N. 138 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 1994

                                N. 138
 Ordinanza emessa il 12 novembre 1994 dal magistrato  di  sorveglianza
 del  tribunale  per  i minorenni di Catania nel procedimento penale a
 carico di Mauceri Corrado
 Pena  -  Conversione  delle  pene   pecuniarie   non   eseguite   per
    insolvibilita'  del  condannato  -  Ragguaglio e quantificazione -
    Criteri di calcolo improntati al computo di venticinquemila lire o
    frazione di venticinquemila lire anziche' settantacinquemila  lire
    o  frazione  di  settantacinquemila lire di pena pecuniaria per un
    giorno di liberta' controllata -  Vulnerazione  del  principio  di
    eguaglianza  -  Irragionevolezza  -  Lesione  del  principio della
    responsabilita' personale in  diritto  penale,  nonche'  del  fine
    rieducativo della pena.
 (Legge  5  ottobre  1993,  n. 402, art. 1; legge 24 novembre 1981, n.
    689, art. 102, terzo comma).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 27, primo e terzo comma).
(GU n.11 del 15-3-1995 )
                     IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
   Ha emesso la seguente ordinanza nell'udienza del 12 novembre  1994,
 fissata  per  la  determinazione  delle  prescrizioni  relative  alla
 liberta' controllata, ex artt. 56 della legge n. 689/1981 e 24 d.lgs.
 n. 272/1989, in conversione, ai sensi degli artt. 102 e  segg.  della
 legge  n.  689/1981,  della  pena pecuniaria non pagata; in ordine a:
 Mauceri Corrado, nato a Pachino il 20 aprile  1975;  condannato  alla
 pena  di  mesi  cinque  e  giorni dieci di reclusione e L. 200.000 di
 multa, con sentenza del tribunale per  i  minorenni  di  Catania,  in
 funzione  di  giudice  dell'udienza  preliminare, il 14 gennaio 1993,
 irrevocabilmente dall'11  marzo  1993;  dichiarato  insolvibile,  con
 separato decreto, da altro magistrato dell'ufficio, in data 23 agosto
 1994 e, per l'effetto, sottoposto alla liberta' controllata per gg. 8
 (otto).
    I. - Premesso.
    Mauceri Corrado venne condannato in data 14 gennaio 1993, sentenza
 divenuta  irrevocabile l'11 marzo 1993, per i reati di cui agli artt.
 110, 624, 625, n. 4 del c.p., alla pena di mesi cinque e giorni dieci
 di reclusione e L. 200.000 di multa.
    Attesa l'impossibilita' di recuperare la somma  ora  indicata,  il
 pubblico  ministero  presso  il tribunale per i minorenni di Catania,
 trasmetteva gli atti all'ufficio sorveglianza, di talche', in data 23
 agosto 1994, altro magistrato dell'ufficio medesimo  provvedeva,  con
 decreto,  a  dichiarare  insolvibile  il condannato e a convertire la
 pena pecuniaria eseguenda in gg. 8 (otto) di liberta' controllata, in
 ragione di L. 25.000  per  ogni  giorno  di  tale  pena  sostitutiva,
 rinviando  al  seguito  la  fissazione dell'udienza per l'imposizione
 delle prescrizioni in ottemperanza a quanto disposto dagli  artt.  56
 della legge n. 689/1981 e 24 d.lgs. n. 272/1989.
    All'odierna udienza, questo magistrato riteneva, per le ragioni di
 cui  appresso,  che  il mantenimento del criterio di ragguaglio sopra
 indicato, in tema  di  conversione  pena  pecuniaria,  nonostante  la
 modifica  apportata  alla norma generale di cui all'art. 135 del c.p.
 (nonche' alle norme ad essa collegate, quale l'art. 53 della legge n.
 689/1981) con l'art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n. 402  (in  forza
 del quale per ogni giorno di pena detentiva deve essere computata una
 pena  pecuniaria  di  L.  75.000),  imponesse  di  valutare  se fosse
 possibile addivenire  a  un'interpretazione  estensiva  della  citata
 nuova  norma  (fino  a  ricomprendervi quanto disposto nell'art. 102,
 terzo comma, della legge n. 689/1981), o, in caso contrario, se ci si
 trovasse dinnanzi a un quadro normativo di dubbia costituzionalita'.
    Con riferimento alla prima possibilita',  di  carattere  meramente
 interpretativo,  devesi  osservare immediatamente che con la sentenza
 n. 2288 del 15  giugno  1994,  la  suprema  corte  di  Cassazione  ha
 affermato in modo inequivoco che l'art. 102, terzo comma, della legge
 n.   689/1981   non  e'  stato  modificato  dalla  recente  legge  di
 adeguamento dell'art.  135  del  c.p.,  di  talche'  a  tutt'oggi  la
 conversione  delle  pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato
 deve avvenire in ragione di un giorno  di  liberta'  controllata  per
 ogni 25.000 lire.
    Preso   atto   dell'indicata   pronuncia,   ritenuto,   pur  nella
 consapevolezza della propria autonomia, che la citata sentenza  della
 suprema  corte  evidenzi  un  orientamento  preciso  dei  giudici  di
 legittimita' e consigli, pertanto, ai giudici di merito di  attenersi
 allo  stesso,  questo  magistrato  reputa,  tuttavia,  sussistenti  i
 presupposti  per  sollevare  d'ufficio  questione   di   legittimita'
 costituzionale,  nei termini e per le ragioni di seguito esposte, con
 riferimento al quadro normativo venutosi a creare in tema conversione
 pene pecuniarie, per l'intervenuta modifica del  solo  art.  135  del
 c.p.
   II. - Oggetto della questione.
    Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 402 del 5
 ottobre  1993,  nella  parte  in  cui  non  modifica  il  criterio di
 ragguaglio di cui all'art. 102, terzo comma, della legge n.  689  del
 24  novembre 1981, relativo alla conversione di pene pecuniarie per i
 soggetti insolvibili, in ragione di un giorno di liberta' controllata
 per ogni 25.000 di multa  o  ammenda,  con  conseguente  sopravvenuta
 illegittimita'  costituzionale  dello  stesso  art. 102, terzo comma,
 della legge n. 689/1981, in ordine  al  criterio  di  ragguaglio  ivi
 previsto.
    III. - Profili di dubbia costituzionalita'.
     a)  Violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  primo  comma,
 trattamento differenziato, irragionevolezza, discriminazione.
    Il travagliato iter giurisprudenziale e legislativo dei criteri di
 conversione della pena pecuniaria comminata  a  soggetto  insolvibile
 rappresenta,  a  parere di questo magistrato, la traccia fondamentale
 attraverso cui argomentare il vizio in rubrica indicato.
    Anteriormente al 1979, la materia era regolamentata dall'art.  136
 del  c.p.,  secondo  il quale le pene della multa e dell'ammenda, non
 eseguite per insolvibilita' del  condannato,  si  convertivano  nella
 reclusione  per  non  oltre tre anni o nell'arresto per non oltre due
 anni, a seconda della specie della pena pecuniaria irrogata.
    Tale criterio era  stato  ripetutamente  sottoposto,  senza  esito
 favorevole all'accoglimento, a vaglio di costituzionalita' sotto piu'
 profili,  fino  a quando, con la sentenza n. 131 del 21 novembre 1979
 codesta   ecc.ma   corte,   operando    un    manifesto    revirement
 giurisprudenziale,  dichiarava  la norma sopra indicata in insanabile
 contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    Le censure di cui alla citata sentenza  trovavano  fondamento,  in
 primo  luogo,  nella  pacifica  constatazione  che  a  fronte  di una
 medesima violazione, sanzionata anche o solo con pena pecuniaria,  un
 soggetto  solvibile  per  tale  pena subiva un trattamento afflittivo
 certo d'intensita' inferiore  a  quello  patito  da  altro  soggetto,
 condannato alla stessa pena pecuniaria, ma insolvibile.
    Rilevava,   infatti,   la  Corte  come  la  intrinseca  differente
 afflittivita' della pena pecuniaria, legata alla personale condizione
 economica del reo, superasse ogni ragionevolezza nel momento  in  cui
 dava   luogo,  in  conversione,  a  una  limitazione  della  liberta'
 personale  cosi'  profonda  come  quella  correlata  allo  stato   di
 detenzione,  a  maggior  ragione se si considera che tale conversione
 avveniva in forza di una situazione oggettiva del reo e, dunque, allo
 stesso non imputabile sotto il profilo soggettivo.
    Alla luce del principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art.
 3 della Costituzione, cardine dell'ordinamento repubblicano, la Corte
 individuava, pertanto, nel disposto dell'art. 136 del  c.p.  elementi
 di  discriminazione  nei confronti dei soggetti insolvibili, elementi
 che  non  potevano  essere  superati  sic et sempliciter in forza del
 principio di inderogabilita' della pena (da riferirsi all'irrogazione
 piu' che  all'esecuzione)  e  che  contrastavano,  altresi',  con  la
 funzione rieducativa della sanzione penale.
    Attese  le  censure  sopra  evidenziate,  la  Corte  auspicava  un
 intervento legislativo che  tenesse  conto  di  quanto  dalla  stessa
 esposto  e  che  operasse  nei modi dovuti sia in sede di irrogazione
 della pena pecuniaria, calibrando la stessa alle capacita' di reddito
 del reo, sia con riferimento alla fase  di  esecuzione,  individuando
 opportuni  accorgimenti  normativi  per  trovare un equilibrio fra il
 principio di inderogabilita' della pena e quello  di  uguaglianza  di
 ogni individuo di fronte alla legge.
    Alla   luce   di  tali  considerazioni  deve  leggersi  il  quadro
 legislativo determinatosi, dopo l'abrogazione dell'art. 136 del c.p.,
 con la legge n. 689 del 24 novembre 1981.
    In tema, infatti, di pena pecuniaria  il  legislatore  raccoglieva
 entrambi   i   suggerimenti   della   ecc.ma   Corte  costituzionale,
 introducendo l'art. 133-bis del c.p.  (facolta'  per  il  giudice  di
 sganciarsi dai limiti edittali in rapporto alle condizioni economiche
 del  reo,  art.  100  della  legge  n.  689/1981) e disciplinando una
 completa procedura di conversione della pena predetta negli artt. 102
 e segg. della indicata legge.
   Per quanto qui rileva, atteso l'ambito della  questione  sollevata,
 pare  potersi  sintetizzare  la  ratio della procedura di conversione
 introdotta con la legge n. 689/1981, secondo il seguente schema:
      il condannato insolvibile  vedeva  la  propria  pena  pecuniaria
 convertita  non  in pena detentiva, ma, seppur con lo stesso criterio
 di ragguaglio di cui all'art.  135  del  c.p.  (anch'esso  modificato
 dall'art. 101 della legge n. 689/1981), in una pena sostitutiva certo
 meno afflittiva, quale la liberta' controllata.
    L'identita'  dei criteri di ragguaglio contenuti nel predetto art.
 135 del c.p. e in quello di cui al terzo comma, dell'art.  102  della
 legge  n.  689/1981, rendeva manifesta la volonta' del legislatore di
 offrire  al  reo,  in  sede  di  conversione  pena   pecuniaria,   un
 trattamento  di  maggior  favore ed evidenziava, altresi', la stretta
 correlazione determinatasi fra le  norme  indicate.  Tale  identita',
 infatti,  rappresentava  la  garanzia  e  il  fondamento, allo stesso
 tempo, della piena conformita' alla Costituzione della  procedura  di
 conversione  introdotta, essendo il fulcro normativo della diversita'
 di trattamento di colui che non  puo'  incolpevolmente  assolvere  al
 pagamento della pena pecuniaria comminatagli, una diversita', dunque,
 necessaria e conforme all'art. 3 della Carta costituzionale;
      il condannato a pena pecuniaria, in liberta' controllata ex art.
 102  della  legge  n.  689/1981,  qualora  non  avesse adempiuto alle
 prescrizioni impostegli, vedeva ulteriormente  convertita,  ai  sensi
 dell'art.  108, primo comma della legge medesima, la pena sostitutiva
 in un pari periodo di pena detentiva, reclusione o arresto secondo la
 specie dell'originaria pena pecuniaria. L'aggravamento  del  criterio
 di conversione fra liberta' controllata e pena detentiva (1 giorno di
 liberta' controllata = 1 giorno di pena detentiva), rispetto a quello
 generale  di cui all'art. 57, terzo comma, della legge n. 689/1981 (1
 giorno di reclusione/arresto = 2  giorni  di  liberta'  controllata),
 testimoniava  la  volonta' del legislatore di sanzionare in modo piu'
 intenso  colui  al  quale fosse stata data l'opportunita', non avendo
 potuto pagare la  pena  pecuniaria,  di  non  incorrere  in  sanzione
 detentiva,   ma  che,  avendo  violato  le  prescrizioni  impostegli,
 meritava a causa di un comportamento colpevole, di  espiare  la  pena
 pecuniaria  in  forma  non  solo  detentiva, ma anche aggravata. Pare
 evidente, in sostanza, da  quanto  esposto,  che  il  recupero  della
 reclusione  o  dell'arresto  avvenisse,  in  sede di conversione pena
 pecuniaria, solo attraverso una condotta  illegittima,  riconducibile
 alla volonta' del reo e non a una condizione oggettiva, estranea allo
 stesso e dunque a lui non imputabile.
    L'indicato  aggravamento del ragguaglio fra liberta' controllata e
 pena detentiva, in rapporto a quello "ordinario" di cui all'art.  57,
 terzo comma, della legge n. 689/1981, peraltro, appariva ragionevole,
 nell'ottica  di chi ha concesso un trattamento di particolare favore,
 con  esito  infausto,  cosi'  come  ragionevole  risultava  l'entita'
 dell'aggravamento medesimo.
    Il  sistema  sopra  tratteggiato  e'  rimasto immutato, come si e'
 detto, senza andare incontro a  censure  di  costituzionalita',  fino
 all'entrata  in  vigore  dell'art. 1 della legge n. 402 del 5 ottobre
 1993, in forza del quale il criterio di ragguaglio  di  cui  all'art.
 135  del  c.p.  e' stato modificato, dovendosi ora computare per ogni
 giorno di pena detentiva L. 75.000 e non piu' L. 25.000. Quest'ultimo
 importo e', invece, rimasto immutato nell'art.  102  della  legge  n.
 689/1981, ignorato dalla legge di riforma ora citata.
    E'    questo   giudice   pienamente   consapevole   dell'autonomia
 concettuale dell'appena  ricordata  norma,  sotto  il  profilo  della
 diversita'  degli  istituti regolati, ma crede che la gia' richiamata
 contestualita'  delle  innovazioni  determinate  con  la   legge   n.
 689/1981,  sia  in  relazione  al  ragguaglio di cui all'art. 135 del
 c.p., sia in  rapporto  alla  conversione  pena  pecuniaria  per  gli
 insolvibili,  non sia stata casuale, bensi' sintomatica di un preciso
 impianto  normativo  voluto  dal  legislatore  per   adeguarsi   alle
 indicazioni   di   cui   alla   sentenza   n.  131/1979  della  Corte
 costituzionale.
    Reputa, in sostanza, questo magistrato, che la concordanza fra  le
 innovazioni   ora   citate,  in  punto  ragguaglio  pene  pecuniarie,
 corrispondesse alla volonta' di creare un  "sistema"  di  norme,  pur
 relative  a  diversi  istituti, la cui regolamentazione, tuttavia, si
 voleva fosse, sotto il profilo  de  quo,  uniforme  per  esigenze  di
 equita', di giustizia e non ultimo di logica.
    La modifica apportata con l'art. 1 della legge n. 402/1993 al solo
 art.  135  del  c.p.  pare  abbia  radicalmente  e  in modo inopinato
 stravolto il sistema ora delineato, segnando una completa  inversione
 della  ratio  che  aveva  sostenuto  il  legislatore  della  legge n.
 689/1981, il tutto, per quanto qui rileva,  non  tenendo  nel  debito
 conto  le problematiche costituzionali che con il sistema medesimo si
 era cercato di affrontare e risolvere.
    Sembra, infatti, che il quadro normativo odierno leda,  o  meglio,
 sacrifichi  il  difficile  equlibrio fra inderogabilita' della pena e
 principio di uguaglianza che con la legge del 1981 si era instaurato,
 in oggi, infatti, dovendo il reo, al  quale  va  convertita  la  pena
 pecuniaria,     subire     un     trattamento     ingiustificatamente
 discriminatorio.
    L'aver previsto che, in sede di conversione, un giorno di liberta'
 controllata valga L. 25.000, a fronte delle 75.000 previste dall'art.
 135  del  c.p.,  significa aver eliminato quel favor riservato al reo
 insolvibile dalla legge n. 689/1981, grazie soprattutto, si  torna  a
 sottolineare,  all'uniformita' dei criteri di ragguaglio fra la norma
 codicistica citata e l'art. 102, terzo comma, della legge medesima.
    Ecco, allora, perche' e' sorto il  dubbio  che  si  sia  venuto  a
 ricreare  un  quadro  normativo costituzionalmente censurabile, sotto
 profili analoghi a quelli  posti  a  fondamento  della  pronuncia  n.
 131/1979 di codesta ecc.ma Corte.
    Illuminante circa lo stravolgimento determinatosi nella materia de
 qua,  in seguito alla legge n. 402/1993, appare la considerazione che
 in oggi sarebbe piu' favorevole, rispetto alla procedura ex art.  102
 della  legge  n. 689/1981, convertire la pena pecuniaria direttamente
 in pena detentiva, secondo il  vecchio  disposto  dell'art.  136  del
 c.p.,  in relazione all'art. 135 del c.p. come modificato, atteso che
 il condannato,  pur  dovendo  subire  immediatamente  un  periodo  di
 reclusione o arresto, globalmente, se si considera quale parametro di
 afflittivita'  il  criterio  di  ragguaglio di cui all'art. 57, terzo
 comma, della legge n. 689/1981 (1 giorno di detenzione = 2 giorni  di
 liberta' controllata), andrebbe incontro, comunque, a una limitazione
 della  liberta'  personale  di  intensita'  inferiore.  Per scontare,
 infatti,  a  titolo  esemplificativo,  una  pena  pecuniaria  di   L.
 1.500.000, nel sistema previgente alla legge n. 689/1981, valutato il
 criterio  attuale di cui all'art. 135 del c.p., il reo avrebbe subito
 una  pena  detentiva  di  20  gg.,  equiparabile,   come   intensita'
 afflittiva, a 40 gg. di liberta' controllata; in oggi, la stessa pena
 pecuniaria  da'  luogo  a 60 gg. di liberta' controllata, ex art. 102
 della legge n. 689/1981,  equiparabile  a  30  gg.  di  reclusione  o
 arresto, sotto il profilo dell'afflittivita'.
    D'altronde,  il dubbio evidenziato trova ulteriore conforto, se si
 valutano le conseguenze che dalle norme vigenti si dovrebbero  trarre
 in  ordine  al  trattamento  del condannato insolvibile, qualora allo
 stesso si debba revocare  la  liberta'  controllata  comminatagli  in
 conversione pena pecuniaria, ex art. 108, della legge n. 689/1981. In
 tale  ipotesi,  infatti,  non  si  puo'  omettere di osservare che il
 condannato per "pagare" L. 75.000 di multa o ammenda, modulo base  di
 ragguaglio  fra pena detentiva e pecuniaria ex art. 135 del c.p., non
 dovrebbe scontare un  giorno  di  reclusione  o  arresto,  bensi'  il
 triplo,  il  che  costituisce un aggravamento del trattamento di tale
 intensita'  da  non  apparire  piu'  ragionevole,  come  quello,   al
 contrario,  che discendeva dall'uniformita' dei criteri di ragguaglio
 previsti dalla indicata norma  codicistica  e  dall'art.  102,  terzo
 comma, della legge n. 689/1981.
    Quanto  esposto  pone,  pertanto,  legittimamente il dubbio che la
 norma modificativa  introdotta  nel  1993,  nell'omettere  di  mutare
 entrambi   i   detti  criteri,  abbia  determinato  un'ingiustificata
 discriminazione  dei   soggetti   insolvibili   condannati   a   pena
 pecuniaria,  prevedendo per gli stessi un trattamento iniquo rispetto
 all'obiettivita' della loro situazione, con conseguente  sopravvenuta
 illegittimita'  costituzionale anche dello stesso ragguaglio previsto
 dall'immodificato art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981.
    A   sostegno,   infine,   del   dubbio   sollevato,    in    forza
 dell'irragionevolezza    della    scelta   normativa   effettuata   e
 dell'effetto  discriminante  ad  essa  conseguente,  sembra  doveroso
 considerare  che  le  stesse  ragioni,  legate a fattori economici ed
 obiettivi,  quali  costo  della  vita,  inflazione ecc., che ebbero a
 indurre il legislatore a modificare l'art. 135 del c.p., valgono sine
 dubio, se non a fortiori, con riferimento a predetto art.  102  della
 legge n. 689/1981.
     b)  Violazione  dell'art.  27  della  Costituzione,  primo comma,
 responsabilita'  personale,  condannato  insolvibile,   criterio   di
 ragguaglio della pena pecuniaria, carenza.
    L'articolo  della Costituzione ricordato in rubrica pare stabilire
 un  duplice  principio,  in  primis,  non  e'  ammessa   nel   nostro
 ordinamento  alcuna responsabilita' per fatto altrui, secondariamente
 non  e'  parimenti  compatibile  con   l'ordinamento   medesimo   una
 responsabilita'     incolpevole,     cioe'     non    e'    legittimo
 costituzionalmente che in una norma si stabilisca  una  sanzione,  in
 relazione a fatti o situazioni che esulano dalla sfera di dominio del
 soggetto e che sono a lui incolpevolmente pertinenti.
    Nel  caso  di  specie,  lo  squilibrio venutosi a creare a seguito
 della modifica dell'art. 135 del c.p., in  rapporto  al  terzo  comma
 dell'art.   102   della   legge   n.   689/1981,   pone  dubbi  sulla
 compatibilita' della vigente  normativa  con  il  secondo  principio,
 sopra   ricordato,   deducibile  dall'art.  27,  primo  comma,  della
 Costituzione.  L'eliminazione,  infatti,  della  diretta  conversione
 della    pena    pecuniaria   in   sanzione   detentiva,   in   forza
 dell'insolvibilita' del condannato,  disciplinata  con  la  legge  n.
 689/1981,   consentiva   di   ritenere   che   l'impossibilita'   per
 quest'ultimo di pagare multa o ammenda non determinasse di fatto  una
 sanzione  aggiuntiva a quella irrogata, attesa proprio l'atipicita' e
 la  limitata  afflittivita'  della  liberta'  controllata,   la   cui
 ulteriore  conversione  in  pena  detentiva  avveniva  in forza di un
 comportamento  colpevole  del  condannato  (non  aver  rispettato  le
 prescrizioni impostegli).
    Tale  situazione,  apparentemente  immutata, e' stata, in realta',
 del tutto stravolta, non potendosi, infatti, omettere di rilevare che
 il criterio  di  cui  all'art.  102,  terzo  comma,  della  legge  n.
 689/1981,  in  rapporto  a  quello  di  cui all'art. 135 del c.p., e'
 divenuto spropositatamente gravoso e, pur  non  dando  luogo  a  pena
 detentiva, impone al condannato una limitazione di liberta' personale
 che, proprio in forza del ragguaglio di cui all'art. 57, terzo comma,
 della legge n. 689/1981, risulta piu' afflittiva della detenzione.
    Da cio', dunque, si evince, come il legislatore sia in oggi venuto
 a  imporre al condannato, una sanzione aggiuntiva e non equivalente a
 quella irrogata, non riconducibile sotto  alcun  profilo  alla  sfera
 soggettiva del reo, la cui insolvibilita', infatti, viene considerata
 ai   fini   de   quibus  nella  sua  mera  e  oggettiva  sussistenza,
 indipendentemente dalle cause determinanti della stessa.
    Il mancato adeguamento, pertanto, del criterio di  ragguaglio,  in
 tema  di  conversione  pene  pecuniarie, consente a questo giudice di
 ritenere che il quadro normativo venutosi a creare con  l'intervenuta
 modifica apportata al solo art. 135 del c.p. dalla legge n. 402/1993,
 non sia compatibile con il principio costituzionale in rubrica, sotto
 il  profilo  dell'assoluta carenza della riconducibilita' al reo, con
 riferimento  alla  colpevolezza  in  ambito  penale,  della   propria
 condizione  di insolvibile, condizione dalla quale, tuttavia, in oggi
 il legislatore fa discendere in concreto una pena aggiuntiva.
     c)  Violazione dell'art. 27 della Costituzione, terzo comma, fine
 rieducativo  della  pena,   condannato   insolvibile,   criterio   di
 ragguaglio della pena pecuniaria, sproporzionalita', carenza.
    Devesi,  infine, rilevare che il differente criterio di ragguaglio
 previsto  dall'art.  102,  terzo  comma,  della  legge  n.  689/1981,
 rispetto  a  quello  codicistico,  come  modificato dall'art. 1 della
 legge n. 402/1993, solleva perplessita' anche in ordine al  carattere
 rieducativo che ogni pena dovrebbe possedere.
    Preliminarmente,  in  merito,  questo  magistrato  reputa che tale
 carattere debba potersi individuare in ogni pena, sia essa  detentiva
 o  pecuniaria,  non potendosi, infatti, giungere alla conclusione che
 la multa o l'ammenda  siano  irrogate  con  finalita'  esclusivamente
 retributive.
    Anche  la pena pecuniaria, infatti, ha in se' quella molteplicita'
 di  funzioni  che  discendono  dal  sistema  costituzionale  vigente,
 consistenti, oltre a quella retributiva, nella rieducazione del reo e
 nella  prevenzione  di  comportamenti  recidivanti, sia rispetto alla
 condotta futura di altri soggetti, sia in relazione al  singolo  gia'
 incorso nel reato.
    In  realta',  non  pare,  proprio  in  forza  dell'art.  27  della
 Costituzione, nonche' in relazione alle garanzie  poste  dalla  Carta
 costituzionale  in  punto di limitazione della liberta' e imposizione
 di prestazioni personali, che le funzioni proprie di ogni pena  siano
 fra  loro autonome o scindibili, tutte, al contrario, concorrendo fra
 loro a garantire il rispetto futuro della legge  e  a  consentire  il
 reinserimento del reo.
    Osservato  quanto  sopra,  allora,  non  ci  si  puo'  esimere dal
 rilevare come, in tema di conversione pene pecuniarie, il criterio in
 oggi vigente  risulti  carente  sotto  il  profilo  rieducativo,  sia
 stricto  sensu,  sia anche con riferimento alla prevenzione da futuri
 comportamenti del singolo gia' giudicato. L'idoneita' rieducativa  di
 una  pena,  infatti,  si  evince,  in  primis,  dalla  sua intrinseca
 capacita' di essere compresa dal reo e,  nella  sostanza  "condivisa"
 dallo  stesso;  cio',  tuttavia, puo' avvenire solo se, nel confronto
 con gli altri, in particolare, per  quello  che  qui  interessa,  con
 coloro  che  sono  stati  condannati  alla stessa pena, il reo non si
 senta vittima di un'ingiustizia, di  un  trattamento  immotivatamente
 differenziato.
    Nel   caso   di   specie,   al   contrario,  il  quadro  normativo
 determinatosi sembra incorrere in tale vizio,  non  essendovi  dubbio
 che  l'insolvibile,  condannato, per cause incolpevoli, alla liberta'
 controllata in conversione pena pecuniaria, non possa comprendere  di
 patire  una limitazione di liberta' nel complesso sproporzionatamente
 piu' afflittiva, rispetto a  quella  in  cui  incorrerebbe  se  fosse
 solvibile.
    Quanto   sopra,   in   sostanza,  pare  idoneo  a  determinare  il
 convincimento  nel  condannato  non  in  grado  di  pagare  la   pena
 pecuniaria,  che  l'emarginazione  economica,  e  dunque sociale, sia
 considerata dall'ordinamento come una  causa  di  aggravamento  della
 pena,  convincimento  del  tutto in contrasto con i principi portanti
 della  Carta  costituzionale,  nonche'  di  ogni  societa'  civile  e
 democratica.
    L'effetto  diseducativo,  disadattante, soprattutto per un minore,
 se non financo criminogeno di tale convincimento sembra palese e  non
 puo',  dunque, che confortare nel chiedere a codesta ecc.ma Corte una
 pronuncia anche con riferimento alla violazione in rubrica.
    IV. - Rilevanza della questione.
    La rilevanza della questione, che si intende qui sollevare, appare
 manifesta, considerato che questo giudice all'odierna udienza avrebbe
 dovuto  determinare  le  prescrizioni  per  la   comminata   liberta'
 controllata,  dando cosi' esecuzione alla stessa, nella misura legata
 al ragguaglio di L. 25.000 per giorno di pena sostitutiva.
    Non pare, peraltro, che la gia' avvenuta  conversione  della  pena
 pecuniaria,  con separato decreto di altro collega, possa determinare
 una sorta di giudicato sul criterio gia' applicato,  non  avendo  una
 tale   definitivita'   riscontro   normativo  ed  essendo,  comunque,
 previsto, in forza dell'art. 660 del  c.p.p.,  che  la  procedura  di
 conversione  si concluda con ordinanza, cioe' in seguito a udienza di
 sorveglianza.
    Atteso  quanto  sopra,  considerato   che   il   procedimento   di
 conversione in oggetto devesi ritenere in itinere, questo magistrato,
 ritenuti  sussistenti  dubbi  di  costituzionalita'  in  ordine  alla
 normativa  applicanda,  non  puo'  che   astenersi   dal   procedere,
 rimettendo  gli  atti  a codesta ecc.ma Corte, a pena di incorrere in
 una  consapevole  probabile  violazione  di  legge,  anzi  di   norme
 costituzionali.
    V. - Non manifesta infondatezza.
    Le  ragioni  sopra  esposte  consentono di ritenere sussistente il
 requisito  indicato  in  rubrica,  almeno   nel   convincimento   del
 giudicante,    che   solleva   d'ufficio   la   presente   questione,
 convincimento  rafforzato  dall'inopportunita',  stante  la  indicata
 sentenza  n.  2288/1994  della Corte di cassazione, di forzare, sulla
 base di argomentazioni sistematiche, l'ambito applicativo dell'art. 1
 della legge n. 402/1993, al fine di  operare  in  via  interpretativa
 l'adeguamento  anche  del criterio di ragguaglio di cui all'art. 102,
 terzo comma, della legge n. 689/1981, onde garantire e  mantenere  la
 costituzionalita' della procedura di conversione ivi disciplinata.
                               P. Q. M.
    Visto  l'art.  23  della  legge  11 marzo 1953, n. 57 e l'art. 134
 della Costituzione;
    Ritenuta la questione di seguito sollevata  rilevante  nell'ambito
 del  procedimento  per  la  conversione  pena  pecuniaria di cui alla
 sentenza 14 gennaio  1993  del  g.u.p.  presso  il  tribunale  per  i
 minorenni  di Catania, a carico di Mauceri Corrado, nato a Pachino il
 20 aprile 1975;
    Ritenuta la questione medesima non manifestamente infondata;
    Solleva, nanti la ecc.ma Corte  costituzionale,  la  questione  di
 legittimita' dell'art. 1 della legge n. 402 del 5 ottobre 1993, nella
 parte  in  cui non modifica il criterio di ragguaglio di cui all'art.
 102, terzo comma, della legge n. 689 del 24 novembre  1981,  relativo
 alla  conversione  di  pene pecuniarie per i soggetti insolvibili, in
 ragione di un giorno di liberta' controllata per L. 25.000 di multa o
 ammenda, con conseguente  sopravvenuta  illegittimita'  dello  stesso
 art. 102, terzo comma, della legge n. 689/1981, in ordine al criterio
 di  ragguaglio  ivi  previsto,  con riferimento per entrambe le norme
 agli  artt.  3,  primo  comma  e  27,  primo  e  terzo  comma,  della
 Costituzione;
    Sospende il procedimento in attesa del giudizio della ecc.ma Corte
 costituzionale;
    Ordina trasmettersi gli atti alla ecc.ma Corte costituzionale;
    Ordina,  a cura della cancelleria, che la presente ordinanza venga
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata  al
 Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della
 Repubblica.
      Catania, addi' 12 novembre 1994
                 Il magistrato di sorveglianza: FABRIS
 
 95C0314