N. 212 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 1995

                                N. 212
 Ordinanza emessa l'8  febbraio  1995  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  il tribunale di Salerno sull'istanza proposta da
 Marotta Alberico
 Processo penale - Misure cautelari (nella specie: custodia  cautelare
    in  carcere)  - Imputato tossicodipendente - Impossibilita' per lo
    stesso di usufruire degli arresti domiciliari o di  sottoporsi  ad
    un  programma  di  recupero  se  perseguito  per  i reati previsti
    nell'art. 275, terzo comma, del c.p.p.  in  costanza  di  esigenze
    istruttorie  -  Disparita' di trattamento rispetto a casi analoghi
    come: ultrasettantenni, persone in condizioni di salute precarie o
    affetti da HIV - Irragionevolezza - Mancata tutela della salute.
 (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 89, quarto comma).
 (Cost., artt. 3, 27, primo comma, e 32, primo comma).
(GU n.17 del 26-4-1995 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letta l'istanza depositata  nell'interesse  di  Marotta  Alberigo,
 allo  stato  ristretto  nella  casa circondariale di Salerno, volta a
 conseguire gli arresti domiciliari presso la Comunita' "Il  Sentiero"
 di Pozzuoli;
    Vista la documentazione prodotta dalla difesa;
    Preso   atto  del  parere  contrario  del  p.m.  e  delle  ragioni
 articolate da tale ufficio;
    Rilevato che lo stato di tossicodipendenza dell'imputato, allegato
 dal medesimo, trova riscontro nella documentazione prima citata;
      che ai fini della delibazione  sull'istanza  de  libertate,  sic
 stantibus  regulis,  questo  giudicante deve applicare gli artt. 275,
 comma 3 del c.p.p. ed 89 comma 4 del d.P.R. n. 309/1990, tenuto conto
 del titolo del reato sub B) dell'ordinanza custodiale emessa a carico
 del Marotta: queste escludono che, nel caso di specie, perdurando  la
 sussistenza  di  esigenze cautelari, possa essere applicata la misura
 degli arresti domiciliari;
    Consegue   che   la   modificazione   dello   status    libertatis
 dell'imputato  potrebbe  concretarsi  soltanto  nella  rimessione  in
 liberta'  del  predetto,  all'esito  di  una   valutazione   negativa
 dell'attuale sussistenza di esigenze cautelari.
    Il  comportamento  processuale dell'imputato potrebbe orientare in
 tal senso, ma i  numerosi  e  specifici  precedenti  che  gravano  il
 Marotta,  la spinta a delinquere che lo determina alla commissione di
 reati  (maxime  lo  stato  di  tossicodipendenza),  impediscono   una
 prognosi  fausta  quanto  al pericolo di condotte recidivanti, specie
 ove si consideri che costui verrebbe rimesso in liberta' senza alcuna
 possibilita' di controllo da parte dell'a.g.
    Non  resterebbe  dunque  che la reiezione dell'istanza indicata in
 premessa, una volta preso atto del micro-sistema normativo descritto.
    E' tuttavia dato constatare che il sistema delle misure  cautelari
 personali  contiene  una pluralita' di correttivi, rispetto al regime
 ordinario, alla discrezionalita' che deve guidare il giudice, ex art.
 275, comma 1 del c.p.p., nella  scelta  della  misura  coercitiva  da
 applicare,  ove  l'indagato/imputato  versi in determinate qualita' o
 condizioni personali.
    Per l'art. 275, comma 5 del c.p.p. non  puo'  essere  disposta  la
 custodia   cautelare  in  carcere,  "salvo  che  sussistano  esigenze
 cautelari di eccezionale rilevanza", nei confronti  di  "una  persona
 incinta o che allatta la propria prole" o "che ha oltrepassato l'eta'
 di  settanta  anni"  o che, ancora, "si trovi in condizioni di salute
 particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie in  stato
 di detenzione".
    L'art.  286  del  c.p.p. consente che la persona da assoggettare a
 custodia cautelare, ove affetta da infermita' di  mente,  sia  questa
 tale  da escluderne o comunque da diminuirne grandemente la capacita'
 di intendere e volere, possa essere ricoverata  in  idonea  struttura
 del  servizio  psichiatrico ospedaliero, in luogo di essere custodita
 in carcere.
    L'art. 286-bis del c.p.p. dispone che non puo' essere mantenuta la
 custodia inframuraria nei confronti di chi sia affetto  da  infezione
 da  HIV  e  sussista  uno  stato  di incompatibilita' con lo stato di
 detenzione.
    Norma di chiusura del sistema descritto e' l'art.  299,  comma  4-
 ter  del  c.p.p.  che  faculta  il  giudice  a  disporre accertamenti
 medico-legali sulla persona dell'indagato/imputato onde verificare la
 compatibilita'  del  suo  stato   di   salute   con   la   detenzione
 inframuraria.
    E' agevole constatare che la comune ragion d'essere del sistema di
 correttivi  alla  custodia  cautelare (in specie inframuraria), quale
 descritto, e' la tutela del diritto alla salute, sia tale diritto  da
 proteggere  in  astratto  (la  custodia  carceraria  potrebbe essere,
 ratione aetate, pregiudizievole per l'ultrasettantenne) o in concreto
 (si pensi alle altre situazioni patologiche menzionate) o, ancora, da
 salvaguardare (donna incinta o che allatta la propria prole).
    Le ragioni processuali che giustificano  la  custodia  in  carcere
 cedono   il   passo   a   situazioni  soggettive  le  cui  necessita'
 terapeutiche e di cura  prevalgono,  salvo  casi  eccezionali,  sulle
 esigenze   cautelari,   si'  da  introdurre  ulteriori  parametri  di
 valutazione nella scelta della misura da applicare.
    E che tali interessi siano  dal  legislatore  reputati  prevalenti
 rispetto alle ragioni di cautela processuale lo dimostra il fatto che
 gli   stessi   costituiscono  oggetto  di  tutela  in  ogni  caso,  a
 prescindere dal titolo del reato per il quale si procede.
    Il   regime    della    custodia    cautelare    applicabile    ai
 tossicodipendenti  pure  e'  oggetto  di  una disciplina particolare:
 l'art. 275 del c.p.p., nella sua formulazione  originaria,  conteneva
 una  disposizione,  poi ripetuta dall'art. 89 del d.P.R. n. 309/1990,
 che precludeva l'applicazione della custodia in  carcere,  salvo  che
 sussistessero  esigenze  cautelari  di  eccezionale  rilevanza,  alla
 persona tossicodipendente o alcooldipendente che avesse in  corso  un
 programma  terapeutico  nell'ambito  di  una  struttura  autorizzata,
 quando  l'interruzione   del   programma   poteva   pregiudicare   la
 disintossicazione  dell'imputato  (art.  275,  comma 5); a tale comma
 venne  aggiunto  un  periodo  che  ne  escludeva  l'operativita'  nei
 confronti  di  coloro  che  fossero  imputati  di  taluno  dei  reati
 preveduti dall'attuale comma 3 del citato art. 275; l'intero comma  5
 ricordato e' stato poi abrogato.
    Oggi,  dunque,  e'  l'art. 89 del d.P.R. n. 309/1990 che regola la
 custodia cautelare per i tossicodipendenti:  il  comma  1  ripete  il
 contenuto  del citato (ed abrogato) art. 275, comma 5, del c.p.p.; il
 comma 2 consente la revoca della custodia cautelare in carcere, salvo
 esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (e', per esempio in corso
 un'indagine  su  di  una  associazione  finalizzata  al  traffico  di
 stupefacenti      aventi     ramificazioni     internazionali)     al
 tossicodipendente (o alcooldipendente) che intenda sottoporsi  ad  un
 programma di recupero.
    Tale  revoca viene concessa su istanza dell'interessato cui devono
 essere allegati i documenti previsti dallo stesso comma 2.
    Se il comma 3 della norma  in  argomento  prevede  un  sistema  di
 controlli, il comma 4 impedisce che la disciplina appena descritta si
 applichi  "quando  si  procede per uno dei delitti previsti dall'art.
 275, comma 3, del codice di procedura penale".
    E'  irrazionale,  ed  appare  a  chi  scrive  ingiustificata,   la
 disparita'   di  trattamento  fra  il  tossicodipendente  che  voglia
 sottoporsi ad un programma di recupero  e  le  persone  indicate  nel
 codice  di  rito  prima citate: di queste e' protetto il diritto alla
 salute, di quello tale  diritto  non  trova  protezione  sol  perche'
 trattasi  di  persona  imputata  di uno dei delitti previsti all'art.
 275,  comma  3  del  c.p.p.;  e'  pleonastico  aggiungere  che   tale
 disparita'   di   trattamento   e'   altresi'   rilevabile   fra   il
 tossicodipendente imputato di uno dei delitti da ultimo citati ed  il
 tossicodipendente imputato di altri delitti.
    L'art.  89,  comma  4  del d.P.R. n. 309/1990, pertanto, appare in
 contrasto con gli artt. 3 e 32, comma 1 della Costituzione.
    L'irrazionalita'  della  disciplina  dettata  in  tema  di  misure
 restrittive  nei confronti dei tossicodipendenti (o alcooldipendenti)
 va evidenziata sotto un ulteriore profilo: l'art. 47-bis  della  l.p.
 prevede   l'affidamento   in   prova   al   servizio  sociale  per  i
 tossicodipendenti ed alcooldipendenti,  dettando  una  disciplina  di
 gran lunga piu' favorevole dell'affidamento in prova, per cosi' dire,
 ordinario; basti pensare che la presentazione dell'istanza, corredata
 dalla  documentazione indicata dalla legge, determina, ove questi sia
 detenuto,  la  liberazione  del  condannato,  salve   le   successive
 determinazioni del tribunale di sorveglianza.
    Tale  misura  prescinde dal titolo del reato per il quale e' stata
 riportata condanna e trova  unico  limite  nel  quantum  di  pena  da
 espiare.
    Vero  e'  che l'art. 4-bis della l.p. pone delle condizioni per la
 concessione delle misure alternative alla  detenzione  "previste  dal
 capo  VI  della legge 26 luglio 1975, n. 354" e, dunque, anche per la
 concessione della misura ex art. 47-bis  citato,  ai  condannati  per
 taluni  (ma  non  tutti) i reati gia' previsti dall'art. 275, comma 3
 del c.p.p.; che l'art. 58-quater della  l.p.  pone  ulteriori  limiti
 alla    concedibilita'   dei   benefici   previsti   dall'ordinamento
 penitenziario  (ma fra questi non e' prevista l'ipotesi dell'art. 47-
 bis della l.p.); tuttavia il d.P.R. n. 309/1990 prevede due  istituti
 orientati   al   recupero   del   tossicodipendente   condannato:  la
 sospensione dell'esecuzione (art.  90)  quando  il  reato  sia  stato
 commesso in relazione allo stato di tossicodipendenza e l'affidamento
 in  prova  in  casi  particolari  (art.  94)  la  cui  disciplina  e'
 ricalcata, salvo il limite di pena espianda, che e' di quattro  anni,
 su quella dell'art. 47-bis della l.p.
    Se  cosi'  e',  il  tossicodipendente condannato puo' fruire di un
 progamma di recupero; tale possibilita' non  e'  invece  concessa  al
 tossicodipendente  imputato,  la  cui  responsabilita'  penale e' per
 definizione sub iudice, di taluno dei reati ex art. 275, comma 3  del
 c.p.p.
    La  disciplina  descritta e' la conseguente rilevata disparita' di
 trattamento appaiono in contrasto con gli artt. 3 e 27, comma 2 della
 Costituzione nonche' con l'art. 32, comma 1, della Costituzione.
    Ritenuto pertanto che la questione proposta  non  appare,  per  le
 ragioni ut supra evidenziate, manifestamente infondata;
      che  la  stessa  e'  rilevante ai fini del decidere in quanto la
 constatata  persistenza  di  esigenze  cautelari  nei  confronti  del
 Marotta  vincola  il  giudicante  alla  reiezione della stessa per il
 combinato disposto degli art. 275, comma 3 del c.p.p. e 89,  comma  4
 del d.P.R. n. 309/1990;
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 3, 27 comma 2, 32 comma 1, della Costituzione; 1
 della legge costituzionale 9 febbraio 1948; 23 della legge  11  marzo
 1953, n. 87;
    Solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 89,
 comma 4, del d.P.R. n. 309/1990 per contrasto con gli
 artt. 3, 27, comma 1, e 32, comma 1 della Costituzione.
    Dispone,  per   l'effetto,   la   sospensione   del   procedimento
 incidentale  de  libertate  e l'immediata trasmissione di copia degli
 atti del procedimento alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della   presente
 ordinanza  al  pubblico  ministero, all'imputato ed al suo difensore,
 nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Dispone inoltre che la presente ordinanza sia comunicata,  a  cura
 della  cancelleria,  al  Presidente del Senato della Repubblica ed al
 Presidente della Camera dei deputati
      Salerno, 8 febbraio 1995
          Il giudice per le indagini preliminari: BOCHICCHIO
 
 95C0468