N. 213 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 1995
N. 213 Ordinanza emessa il 7 febbraio 1995 dal giudice conciliatore di Roma nel procedimento civile vertente tra l'Associazione per la difesa dei consumatori e degli utenti ed altra e l'A.C.I. ed altro Tributi in genere - Tassa automobilistica - Trasformazione della "tassa sulla circolazione" in "imposta sulla proprieta'" commisurata ai cavalli fiscali degli autoveicoli - Incidenza sul principio di uguaglianza e di capacita' contributiva in quanto la tassa in questione, secondo il giudice rimettente, colpisce la categoria degli automobilisti "senza operare alcuna distinzione all'interno della medesima" e con essa "viene penalizzata l'automobile di piccola cilindrata che e' da considerarsi non un lusso, ma una necessita' soprattutto per chi lavora, data la inefficienza dei mezzi pubblici". (Legge 28 febbraio 1983, n. 53, art. 5, ventisettesimo, trentaduesimo e trentatreesimo comma; legge 5 febbraio 1953, n. 39, art. 2, lett. b)). (Cost., artt. 3 e 53).(GU n.17 del 26-4-1995 )
IL GIUDICE CONCILIARE Sciogliendo la riserva cosi' provvede. L'istanza proposta appare prima facie, fornita di attendibilita' ritenendosi l'art. 5, comma 27, 32, 33 della legge n. 53 del 28 febbraio 1983 coordinato con l'art. 2, lett. b), della legge n. 39 del 5 febbraio 1953 viziata di illegittimita' costituzionale ed in violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione dal momento che adottano parametri iniqui ed irrazionali al criterio impositivo della proprieta' del veicolo. Infatti e' una imposta pagata in base al solo possesso di una vettura, pertanto non piu' tributo corrisposto per un servizio reso al privato (in questo caso la tassa era dovuta per la circolazione dell'auto su strade ed autostrade e quindi per il loro utilizzo), bensi' prestazione pecuniaria dovuta dal contribuente allo Stato, derivante dalla proprieta' di un veicolo. La tassa di circolazione diventa poi imposta sul possesso, si muove in una logica che mantiene conto degli interessi e dei soggetti da essa penalizzati. Infatti colpisce l'intera categoria degli automobilisti senza operare alcuna distinzione all'interno della medesima. Con questa imposta viene penalizzata l'automobile di piccola cilindrata che e' da considerarsi non un lusso ma una necessita soprattutto per chi lavora, data la inefficienza dei mezzi pubblici. Non possiamo certo accettare come logica l'affermazione che rientrerebbe nella discrezionalita' del legislatore fissare i criteri di differenziazione delle aliquote delle imposte automobilistiche, dal momento che l'art. 53 della Costituzione dispone che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva. Dal momento che la legge n. 53 del 28 febbraio 1983 fu concepita ed elaborata nell'ambito di un provvedimento di legge eterogeneo inteso a creare nuovi sistemi per conoscere le entrate dello Stato, per appianare cosi' l'enorme disavanzo, non si e' pero' giunti ad una perequazione tributaria. Invero l'art. 53 della Costituzione per "capacita' contributiva" intende il complesso dei redditi di cui gode il contribuente e quindi l'imposizione di ogni tributo deve trovare il suo fondamento nell'accertata percezione di un reddito da parte del contribuente, ma non solo: la capacita' contributiva, puo' essere rilevata anche dal solo possesso del bene, indipendentemente dalla circostanza che il proprietario, per incuria o incapacita', non tragga un adeguato compenso dall'impiego del bene stesso. A conferma di cio' (assunto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 16 del 31 marzo 1965), tanto piu' si appalesa evidente, lo squilibrio tra questo assunto e l'imposizione di un tributo del medesimo importo a proprietari di auto che hanno prestazioni, qualita' e prezzo molto distanti tra loro. Cio' e' ampiamente in contrasto con il principio della eguaglianza, perche' non considera la diversa situazione del contribuente. E' opportuno pertanto equilibrare gli interessi dei deboli, al fine di non farli schiacciare. La questione di costituzionalita' sollevata e' decisiva, ai fini della risoluzione della controversia perche' il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione stessa. Difatti l'istante e' leso in un suo diritto da un atto della pubblica autorita' che si fonda su una legge incostituzionale. Allo stato degli atti emerge che il procediemnto non avra' la possibilita' di essere deciso indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalita', dal momento che la legge 28 febbraio 1983, n. 53, dovra' essere applicata per determinare il giudizio a quo.
Pertanto in accoglimento della proposta istanza, per i motivi su esposti, il giudice conciliatore ordina la sospensione del giudizio in corso ex art. 235 del c.p.c. e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Roma, addi' 7 febbraio 1995 Il giudice conciliatore: (firma illeggibile) 95C0469