N. 103 SENTENZA 22 - 31 marzo 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego pubblico - Indennita' integrativa speciale  -  Computo  nella
 determinazione  della  buonuscita - Riliquidazione del trattamento di
 fine servizio - Estinzione d'ufficio dei giudizi pendenti in  materia
 - Determinazione penalizzante della misura percentuale di computo nel
 calcolo  complessivo  dell'indennita'  di  buonuscita  e  di analoghi
 trattamenti di fine servizio - Interessi e rivalutazione monetaria  -
 Concreta  realizzazione  del  diritto costituzionalmente riconosciuto
 improntato al principio di gradualita' secondo le scelte di  politica
 economica  -  Carattere  prodromico  della legge rispetto alla futura
 omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e  pensionistici  per  i
 lavoratori  dei vari comparti della p.a. e per i lavoratori privati -
 Ragionevolezza - Non fondatezza.
 
 (Legge 29 gennaio 1994, n. 87, artt. 1, primo comma, 2, quarto comma,
 3, secondo e terzo comma, e 4).
 
 (Cost., artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma,  101,  102,
 103, 104, 108 e 113)
 
(GU n.14 del 5-4-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3  e  4,
 della  legge  29  gennaio  1994,  n.  87  (Norme  relative al computo
 dell'indennita'  integrativa  speciale  nella  determinazione   della
 buonuscita  dei  pubblici  dipendenti),  promossi con n. 13 ordinanze
 emesse l'8 marzo 1994 dal Pretore di Salerno, il 25 febbraio 1994 dal
 Pretore di Vallo della Lucania (n. 7 ordinanze), l'11 febbraio  e  il
 20  maggio 1994 dal Consiglio di Stato, il 29 aprile 1994 dal Pretore
 di Chieti, l'8 agosto 1994 dal Pretore di Roma, il 24  febbraio  1994
 dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria, rispettivamente
 iscritte  ai  nn.  252,  286, 287, 288, 289, 290, 291, 292, 502, 567,
 569, 698 e  760  del  registro  ordinanze  1994  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn. 20, 22, 38, 40, 49, prima
 serie speciale, dell'anno  1994  e  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visti  gli atti di costituzione dell'I.N.P.S., nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1995 il  Giudice  relatore
 Cesare Ruperto;
    Uditi  l'avv.  Valerio  Mercanti per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello
 Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           RITENUTO IN FATTO
    1. - Il Consiglio di Stato con  due  ordinanze,  il  T.A.R.  della
 Liguria,  il  Pretore  di  Vallo  della  Lucania con sette ordinanze,
 nonche' i Pretori di Salerno, di Roma e  di  Chieti  hanno  sollevato
 questioni  di  legittimita'  costituzionale  relativamente  ad alcuni
 articoli della recente legge n. 87 del 1994, recante "Norme  relative
 al  computo dell'indennita' integrativa speciale nella determinazione
 della buonuscita dei pubblici dipendenti".
    Tutti   i   giudici   remittenti   dubitano   della   legittimita'
 costituzionale   -   in  riferimento  a  molti  parametri  variamente
 richiamati, e cioe' agli artt. 24, primo e secondo comma,  25,  primo
 comma,  101,  102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione - dell'art.
 4,  comma 1, della citata legge, secondo cui "i giudizi pendenti alla
 data di entrata in vigore della presente legge aventi ad  oggetto  la
 riliquidazione  del  trattamento di fine servizio comunque denominato
 con  l'inclusione  della   indennita'   integrativa   speciale   sono
 dichiarati  estinti  d'ufficio  con  compensazione delle spese tra le
 parti".
    Inoltre, il Consiglio di Stato dubita dell'art. 1, comma 1,  lett.
 a),  in  relazione  alla  lett.  b),  nonche' dell'art. 2, comma 4, e
 dell'art. 3; il T.A.R. della Liguria, degli artt. 1 e 2;  il  pretore
 di  Vallo della Lucania, dell'art. 2, comma 4, e dell'art. 3; il pre-
 tore di Salerno, infine, dell'art. 2, comma 4.
    2. - Con riguardo all'art. 4, comma 1,  osserva  il  Consiglio  di
 Stato  che  esso viola gli artt. 103 e 113 della Costituzione perche'
 sottrae alla valutazione del giudice i profili relativi  al  rapporto
 sostanziale  dedotto  in  giudizio, anche riguardo alla compensazione
 delle spese di lite, e determina l'invasione delle  attribuzioni  del
 giudice,  pregiudicando  la  sua  indipendenza.  Escluso, inoltre, il
 carattere innovativo  della  legge  (disciplinatrice  soltanto  della
 misura,   dei   modi  e  dei  tempi  di  computo  dell'indennita'  di
 anzianita', rinvenendosi  invece  nella  previgente  normativa,  come
 emendata  dalla pronuncia di illegittimita' costituzionale n. 243 del
 1993, il riconoscimento della titolarita' del diritto ad un  adeguato
 computo  dell'indennita'  medesima),  il  collegio  remittente deduce
 altresi' la violazione delle garanzie costituzionali  afferenti  alla
 inviolabilita' del diritto di difesa ed alla naturale precostituzione
 del  giudice.  Infine, secondo il giudice a quo, la norma si porrebbe
 in contrasto anche con  l'art.  3  della  Costituzione,  da  un  lato
 perche'   la   dichiarazione  di  estinzione  si  risolverebbe  nella
 vanificazione  proprio  di  quei  giudizi  che  hanno  consentito  la
 proposizione  in  via  incidentale  della  antecedente  questione  di
 costituzionalita' (definita dalla Corte costituzionale con la  citata
 sentenza  n.  243  del  1993)  ovvero dei giudizi di primo grado gia'
 risoltisi favorevolmente per i ricorrenti, e dall'altro lato  perche'
 la   riconnessa  previsione  normativa  della  proposizione  in  sede
 amministrativa della domanda di applicazione del trattamento entro il
 termine perentorio del 30 settembre 1994 (art. 3, comma 2,  anch'esso
 impugnato),  non  sarebbe giustificata nei confronti di quei soggetti
 che avevano gia' proposto la loro pretesa in sede giurisdizionale.
    2.1. - In  senso  analogo,  seppure  in  termini  piu'  sintetici,
 argomenta  il  pretore di Salerno, il quale inoltre - rilevato che la
 funzione giurisdizionale e' "affermazione dell'ordinamento  nel  caso
 concreto"  - osserva che attraverso la norma impugnata il legislatore
 (dopo avere connotato il diritto,  scandendone  modalita'  e  tempi),
 nello   stabilire   l'automatica   estinzione   del   processo  e  la
 declaratoria di compensazione delle spese, ha travalicato  il  limite
 della  normazione,  sconfinando  nell'attuazione del sancito diritto,
 con  invasione  delle  attribuzioni  tipiche  del   giudice,   organo
 indipendente,  durante un giudizio ancora in corso dinanzi a questo e
 violando, quindi, i richiamati parametri costituzionali.
    2.2. - Secondo il pretore di Chieti,  poi,  la  norma  de  qua  si
 tradurrebbe,  a  seguito  dell'esclusione  del potere decisionale del
 giudice, in un ingiustificato pregiudizio per la  parte  interessata,
 con conseguente lesione dei principi costituzionali di cui agli artt.
 24  e  38. Inoltre, si porrebbe in contrasto anche con l'art. 3 della
 Costituzione, in quanto verrebbe a gravare delle spese processuali il
 ricorrente che abbia agito in  sede  giurisdizionale,  penalizzandolo
 rispetto a colui il quale non abbia inteso azionare giudizialmente il
 proprio  diritto  e nei confronti del quale si sia verificata, con il
 decorso del tempo e senza il compimento di  atti  interruttivi  della
 prescrizione,  una  situazione  preclusiva dell'esercizio del diritto
 stesso. Infine, sempre secondo il pretore di Chieti, la norma de  qua
 si  appaleserebbe  censurabile  anche  in riferimento agli artt. 101,
 secondo  comma,  e  104,  primo  comma,  della  Costituzione,   sotto
 l'aspetto  dell'eccesso  di  potere  legislativo,  dal momento che si
 sarebbe  realizzata  una  indebita  ingerenza  del  legislatore   nei
 procedimenti  in  corso,  con  la  conseguente sottrazione al giudice
 civile del potere di regolamentazione delle spese processuali secondo
 l'affermazione della soccombenza virtuale.
    2.3. - A sua volta, il pretore di Roma ravvisa nel censurato  art.
 4  la  violazione  degli  artt.  3,  25  e  102  della  Costituzione,
 assumendo:  a)  che  l'estinzione  d'ufficio  del   processo   e   la
 compensazione  delle  spese  di  lite, senza l'accoglimento integrale
 delle   domande   proposte,   vanifica   il   ricorso   alla   tutela
 giurisdizionale  comportando  la  negazione,  almeno  parziale, della
 tutela del diritto  che  si  assume  leso  (con  violazione,  quindi,
 dell'art.  24  della Costituzione); b) che la obbligatoria disciplina
 delle spese di lite contrasta  con  il  principio  di  riserva  della
 giurisdizione di cui al primo comma dell'art. 102 della Costituzione,
 sottraendo  al  giudicante  la  possibilita' di esplicare la potesta'
 giurisdizionale in  relazione  a  determinati  processi;  c)  che  la
 previsione  della  compensazione  delle  spese  stesse  e  quindi  il
 superamento del generale principio della soccombenza non trova alcuna
 ragione, creando una ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra
 situazioni  identiche,  poiche'  nel  giudizio  civile la soccombenza
 funge da parametro di riferimento per la generalita'  delle  pronunce
 dei giudici.
    2.4.  -  Con  riferimento  alla  norma de qua, il pretore di Vallo
 della Lucania ravvisa, invece, la sola violazione dell'art. 24  della
 Costituzione,    senza    tuttavia    svolgere   proprie   specifiche
 argomentazioni.
   2.5. -  Il  T.A.R.  della  Liguria,  infine,  sviluppa  gli  stessi
 argomenti  prospettati in merito dagli altri giudici remittenti sulla
 violazione dei principi fondamentali di azione e di difesa  enunciati
 dall'art.  24  della Costituzione, ribadendo la natura non pienamente
 satisfattiva assunta dallo ius  superveniens  rispetto  alla  pretesa
 fatta  valere  dal  ricorrente (avuto riguardo sia al computo ridotto
 dell'indennita' integrativa speciale nel calcolo  dell'indennita'  di
 anzianita',   sia   alla   mancata   corresponsione  di  interessi  e
 rivalutazione monetaria sul credito).
    3. - Riguardo, poi, alle  altre  norme  variamente  impugnate  dai
 giudici a quibus, rileva il Consiglio di Stato che l'art. 1, comma 1,
 lett. a) della legge n. 87 del 1994 violerebbe gli artt. 3 e 36 della
 Costituzione,  apparendo  irrazionale  il contenimento della quota di
 computabilita' dell'indennita' integrativa speciale nella misura  del
 30  per  cento per i dipendenti degli enti pubblici non economici, in
 rapporto al diverso trattamento riservato  dalla  stessa  legge  alla
 generalita'  dei  dipendenti delle altre pubbliche amministrazioni ed
 agli stessi iscritti all'Opera di  previdenza  ed  assistenza  per  i
 ferrovieri dello Stato, nonche' in rapporto alla misura di ogni altro
 elemento retributivo computabile, che l'art. 13 della legge n. 70 del
 1975  (Disposizioni  sul  riordinamento  degli  enti  pubblici  e del
 rapporto di lavoro del personale  dipendente)  considera  per  intero
 relativamente proprio ai dipendenti di tali enti. E cio' in quanto la
 discrezionalita' del legislatore ordinario nella determinazione della
 base di calcolo ai fini del trattamento di fine rapporto non potrebbe
 ritenersi  estesa  alla  previsione  di ingiustificate commisurazioni
 sperequative ed inidonee a soddisfare  l'esigenza  di  adeguatezza  e
 proporzionalita'  cui  la riforma avrebbe dovuto ispirarsi secondo le
 indicazioni contenute nella sentenza della  Corte  costituzionale  n.
 243  del 1993.  Sempre secondo il Consiglio di Stato, inoltre, l'art.
 2, comma 4, della stessa legge contrasterebbe con gli artt.  3  e  36
 della  Costituzione, perche', da un lato, sottoporrebbe i crediti ivi
 considerati (in conseguenza dell'inadempimento dei rispettivi debiti)
 ad un trattamento risarcitorio deteriore rispetto a  quello  previsto
 per  ogni  altro  credito  di  qualsiasi  genere  ed  anche da lavoro
 dipendente, senza che ne  sussistano  peculiarita'  differenziatrici,
 mentre,  dall'altro lato, esporrebbe tali specifici crediti, nel loro
 carattere   di   retribuzione   differita   ormai    legislativamente
 riconosciuto,  alla  diminuzione  conseguente  al  decorso del tempo,
 cosi' da svilirne la  intrinseca  proporzionalita'  alla  qualita'  e
 quantita'  del lavoro prestato e la sufficienza alla esistenza libera
 e dignitosa del lavoratore.
    3.1. - In modo sostanzialmente analogo argomenta il  T.A.R.  della
 Liguria,  il  quale  peraltro  evoca  come  parametro  costituzionale
 violato l'art. 97, giacche' le suddette norme urterebbero  contro  il
 principio   di   buon   andamento  ed  imparzialita'  della  pubblica
 amministrazione, introducendo una deroga  a  favore  dello  Stato  al
 principio   fondamentale   di  liquidazione  dei  debiti  liquidi  ed
 esigibili.
    3.2. - Il pretore di Salerno impugna anch'esso l'art. 2, comma  4,
 affermando  che,  nel  momento  in  cui  viene riconosciuta natura di
 retribuzione differita al trattamento di fine rapporto  (comunque  lo
 si denomini e comunque lo si componga), ogni disposizione che venga a
 vulnerare   il   diritto   alla   giusta  retribuzione,  mediante  la
 sostanziale preclusione dell'operativita'  dei  sistemi  di  garanzia
 della  realita'  della  retribuzione  stessa,  finirebbe col porsi in
 contrasto con l'art. 36 della Costituzione; del pari (anche a  volere
 riconoscere   all'indennita'  integrativa  speciale  attribuita  agli
 statali natura previdenziale) non potrebbe dubitarsi della  specifica
 funzione,  da  questa  assunta,  di completamento di un reddito che a
 seguito del collocamento  a  riposo  si  e'  venuto  a  ridurre,  con
 conseguente   applicazione   ai  relativi  crediti  dei  principi  di
 adeguatezza  sanciti  per  le   retribuzioni   dall'art.   36   della
 Costituzione  e  dalle  norme  primarie  contenenti  le  modalita' di
 attuazione  di  siffatti  principi   (quali   l'art.   429   c.p.c.).
 L'esclusione,  poi,  della  corresponsione  degli  interessi  e della
 rivalutazione verrebbe a creare una  disparita'  di  trattamento  tra
 soggetti  collocati  in pensione negli anni andati e quelli collocati
 successivamente all'entrata in vigore nell'anno corrente.
    3.3.  - Relativamente alla norma de qua, il pretore di Vallo della
 Lucania, infine, ne deduce il contrasto con gli  artt.  3,  36  e  38
 della  Costituzione  per  l'asserita  violazione sia del principio di
 adeguatezza della retribuzione e delle prestazioni previdenziali, sia
 del  criterio  di  ragionevolezza,  perche'   la   previsione   della
 riliquidazione   dell'indennita'   premio   di   servizio,  senza  il
 riconoscimento della rivalutazione monetaria, quantomeno a  far  data
 dall'entrata   in   vigore   della   legge,  comporterebbe  di  fatto
 l'ingiustificato  depauperamento  del   contenuto   economico   della
 retribuzione  differita  con  funzione previdenziale, dovendosi a tal
 fine considerare anche il lasso di tempo intercorso dalla  cessazione
 del servizio.
    4. - In tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei  Ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  generale dello Stato,
 chiedendo   che   le   questioni   di   legittimita'   costituzionale
 rispettivamente  sollevate  dai  giudici  remittenti siano dichiarate
 manifestamente infondate.
    4.1. - Con riguardo alla questione sollevata da  tutti  i  giudici
 remittenti,  relativa  all'art.  4  della  legge  n. 87 del 1994, che
 dispone l'estinzione  dei  giudizi  in  corso,  afferma  l'Avvocatura
 (richiamando  le  precedenti  decisioni della Corte costituzionale n.
 185 del 1981, n. 62 del 1982 e n. 123 del  1988)  che  rientra  nella
 discrezionalita'  del  legislatore  la  facolta'  di  provvedere alla
 eliminazione  del  contenzioso,  con   compensazione   delle   spese,
 allorquando  - come nella fattispecie - la nuova legge intervenga sul
 diritto sostanziale in maniera satisfattiva per il  richiedente,  con
 la  conseguenza che siffatta previsione non inciderebbe in alcun modo
 ne'  sul  diritto  di  difesa  e  di  azione,  ne'   sulla   funzione
 giurisdizionale  non  sottratta al giudice naturale, il quale neppure
 viene leso nella sua indipendenza.
    4.2. - Con riferimento, invece,  alle  censure  mosse  avverso  la
 determinazione  della  misura  percentuale di computo dell'indennita'
 integrativa  speciale  nel  calcolo  complessivo  dell'indennita'  di
 buonuscita  e  di  analoghi  trattamenti  di  fine  servizio,  di cui
 all'art. 1 della legge in esame, l'Avvocatura - premesso che  con  la
 sentenza  n.  243  del  1993  la  Corte  costituzionale, nel ritenere
 contraria  all'art.  36  della  Costituzione  l'esclusione  in   toto
 dell'indennita'  integrativa  speciale dal calcolo dei trattamenti di
 fine rapporto, ne ha tuttavia nel contempo rimesso al legislatore  la
 determinazione  della  misura - esclude la violazione sia dell'art. 3
 della  Costituzione,  essendo  notorio  che  nel   pubblico   impiego
 continuano   a   sussistere   (dato   il   carattere  intrinsecamente
 transitorio della legge  n.  87  del  1994)  meccanismi  e  strutture
 differenti da settore a settore "in attesa della omogeneizzazione dei
 trattamenti  retributivi  e  pensionistici",  sia  dell'art. 36 della
 Costituzione, che deve  ritenersi  rispettato  ogni  qualvolta,  come
 nella  fattispecie,  un  emolumento e' rapportato alla retribuzione e
 alla durata del rapporto, e quindi attraverso tali due parametri alla
 quantita' e qualita' del lavoro.
    4.3. - Relativamente  poi  alla  esclusione  della  corresponsione
 degli  interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme dovute a
 titolo di prestazione ai sensi dell'art.  2,  comma  4,  l'Avvocatura
 osserva che il pagamento degli interessi e la rivalutazione risultano
 esclusi  dalla  stessa  legge  anche  con  riferimento  al contributo
 previdenziale obbligatorio posto a carico dei dipendenti, per cui  si
 porrebbe  il problema se l'eventuale caducazione della norma verrebbe
 concretamente a giovare agli stessi. Inoltre, la  mancata  decorrenza
 degli  interessi e della rivalutazione sarebbe giustificata dal fatto
 che il diritto al computo della indennita'  integrativa  speciale  e'
 sorto con la legge n. 87 del 1994 poiche' la sentenza n. 243 del 1993
 non   aveva   reso   attuale   tale   diritto,  avendo  rimesso  alla
 discrezionalita' del legislatore la determinazione della misura,  dei
 modi   e   dei  tempi  di  detto  computo.  Pertanto,  richiamata  la
 sostanziale identita' della disposizione legislativa impugnata con la
 norma dettata dall'art. 4 della legge 20 marzo 1980 n. 75 -  recante,
 appunto,  norme  in materia di computo della tredicesima mensilita' e
 riliquidazione  dell'indennita'  di  buonuscita   -   (ritenuto   non
 illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 185 del 1981 e
 con  successiva  ordinanza  n. 62 del 1982), l'Avvocatura precisa che
 non   sussiste   un   principio   costituzionale   che   imponga   il
 riconoscimento   degli   interessi   e   della   rivalutazione  sulle
 obbligazioni pecuniarie, concludendo  nel  senso  della  legittimita'
 della  norma  impugnata  con  riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della
 Costituzione.
    4.4. - Riguardo infine alla questione sollevata dal  Consiglio  di
 Stato, relativa alla necessita' della presentazione da parte di tutti
 i  dipendenti  gia'  cessati  dal  servizio  di  una domanda all'ente
 erogatore (art. 3, comma 2),  osserva  l'Avvocatura  che,  lungi  dal
 ledere il principio di uguaglianza e di imparziale applicazione della
 legge, l'onere della proposizione della domanda amministrativa esteso
 a   tutti   i   richiedenti   trova   la  sua  giustificazione  nella
 semplificazione del  procedimento  di  riliquidazione  (potendo  bene
 nelle  more  essere  mutate  le  condizioni  soggettive  dei  singoli
 interessati).
    5. - Nel giudizio promosso da una delle ordinanze del Consiglio di
 Stato  si  e'  costituito  l'I.N.P.S.,  chiedendo  che  le  questioni
 sollevate  siano  dichiarate  in  parte  inammissibili  ed  in  parte
 manifestamente infondate.
    6. - Nell'immediatezza dell'udienza l'Avvocatura  dello  Stato  ha
 presentato  una  memoria  nella  quale  ribadisce,  unitariamente, le
 osservazioni precedentemente svolte in merito alla dedotta  manifesta
 infondatezza delle questioni sollevate dai giudici remittenti.
    6.1.  - A sua volta, l'I.N.P.S. ha depositato memoria, nella quale
 fa sostanzialmente proprie le considerazioni  svolte  dall'Avvocatura
 dello  Stato  in ordine alla legittimita' della previsione, sia della
 presentazione della domanda di riliquidazione del trattamento di fine
 rapporto da parte di tutti i dipendenti cessati dal  servizio  (senza
 differenziare  la  posizione  di coloro i quali abbiano nel frattempo
 avanzato   le   loro   pretese   in   sede   giurisdizionale),    sia
 dell'estinzione dei giudizi pendenti con compensazione delle spese di
 lite  tra  le parti. In particolare, con riferimento alla prima delle
 due  questioni,  l'I.N.P.S.  ne  assume  l'inammissibilita'   perche'
 l'amministrazione resistente ha gia' disposto, con propria circolare,
 di  non  richiedere  la  presentazione  della domanda ai soggetti che
 abbiano  in  atto  un  contenzioso   giudiziario   sulla   menzionata
 riliquidazione.   Inoltre, l'I.N.P.S., nel riprendere le osservazioni
 dell'Avvocatura dello Stato  circa  la  ritenuta  illegittimita'  dei
 criteri  percentuali di computo della indennita' integrativa speciale
 di cui all'art. 1, lett. a) e b), precisa che, al contrario,  proprio
 l'invocata  utilizzazione di una percentuale unica di calcolo avrebbe
 determinato  -  attesa  la  diversita'  delle  normative   che,   nei
 rispettivi  ordinamenti,  disciplinano  i  trattamenti  stessi  - una
 palese violazione delle direttive  e  dei  parametri  indicati  dalla
 Corte  costituzionale  nella  sentenza  n. 243 del 1993, in relazione
 alla ravvisata esigenza di pervenire ad "una effettiva e  ragionevole
 equivalenza nel risultato complessivo".
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    1. - I dubbi di legittimita' costituzionale prospettati variamente
 dalle  diverse  ordinanze  riguardano  l'art.  1,  comma 1, lett. a),
 l'art. 2, comma 4, l'art. 3, commi 2 e 3, e l'art. 4 della  legge  29
 gennaio   1994,   n.   87,   recante   "Norme   relative  al  computo
 dell'indennita'  integrativa  speciale  nella  determinazione   della
 buonuscita dei pubblici dipendenti". In particolare:
       a)  l'art.  1,  comma  1, lett. a), e' censurato in riferimento
 agli artt. 3, 36, 38 e 97 della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
 limita  al 30 per cento dell'indennita' integrativa speciale annua in
 godimento alla data di cessazione dal servizio, la quota  computabile
 nella  base  di  calcolo  ai  fini  dell'indennita' di anzianita' dei
 dipendenti degli enti di cui alla legge 20  marzo  1975,  n.  70,  in
 relazione   alla   differente  quota  percentuale  di  indennita'  da
 computare  in   favore   dei   dipendenti   delle   altre   pubbliche
 amministrazioni  nonche'  degli  iscritti  all'Opera  di previdenza e
 assistenza per i ferrovieri dello Stato, che la successiva  lett.  b)
 dello stesso articolo fissa nel 60 per cento;
       b) l'art. 2, comma 4, e' censurato in riferimento agli artt. 3,
 36  e 38 della Costituzione, in quanto prevede che le somme dovute ai
 sensi della legge non danno luogo a corresponsione d'interessi, ne' a
 rivalutazione monetaria;
       c) l'art. 3, commi 2 e 3, e' poi impugnato nella parte  in  cui
 non esclude dall'obbligo della presentazione all'ente erogatore della
 domanda  di  riliquidazione i pensionati che abbiano gia' promosso un
 giudizio per il computo dell'indennita' integrativa  nel  trattamento
 de quo;
       d)    infine,   l'art.   4   e'   sospettato   d'illegittimita'
 costituzionale in riferimento agli artt. 24, primo e  secondo  comma,
 25, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, in
 quanto   impone   la   dichiarazione   d'estinzione   d'ufficio   con
 compensazione delle spese dei giudizi pendenti alla data  di  entrata
 in  vigore  della  legge  aventi  ad  oggetto  la  riliquidazione del
 trattamento di  fine  servizio  comunque  denominato  con  inclusione
 dell'indennita' in argomento.
    2.  -  Le  questioni, per l'evidente connessione dei temi, debbono
 essere riunite e decise con un'unica sentenza; ma l'ordine logico del
 loro esame e'  necessariamente  diverso  rispetto  a  quello  seguito
 nell'esporle.    Infatti,   la   questione   concernente   l'asserita
 illegittimita' della norma che impone la  dichiarazione  d'estinzione
 dei   giudizi   pendenti   con   compensazione  delle  spese  riveste
 preliminare rilievo rispetto a tutte le altre censure, che  investono
 le  condizioni  di esercizio e la quantificazione del diritto nonche'
 gli accessori del credito.
    Secondo tutte le prospettazioni, ed in particolare nella  corretta
 ottica  in  cui  si  pongono  il Consiglio di Stato e il T.A.R. della
 Liguria, l'esame della norma di cui all'art. 4 va anteposto a  quello
 di  tutte le altre, in quanto solo la caducazione della prima darebbe
 ingresso al giudizio di legittimita' sulle seconde.
    Tale  nesso  di  subordinazione  logico-processuale e' da ritenere
 esistente in base al rilievo - gia' fatto proprio da questa Corte con
 la sentenza n. 185 del 1981 in relazione a norme formalmente  diverse
 ma  di  contenuto  analogo  e  attinenti  alla medesima materia delle
 indennita' dovute  ai  pubblici  dipendenti  per  la  cessazione  dal
 servizio - che, ove dovesse riconoscersi l'infondatezza delle censure
 formulate  in  ordine  alle norme di previsione della sopra descritta
 disciplina processuale dei  giudizi  pendenti,  le  dichiarazioni  di
 estinzione   d'ufficio   dei  giudizi  medesimi,  non  eludibili  dai
 magistrati che ne sono investiti, precluderebbero, conformemente alla
 loro funzione, qualsiasi esame del merito e quindi  la  pronuncia  di
 sentenze di condanna aventi un contenuto rispetto al quale si profili
 ostativo il dettato delle altre norme oggetto di censura.
    3.  -  Ebbene,  per  individuare  i  limiti  di  costituzionalita'
 dell'intervento del legislatore nel processo quando di  questo  venga
 definito l'esito attraverso una norma che ne imponga l'estinzione, la
 Corte  ha  gia'  in altre occasioni valutato il rapporto tra siffatto
 intervento ed il grado di realizzazione che alla pretesa azionata sia
 stato  accordato  per  la  via  legislativa.   Allorche'   la   legge
 sopravvenuta  abbia  soddisfatto,  anche  se  non  integralmente,  le
 ragioni fatte valere nei giudizi dei quali imponeva l'estinzione,  si
 e' esclusa l'illegittimita' costituzionale di tale ultima previsione,
 proprio perche' questa sarebbe coerente con il riconoscimento ex lege
 del diritto fatto valere giudizialmente. Ed invero, per escludersi la
 menomazione  del  diritto  di  azione e' necessario e sufficiente che
 l'a'mbito  delle  situazioni  giuridiche   di   cui   sono   titolari
 gl'interessati  risulti comunque arricchito a seguito della normativa
 che da' luogo all'estinzione dei giudizi, come nel caso oggetto della
 succitata sentenza n. 185 del 1981.
    Ben diversa e' l'ipotesi, oggetto della sentenza n. 123  del  1987
 (che  quasi  tutti i giudici a quibus richiamano), in cui la voluntas
 legis si opponga alle  pretese  oggetto  delle  controversie  che  si
 vogliono   estinte   ed   impedisca,   negandone  il  fondamento,  la
 realizzazione  delle  stesse.  Qui  il  vulnus  all'art.   24   della
 Costituzione  e' reso evidente dal fatto che il legislatore opera una
 sostanziale vanificazione della  via  giurisdizionale,  intesa  quale
 mezzo al fine dell'attuazione di un preesistente diritto.
    4.  -  Tanto  premesso,  va  osservato  che  l'art.  4 in esame si
 inserisce in  un  provvedimento  legislativo  volto  ad  appagare  le
 aspettative  dei  pubblici dipendenti ad una estensione della base di
 computo dell'indennita' erogata in  occasione  della  cessazione  dal
 servizio, fino a ricomprendervi l'indennita' integrativa speciale: la
 legge  de  qua  si  e'  resa necessaria dopo che questa Corte, con la
 sentenza n. 243  del  1993,  aveva  dichiarato  l'illegittimita'  del
 precedente assetto normativo - che tale computo non prevedeva - cosi'
 determinando  il  sorgere,  in capo agl'interessati, di un diritto la
 cui misura  la  Corte  aveva  peraltro  demandato  all'attivita'  del
 legislatore.  Nell'affidare  a  quest'ultimo  "modi  e  tempi"  di un
 "adeguato" computo dell'indennita', la Corte aveva sottolineato  come
 la concreta realizzabilita' del diritto in parola potesse improntarsi
 al  principio  di  gradualita',  tenuto  conto  anche delle scelte di
 politica  economica   necessarie   al   reperimento   delle   risorse
 finanziarie.
    Cio'  posto,  non  puo'  negarsi  che  la  legge  in esame tenda a
 perseguire proprio gli obiettivi a suo tempo  indicati  dalla  Corte,
 esplicitamente  enunciando  il suo carattere prodromico rispetto alla
 futura "omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e  pensionistici
 per  i  lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e
 per i lavoratori privati" (cfr. art. 1).
    Avuto riguardo alla complessita' del programma, alla molteplicita'
 delle finalita' e quindi all'ampiezza  dell'intervento  e  dell'onere
 finanziario  richiesti,  deve giudicarsi la legge n. 87 del 1994 come
 una risposta adeguata oltre che sufficientemente tempestiva  rispetto
 a  quanto  da  questa  Corte  ritenuto  non  eludibile  da  parte del
 legislatore.
    Ai fini che qui interessano, la normativa de qua e' certamente  di
 segno positivo rispetto alle sopra indicate aspettative, le quali, in
 virtu'  della  citata  sentenza,  avevano  bensi' assunto il rango di
 diritti,  ma  non  ancora  immediatamente  determinabili.  L'avvenuta
 determinazione  ex  lege,  superando  positivamente  il  giudizio  di
 congruita', legittima allora la estinzione dei giudizi pendenti.
    4.1. - Poiche' tale estinzione non deriva dal  potere  dispositivo
 delle  parti  ma dalla legge, va ritenuto non irrazionale che ad essa
 segua la  declaratoria  di  compensazione  delle  spese.  E'  infatti
 proprio  il  modo dell'intervenuto riconoscimento del diritto che non
 consente di assimilare la descritta situazione ad una  delle  ipotesi
 tipiche  di  cessazione  della  materia del contendere, di talche' il
 giudice neppure astrattamente sarebbe stato in grado - atteso  l'iter
 particolarissimo  attraverso  cui  e' maturato il soddisfacimento del
 diritto degli attori - di tener conto della soccombenza virtuale.
    4.2. - Si puo' quindi concludere che - come gia' ritenuto  con  la
 piu'   volte   citata   sentenza   n.  185  del  1981  (relativamente
 all'estinzione d'ufficio dei giudizi pendenti disposta dall'art.  57,
 secondo  comma,  del decreto-legge n. 163 del 1979) - nella specie si
 tratta di disposizioni  che,  mentre  non  compromettono  il  diritto
 costituzionale   di   difesa   -   non   restandone  ostacolato,  per
 l'interessato, lo  ius  persequendi  iudicio  quod  sibi  debetur  -,
 simmetricamente non incidono sull'assetto che la Costituzione riserva
 all'esercizio dell'attivita' giurisdizionale ed alle sue prerogative,
 anche nei rapporti col legislatore.
    5.  -  Affermata  la  non  fondatezza  della questione concernente
 l'art. 4, tutte le altre questioni risultano superate.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondata   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 1, dell'art. 2, comma
 4, dell'art. 3, commi 2 e 3, e dell'art. 4, della  legge  29  gennaio
 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennita'
  integrativa  speciale  nella  determinazione  della  buonuscita  dei
 pubblici dipendenti), sollevata, in riferimento agli artt. 24,  primo
 e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della
 Costituzione,  dal  Consiglio di Stato, dal T.A.R. della Liguria, dai
 Pretori di Roma, di Chieti, di Vallo della Lucania e di Salerno,  con
 le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1995.
                      Il presidente: BALDASSARRE
                         Il redattore: RUPERTO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 31 marzo 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0404