fa discendere in concreto una pena aggiuntiva. c) Violazione dell'art. 27 della Costituzione, terzo comma, fine rieducativo della pena, condannato insolvibile, criterio di ragguaglio della pena pecuniaria, sproporzionalita', carenza. Devesi, infine, rilevare che il differente criterio di ragguaglio previsto dall'art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981, rispetto a quello codicistico, come modificato dall'art. 1 della legge n. 402/1993, solleva perplessita' anche in ordine al carattere rieducativo che ogni pena dovrebbe possedere. Preliminarmente, in merito, questo magistrato reputa che tale carattere debba potersi individuare in ogni pena, sia essa detentiva o pecuniaria, non potendosi, infatti, giungere alla conclusione che la multa o l'ammenda siano irrogate con finalita' esclusivamente retributive. Anche la pena pecuniaria, infatti, ha in se' quella molteplicita' di funzioni che discendono dal sistema costituzionale vigente, consistenti, oltre a quella retributiva, nella rieducazione del reo e nella prevenzione di comportamenti recidivanti, sia rispetto alla condotta futura di altri soggetti, sia in relazione al singolo gia' incorso nel reato. In realta', non pare, proprio in forza dell'art. 27 della Costituzione, nonche' in relazione alle garanzie poste dalla Carta costituzionale in punto di limitazione della liberta' e imposizione di prestazioni personali, che le funzioni proprie di ogni pena siano fra loro autonome o scindibili, tutte, al contrario, concorrendo fra loro a garantire il rispetto futuro della legge e a consentire il reinserimento del reo. Osservato quanto sopra, allora, non ci si puo' esimere dal rilevare come, in tema di conversione pene pecuniarie, il criterio in oggi vigente risulti carente sotto il profilo rieducativo, sia stricto sensu, sia anche con riferimento alla prevenzione da futuri comportamenti del singolo gia' giudicato. L'idoneita' rieducativa di una pena, infatti, si evince, in primis, dalla sua intrinseca capacita' di essere compresa dal reo e, nella sostanza "condivisa" dallo stesso; cio', tuttavia, puo' avvenire solo se, nel confronto con gli altri, in particolare, per quello che qui interessa, con coloro che sono stati condannati alla stessa pena, il reo non si senta vittima di un'ingiustizia, di un trattamento immotivatamente differenziato. Nel caso di specie, al contrario, il quadro normativo determinatosi sembra incorrere in tale vizio, non essendovi dubbio che l'insolvibile, condannato, per cause incolpevoli, alla liberta' controllata in conversione pena pecuniaria, non possa comprendere di patire una limitazione di liberta' nel complesso sproporzionatamente piu' afflittiva, rispetto a quella in cui incorrerebbe se fosse solvibile. Quanto sopra, in sostanza, pare idoneo a determinare il convincimento nel condannato non in grado di pagare la pena pecuniaria, che l'emarginazione economica, e dunque sociale, sia considerata dall'ordinamento come una causa di aggravamento della pena, convincimento del tutto in contrasto con i principi portanti della Carta costituzionale, nonche' di ogni societa' civile e democratica. L'effetto diseducativo, disadattante, soprattutto per un minore, se non financo criminogeno di tale convincimento sembra palese e non puo', dunque, che confortare nel chiedere a codesta ecc.ma Corte una pronuncia anche con riferimento alla violazione in rubrica. IV. - Rilevanza della questione. La rilevanza della questione, che si intende qui sollevare, appare manifesta, considerato che questo giudice all'odierna udienza avrebbe dovuto determinare le prescrizioni per la comminata liberta' controllata, dando cosi' esecuzione alla stessa, nella misura legata al ragguaglio di L. 25.000 per giorno di pena sostitutiva. Non pare, peraltro, che la gia' avvenuta conversione della pena pecuniaria, con separato decreto di altro collega, possa determinare una sorta di giudicato sul criterio gia' applicato, non avendo una tale definitivita' riscontro normativo ed essendo, comunque, previsto, in forza dell'art. 660 del c.p.p., che la procedura di conversione si concluda con ordinanza, cioe' in seguito a udienza di sorveglianza. Atteso quanto sopra, considerato che il procedimento di conversione in oggetto devesi ritenere in itinere, questo magistrato, ritenuti sussistenti dubbi di costituzionalita' in ordine alla normativa applicanda, non puo' che astenersi dal procedere, rimettendo gli atti a codesta ecc.ma Corte, a pena di incorrere in una consapevole probabile violazione di legge, anzi di norme costituzionali. V. - Non manifesta infondatezza. Le ragioni sopra esposte consentono di ritenere sussistente il requisito indicato in rubrica, almeno nel convincimento del giudicante, che solleva d'ufficio la presente questione, convincimento rafforzato dall'inopportunita', stante la indicata sentenza n. 2288/1994 della Corte di cassazione, di forzare, sulla base di argomentazioni sistematiche, l'ambito applicativo dell'art. 1 della legge n. 402/1993, al fine di operare in via interpretativa l'adeguamento anche del criterio di ragguaglio di cui all'art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981, onde garantire e mantenere la costituzionalita' della procedura di conversione ivi disciplinata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 57 e l'art. 134 della Costituzione; Ritenuta la questione di seguito sollevata rilevante nell'ambito del procedimento per la conversione pena pecuniaria di cui alla sentenza 14 gennaio 1993 del g.u.p. presso il tribunale per i minorenni di Catania, a carico di Mauceri Corrado, nato a Pachino il 20 aprile 1975; Ritenuta la questione medesima non manifestamente infondata; Solleva, nanti la ecc.ma Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 1 della legge n. 402 del 5 ottobre 1993, nella parte in cui non modifica il criterio di ragguaglio di cui all'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 24 novembre 1981, relativo alla conversione di pene pecuniarie per i soggetti insolvibili, in ragione di un giorno di liberta' controllata per L. 25.000 di multa o ammenda, con conseguente sopravvenuta illegittimita' dello stesso art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981, in ordine al criterio di ragguaglio ivi previsto, con riferimento per entrambe le norme agli artt. 3, primo comma e 27, primo e terzo comma, della Costituzione; Sospende il procedimento in attesa del giudizio della ecc.ma Corte costituzionale; Ordina trasmettersi gli atti alla ecc.ma Corte costituzionale; Ordina, a cura della cancelleria, che la presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Catania, addi' 12 novembre 1994 Il magistrato di sorveglianza: FABRIS 95C0314