N. 373 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 marzo 1995

                                N. 373
 Ordinanza  emessa  il  29  marzo  1995  dal  giudice  per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Milano nel procedimento  penale  a
 carico di Incerti Caselli Patrizia ed altri
 Processo   penale  -  Reato  di  diffamazione  commesso  a  mezzo  di
    radiotelevisione - Competenza territoriale - Giudice del luogo  in
    cui  ha  residenza la parte offesa solo in caso di attribuzione di
    fatto determinato - Lamentata discriminazione nei confronti  delle
    parti  lese  diffamate  genericamente o con domicilio all'estero -
    Lesione del principio del giudice naturale.
 (Legge 6 agosto 1990, n. 223, art. 30, quarto e quinto comma).
 (Cost., artt. 3 e 25).
(GU n.26 del 21-6-1995 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Sciogliendo la riserva  di  cui  all'udienza  preliminare  del  27
 gennaio 1995, osserva:
    In  data  15  maggio 1992, Rosa Randazzo proponeva formale querela
 per diffamazione a mezzo radiotelevisivo nei  confronti  di  Patrizia
 Incerti  Caselli  e  Piero  Vigorelli,  in  quanto responsabili della
 trasmissione "Detto tra Noi", andata in onda su  Rai  2  il  2  marzo
 1992, nonche' nei confronti di Antonino Mangano in qualita' di ospite
 della suddetta trasmissione.
    Nel  corso della puntata, come si evince dalla richiesta di rinvio
 a giudizio, gli imputati,  in  concorso  tra  loro,  "offendevano  la
 reputazione  di Randazzo Rosa proponendo, tra l'altro, un filmato nel
 quale un bambino che  rappresentava  il  figlio  (della  querelante),
 sputava  in  faccia  all'attrice che rappresentava la predetta" ed il
 Mangano affermava che "la Randazzo era una donna falsa ed ipocrita".
    In sede di udienza preliminare, il difensore  della  parte  civile
 sollevava eccezione di legittimita' costituzionale della disposizione
 di  cui all'art. 30, commi quarto e quinto della legge 6 agosto 1990,
 n. 223, siccome in contrasto con gli artt. 3 e 25 della Costituzione.
    Il giudice per le indagini preliminari, in data 26  ottobre  1993,
 dichiarava  la  questione non manifestamente infondata ed ordinava la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Con sentenza 19-25 luglio 1994, n. 344,  la  Corte  costituzionale
 dichiarava  inammissibile  la questione de qua, in quanto l'ordinanza
 di remissione non  risultava  adeguatamente  motivata  in  ordine  al
 requisito della rilevanza.
    Nel caso specifico, l'assurda disparita' di trattamento introdotta
 dalla  legge  6  agosto 1990, n. 223, e' particolarmente evidente, in
 quanto dalla lettura  del  capo  di  imputazione  si  evince  che  ai
 responsabili  della trasmissione sia contestato il fatto determinato,
 mentre l'ospite della stessa risponde esclusivamente di  diffamazione
 semplice.
    Applicando  rigorosamente la disposizione di cui all'art. 30 della
 legge citata, i primi dovrebbero  venire  "giudicati"  dall'autorita'
 giudiziaria   di  Milano  (luogo  di  residenza  della  parte  lesa),
 l'ospite, invece, dovrebbe affrontare il processo a  Roma,  luogo  di
 diffusione della trasmissione.
   Appare,   pertanto,   evidente  la  rilevanza  della  eccezione  di
 legittimita' sollevata con riferimento del caso de quo, in quanto  il
 presente    giudizio    non   puo'   trovare   adeguata   definizione
 indipendentemente dalla risoluzione della eccezione stessa.
    Non  puo',  dunque,  sollevarsi  alcun  dubbio  in   ordine   alla
 sussistenza,  nel caso di specie, del requisito della rilevanza della
 questione sollevata (requisito espressamente previsto e  disciplinato
 dall'art.  23  della  legge 11 marzo 1953, n. 87) in quanto la stessa
 costituisce un imprescindibile antecedente logico necessario  per  la
 decisione  della  causa,  tale  per  cui la mancata risoluzione della
 questione impedisce la corretta e legittima definizione del  presente
 giudizio.
    Nessuna  giustificazione sembra, pertanto, potersi rinvenire nella
 disparita'  di  trattameno  introdotta  dalla  disposizione  di   cui
 all'art.  30,  commi  quarto  e quinto, della legge 6 agosto 1990, n.
 223.
    Pertanto questo g.i.p. ritiene necessario  riproporre  alla  Corte
 costituzionale  la  questione gia' sollevata in data 26 ottobre 1993,
 che viene conseguentemente qui di seguito integralmente riportata:
    Il g.i.p., a scioglimento  della  riserva  formulata  nell'udienza
 preliminare   del  23  settembre  1993,  osserva:  la  richiesta  del
 difensore di parte civile di sollevare la questione di illegittimita'
 costituzionale dell'art. 30, commi quarto e  quinto,  della  legge  6
 agosto  1990,  n.  223,  in  relazione  agli artt. 3 e 25 della Norma
 costituzionale, nella misura in cui la competenza  per  territorio  e
 per   materia  dei  reati  di  diffamazione  commessi  con  il  mezzo
 televisivo viene incardinata presso la  residenza  della  parte  lesa
 soltanto  ove  vi  sia  la  contestazione  dell'aggravante  del fatto
 specifico, mentre invece negli altri casi di diffamazione semplice la
 stessa viene riferita al  luogo  di  diffusione  della  trasmissione,
 appare non manifestamente infondata e meritevole di verifica da parte
 del  giudice  costituzionale.  Ed  infatti con la legge di disciplina
 dell'emittenza  radiotelevisiva  del  6  agosto  1990,  n.  223,   il
 legislatore,  nel  regolamentare  complessivamente  il  sistema della
 informazione e dell'emittenza  radiotelevisiva  pubblica  e  privata,
 agli artt. 30 e 31 della suddetta legge ha inteso impiantare un nuovo
 sistema sanzionatorio, sia penale che amministrativo, trattando anche
 la  materia processuale relativa e, in particolare, nel quinto comma,
 la questione della competenza territoriale e per materia.
    Per la verita' l'articolo in  questione  non  sembra  aver  avuto,
 perlomeno  finora,  una  sopravvivenza  fortunata,  atteso il recente
 intervento proprio della Corte costituzionale, con la sentenza n.  68
 del  1991,  nella  quale  e' stato dichiarato illegittimo l'art. 233,
 comma secondo, delle disp. coord. al nuovo c.p.p.,  e  quindi  si  e'
 definitivamente  esclusa  la  necessita'  del  giudizio  direttissimo
 atipico per i reati di diffamazione sia a mezzo stampa  che  commessi
 con la diffusione radiotelevisiva, disposizione contenuta nella prima
 parte del citato art. 30, comma quinto, della legge in questione.
    Ma  anche  la seconda parte del citato comma non sembra ispirata a
 criteri che ne consentono una pacifica e non  discussa  sopravvivenza
 giurisprudenziale:  ed  infatti, nel prevedere un criterio certamente
 speciale per la competenza territoriale  in  relazione  ai  reati  di
 diffamazione  commessi ai sensi del comma quarto dello stesso art. 30
 ("nel caso di reati di diffamazione commessi attraverso  trasmissioni
 consistenti  nell'attribuzione  di un fatto determinato .."), e cioe'
 il luogo di residenza della persona  fisica  lesa  nel  procedimento,
 certamente  inserisce  un  punto di disparita' e di discrimine la cui
 comprensione non appare del tutto evidente, quantomeno a chi scrive.
    Tale norma,  infatti,  privilegiando  un  criterio  ormai  nemmeno
 inserito  in  quelli residuali per la determinazione della competenza
 territoriale  dal  nuovo  c.p.c.,  disciplina  in   modo   certamente
 inusitato  e, per cosi' dirsi eccezionale, la competenza territoriale
 per i reati di diffamazione commessi con il mezzo radiotelevisivo, (e
 lo fa certamente per introdurre un elemento di novita'  normativa  in
 un settore diuturnamente travagliato dalla difficolta' di individuare
 il   locus  commissi  delicti),  ma  lo  fa  in  maniera  si  direbbe
 "spudoratamente" parziale, limitando tale competenza ai soli reati di
 diffamazione commessi con l'attribuzione di un fatto  determinato,  e
 dimenticando  tutti gli altri reati commissibili attraverso l'uso del
 mezzo radiotelevisivo, come ad esempio  l'apologia  di  reato,  o  la
 trasmissione di programmi osceni, o comunque la sola diffamazione cd.
 semplice,  e  cioe'  non  aggravata  ai  sensi del comma quarto dello
 stesso articolo.
    Che cio' sia avvenuto  per  un  particolare  favor  che  la  legge
 istituisce  nei  confronti delle parti lese nei reati in questione, o
 soltanto per un meccanismo di dimenticanza da parte del  legislatore,
 e'  un  problema  tutto  da  approfondire,  soprattutto  in  una sede
 certamente appropriata quale quella della verifica costituzionale:  i
 lavori   parlamentari  preparatori  alla  legge  stessa  non  aiutano
 l'interprete   e   sembrano   accreditare   l'ipotesi   della    mera
 dimenticanza,  o  comunque  della  sottovalutazione  del rispetto dei
 valori e dei dettami contenuti negli artt. 3 e 25 della Costituzione,
 sia per quel  che  concerne  l'uguale  trattamento  che  i  cittadini
 meritano  di  avere dinanzi alla legge (non si vede la ragione per la
 quale una parte lesa diffamata  genericamente  ovvero  con  domicilio
 all'estero  meriti un trattamento meno privilegiato di una parte lesa
 diffamata in maniera  piu'  precisa),  sia  per  quanto  riguarda  la
 necessaria    precostituzione    del   giudice   naturale,   la   cui
 determinazione non puo' essere lasciata ad un arbitrio legislativo di
 assai difficile interpretazione.
   Ed infatti, va' ricordato quanto insegnato da uno degli  interpreti
 del dettato costituzionale piu' accorti fra gli studiosi (F. Cordero,
 Procedura  Penale,  Milano 1979), "la disciplina della competenza va'
 ancorata in qualche modo al luogo del reato. L'art. 25, comma  primo,
 non  ha elevato a dogma un singolo metodo di divisione del lavoro tra
 i giudici, e quindi il Parlamento  ha  le  mani  libere,  purche'  il
 giudice  del  locus commissi delicti non sia sistematicamente escluso
 dalla cognizione del caso".
    Nel  caso  in  questione  il  rischio e' che tale esclusione possa
 verificarsi piu' spesso di quanto non si pensi, in tutte  le  ipotesi
 (e  non  sono  solo di scuola) in cui l'evento del reato non coincida
 con il luogo di residenza della persona offesa (tra  l'altro  val  la
 pena  di  far  notare, incidenter, che il concetto di residenza della
 persona fisica  appare  connotabile,  a  livello  interpretativo,  in
 maniera  anche del tutto atecnica, e che meglio sarebbe stato parlare
 di domicilio o di sede legale p. es. nel caso diffamazione di  Enti),
 o  comunque  che  si crei una assurda disparita' di trattamento tra i
 diffamati semplici e quelli aggravati.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione  relativa  alla
 illegittimita'  costituzionale dei commi quarto e quinto dell'art. 30
 della legge 6 agosto 1990, n. 223, in relazione agli  artt.  3  e  25
 della Corte costituzionale;
    Ordina  la sospensione del presente procedimento e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  il  deposito   della   presente   ordinanza   ordinandone
 l'integrale notificazione a tutte le parti processuali.
      Milano, addi' 29 marzo 1995
             Il giudice per le indagini preliminari: MAGI
 
 95C0750