N. 176 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 febbraio 1995

                                N. 176
 Ordinanza  emessa  il  4  febbraio  1995 dal pretore di Roma, sezione
 distaccata di Tivoli nel procedimento penale a carico  di  Ceccarelli
 Ferdinanda ed altro
 Inquinamento - Scarichi eccedenti i limiti tabellari previsti dalla
    legge  n. 319/1976 - Lamentata depenalizzazione - Irragionevolezza
    - Disparita' di trattamento rispetto ad  ipotesi  meno  gravi,  ma
    punite  con  maggior  severita' - Lesione del diritto all'ambiente
    salubre  -  Omesso  adeguamento   con   le   norme   del   diritto
    internazionale,  in  particolare  con  quelle CEE - Violazione del
    principio di riserva di legge in materia penale per reiterazione a
    catena dei decreti-legge  -  Conseguente  sottrazione  del  potere
    legislativo al Parlamento.
 (D.-L. 16 novembre 1994, n. 629, art. 4, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 10, 11, 25, 32 e 77).
(GU n.14 del 5-4-1995 )
                              IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento penale n.
 84/1995 r.g. a carico di Ceccarelli  Fernanda  e  Martucci  Pacifico,
 imputati del reato di cui agli artt. 110, 81 del c.p. e 21 e 25 della
 legge  n.  319/1976,  alla  pubblica  udienza  del 25 gennaio 1995 ha
 pronunciato la sotto estesa ordinanza di rimessione degli  atti  alla
 Corte  costituzionale  per il giudizio di costituzionalita' dell'art.
 4, secondo comma, del d.-l. 16 novembre 1994, n.  629,  in  relazione
 agli artt. 3, 10, 11, 25, 32 e 77 della Costituzione.
    Il  primo  e  piu'  evidente  contrasto denunciabile e' quello tra
 l'impugnata norma e  l'art.  3  della  Costituzione  inteso  nel  suo
 essenziale   significato   di   limite   di   ragionevolezza  che  le
 disposizioni legislative devono sempre rispettare.
    Si osserva al riguardo che in  forza  della  norma  denunciata  si
 realizza  de  facto et de iure, la sostanziale depenalizzazione della
 condotta  di  inquinamento  collegata  al  superamento   dei   limiti
 tabellari  previsti dalla legge (con la residua rilevanza penalistica
 della condotta inquinante di chi  supera  la  soglia  percentuale  di
 inquinamento  fissata  al  20% dei valori tabellari, assoggettando la
 relativa ipotesi alla sola sanzione dell'ammenda).
    Orbene,  in  conseguenza  di  tale   novella,   la   condotta   di
 inquinamento  c.d.  sostanziale,  cosi'  definito  perche'  legato al
 superamento dei valori considerati inquinanti, riceve un  trattamento
 difforme  e  piu'  favorevole  rispetto  ai casi di inquinamento c.d.
 formale cosi' definito perche' connesso alla  sola  violazione  delle
 competenze  amministrative  dettate dalla legge in merito al rilascio
 dell'autorizzazione allo scarico, indipendentemente, quindi,  da  una
 lesivita'  in atto all'interesse sostanziale riguardante l'integrita'
 delle acque.
    Infatti,  tali  violazioni  a  carattere  meramente  formale  sono
 rimaste   assoggettate   alla   pena   alternativa   dell'arresto   o
 dell'ammenda ex art. 21, primo comma, della legge  n.  319  del  1976
 laddove, per ipotesi del superamento dei limiti tabellari da parte di
 scarico  produttivo,  con  la  norma  denunciata, si e' realizzata la
 sostanziale depenalizzazione con il residuale ricorso  alla  sanzione
 penale  solo  in  caso  di  superamento  di una determinata soglia di
 inquinamento.
    Il trattamento differenziato sopra  descritto  mostra  evidenti  i
 segni  di incoerenza logica e della disparita' di trattamento che non
 riesce a trovare alcuna valida giustificazione della diversita' delle
 situazioni di fatto disciplinate.
    Al   contrario,  proprio  confrontando  le  realta'  obiettive  da
 disciplinare emerge la violazione del limite di ragionevolezza atteso
 che e' stata introdotta, con la norma denunciata, una  disciplina  di
 maggior  favore  per  fatti (di inquinamento sostanziale) sicuramente
 piu' gravi di quelli (di inquinamento solo formale) per  i  quali  e'
 stata mantenuta inalterata la precedente disciplina; con il risultato
 abnorme  di  punire piu' gravemente l'inquinamento formale (arresto o
 ammenda)  rispetto  all'inquinamento  sostanziale  (solo  ammenda  o,
 persino,  al  di  sotto  della  ricordata  soglia  del  20%, assoluta
 irrilevanza penale).
    Altro profilo di contrasto denunciabile e' quello riferibile  agli
 artt.  10  e  11  della Costituzione reclamanti l'obbligo dello Stato
 italiano  di  conformarsi  agli   obblighi   internazionali   assunti
 consentendo  in condizione di parita' con gli altri Stati, anche alle
 necessarie limitazioni di sovranita'.
    Si  osserva  infatti  che  l'appartenenza  dell'Italia  all'Unione
 Europea  impone  al  nostro  Paese  il pieno rispetto delle direttive
 comunitarie che, a seconda dei casi,  ricevono  diretta  applicazione
 nell'ordinamento   italiano   ovvero   vengono  applicate  attraverso
 l'intermediazione  di  leggi  di   attuazione   che   ne   assicurano
 l'esecuzione ed il rispetto.
    Nella  materia  che qui interessa sussistono direttive comunitarie
 che impongono determinati  criteri  normativi  sulla  gestione  delle
 acque e sulla repressione dei contegni violativi.
    Per  ben  due volte la Corte europea di giustizia ha condannato il
 nostro Paese per il riconosciuto contrasto tra la "legge Merli" e  le
 vigenti  direttive comunitarie (Corte di giustizia 13 dicembre 1990 e
 28 febbraio 1991) fra le altre ragioni perche' recante  norme  troppo
 permissive   ai   fini   del   rilascio   delle   autorizzazioni   ed
 insufficientemente repressive agli effetti sanzionatori in  relazione
 all'inosservanza  delle  prescrizioni  riportate nelle autorizzazioni
 medesime.
    Con la denunciata norma, che abbassa ulteriormente il  livello  di
 risposta   penale,   gia'   ritenuto  insufficiente,  si  concretizza
 l'ulteriore accentuazione  del  grado  di  inadempienza  dello  Stato
 italiano  verso  le  direttive comunitarie e verso le decisioni della
 Corte europea di giustizia.
    Violato dalla norma denunciata  ed,  unitariamente,  dal  decreto-
 legge che la contiene e' altresi' il principio di riserva di legge in
 materia  penale  affermato  dall'art. 25 della Costituzione, letto in
 relazione con l'art. 77  della  Costituzione  sulla  decretazione  di
 urgenza da parte del Governo.
    Si  osserva  sul  punto  che la riserva di legge in materia penale
 possiede quale primo e fondamentale significato, quello  secondo  cui
 le  scelte  di  politica  criminale,  sono  monopolio  esclusivo  del
 Parlamento.
    L'ammissibilita'  che  nuove  norme  di   diritto   penale   siano
 introdotte attraverso decreti-legge o decreti legislativi e' connessa
 alla  circostanza  che,  in  entrambi  i  casi,  si  realizza  ed  e'
 assicurato  comunque  l'intervento  del   Parlamento   in   posizione
 sovraordinata,   ora   quale   organo   delegante   (art.   76  della
 Costituzione), ora quale organo cui e' rimesso il potere di conferire
 stabilita' e  durevolezza,  attraverso  la  legge  di  conversione  a
 disposizioni  normative  precarie  e  soggette a decadenza in caso di
 inutile decorso del termine di 60 giorni dettato dall'art. 77, ultimo
 comma, della Costituzione.
    Nella specie, attraverso la reiterazione a catena di decreti-legge
 non convertiti disciplinanti l'identica materia penale - l'ultimo  e'
 quello  denunciato di incostituzionalita' con la presente ordinanza -
 si e' di fatto realizzata la  sottrazione  al  Parlamento  della  sua
 esclusiva    competenza   a   disporre   in   materia   penale,   con
 l'inammissibile assunzione  da  parte  dell'esecutivo,  del  relativo
 potere  di  bilanciamento  e  di  valutazione  degli interessi che in
 materia penale e' di  esclusiva  competenza  dell'organo  assembleare
 rappresentativo   della   sovranita'   popolare.   In  altre  parole,
 attraverso  il  procedimento  indiretto  consistito  nella   ripetuta
 adozione  di decreti-legge non convertiti e di identico contenuto, si
 e' realizzato il risultato contrastante con le  precisazioni  di  cui
 alla   Corte   costituzionale  che  vuole  assicurata  la  competenza
 esclusiva del Parlamento in materia penale.
    Da ultimo, e' sussistente un evidente  contrasto  nella  norma  in
 esame con l'art. 32 della Costituzione.
    Infatti,  puo'  considerarsi  pacifico  che nel concetto di salute
 pubblica, costituzionalmente garantito, debba ricomprendersi anche la
 salubrita'  dell'ambiente  naturale  ed  urbano  entro  cui  ciascuna
 persona viva.
    Questo concetto viene pacificamente riconosciuto in giurisprudenza
 sicche'  l'affievolita,  ed  in alcuni casi del tutto esclusa, tutela
 penale in materia di inquinamento sostanziale comporta che  la  nuova
 normativa  si  pone  in contrasto con le esigenze che l'art. 32 della
 Costituzione  vuole  assicurate,  anche   e   soprattutto   per   via
 legislativa in materia di tutela della salute.
    La  sollevata questione e' rilevante ai fini del presente giudizio
 atteso che investe la norma che direttamente incide  sul  trattamento
 sanzionatorio applicabile al caso concreto determinandone uno affatto
 diverso.
    Infatti,  nella  validita'  e  vigenza  della  denunciata norma la
 condotta degli imputati risulterebbe priva di  rilevanza  penale;  in
 opposta   ipotesi   ricadrebbe  sotto  i  rigori  della  preesistente
 disciplina penale di cui all'art. 21, secondo comma, della  legge  n.
 319/1976.
                               P. Q. M.
    Vista  la  eccezione  di  incostituzionalita'  sollevata  dal p.m.
 dell'art. 4, secondo comma, del d.-l. 16 novembre 1994,  n.  629,  in
 relazione agli artt. 3, 10, 11, 25 e 32 della Costituzione;
    Ritenuto   che  la  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni
 prospettate   e    rilevati    d'ufficio    autonomi    profili    di
 incostituzionalita'  dell'art.  4 del d.-l. 16 novembre 1994, n. 629,
 in relazione agli artt. 3, 25 e 77 della Costituzione;
    Ritenuta   la   rilevanza    della    superiore    questione    di
 costituzionalita' ai fini della definizione del presente giudizio;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva  questione  di  costituzionalita'  del  richiamato art. 4,
 secondo comma, del d.-l. 16 novembre 1994, n. 629, in relazione  agli
 artt.  3,  10,  11,  25,  32  e  77  della Costituzione disponendo la
 immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione
 sia notificata alle parti in causa ed al p.m., nonche' al  Presidente
 del Consiglio dei Ministri;
    L'ordinanza verra' comunicata a cura del cancelliere ai Presidenti
 delle due Camere;
    Sospende il presente giudizio.
      In Tivoli, addi' 4 febbraio 1995
                           Il pretore: CROCE
 
 95C0375