N. 11 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 10 aprile 1995

                                 N. 11
 Ricorso per conflitto di attribuzioni depositato in cancelleria il 10
 aprile  1995  (dei promotori e presentatori dei referendum in materia
 di commercio, elezioni comunali e contributi sindacali)
 Decreto-legge 20 marzo 1995, n. 83, e provvedimento del  Garante  per
    la  radiodiffusione  e  l'editoria  22  marzo  1995  -  Disciplina
    dell'accesso ai mezzi di comunicazione di massa (cd. par condicio)
    -  Previsione  delle  modalita'  della  propaganda  elettorale   e
    conseguente  divieto  delle modalita' non previste - Divieto della
    pubblicita'   elettorale   a   pagamento   -   Comminazione    per
    l'inosservanza dei divieti di sanzioni pecuniarie e, nei casi piu'
    gravi,  oscuramento dell'emittente televisiva - Applicazione della
    normativa sulla par condicio anche alla  campagna  di  pubblicita'
    sui  referendum  mediante  il  divieto di utilizzare gli strumenti
    della pubblicita' elettorale non solo nei trenta giorni precedenti
    ai referendum, ma anche a tutto il periodo precedente che si viene
    eventualmente a  sovrapporre  con  gli  ultimi  trenta  giorni  di
    un'altra  e diversa campagna elettorale - Lamentata violazione del
    diritto di referendum, a causa dei predetti limiti e  divieti  che
    ne  ostacolano  l'esercizio  impedendone  la pubblicita' - Abuso e
    cattivo uso dello strumento del  decreto-legge  per  insussistenza
    dei  requisiti  di  necessita' ed urgenza e per la possibilita' di
    produzione di  effetti  dannosi  irreversibili  nelle  more  della
    conversione  in  legge  pur  nell'ipotesi di mancata conversione -
    Istanza di sospensione.
 (D.-L. 20 marzo  1995,  n.  83;  provvedimento  del  Garante  per  la
 radiodiffusione e l'editoria 22 marzo 1995).
 (Cost., artt. 75 e 77).
(GU n.17 del 26-4-1995 )
    Ricorso  per  conflitto  di  attribuzioni dei signori on. Giuseppe
 Calderisi, Lorenzo Strik Lievers, Elio Vito, promotori e presentatori
 dei referendum in materia di commercio, di  elezioni  comunali  e  di
 contributi  sindacali,  ammessi  dalla  Corte  costituzionale  con le
 sentenze nn. 3, 4, 10 e 13 del 1995, rappresentati e difesi, come  da
 delega  in  calce al presente atto, dal prof. avv. Beniamino Caravita
 di Toritto, e presso lo stesso elettivamente  domiciliati,  in  Roma,
 via  T.  Taramelli,  22,  contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri, in persona del presidente pro-tempore, e il Garante per  la
 radiodiffusione  e l'editoria, in persona del Garante pro-tempore per
 l'annullamento, previa sospensione, del d.-l. 20 marzo 1995,  n.  83,
 recante  "Disposizioni  urgenti per la parita' di accesso ai mezzi di
 informazione durante le campagne elettorali  e  referendarie"  e  del
 provvedimento  22  marzo  1995  del  Garante per la radiodiffusione e
 l'editoria.
                               F A T T O
    1. - In una data che dovra' essere fissata in una  domenica  prima
 del  15  giugno  si  terranno dieci referendum dichiarati ammissibili
 dalla Corte costituzionale nel gennaio 1994 e  nel  gennaio  1995;  i
 firmatari  del  presente  ricorso  sono  presentatori  e promotori di
 quattro dei dieci referendum che dovranno tenersi  prima  dell'inizio
 dell'estate.
    La giurisprudenza unanime e consolidata della Corte costituzionale
 ritiene  che  i  promotori godano dello status di poteri dello Stato,
 almeno fino al momento  dell'effettuazione  del  referendum  (v.  per
 tutte  sent.  n.  69/1978);  ai promotori e' altresi' garantito dalla
 giurisprudenza costituzionale e dalla legislazione ordinaria un ruolo
 affatto peculiare per quanto attiene allo svolgimento di una corretta
 campagna referendaria, in cui i cittadini possano essere raggiunti da
 informazioni congrue e corrette circa il quesito referendario.
    La stessa  giurisprudenza  costituzionale,  nel  sottolineare  con
 intelligente  anticipazione  che  il quesito referendario deve essere
 chiaro e omogeneo per far si' che sia garantita la liberta' del  voto
 dell'elettore,   ha   implicitamente  riconosciuto  che  la  campagna
 referendaria debba svolgersi permettendo ai promotori e  ai  soggetti
 ad  essi dialetticamente e politicamente contrapposti di far giungere
 al corpo  elettorale  tutte  le  informazioni  necessarie  per  poter
 decidere ex deliberata coscientia.
    Le  modalita'  con  cui  tali  informazioni  possono  essere fatte
 giungere al corpo elettorale non sono in realta' -  nonostante  tutti
 gli  sforzi  di  fantasia  possibili  -  predeterminabili  a  priori:
 innovazione tecnologica e  mutamenti  del  costume  possono  via  via
 modificare  le  tecniche,  le modalita' che possono essere scelte per
 ottenere i ricercati risultati di raggiungimento del consenso.
    Non v'e' dubbio che sempre maggior rilievo assumano  le  modalita'
 di  comunicazione  delle  informazioni  che  utilizzano  i  mezzi  di
 comunicazione di massa.
    Il problema dell'utilizzazione dei mezzi di comunicazione di massa
 (oltre a quello di una disciplina del regime proprietario,  che  deve
 garantire  trasparenza  e  pluralismo)  si  pone  sia per le campagne
 elettorali  politiche  e  amministrative,   sia   per   le   campagne
 referendarie.  Va pero' tenuto presente che queste ultime si svolgono
 secondo  modelli  di  minore  complicazione  rispetto  alle  campagne
 elettorali  politiche  e amministrative: per le campagne referendarie
 il  carattere  binario  della  richiesta  referendaria  permette   di
 rappresentare   con   maggiore   facilita'  le  posizioni  in  lizza,
 garantendone - senza soverchi problemi organizzativi  -  la  cd.  par
 condicio; anche per le campagne elettorali politiche e amministrative
 il  principio  della  Chancengleichheit  (la  parita'  delle chances,
 principio che  pare  piu'  comprensivo  di  quello  sintetizzato  nel
 latinetto  della  par condicio) rende necessaria una qualche forma di
 garanzia della parita' di accesso ai mezzi di informazione  di  massa
 (altro  problema  - che non viene in rilievo in questa occasione - e'
 poi il quomodo di tale disciplina, che nel nostro paese e' complicato
 dal  quadro  frammentario  del  pluralismo  politico,   dalla   grave
 situazione   di   reciproca  sfiducia  delle  parti  politiche  e  da
 altrettanto gravi sintomi  di  scollamento  tra  corpo  elettorale  e
 soggetti politici).
    Da queste brevi premesse sono facilmente deducibili le ragioni per
 cui  il  comitato promotore ritiene violati i suoi poteri, di rilievo
 costituzionale, nella fase del procedimento refendario che  porta  al
 momento   dell'espressione   della   volonta'  popolare  sul  quesito
 dall'applicazione del recentissimo decreto-legge sulla  par  condicio
 anche alla disciplina delle campagne referendarie.
    2. - Circa la legittimazione attiva del comitato dei promotori. La
 giurisprudenza e' pacifica sul punto, sin dalla decisione n. 17/1978:
 la  vicenda  qui  dedotta in giudizio appare si' diversa da quelle in
 cui  tradizionalmente  i  promotori  hanno  sollevato  conflitto   di
 attribuzione  (decisioni  dell'Ufficio  centrale  di cessazione delle
 operazioni referendarie), ma tale differenza  non  pare  assumere  un
 rilievo  problematico.  Anche qui, come negli altri casi, i promotori
 sono garantiti e difensori del diritto  costituzionalmente  garantito
 ai cittadini di esprimersi attraverso lo strumento referendario: cio'
 che  attraverso  gli  atti  contestati  viene messo in pericolo e' la
 correttezza della campagna referendaria e del processo di  formazione
 della volonta' referendaria.
    3.  -  Circa  i  requisiti  soggettivi ed oggettivi del conflitto.
 Fermo rimanendo il rango costituzionale del soggetto ricorrente e  il
 sicuro  tono  costituzionale  del conflitto, non pare nemmeno possano
 essere avanzati dubbi sull'ammissibilita' del conflitto in  relazione
 agli  atti  impugnati,  ambedue  facenti  capo ad organi competenti a
 dichiarare definitivamente la volonta' del potere a cui appartengono.
    3.1. - Per quanto riguarda il decreto-legge, la dottrina dominante
 aveva sempre ritenuto  che  oggetto  del  conflitto  di  attribuzione
 potesse  essere  ogni  atto  (o  comportamento)  caratterizzato dalla
 invasione della sfera di competenza costituzionalmente  garantita  di
 altro soggetto o dal cattivo uso di potere, pur spettante al soggetto
 emanante,  che  si  riverbera  in  violazione  della  sfera di potere
 altrui; e cio' a prescindere dalla natura dell'atto, tant'e'  che  si
 era  sempre  ipotizzato  che  un  conflitto  di  attribuzione potesse
 rivolgersi  contro  una  legge   (ad   es.,   lamentando   l'avvenuta
 promulgazione da parte del Capo dello Stato).
    D'altra  parte, il decreto-legge mantiene la sua natura precaria e
 provvisoria di provvedimento emanato  sotto  la  responsabilita'  del
 Governo, destinato comunque a scomparire dall'ordinamento e passibile
 anche  di  disapplicazione  (altro  non  e'  stata  se non un caso di
 disapplicazione la decisione del 1993 dell'Ufficio  centrale  per  il
 referendum  che  ha  ritenuto  che  un  decreto-legge non potesse far
 cessare le operazioni referendarie  su  di  una  legge  sottoposta  a
 referendum  abrogata dal decreto-legge): di talche' ben e' esperibile
 il rimedio del conflitto di attribuzione contro un decreto-legge, pur
 in presenza della precedente decisione della Corte costituzionale  n.
 406/1989,  che  aveva  -  con  una  motivazione  tutta  basata  sulla
 peculiare forza della legge - ritenuto inammissibile il conflitto nei
 confronti di una legge.
    D'altra parte, proprio il carattere  precario  e  provvisorio  dei
 decreti-legge   fa   si'   che  rispetto  ad  essi  il  problema  del
 coordinamento tra disciplina dei giudizi incidentali e disciplina dei
 conflitti debba porsi in modo diverso, se  non  opposto,  rispetto  a
 quanto  ritenne  la Corte in occasione della sentenza n. 406/1989. E'
 evidente infatti che per i decreti-legge il  problema  e'  l'inverso:
 quello  cioe' di individuare strumenti processuali che permettano una
 maggiore  ampiezza  delle  modalita'  con  cui  essi  possono  essere
 sottoposti al giudizio della Corte costituzionale.
    Nel  caso  in  questione,  cosi' come in tutti i casi in cui viene
 utilizzato un decreto-legge, il  risultato  avuto  di  mira  potrebbe
 essere ottenuto limitandosi all'emanazione di un primo decreto-legge,
 senza  poi  nemmeno cercare di convertirlo o di reiterarlo: cosicche'
 lo  strumento  del  giudizio  incidentale  rimarrebbe   assolutamente
 spuntato ed inefficace.
   La  verita' e' che in tutti i casi - sempre piu' frequenti - in cui
 un decreto-legge puo' essere usato in fraus  Constitutionis,  facendo
 leva   sul   carattere  precario  per  ottenere  risultati  non  piu'
 modificabili,  il  decreto  assume  sempre  piu'  marcatamente   quel
 carattere   -   previsto   dalla   Costituzione  -  di  provvedimento
 provvisorio adottato sotto la responsabilita'  del  Governo.  Proprio
 una  situazione  di  questo  tipo  si creerebbe in questo caso per le
 campagne referendarie, che sarebbero  irrimediabilmente  pregiudicate
 anche  se il decreto non venisse convertito; una situazione simile si
 sarebbe potuta creare in occasione dei procedimenti  referendari  del
 1993,  in  cui  Presidente della Repubblica e Ufficio centrale per il
 referendum hanno  invece  bloccato  il  tentativo  di  utilizzare  la
 decretazione  di  urgenza per mettere nel nulla il potere sovrano del
 popolo di esprimersi per via referendaria: v. infra sub n. 6).
    Insomma: anche a non voler riconsiderare la sentenza  n.  406,  le
 stesse  rationes  sottese  all'inammissibilita' del conflitto in quel
 caso (la forza della legge; la necessita' di conciliare  il  giudizio
 sui  conflitti  con il giudizio incidentale; la possibilita' comunque
 che il provvedimento legislativo giunga al controllo della Corte;  il
 carattere  stabile  della  riforma introdotta con l'atto legislativo)
 dovrebbero spingere nel senso  dell'ammissibilita'  del  conflitto  -
 almeno  prima  facie - nei confronti del decreto-legge, proseguendo e
 rafforzando  una  meritevole  linea  giurisprudenziale  della   Corte
 costituzionale   tesa   a   limitare  il  ricorso  alla  decretazione
 d'urgenza, anche sminuendo la collocazione nell'ordinamento e la  sua
 concreta capacita' operativa.
    Come  argomento  favorevole all'ammissibilita' del conflitto su di
 un decreto-legge, i promotori sottolineano  infine  come  proprio  il
 decreto-legge  si  presti, in ragione del suo carattere provvisorio e
 precario, ad essere lo strumento piu' adatto per porre in essere atti
 e comportamenti lesivi della sfera di attribuzioni costituzionalmente
 garantite. Proprio la natura costituzionale del decreto-legge fa  si'
 che  esso  sia  solo  precariamente  "atto", ma sempre potenzialmente
 nella condizione di  divenire  mero  "comportamento",  fonte  di  una
 lesione di poteri costituzionalmente garantiti che si troverebbero ad
 essere violati e lesi sulla base di cio' che - dopo qualche settimana
 - si rivelerebbe essere un mero "comportamento" imputato al Governo.
    In  alcune situazioni particolarmente sensibili (come tutte quelle
 che  riguardano  i  diritti  politici  ed  elettorali),  la  semplice
 decadenza ex tunc del decreto-legge non convertito non e' sufficiente
 a   ripristinare   una  situazione  costituzionalmente  corretta.  La
 violazione dell'ordine costituzionale rimane e non e' (o lo e'  molto
 difficilmente)  piu'  reintegrabile;  la fonte della violazione e' un
 "non atto", un "comportamento" imputato al Governo: proprio la natura
 precaria del decreto-legge, "atto" per soli sessanta giorni, ma poi -
 se non convertito - "comportamento", fonte  pero'  di  violazioni  di
 situazioni soggettive o di sfere di potere, potrebbe essere la chiave
 per  ritenere  ammissibile  -  impregiudicata rimanendo la precedente
 giurisprudenza - il conflitto di attribuzioni sul decreto-legge.
    3.2. - Per  quanto  riguarda  il  provvedimento  del  Garante,  il
 problema  risiede  tutto  nella  qualificazione  delle  cd. autorita'
 amministrative indipendenti, se cioe' ad esse  vada  riconosciuto  il
 rango di potere dello Stato. Sul punto i ricorrenti si rimettono alla
 valutazione  della Corte, sottolineando pero' come la posizione delle
 autorita'  indipendenti,  cosi'  come   sono   andate   concretamente
 configurandosi  nel  sistema  politico italiano, e' quella della loro
 immediata   subordinazione   alla   Costituzione   e   ai    principi
 generalissimi,  di  attuazione  della  Costituzione,  contenuti nelle
 leggi che li prevedono (leggi che hanno in larga  misura  un  compito
 organizzatorio):  di  talche' in numerose situazioni - come in quella
 che qui viene in  considerazione  -  il  Garante,  cosi'  come  altre
 autorita' indipendenti, si trova ad applicare ed attuare direttamente
 e    immediatamente    la   Costituzione,   fornendo   indirizzi   ed
 interpretazioni che  danno  al  suo  ruolo  un  tono  sostanzialmente
 costituzionale  (e.g.:  ai  sensi  dell'art. 13 del d.-l., il Garante
 puo'  adottare  atti  cautelari  innominati   per   ripristinare   la
 disciplina dell'accesso ai mezzi di comunicazioni di massa cosi' come
 fornita  nella  legislazione,  nelle  deliberazioni della commissione
 parlamentare o delle disposizioni da esso dettate, e cio' al fine "di
 ripristinare l'equilibrio delle competizioni  elettorali",  finalita'
 di sicuro rango costituzionale dal Garante autonomamente interpretata
 e attuata).
    Cio'  premesso,  i ricorrenti ritengono che gli atti contro cui e'
 rivolto il presente ricorso violino le  sfere  di  attribuzioni  loro
 costituzionalmente garantite sotto i seguenti profili:
    4.  -  Violazione  dell'art.  75 della Costituzione da parte degli
 artt. 1, 2, 3 e 14 del d.-l. n. 83/1995.
    L'applicazione alle campagne referendarie della rigida  disciplina
 dell'accesso  ai  mezzi  di  informazione di massa (v. in particolare
 art. 2 laddove irregimenta le modalita' della  propaganda  elettorale
 implicitamente vietando quelle in esso non elencate; art. 3 che vieta
 la  pubblicita'  elettorale  a pagamento; nonche' le disposizioni che
 prevedono un rigidissimo apparato sanzionatorio e di  controllo)  non
 trova   alcuna  ragionevole  giustificazione  nella  struttura  delle
 campagne referendarie.
   Nessuna delle ragioni  che  da  parte  dei  sostenitori  della  par
 condicio  vengono  elencate  per giustificare l'applicazione di norme
 rigide alla campagna elettorale puo' trovare  applicazione  nel  caso
 delle campagne referendarie.
    In  esse  non  si  tratta  di  garantire parita' di accesso ad una
 pluralita' di soggetti politici tesi alla  conquista  di  percentuali
 marginali del consenso; in esse l'eventuale disparita' delle forze in
 campo  e', sempreche' esistente, controllabile con estrema facilita';
 in esse ben si puo' chiedere ai mezzi di comunicazione  di  massa  di
 disciplinare  la  loro attivita' di informazione politica rispettando
 la parita' delle posizioni  fra  il  si'  ed  il  no  all'abrogazione
 referendaria.
    Il  carattere  binario  del  quesito referendario rende cosi' piu'
 lineare e meno problematico  -  tranne  quelle  vicende  di  evidente
 parzialita'  di testate o conduttori che fanno parte di un malcostume
 giornalistico che difficilmente interventi repressivi del legislatore
 potranno estirpare - lo svolgimento della campagna referendaria.
    Sull'altro  versante,  il  carattere  puntuale  e  non  sempre  di
 immediata  apprensione del quesito referendario richiede e impone uno
 sforzo  per  far  giungere  al  corpo  elettorale  quella  messe   di
 informazione necessaria per deliberare in modo consapevole.
    Il  coordinamento,  allora, delle due esigenze rende irragionevole
 la pedissequa applicazione alle campagne  referendarie  della  rigida
 disciplina  che  il decreto-legge sulla par condicio riserva alle ben
 diverse campagne elettorali  politiche  e  amministrative:  per  tali
 ragioni,  l'applicazione  alle campagne referendarie della disciplina
 degli artt. 2 e 3 lede  i  diritti  costituzionalmente  garantiti  ai
 promotori.
    5. - Violazione dell'art. 75 della Costituzione da parte dell'art.
 3,  sesto  comma,  del  d.-l.  n. 83/1995; violazione dei principi di
 congruenza, ragionevolezza e proporzionalita'.
    Il Governo, nell'emanare  l'art.  6,  terzo  comma,  deve  essersi
 rifatto   a  quella  "convenzione  antireferendaria"  che  ha  spesso
 ispirato  il  comportamento  del  nostro  sistema  politico,  in  cui
 l'utilizzazione  di uno strumento di democrazia diretta che impone al
 corpo elettorale di schierarsi  per  contenuti  difficilmente  veniva
 accettata.
    Se cosi' non fosse, non si spiegherebbe la logica perversa sottesa
 all'art. 3, sesto comma.
    Con  tale  disposizione,  infatti,  viene vietato ai promotori del
 referendum, nonche' a chi all'abrogazione della norma si  oppone,  di
 utilizzare  gli  strumenti  della pubblicita' elettorale non solo nei
 trenta giorni precedenti al  referendum,  ma  anche  per  tutto  quel
 periodo precedente che si venisse a sovrapporre con gli ultimi trenta
 giorni di un'altra e diversa campagna elettorale.
    Per  rendere  piu'  comprensibile  l'effetto della disposizione in
 questione si puo' far riferimento alla situazione attuale.
    Poniamo il caso che i dieci  referendum,  per  il  momento  ancora
 lasciati  in una piazzola di sosta, siano infine indetti per domenica
 11 giugno: sara'  vietata  la  pubblicazione  e  la  trasmissione  di
 messaggi  pubblicitari  nei  trenta giorni precedenti al giorno delle
 votazioni, vale a dire a partire dal 12 maggio.
    Il caso vuole che per il 23 aprile siano indette le  elezioni  dei
 consigli  regionali, provinciali e comunali, essendo gia' fissato per
 la domenica 7 maggio il  ballottaggio  per  le  elezioni  comunali  e
 provinciali;  in applicazione dell'art. 3, sesto comma, e' vietata la
 pubblicazione e la trasmissione di messaggi pubblicitari  inerenti  i
 referendum  a  partire  dai  trenta giorni precedenti e quindi dal 24
 marzo.
    Insomma,  messaggi  pubblicitari  relativi  ai  referendum  -  che
 potrebbero  svolgersi  l'11  giugno  - potrebbero essere pubblicati o
 trasmessi dall'8 maggio all'11 maggio oppure fino al 24 marzo, con la
 conseguenza di imporre in sostanziale black out a  quella  necessaria
 attivita'  di  informazione  del  corpo  elettorale  richiesta per un
 corretto svolgimento dei referendum (cio' e' tanto piu' grave  se  il
 divieto  di  pubblicita'  riguarda  anche  gli annunci di dibattiti o
 altre iniziative politiche, cosi' come si stanno orientando  giornali
 ed emittenti).
    L'evento    della    sovrapposizione   parziale   della   campagna
 referendaria con una campagna elettorale  politica  o  amministrativa
 imporrebbe  cosi'  una  sorta  di  clamoroso  silenzio  stampa  sulle
 iniziative politiche dei favorevoli (e dei contrari)  alla  richiesta
 abrogativa.  Ma  l'evento  della  sovrapposizione,  di  per  se'  non
 significativo  ai  fini  della  campagna  referendaria,  potrebbe  in
 realta'  essere  cercato  e voluto proprio per ridurre al silenzio il
 dibattito referendario.
    Cosicche' mentre  la  pubblicita'  elettorale  e  referendaria  (a
 pagamento)  e' lecita fino a trenta giorni dall'evento elettorale, la
 stessa  attivita'  finirebbe  per  essere  vietata  solo  perche'  il
 referendum e' preceduto da una diversa tornata elettorale.
    Ne'   il   divieto   del   ricorso  alla  pubblicita'  relativa  a
 consultazioni   referendarie   successive   trova   una   ragionevole
 giustificazione  nel  fatto  che  i messaggi pubblicitari referendari
 potrebbero  assumere  contenuti,  solo  apparentemente  relativi   ai
 referendum,    ma    in    realta'    utilizzati   indirettamente   e
 surrettiziamente per influenzare il  corpo  elettorale  in  relazione
 alle consultazioni elettorali immediatamente precedenti, per le quali
 e' gia' operante il divieto di pubblicita' a pagamento.
    In  questa  ansia  di  evitare  scappatoie  e  di  disciplinare (e
 severamente  sanzionare)  ogni  aspetto  delle  campagne  elettorali,
 questo  ragionamento proverebbe troppo e potrebbe essere posto a base
 anche di conclusioni piu' drastiche. I divieti - specie i divieti  in
 una  societa'  liberale  e democratica| - sono retti dal principio di
 ragionevolezza e di proporzionalita'.  Posto  allora  il  divieto  di
 pubblicita'  elettorale  nei  trenta giorni immediatamente precedenti
 una data elezione, l'uso distorto della pubblicita' referendaria  per
 intervenire   sullo  svolgimento  della  campagna  elettorale  dovra'
 trovare e (puo' gia' trovare) strumenti adeguati e  congrui  rispetto
 allo scopo, senza necessariamente penalizzare un'attivita' di per se'
 lecita.
    La  misura  interdittiva della pubblicita' referendaria, anche nei
 trenta   giorni   precedenti   elezioni   diverse,   e'    eccessiva,
 irragionevole   e  sproporzionata:  e  pertanto  lesiva  dei  diritti
 costituzionalmente spettanti ai promotori, ai firmatari  e  al  corpo
 elettorale.
    6. - Cattivo uso del potere di cui all'art. 77 della Costituzione.
    La  materia  dei diritti politici e' estremamente delicata e su di
 essa l'uso della decretazione di urgenza deve  avvenire  con  estrema
 prudenza  e  attenzione. Nel caso di specie, cosi' non e' successo e,
 senza che ricorressero gli estremi della  necessita'  e  dell'urgenza
 (requisiti  che  la  Corte  ben puo' valutare, ai sensi della recente
 sentenza n. 29 del 1995: si tenga presente, al fine  di  valutare  la
 sussistenza  di tali requisiti, che i referendumancora non sono stati
 indetti), il Governo ha inciso con  un  decreto-legge  sulla  materia
 referendaria,  utilizzando  uno  strumento  il cui uso era stato gia'
 condannato, sia pur in un diverso contesto, sia dal Presidente  della
 Repubblica (quando - proprio in ragione di cio' - rifiuto' di firmare
 un decreto-legge, approvato dal Governo Amato, che incideva su di una
 legge,  quella  sul  finanziamento  pubblico  dei partiti, soggetta a
 referendum),   sia  dall'Ufficio  centrale  per  il  referendum.  Con
 l'ordinanza 23 marzo del 1993, l'Ufficio  centrale  ritenne  che  "il
 blocco  delle  operazioni referendarie non potra' scattare .. quando,
 per  lo  strumento  legislativo  utilizzato,  sia  comunque   mancata
 un'abrogazione certa e definitiva".
    Nel caso di specie (che riguardava il referendum per l'abrogazione
 del   Ministero  delle  partecipazioni  statali)  l'Ufficio  centrale
 concordava con  i  promotori  sul  fatto  che  l'utilizzazione  della
 decretazione  d'urgenza  ai fini dell'abrogazione di norme oggetto di
 proposte referendarie poneva nelle mani del Governo uno strumento con
 il quale avrebbe potuto impedire lo svolgimento  della  consultazione
 popolare;  successivamente,  in  realta',  sarebbe  stato sufficiente
 provocare  la  decadenza  del  decreto-legge,   affinche'   potessero
 dispiegarsi    gli    effetti   della   normativa   cosi'   strappata
 all'abrogazione popolare.
    In frode alla  Costituzione,  la  decretazione  d'urgenza  avrebbe
 potuto essere utilizzata per evitare il referendum abrogativo.
    La   ratio   della   decisione   del  1993  dell'Ufficio  centrale
 consisteva,  quindi,   proprio   nell'evitare   che   attraverso   la
 decretazione  d'urgenza  fosse sottratta al popolo la possibilita' di
 utilizzazione  del  fondamentale  istituto  di   democrazia   diretta
 previsto  all'interno  del  nostro  ordinamento: una simile ratio ben
 puo' sorreggere la valutazione della Corte costituzionale (anche  per
 quanto  riguarda  il profilo dell'ammissibilita' del conflitto avente
 ad oggetto un decreto-legge).
    7. - Il provvedimento del Garante.
    Il provvedimento 22 marzo 1995 del Garante per la  radiodiffusione
 e  l'editoria  trova applicazione alle campagne elettorali regionali,
 provinciali e comunali: tuttavia disciplina  anche  le  sanzioni  che
 possono  essere  irrogate dal Garante ai sensi del decreto-legge; tra
 tali sanzioni devono ritenersi applicabili anche quelle che  derivano
 dalla  violazione  dell'art. 3, sesto comma. Ne risulta la necessita'
 di annullare, in  parte  qua,  per  le  ragioni  finora  esposte,  il
 provvedimento del Garante.
                         ISTANZA DI SOSPENSIVA
    E'  difficile  negare  in  questo quadro che il decreto-legge e il
 provvedimento del Garante  ledono  le  competenze  costituzionalmente
 spettanti  ai  promotori.  D'altra  parte,  i  promotori  non possono
 esimersi dal chiedere (in applicazione analogica dell'art.  40  della
 legge n. 87/1953, non esclusa dalle sentenze nn. 302/1988 e 406/1989)
 l'applicazione  della  misura  cautelare  della sospensione, in parte
 qua, dei provvedimenti impugnati.  E'  evidente  infatti  che  se  si
 dovessero   attendere   gli   ordinari   tempi   di  decisione  della
 controversia il diritto costituzionalmente garantito di cui si chiede
 a codesta ecc.ma Corte tutela e protezione verrebbe irrimediabilmente
 leso:  i  tempi,  pur  rapidi,  della  giustizia  costituzionale  non
 permetterebbero  al comitato promotore di poter svolgere una corretta
 campagna di informazione sul referendum in presenza delle  vincolanti
 disposizioni  di cui al decreto-legge; ricorrono pertanto i requisiti
 del periculum in mora, sia sotto il profilo  della  irrimediabilita',
 sia sotto il profilo della gravita' del danno.
                               P. Q. M.
    I   signori   Calderisi,   Strik   Lievers   e  Vito,  come  sopra
 rappresentati  e  difesi,  chiedono  che  la  Corte   costituzionale,
 dichiarata l'ammissibilita' del conflitto ai sensi dell'art. 37 della
 legge  n.  87/1953,  accolga il ricorso e annulli, previa sospensiva,
 gli atti indicati in epigrafe.
      Roma, addi' 29 marzo 1995
               Prof. avv. Beniamino CARAVITA DI TORITTO
    AVVERTENZA: Conflitto gia' dichiarato, in sede  di  deliberazione,
 ammissibile nei confronti del Governo della Repubblica in persona del
 Presidente  del  Consiglio dei Ministri e inammissibile nei confronti
 del Garante per la radiodiffusione e l'editoria  (v.  l'ordinanza  n.
 118/1995,  gia'  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  -  1a  serie
 speciale - n. 15 del 12 aprile 1995).
 95C0447