N. 139 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 dicembre 1994

                                N. 139
 Ordinanza  emessa il 15 dicembre 1994 dal pretore di Tempio Pausania,
 sez. distaccata di Olbia nel procedimento penale a  carico  di  Scanu
 Gian Piero ed altri
 Inquinamento  -  Scarichi  provenienti  da  pubbliche  fognature  che
    superino i limiti di accettabilita'  di  cui  alle  tabelle  della
    legge  n. 319/1976 e attivazione degli stessi senza aver richiesto
    la  preventiva  autorizzazione  -  Lamentata  depenalizzazione   -
    Disparita'  di  trattamento  rispetto  ad  ipotesi  meno gravi, ma
    punite  con  maggior  severita'  -   Irragionevolezza   -   Omesso
    adeguamento  alla  direttiva  CEE  n.  271/1991  - Sottrazione del
    potere legislativo al Parlamento per  reiterazione  a  catena  dei
    decreti-legge,  peraltro  nemmeno  identici tra loro - Conseguente
    diversa sorte processuale per gli imputati di stessi fatti secondo
    la vigenza dei decreti-legge medesimi - Carenza dei presupposti di
    urgenza e necessita'.
 (D.-L. 16 novembre 1994, n. 629, artt. 3 e 6, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 10, 70 e 77).
(GU n.11 del 15-3-1995 )
                              IL PRETORE
    Nel presente  dibattimento  il  p.m.  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3 e 6, secondo comma, del
 d.-l. 16 dicembre 1994, n. 629 in relazione agli artt. 3, 10, 70 e 77
 della Costituzione.
    Il  pretore  ritiene  che  l'eccezione   sia   rilevante   e   non
 manifestamente infondata.
    In  relazione  alla  rilevanza  i  prevenuti  sono  imputati della
 violazione degli artt. 21,  primo  e  terzo  comma,  della  legge  n.
 319/1976.
    Tali  reati sono a giudizio di questo pretore, stati depenalizzati
 dagli artt. 3 e 6, secondo comma del d.-l. n. 629/1994.
    Dal che si deduce  la  rilevanza  dell'eccezione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata.
    Circa  la  non  manifesta  infondatezza,  di  concerto  con quanto
 sostenuto dal p.m. si osserva quanto segue:
    1) Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    L'art. 3 del d.-l. n. 629/1994 ha depenalizzato il superamento dei
 limiti di accettabilita' stabiliti dalle tabelle allegate alla  legge
 n.  319/1976  fatta  eccezione  per  gli  scarichi  provenienti dagli
 insediamenti produttivi.
    Precedentemente  all'emissione  dei  vari  decreti-legge  in  tale
 materia,  succedutisi  dal  novembre  1993,  la  normativa  stabilita
 dall'art. 21, terzo comma, della legge n.  319/1976  si  applicava  a
 tutti gli scarichi qualunque ne fosse l'origine.
    Occorre  allora  evidenziare  che  non  puo'  ritenersi  opportuno
 accomunare nella depenalizzazione gli scarichi da insediamenti civili
 e quelli dalle pubbliche fognature,  poiche'  questi  ultimi  possono
 essere  provenienti  anche  da  insediamenti  produttivi  e come tali
 certamente piu' pericolosi.
    Quindi se puo' condividersi l'intento del legislatore di applicare
 la sola sanzione amministrativa ai primi, non puo' non aversi qualche
 dubbio  per  la  probabile  maggior  pericolosita'  relativamente  ai
 secondi.
    La  nuova  disciplina  si  fonda  evidentemente per il criterio di
 differenziazione  degli  scarichi,  non  sulla   reale   possibilita'
 inquinante  degli  stessi,  ma  sulla  qualifica  del  titolare dello
 scarico: lo scarico della pubblica fognatura  viene  comunque  punito
 con  sanzione amministrativa, qualunque sia il superamento dei limiti
 tabellari  ed  il  danno  ambientale;  lo  scarico  da   insediamento
 produttivo  viene  sempre  punito  con  la  sanzione  penale anche se
 dovesse risultare poco inquinante.
    Sotto tale profilo la violazione dell'art.  3  della  Costituzione
 appare non manifestamente infondata.
    Va  inoltre  considerato  come la giurisprudenza abbia sempre piu'
 concretamente valutato non tanto la provenienza quanto lo scarico nei
 suoi  componenti  ai  fini  della  valutazione  del   reale   impatto
 ambientale.
    Altro  profilo  di  violazione  dell'art. 3 della Costituzione per
 disparita' di trattamento emerge dal confronto fra l'art. 3 del d.-l.
 n. 629/1994 e l'art. 23, primo comma, della legge n. 319/1976.
    Accade infatti che una condotta che  e'  concretamente  inquinante
 come   quella   dell'effettuazione  di  uno  scarico  della  pubblica
 fognatura con superamento dei limiti tabellari non costituisce reato,
 mentre  l'attivazione  di  uno  scarico  prima  del  rilascio   della
 richiesta  autorizzazione  costituisce  fatto  penalmente  punito pur
 essendo solo una violazione formale.
    Sotto il medesimo profilo si rileva una disparita' di  trattamento
 dalla  lettura  confrontata dell'art. 23, primo comma, della legge n.
 319/1976 e l'art. 6, secondo comma, del d.-l.  n.  629/1994.  Infatti
 viene  assoggettata  a  sanzione penale la condotta di chi attiva uno
 scarico  delle   pubbliche   fognature   prima   che   la   richiesta
 autorizzazione   sia   stata   concessa,   mentre   integra  illecito
 amministrativo la condotta di chi attivi uno scarico delle  pubbliche
 fognature  senza  aver  richiesto  l'autorizzazione, fatto certamente
 piu' grave poiche' in questo caso nessun controllo  viene  effettuato
 dal soggetto titolare del potere autorizzatorio.
    Situazione  che  va inoltre valutata e che appare poco ragionevole
 e' anche quella relativa al fatto che l'art. 3 del d.-l. n.  629/1994
 prevede per il superamento dei limiti di accettabilita', il pagamento
 di  una  somma  inferiore  a quella che l'art. 6 stesso decreto-legge
 prevede per l'apertura l'effettuazione di  uno  scarico  di  pubblica
 fognatura senza aver richiesto l'autorizzazione.
    Quindi  viene  applicata  una  sanzione  piu'  grave  al  pubblico
 amministratore che non richiede l'autorizzazione  rispetto  a  quello
 che effettua uno scarico inquinante.
    Tali  disparita'  di  trattamento  e  violazione  del principio di
 ragionevolezza non  trovano  motivi  ne'  giustificazioni  logiche  e
 quindi appaiono violazioni del principio di uguaglianza.
    2) Violazione dell'art. 18 della Costituzione.
    In  relazione  all'art.  10  della  Costituzione  il  sospetto  di
 incostituzionalita' si evince dal fatto che le  norme  del  d.-l.  n.
 629/1994  non  si  conformano alla direttiva CEE n. 271 del 21 maggio
 1991, direttiva che regola le acque reflue urbane  e  che  il  nostro
 ordinamento  avrebbe  dovuto  recepire  sin  dal  30  giugno 1993 per
 imposizione della direttiva stessa  ed  in  conformita'  del  dettato
 costituzionale che impone tale uniformazione.
    In  particolar  modo tale direttiva effettua una netta distinzione
 fra le acque reflue  civili  e  quelle  industriali  nell'ambito  dei
 reflui  urbani, in ragione della concreta potenzialita' inquinante di
 quelli industriali, e collegando di conseguenza agli stessi una  piu'
 severa disciplina (artt. 2, 11 e 13).
    Tale  principio  viene  completamente disatteso dalle norme di cui
 agli artt. 3 e 6,  secondo  comma,  del  d.-l.  n.  629/1994  che  al
 contrario  riservano  un  identico  trattamento  a tutti gli scarichi
 delle pubbliche fognature, a prescindere  dalle  acque  che  in  esse
 affluiscono,  facendo  cio'  consapevolmente visto che il legislatore
 precisa all'art. 1, quarto  comma,  del  d.-l.  n.  629/1994  che  le
 disposizioni del decreto si applicano in attesa dell'attuazione della
 direttiva CEE predetta.
    E  cio'  va aggiunto al mancato rispetto del termine del 30 giugno
 1993 per l'adeguamento della legislazione italiana alla direttiva CEE
 n. 271/1991 ed alla considerazione che la stessa Corte costituzionale
 ha piu' volte affermato la necessita'  che  vengano  disapplicate  le
 norme  interne  in  contrasto  con  quelle  comunitarie  direttamente
 applicabili nell'ordinamento interno.
    3) Violazione degli artt. 70 e 77 della Costituzione.
    Con  la  reiterazione  nella  disciplina  degli  scarichi   civili
 produttivi   e   delle   pubbliche  fognature  di  decreti-legge  non
 convertiti per il  periodo  di  piu'  di  un  anno  si  e'  di  fatto
 concretizzata una sottrazione al Parlamento del potere di disporre in
 materia penale con conferimento di tale potere all'Esecutivo.
    Invece  la  riserva  di  legge  in  materia penale impone che tale
 disciplina  venga  stabilita  dal  Parlamento  con  possibilita'  che
 vengano  emessi  decreti-legge  o  decreti  legislativi  purche'  sia
 garantito il predominio del Parlamento in quanto o soggetto delegante
 o attraverso la legge di conversione che deve intervenire a  pena  di
 decadenza del decreto-legge, entro sessanta giorni.
    La  reiterazione  dei  decreti-legge  nella  stessa materia denota
 altresi' la carenza di requisiti della necessita' e dell'urgenza  che
 se  potevano  essere  ritenuti  esistenti  con  riferimento  al primo
 decreto-legge sono senza dubbio venuti meno a distanza di piu' di  un
 anno con riferimento all'ultimo decreto-legge.
    Tale  periodo invero appare ragionevolmente sufficiente perche' il
 Parlamento possa legiferare.
    Ultima considerazione da svolgere e' quella che  proprio  a  causa
 della  reiterazione  per  oltre  un  anno, quindi per lungo tempo, di
 decreti-legge  non  convertiti,  parzialmente   diversi   quanto   al
 contenuto l'uno dall'altro, si potranno verificare effetti definitivi
 della  sentenza  come  il  giudicato, con la concreta possibilita' di
 giudicare  identiche  situazioni  in maniera diversa sulla base della
 vigenza dell'uno o dell'altro decreto-legge. Tale conseguenza integra
 certamente una disparita' di trattamento inammissibile.
    In conclusione si vuole specificare che, pur tenendo presente  che
 il  decreto-legge in questione dovra' essere convertito entro qualche
 giorno e che in caso contrario perderebbe efficacia, tuttavia  questo
 giudice  non  inviando  la  questione  alla  Corte costituzionale per
 sottoporla al suo esame, dovrebbe decidere  oggi  sulla  base  di  un
 decreto-legge,  quello  n.  629/1994  che  presenta a suo giudizio in
 relazione  agli  articoli  di  legge  da   applicare   nel   presente
 procedimento penale, profili di illegittimita' costituzionale.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 3 e  6,  secondo  comma,  del
 d.-l.  n. 629/1994 (in data 16 novembre 1994) in relazione agli artt.
 3, 10, 70 e 77 della Costituzione;
    Ordina la sospensione  del  giudizio  e  l'immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  per la comunicazione al
 Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della
 Repubblica.
                          Il pretore: CIALONI
 
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