N. 171 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 1995

                                N. 171
 Ordinanza emessa il 27 gennaio 1995 dal pretore di  Ferrara,  sezione
 distaccata  di  Comacchio nel procedimento penale a carico di Luciani
 Cesare
 Inquinamento - Scarichi di pubbliche fognature eccedenti i limiti
    tabellari previsti da leggi  regionali  (nella  specie:    Emilia-
    Romagna)   -   Lamentata  depenalizzazione  -  Irragionevolezza  -
    Disparita' di trattamento  rispetto  ad  ipotesi  meno  gravi,  ma
    punite  con  maggior  severita' - Lesione del diritto all'ambiente
    salubre - Omesso adeguamento con le norme CEE in  particolare  con
    la   direttiva   n.   271/1991  -  Penalizzazione  dell'iniziativa
    economica  privata,  in  specie:   aziende   che   abbiano   fatto
    investimenti  per  adeguare  gli impianti alla normativa attuale -
    Violazione del principio di riserva di legge in materia penale per
    reiterazione  a  catena  dei   decreti-legge   -   Disparita'   di
    trattamento  tra  fattispecie  identiche,  ma  giudicate  sotto la
    vigenza di diversi decreti-legge -  Carenza  dei  requisiti  della
    "necessita' ed urgenza" necessari per l'emanazione degli stessi.
 (D.-L. 16 gennaio 1995, n. 9, art. 3).
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32, 41 e 77).
(GU n.14 del 5-4-1995 )
                              IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale a
 carico di Luciani Cesare, imputato del  reato  di  cui  all'art.  21,
 primo  e terzo comma, della legge n. 319/1976, per avere, in qualita'
 di sindaco del comune di Comacchio, effettuato in acque  superficiali
 (Valle  Molino)  uno scarico proveniente dall'impianto di depurazione
 del comune, avente parametri superiori ai limiti di accettabilita' di
 cui alle leggi regionali n. 7/1983 e n. 42/1986.
                             O S S E R V A
    Che il p.m. d'udienza dott. Alberto Bonatti ha richiesto pronuncia
 di questo pretore in ordine all'ipotesi di non manifesta infondatezza
 e  rilevanza  della  questione  di legittimita' degli artt. 3 e 6 del
 d.-l. n. 9/1995 per violazione degli artt. 3, 9, 32, 10, 41, 25 e  77
 della   Costituzione,   con   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
 costituzionale.
    Osserva il pretore che la richiesta e' fondata e ritiene  pertanto
 di  dover  dichiarare  rilevante  e non manifestamente infondata, per
 violazione degli artt. 3, 9, 10,  41  e  77  della  Costituzione,  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 3 del d.-l. 16
 gennaio 1995 n. 9.
    1) Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    L'art. 3 del d.-l. n. 9/1995 ha depenalizzato tutte le ipotesi  di
 superamento dei limiti di accettabilita' di cui alle tabelle allegate
 alla  legge n. 319/1976, fatta eccezione per gli scarichi provenienti
 da insediamenti produttivi.
    Nel contesto sanzionatorio della legge n. 319/1976,  per  come  si
 delineava prima delle diverse modifiche apportate con i decreti-legge
 succedutisi  dal  15  novembre  1993  ad  oggi,  il  reato piu' grave
 appariva essere quello previsto dal terzo comma  dell'art.  21.  Tale
 normativa,  anche  alla  luce  della sentenza n. 1766/1993 delle s.u.
 della Cassazione era applicabile a tutti gli scarichi, quale  che  ne
 fosse la provenienza.
    Ora,  se puo' essere ritenuto ragionevole l'intento legislativo di
 sanzionare solo amministrativamente gli  scarichi  provenienti  dagli
 insediamenti   civili  (potendosi  presumere  che  gli  stessi  siano
 normalmente caratterizzati da un carico  inquinante  minore  rispetto
 agli scarichi degli insediamenti produttivi e quindi meno dannosi per
 l'ambiente), non altrettanto puo' dirsi con riferimento agli scarichi
 delle  pubbliche fognature. Infatti, a queste ultime possono affluire
 anche scarichi provenienti  da  insediamenti  produttivi  (evenienza,
 questa disciplinata gia' nel corpo normativo della legge Merli e poi,
 sotto  il  profilo  piu'  squisitamente  tecnico,  dalla  delibera 30
 dicembre 1980 del Comitato  interministeriale  per  la  tutela  delle
 acque dall'inquinamento e recentemente dalla direttiva CEE n. 271 del
 21  maggio  1991)  per  cui  non  e'  possibile  fondare  un giudizio
 preventivo e generale di minor pericolosita'.
    Alla stregua della  disciplina  sanzionatoria  introdotta  con  il
 d.-l.  n.  9/1995 dunque, mentre l'esercizio di un singolo scarico da
 insediamento produttivo, in violazione delle  tabelle  allegate  alla
 legge  n.  319/1976,  viene  sanzionato  penalmente  anche qualora il
 superamento dei limiti tabellari sia  modesto,  costituisce,  invece,
 semplice  illecito  amministrativo  l'esercizio  dello scarico di una
 pubblica fognatura alla quale affluisce una  pluralita'  di  scarichi
 provenienti  da  insediamenti  produttivi,  anche  qualora lo scarico
 terminale superi in maniera rilevante i limiti tabellari  ed  apporti
 quindi un concreto nocumento alla situazione ambientale.
    Pertanto  la  nuova  normativa  fonda  la  differenziazione  della
 disciplina sanzionatoria non gia', come  sarebbe  ragionevole,  sulla
 potenzialita'  inquinante (sia pure presunta) degli scarichi e quindi
 sulla gravita' del fatto ma, in ultima analisi, sulla  qualifica  del
 soggetto   titolare  dello  scarico  terminale  (imprenditore  ovvero
 amministrazione pubblica).
    Ancora  piu'  corposo  si  manifesta  il  sospetto  di  violazione
 dell'art.   3   della  Costituzione  ove  si  confronti  la  condotta
 depenalizzata dall' art. 3 del d.-l. n. 9 con quella dallo stesso non
 modificata, prevista  dall'art.  23,  primo  comma,  della  legge  n.
 319/1976  e per la quale e' prevista la pena dell'ammenda fino a lire
 5 milioni. Tale ultima, norma, infatti,  prevede  la  sanzione  sopra
 indicata  per "chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi prima
 che l'autorizzazione da lui  richiesta  nelle  forme  prescritte  sia
 stata  concessa".  Ne  deriva  la  paradossale  conseguenza  che  una
 condotta in concreto inquinante come quella di effettuare scarichi di
 pubbliche fognature superando i limiti di  tollerabilita'  e'  punita
 con  una  mera sanzione amministrativa mentre una violazione formale,
 quale quella  rappresentata  dall'avere  attivato  uno  scarico  (non
 necessariamente   inquinante)   prima   che   l'autorizzazione,  gia'
 richiesta, sia  stata  rilasciata,  costituisce  una  fattispecie  di
 rilievo penale.
    Infine  un'ulteriore  violazione  del  limite della ragionevolezza
 deriva dalla circostanza che l'art. 3 del d.-l. n. 9/1995 prevede  il
 pagamento  di una somma da lire tre milioni a lire trenta milioni per
 l'inosservanza dei limiti di accettabilita' di cui all'art. 21, terzo
 comma, della legge  n.  319/1976,  mentre  l'articolo  6  prevede  la
 diversa  maggiore  sanzione  del pagamento di una somma da lire dieci
 milioni a lire  cento  milioni  per  chi  apre  o  comunque  effettua
 scarichi  delle  pubbliche  fognature,  servite  o  meno  da impianti
 pubblici di depurazione, senza avere richiesto l'autorizzazione.  Con
 riferimento   al   caso  di  specie,  quindi,  verrebbe  punito  piu'
 severamente l'amministratore pubblico che non chiede l'autorizzazione
 quando deve consentire l'apertura di un nuovo scarico  fognario  (che
 potrebbe   in   ipotesi  non  avere  carattere  inquinante)  rispetto
 all'amministratore  che,   indipendentemente   dalla   richiesta   di
 autorizzazione,  dispone  l'effettuazione  di  uno  scarico  fognario
 sicuramente inquinante.
    2)  Violazione  degli  artt.  9,  secondo  comma,  e   32,   della
 Costituzione.
    Secondo  la giurisprudenza costituzionale il concetto di paesaggio
 deve intendersi come "ambiente naturale", come  ecosistema.  Ora,  la
 mancata  previsione  di  una  norma penale che sanzioni comportamenti
 profondamente   incidenti   sulla   qualita'   dell'ambiente,    come
 l'effettuazione  di  scarichi  di  pubbliche fognature che superino i
 limiti di accettabilita'; o l'attivazione dei predetti scarichi senza
 avere  richiesto  la   preventiva   autorizzazione,   determina   una
 diminuzione  dell'efficacia  preventiva e dissuasiva della disciplina
 di cui si tratta. Tale disciplina, inoltre, poiche'  non  differenzia
 il  trattamento  sanzionatorio a seconda della natura delle acque che
 recapitano nelle pubbliche fognature e, quindi,  in  base  alla  loro
 effettiva  potenzialita'  inquinante, ma solo in base al dato formale
 della  provenienza  (da  insediamenti  produttivi  o   da   pubbliche
 fognature),  non  permette  una  adeguata  e  sostanziale  tutela del
 paesaggio.
    Da  quanto  sopra esposto deriva pure il sospetto di contrasto tra
 le norme ordinarie e l'art.  32  della  Costituzione  che  tutela  il
 diritto  alla  salute  giacche' tale diritto ricomprende per costante
 giurisprudenza costituzionale il diritto all'ambiente salubre.
    3) Violazione dell'art. 10 della Costituzione.
    Deve rilevarsi la mancata conformazione  alle  norme  adottate  in
 sede  comunitaria  in materia di acque reflue urbane con la direttiva
 CEE n. 271  del  21  maggio  1991  in  quanto  norme  cui  il  nostro
 ordinamento  giuridico  e' tenuto costituzionalmente ad uniformarsi e
 che, ai sensi della predetta direttiva, avrebbe gia' dovuto  recepire
 dal  30 giugno 1993. In particolare l'art. 2 della direttiva pone una
 netta distinzione nell'ambito delle acque reflue urbane, tra le acque
 reflue domestiche e le acque  reflue  industriali.  Distinzione  alla
 quale   e'   collegata  poi  una  diversa  disciplina  fondata  sulla
 necessita' per le acque reflue industriali che  affluiscono  in  reti
 fognarie, di regolamentazione ed autorizzazioni specifiche nonche' di
 specifici  controlli  (artt.  11  e  13).  Inoltre, la direttiva CEE,
 stabilisce, al fine di evitare  negative  conseguenze  sull'ambiente,
 specifici   requisiti  per  le  sole  acque  reflue  industriali  che
 confluiscono in reti fognarie  e  non  invece  per  le  acque  reflue
 domestiche che hanno il medesimo sbocco (all. 1C).
    Ora,   poiche'   nell'ambito  della  direttiva  comunitaria  sopra
 indicata la natura  delle  acque  che  confluiscono  nelle  pubbliche
 fognature  rappresenta  elemento qualificante ai fini della normativa
 che  ne  regolamenta  lo  scarico,  deve  concludersi  che  l'attuale
 disciplina  statuale,  con  riferimento in particolare all'art. 3 del
 d.-l.   n.   9/1995   in   quanto   prescinde   completamente   dalla
 considerazione    dell'elemento   discriminante   dinanzi   indicato,
 riservando  un  identico  trattamento  sanzionatorio  per   qualsiasi
 scarico  delle  pubbliche  fognature,  quale  che sia la natura delle
 acque che in esse  affluiscono,  e'  in  evidente  contrasto  con  la
 direttiva comunitaria.
    Del resto il legislatore appare ben consapevole di tale contrasto,
 atteso che ha precisato all'art. 1, quarto comma, del d.-l. n. 9/1995
 che  "le  disposizioni  del  presente  decreto si applicano in attesa
 dell'attuazione della direttiva n. 91/271 CEE del 21 maggio 1991". Ed
 e' particolarmente grave  che  lo  Stato  italiano,  gia'  due  volte
 condannato  dalla Corte europea di giustizia per la permissivita' del
 sistema autorizzatorio e per l'inadeguatezza delle  sanzioni  contem-
 plate dall'art. 22 della legge Merli (Corte di gius. 28 febbraio 1991
 e 13 dicembre 1990), ed ormai inadempiente rispetto al termine del 30
 giugno  1993,  previsto  per  l'adeguamento della normativa nazionale
 alla direttiva CEE n. 271 del 21 maggio 1991, continui  a  legiferare
 in  via  d'urgenza in contrasto con la predetta disciplina, azzerando
 del tutto gli obblighi autorizzatori.
    E cio' accade in una situazione in cui la costante  giurisprudenza
 della  Corte costituzionale afferma che tutti i soggetti competenti a
 dare esecuzione alle leggi sono giuridicamente tenuti a  disapplicare
 le   norme   interne   incompatibili  con  la  normativa  comunitaria
 direttamente applicabile nell'ordinamento  interno  (Corte  cost.  11
 luglio 1989, n. 389.
    4) Violazione dell'art. 41 della Costituzione.
    L'   art.  41,  secondo  comma,  della  Costituzione  prevede  che
 l'iniziativa economica privata non puo' svolgersi  in  contrasto  con
 l'utilita'  sociale  e a tale norma viene generalmente ricondotto, al
 fine di fornirgli  veste  costituzionale,  il  principio  comunitario
 espresso in numerose direttive in materia ambientale del "chi inquina
 paga".
    In  proposito  e'  anche  da  ricordare  la  sentenza  della Corte
 costituzionale n. 127 del 16 marzo 1990 la quale ha  negato  che  "il
 costo  eccessivo"  possa  giustificare  la mancata adozione, da parte
 delle imprese, delle migliori tecnologie disponibili per  ridurre  le
 emissioni  inquinanti).  Ora,  appare  chiaro che le citate norme del
 decreto, laddove escludono la sanzionabilita' penale per gli scarichi
 delle pubbliche fognature, pur se agli stessi affluiscano scarichi da
 insediamenti produttivi, vengono di fatto a penalizzare anche sul pi-
 ano della libera concorrenza, quelle imprese che, servite da scarichi
 che  non  recapitano  in  pubbliche  fognature   abbiano   affrontato
 rilevanti  investimenti per adeguare i propri impianti alla normativa
 in vigore e si trovino  magari  esposte  al  rischio  della  sanzione
 penale  (art.  23,  legge n. 319/1976) per avere iniziato l'attivita'
 prima di avere formalmente ottenuto l'autorizzazione richiesta.
    5) Violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione.
    Il principio della riserva di legge in  materia  penale  possiede,
 quale  primo e fondamentale significato, quello secondo cui le scelte
 di politica criminale  sono  monopolio  esclusivo  del  Parlamento  e
 l'ammissibilita'  che  nuove norme di diritto penale siano introdotte
 attraverso decreti-legge  o  decreti  legislativi  e'  connessa  alla
 circostanza  che,  in  entrambi  i casi si realizzi e sia assicurato,
 comunque, l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata, ora
 quale organo delegante (art. 76 della Costituzione), ora quale organo
 cui e' rimesso il  potere  di  conferire  stabilita'  e  durevolezza,
 attraverso la legge di conversione, a disposizioni normative precarie
 e  soggette  a  decadenza  in  caso di inutile decorso del termine di
 sessanta  giorni  dettato   dall'art.   77,   ultimo   comma,   della
 Costituzione.
    Nella  materia  in  questione  invece, con la reiterazione di vari
 decreti-legge  mai  convertiti  si  e'  realizzata,  di   fatto,   la
 sottrazione  al  Parlamento della sua esclusiva competenza a disporre
 in  materia  penale,  con   l'inammissibile   assunzione   da   parte
 dell'esecutivo  del relativo potere di bilanciamento e di valutazione
 degli interessi che in materia  penale  e'  di  esclusiva  competenza
 dell'organo assembleare rappresentativo della sovranita' popolare.
    La  prassi  della reiterazione dei decreti-legge in materia penale
 con contenuto identico  ovvero,  talvolta,  come  nella  specie,  con
 contenuto  diverso,  ha  come  conseguenza di sottrarre, di fatto, al
 Parlamento la possibilita' prevista dall'art. 77, ultimo comma, della
 Costituzione, di regolare con legge i rapporti giuridici sorti  sulla
 base  dei decreti non convertiti. E' evidente che, se la reiterazione
 dei decreti nella stessa materia si protrae per un anno, si  potranno
 determinare  effetti  definitivi quale il giudicato, non modificabili
 in sede giudiziaria, con la conseguente gravissima  compressione  dei
 diritti  dei  singoli,  resa ancora piu' incisiva dalla disparita' di
 trattamento che potrebbe verificarsi ove due  fattispecie  identiche,
 ma  giudicate  sotto  la vigenza di un diverso decreto-legge, vengano
 diversamente giudicate.
    Va ulteriormente osservato che la reiterazione a catena, per circa
 un anno di diversi decreti-legge in relazione  alla  stessa  materia,
 denota  in  modo  palese,  con  specifico  riferimento all'ultimo dei
 decreti emanati,  la  carenza  dei  requisiti  della  "necessita'  ed
 urgenza".  Requisiti  che,  se  possono  ipotizzarsi  come  esistenti
 rispetto al primo dei decreti, certamente sono venuti meno ad un anno
 di distanza e cioe' dopo un periodo di tempo tale  da  consentire  la
 normale legiferazione del Parlamento in via ordinaria.
    In  ordine  alla rilevanza, ove si ritenesse la legittimita' dell'
 art.  3  del  d.-l.  n.   9/1995,   quest'ultimo   dovrebbe   trovare
 applicazione  al  caso  di  specie,  con  conseguente declaratoria di
 assoluzione per non essere il fatto  imputato  previsto  dalla  legge
 come reato.
    Dalle  considerazioni esposte, si desume che il presente giudizio,
 allo stato e vigente il d.-l. n. 9/1995 non puo' essere  definito  in
 modo  indipendente  dalla risoluzione della questione di legittinita'
 costituzionale.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per  violazione
 degli  artt.  3,  9,  32,  10,  41,  25  e  77 della Costituzione, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  3  del  d.-l.  16
 gennaio  1995  n.  9,  concernente  "Modifiche  alla disciplina degli
 scarichi delle pubbliche fognature e degli  insediamenti  civili  che
 non recapitano in pubbliche fognature";
    Sospende il processo in corso e dispone la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata all'imputato, al suo  difensore,  al  pupplico  ministero,
 nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri e comunicata al
 Presidente della Camera dei deputati  ed  al  Presidente  del  Senato
 della Repubblica.
      Ferrara-Comacchio, addi' 27 gennaio 1995
                         Il pretore: BARONCINI
 
 95C0370