N. 210 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 febbraio 1995
N. 210 Ordinanza emessa il 22 febbraio 1995 dal tribunale di Firenze nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Manetti Giorgio ed altri e l'I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Trattamento di fine rapporto in caso di fallimento del datore di lavoro - Diritto dei lavoratori e loro aventi causa al pagamento dello stesso a carico del fondo di garanzia I.N.P.S. trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo reso esecutivo ai sensi dell'art. 97 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di cui all'art. 99 stesso decreto per il caso siano state proposte opposizioni e impugnazioni riguardanti il loro credito, ovvero dalla pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo - Mancata estensione di detta normativa ai soci di cooperative di produzione e lavoro per il difetto agli stessi della qualita' di lavoratori subordinati secondo la giurisprudenza - Incidenza sul diritto di difesa e sui principi della tutela del lavoro e della cooperazione. (Legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 2). (Cost., artt. 24, 35 e 45).(GU n.17 del 26-4-1995 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nelle cause iscritte a ruolo il 29 luglio e 12 ottobre 1994, segnate al n.r.g. 491 e 583/1994, riunite sub 491/1994, discussa all'udienza del 22 febbraio 1995, promossa da Giorgio Manetti, Mariano Boncivinni, Franco Ricciardi, Alessandro Cintelli, Vittorio Lorenzoni, Eros Parenti, Rinaldo D'Aiuto, Luca Giuntini, Giovanna Gori, Moreno Barbanti, Francesco Guerrazzi, Anna Lorini, Franco Terreni, Marcello Bitossi, Paola Nucci, quale erede di Giorgio Nucci, Angelo Nigro, Silvano Pini, Vinicio Gori, Graziano Vignozzi, Fioravante Nucci, Armando Morganti, Roberto Mazzoni, Mario Cellai, Antonio Cacciato, Piero Pieraccini, Maria Francesca, Natalino Giuntini, Luciano Cappelli, Giuseppe D'Aiuto, Alessandro Morelli, Franco Pinzi, tutti elettivamente domiciliati in Firenze, via Ricasoli 32, presso e nello studio dell'avv. Eugenio Cavallucci, che li rappresenta e difende per procura a margine del ricorso in appello, appellanti, e da Mancini Giancarlo, rappresentanto e difeso, per procura a margine del ricorso in appello, dall'avv. Massimo Cesaroni, via G. Modena 1, Firenze, presso il cui studio elegge domicilio, appellante, contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale - I.N.P.S. rappresentato e difeso, per procura generale alle liti, dagli avv.ti Fanelli, viale Belfiore 28, Firenze, presso cui elegge domicilio, appellato, avente ad oggetto: trattamento di fine rapporto, fondo di garanzia, soci di cooperative di produzione e lavoro, spettanza, condizioni. Con separati ricorsi gli odierni appellanti, premesso di essere stati dipendenti della soc. cooperativa Minerva S.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Firenze, di essere stati ammessi al passivo del fallimento per crediti comprendenti i rispettivi trattamenti di fine rapporto, in quanto essi risultavano lavoratori subordinati (iscrizione dei rapporti sui libretti di lavoro, rilascio di buste paga e versamento della contribuzione I.N.A.I.L. e I.N.P.S., anche per la quota dello 0,30 afferente al fondo di garanzia), di avere inviato all'I.N.P.S. sede di Firenze Ufficio liquidazione t.f.r. i documenti validi al fine di ottenere dall'istituto il pagamento del t.f.r., con esito negativo, hanno adito pretore del lavoro di Firenze per ottenere quanto sopra, nei termini monetari specificati in conclusioni. Riunite le cause, con sentenza 7 novembre 1993/5 gennaio 1994, n. 11, il pretore respingeva la domanda. Riepilogata l'elaborazione giurisprudenziale sulla qualificazione della prestazione lavorativa del socio di cooperative di produzione e lavoro, respingeva la domanda non ravvisando nella specie la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato cui l'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, collega le prestazioni del fondo di garanzia. Hanno proposto appello, con separati ricorsi, i lavoratori. Il gruppo difeso dall'avv. Cavallucci, con unico complesso motivo di appello, censurava la decisione pretorile per l'erronea ricostruzione in fatto del rapporto, sostenendone la natura subordinata; chiedevano di provarla, oltre con gli elementi documentali gia' acquisiti in causa e non contestati dall'I.N.P.S., con prove testimoniali circa l'esistenza del potere gerarchico e disciplinare. L'appellante Mancini, oltre a tale motivo di appello, censurava la decisione pretorile per non avere ritenuto che i soci di cooperative di produzione e lavoro hanno diritto, come tali, all'accesso al fondo di garanzia, argomentando dall'estensione della copertura previdenziale propria del lavoro subordinato ai soci di cooperativa. L'I.N.P.S., tardivamente costituito, ribadiva coerentemente le difese di primo grado: non contestava di avere percepito i contributi relativi al fondo di garanzia, ne' la legittimita' di tale riscossione, ne' l'ammissione al passivo dei crediti per trattamento di fine rapporto; ma sosteneva che cio' era avvenuto in relazione al rapporto sociale, e per tale motivo i crediti erano stati iscritti in chirografo, privando cosi' l'istituto del privilegio spettantegli a norma dell'art. 2, settimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297. Il Tribunale di Firenze solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non estende la copertura del fondo di garanzia al pagamento del trattamento di fine rapporto cui le cooperative di produzione e lavoro siano obbligate. Infatti la domanda dei lavoratori appellanti non puo' essere accolta sulla base dell'annoso dibattito circa la configurabilita' di una causa mista, in capo al socio di cooperativa di produzione e lavoro, e quindi di un duplice rapporto, quello sociale e quello di lavoro (in analogia della causa mista che presiede ai rapporti del socio di cooperative di consumo, il cui rapporto sociale non osta acche' i soci pongano in essere rapporti negoziali con la cooperativa di cui sono soci caratterizzati da causa propria, diversa da quella sociale, ad es. aquisto dei beni venduti ai soci dalla cooperativa, che rimangono normali contratti di compravendita) perche' tale tesi, lungamente sostenuta dalla giurisprudenza di merito, e' stata negata in sede di legittimita' (Cass. sez. un. 29 marzo 1989, n. 1530, in Foro it., 1991, I, 2181 e Cass. sez. un. 28 dicembre 1989, n. 5813, in Giust. civ. 1992, I, 1537). Non puo' essere accolta neppure nell'ambito dell'orientamento di legittimita' che riconosce all'autonomia negoziale la potesta' di stabilire che prestazioni lavorative del socio siano espletate nell'ambito e con le garanzie di un contratto di lavoro subordinato (Cass. 2 marzo 1989, n. 1170, su conformi conclusioni del p.m.), perche' tale orientamento risulta riassorbito dalle pronuncie piu' recenti (Cass. 5 febbraio 1991, n. 1097 e Cass. 17 ottobre 1992 n. 11381) che negano rilevanza a tutti quegli elementi che gli odierni appellanti invocano a riprova del collaterale rapporto di lavoro subordinato: applicazione della disciplina collettiva ed esercizio del potere disciplinare, osservanza di orari predeterminati, compensi commisurati alle giornate di lavoro. Per tale motivo, e per l'esigenza di criteri di giudizio certi ed univoci, la questione non puo' essere decisa attraverso una piu' approfondita analisi della fattispecie (come sembra suggerire Corte costituzionale n. 155/1992). Non puo' essere accolta in base al principio dell'affidamento, per il quale l'I.N.P.S., che ha percepito per oltre un decennio i contributi relativi al trattamento di fine rapporto (l'appellante sostiene che tutte le cooperative di produzione e lavoro pagano siffatti contributi), sembrerebbe obbligato poi a corrisponderlo, in quanto si tratta di diritti ed obblighi non disponibili, per i quali e' necessaria una fonte di diritto certa ed univoca per tutti. Ne', per gli stessi motivi, in base al principio del reciproco riconoscimento. Ne' per il fatto dell'ammissione al passivo, con o senza privilegio (circostanze modificabili ex art. 101 e 102 della legge fallimentare, anche a cura dell'I.N.P.S., successore nel diritto), perche' tale circostanza processuale non risolve la questione di diritto circa la garanzia del fondo. Sembrerebbe dunque che la domanda, alla luce delle leggi e del quadro giurisprudenziale vigenti, andrebbe respinta. Ma il Tribunale di Firenze dubita che tale soluzione sia conforme all'art. 45 della Costituzione, che nel riconoscere, promuovere e favorire la funzione sociale della cooperazione, non si riferisce soltanto allo sviluppo delle societa' cooperative (che ha costituito la ragione sottesa alla giurisprudenza che privilegia il rapporto sociale e la connessa flessibilita'), ma anche alla tutela delle condizioni di lavoro dei soci cooperatori. E' questa peraltro la strada intrapresa dal legislatore dall'inizio del secolo, e sarebbe ben strano che il sigillo costituzionale della funzione cooperativa fosse meno efficace del trend legislativo anteriore. Il lavoro associato ha trovato il suo primo nucleo di tutela proprio nelle cooperative di produzione e lavoro, nelle quali piu' evidente e' l'analogia di bisogno, e conseguentemente di esigenza di tutela statuale, tra i soci lavoratori e i lavoratori subordinati nell'impresa. Il punto di attacco legislativo e' stato costituito, comprensibilmente e parallelamente, dai limiti posti all'(auto)sfruttamento del lavoro umano, con interventi in tema di orario di lavoro e di riposi, espressamente motivati da una sorta di parita' di trattamento ante litteram con "gli altri lavoratori, dipendenti dell'impresa cooperativa. L'art. 2 del r.d. 10 settembre 1923, n. 1955, disponeva infatti che "I soci di cooperative impiegati in lavori per conto delle cooperative medesime .. sono soggetti al r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692 (recante limitazioni all'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualsiasi natura), quando godano di una remunerazione fissa periodica, anche se integrata con partecipazione agli utili o altre forme analoghe, oppure quando lavorino promiscuamente con operai non appartenenti alla cooperativa". L'art. 2 della legge 22 febbraio 1934, n. 370, sulla disciplina del riposo domenicale e settimanale, estendeva la disciplina del lavoro subordinato ai soci di cooperative che prestassero la loro attivita' nelle medesime condizioni di cui sopra. Il passo immediatamente successivo e' stato costituito dalla disciplina previdenziale e prevenzionale. Gia' l'art. 2, comma secondo del r.d. 7 dicembre 1924 n. 2270 qualificava le cooperative come datori di lavoro ai fini dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria; l'art. 18 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, ha compreso tra le persone assicurate ai fini dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali i soci di cooperative. L'art. 3 del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, l'art. 3 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, e l'art. 3 del d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, equiparano ai lavoratori subordinati, ai fini rispettivamente della disciplina dell'igiene sul lavoro e della prevenzione infortuni in generale e nelle costruzioni, i soci di societa' ed enti in genere cooperativi, anche di fatto, che prestino la loro attivita' per conto delle societa' e degli enti stessi; mentre per i lavoratori autonomi che lavorino in analoga situazione di rischio e' previsto solo (art. 5 del d.P.R. n. 547/1955) un obbligo di informazione, a carico del datore di lavoro, dei suoi dirigenti e preposti, dei rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro, con esclusione dei rischi propri dell'attivita' professionale o del mestiere che il lavoratore autonomo e' incaricato di prestare. L'art 4, n. 7 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ha ampliato la previsione dell'art. 18 del r.d. n. 1765/1935, includendo tra le persone assicurate, oltre i soci delle cooperative gia' considerati, quelli di ogni altro tipo di societa', anche di fatto, comunque denominata, costituita ed esercitata, i quali prestino opera manuale, oppure non manuale alle condizioni di cui al precedente n. 2. Il d.P.R. n. 30 aprile 1970, n. 602, ha esteso la disciplina previdenziale delle cooperative di produzione e lavoro a particolari categorie di lavoratori soci di organismi ed enti cooperativi, anche di fatto, che prestino la loro attivita' per conto delle societa' ed enti medesimi, indicate nell'elenco allegato al decreto stesso. Il lavoro dei soci e' normalmente oneroso, attesa la funzione di sostentamento di se' e della propria famiglia, anche del lavoro associato. Cenni ad una tutela ex art. 36 della Costituzione si trovano anche nella giurisprudenza di legittimita'. Tanto cio' e' vero, che il lavoro gratuito dei soci volontari delle cooperative sociali ha ricevuto apposita regolamentazione con la legge 8 novembre 1991, n. 381. Orbene, se tutto il cammino legislativo sommariamente riassunto e' significativo di valori, espressi ora nell'art. 45 della Costituzione, occorre che analogo processo di assimilazione della tutela del lavoro cooperativo a quella del lavoro subordinato avvenga per i nuovi istituti successivamente creati, quali la garanzia del pagamento del trattamento di fine rapporto. L'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, sembra percio' contrastare con gli artt. 45, 35 e 24 della Costituzione nella parte in cui non estende ai soci di cooperative di produzione e lavoro la garanzia di cui all'art. 2 stesso. Per quanto riguarda i parametri costituzionali, si e' gia' detto dell'art. 45; l'art. 35 viene in considerazine per la latitudine della sua previsione (sulla quale di recente Corte costituzionale 12/19 gennaio 1995, n. 28); l'art. 24, per l'esigenza della previa esistenza di norme certe, coerentemente osservate nei comportamenti degli enti previdenziali, per la tutela dei propri diritti in giudizio. Il ragionamento giuridico che sottende l'eccezione passa attraverso l'affermazione, propria di autorevole dottrina, della funzione previdenziale del fondo di garanzia, finanziato con contributi a carico del datore di lavoro, espressione che comprende, nella materia previdenziale, anche le cooperative di produzione e lavoro. Per quanto precede la invocata copertura dovrebbe prescindere dalla controversa possibilita' di individuare un rapporto di lavoro subordinato collaterale al rapporto sociale. Sembra viceversa che non si possa prescindere dal riferimento ai contratti collettivi, cui la stessa legge (art. 2120, secondo comma, del c.c.) assegna il compito di determinare la retribuzione utile ai fini del trattamento di fine rapporto, recepiti dall'autonomia collettiva delle cooperative, la cui generalita' garantisce ai propri soci le condizioni minime del contratto collettivo di categoria, proprio perche' la ratio dell'invocata decisione risiede nella assimilazione della funzione di sostentamento per se' e per la propria famiglia del compenso del lavoro cooperativo rispetto a quello subordinato, non nella sua integrale funzione retributiva, ma nella frazione e nei termini minimali previsti dalle leggi vigenti.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 e segg. delle Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante in causa e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 112 (recte: 2) della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non estende ai soci di cooperative di produzione e lavoro la garanzia di cui all'art. 2 stesso, per contrasto con gli artt. 45, 35 e 24 della Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Firenze addi', 22 febbraio 1995 Il presidente: STANZANI Il giudice relatore: DE MATTEIS 95C0466