N. 382 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 1995

                                N. 382
 Ordinanza emessa  il  23  marzo  1995  dal  pretore  di  Bologna  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Fnle Cgil-Flerica Cisl e Azienda
 Consorziale Servizi Reno
 Sciopero   e   serrata   -  Disciplina  del  diritto  di  sciopero  -
    Inosservanza - Sanzione del trattenimento  e  versamento  all'INPS
    dei   contributi  sindacali  da  parte  del  datore  di  lavoro  -
    Irrazionale ed illegittima attribuzione al datore di lavoro di  un
    potere  disciplinare nei confronti delle associazioni sindacali in
    assenza  di  qualsiasi  norma  procedurale   che   ne   disciplini
    l'esercizio  - Violazione del principio della liberta' sindacale e
    del diritto di sciopero.
 Sciopero  e  serrata  -  Disciplina  del  diritto   di   sciopero   -
    Inosservanza  -  Sospensione  temporanea  del potere di trattativa
    dell'Organizzazione sindacale -  Violazione  del  principio  della
    liberta' sindacale e del diritto di sciopero.
 (Legge 12 giugno 1990, n. 146, art. 4, secondo e terzo comma).
 (Cost., artt. 39 e 40).
(GU n.26 del 21-6-1995 )
                              IL PRETORE
   A  scioglimento  della  riserva  ha emesso la seguente ordinanza di
 rimessione di questione di  legittimita'  costituzionale  alla  Corte
 costituzionale,  nella  causa  r.g.l.  n. 2200/1993 promossa da: Fnle
 Cgil -  Flerica  Cisl  (avv.ti  Massimo  D'Antona,  Luciano  Ventura,
 Piergiovanni   Alleva,   Alberto  Piccinini  e  dott.  proc.  Valerio
 Cerritelli) contro l'Azienda Consorziale Servizi Reno (ACOSER)  (avv.
 Franco Carinci), oggetto: ricorso ex art. 28 della legge n. 300/1970.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    1.  -  Le  organizzazioni  sindacali  Fnle  Cgil e Flerica Cisl di
 Bologna hanno presentato il 13 maggio 1993 ricorso ai sensi dell'art.
 28 della legge n. 300/1970 nei confronti dell'ACOSER.
    I sindacati hanno dedotto che il giorno  18  settembre  1992  essi
 avevano  comunicato all'azienda di partecipare allo sciopero generale
 di quattro ore indetto quel giorno dalle confederazioni Cgil, Cisl  e
 Uil  per  il  giorno  23 del mese, come protesta per il contenuto del
 decreto-legge  del  Governo  in  materia  di  previdenza,  sanita'  e
 pubblico impiego deliberato il 17 settembre.
    La  direzione  dell'ACOSER  aveva  espresso  riserve sulla mancata
 osservanza del termine di preavviso di dieci giorni prima del  giorno
 di sciopero.
    In  vista  dello  sciopero erano state predisposte e realizzate le
 misure  per  le  prestazioni  indispensabili,  secondo  gli   accordi
 esistenti tra le parti sindacali.
    Il  28  dicembre l'ACOSER aveva comunicato ai sindacati ricorrenti
 l'intenzione di dare applicazione alle sanzioni previste dall'art.  4
 della legge n. 146/1990, solamente nei confronti delle organizzazioni
 sindacali,  in  relazione  al  mancato  rispetto  dei dieci giorni di
 preavviso; vi avrebbe provveduto nel  mese  di  gennaio  con  l'invio
 all'INPS  della  somma  di L. 10.987.385, tratta dai contributi della
 Fnle Cgil e di L. 1.634.822 per la Flerica Cisl.
    Le associazioni ricorrenti hanno dedotto che nel caso concreto  il
 rispetto  del  termine  dei  dieci giorni prima dello sciopero per la
 comunicazione  di  esso  al  datore  di  lavoro  era   da   ritenersi
 irrilevante   al   fine   della   predisposizione  delle  prestazioni
 indispensabili per la tutela dei diritti  degli  utenti;  cio'  anche
 perche'  nelle  ore  dello  sciopero  del  23  settembre  erano state
 mantenute le prestazioni di lavoro previste per le giornate  festive,
 secondo gli accordi sindacali esistenti.
    Le associazioni ricorrenti hanno dedotto che secondo il Protocollo
 tra  CISPEL  e  le  organizzazioni  ricorrenti  del  20  luglio 1989,
 richiamato nell'accordo del 27 marzo 1991, l'applicazione di sanzioni
 nei confronti dei sindacati che non avessero osservato  le  regole  a
 tutela degli utenti in caso di sciopero doveva essere demandato ad un
 collegio  di  sette  membri,  di cui tre di nomina sindacale e tre di
 nomina dell'impresa.
    Poiche' l'ACOSER non aveva promosso la costituzione  del  collegio
 la   trattenuta   operata   era   invalida  anche  sotto  il  profilo
 procedurale.
    I  ricorrenti  hanno  dedotto  ancora  che  l'azienda  non  poteva
 applicare  la  trattenuta senza previa contestazione, e a distanza di
 quattro mesi dall'accaduto; hanno contestato  anche  la  legittimita'
 nel    merito    delle   trattenute   operate,   come   comportamento
 antisindacale.
    Infine   hanno    prospettato    la    possibile    illegittimita'
 costituzionale  della  legge  n.  146/1990  secondo  le deduzioni che
 seguono: "Qualora poi si ritenesse che la legge 12  giugno  1990,  n.
 146:
       a)  limita  il  diritto  di  sciopero  indipendentemente  dalla
 finalita'  di  garantire  il  godimento  dei  diritti  della  persona
 costituzionalmente tutelati;
       b)  attribuisce  al datore di lavoro esercente pubblici servizi
 il  potere  di  applicare  sanzioni  disciplinari  a   carico   delle
 organizzazioni sindacali;
       c)  consente  che  questo  avvenga senza nemmeno una preventiva
 contestazione di addebiti;
       d) pone nel nulla gli accordi  collettivi  che  hanno  previsto
 procedure  volte a porre su piu' solidi basi le relazioni tra aziende
 e sindacati;
       e)  considera  come  parte  dell'"ordine  costituzionale"  solo
 quanto attiene al funzionamento delle strutture statali e non anche i
 principi cardine che informano la Costituzione repubblicana;
       f)  ritiene  irrilevante  l'elemento  soggettivo  ai fini della
 punibilita'; ebbene, in tal caso non potrebbe  non  essere  sollevata
 una  pluralita'  di questioni di legittimita' costituzionale, volte a
 far pronunziare la Corte su problemi la cui rilevanza va anche  molto
 al di la' del tema specifico della presente causa".
    Dopo  queste  premesse  i  ricorrenti  hanno precisato le seguenti
 conclusioni:
      dichiarare antisindacale il  comportamento  tenuto  nei  termini
 descritti   in  narrativa  nei  confronti  della  Fnle-Cgil  e  della
 Flerica-Cisl  per  aver  organizzato,   nell'ambito   della   propria
 categoria,  lo  sciopero generale del 23 settembre 1992, e tradottosi
 nella trattenuta dei contributi sindacali  sulle  retribuzioni  degli
 iscritti  in  azienda  effettuata  nel  gennaio  1993 con conseguente
 devoluzione all'INPS degli importi di L. 10.987.385 per la  Fnle-Cgil
 e di L. 1.634.822 per la Flerica-Cisl;
      disporre  la  rimozione degli effetti, ordinando all'ACOSER, con
 sede in Bologna, viale Berti Pichat n. 2/4, in persona del suo legale
 rappresentante  pro  tempore,  di   corrispondere   alle   ricorrenti
 Fnle-Cgil   e   Flerica-Cisl   i   medesimi  importi,  maggiorati  da
 rivalutazione monetaria ed interessi legali dal  1  gennaio  1993  al
 momento del pagamento;
      si  chiede  altresi'  che  il  provvedimento di accoglimento del
 ricorso venga pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali  e  locali
 ed affisso nei diversi uffici dell'Azienda.
    Con condanna di parte convenuta alla rifusione di spese competenze
 ed  onorari,  da  distrarsi  a  favore  dei  sottoscritti procuratori
 antistatari.
    2. - La difesa dell'ACOSER ha esposto analiticamente il succedersi
 dei fatti rilevanti per il processo;  ha  contestato  nel  merito  le
 domande  ed  ha  sostenuto  la legittimita' del comportamento tenuto,
 alla stregua di una  corretta  interpretazione  dell'art.  2,  quinto
 comma,  della  legge  n.  146/1990, sul termine di preavviso rispetto
 allo sciopero, e sulla applicazione dovuta delle sanzioni  economiche
 nei confronti delle organizzazioni sindacali, secondo quanto disposto
 dall'art. 4 della legge citata.
    3.  -  Effettuato  l'interrogatorio  delle parti la controversia e
 stata discussa.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    1. - La rilevanza delle questioni sollevate.
    In base alla documentazione  acquisita,  alle  dichiarazioni  rese
 dalle  parti,  alla  interpretazione  della norma dell'art. 2, quinto
 comma, della legge n. 146/1990 - anche tenendo presente  la  sentenza
 n.  276 del 28 magglo 1993 della Corte costituzionale - il giudice e'
 portato a considerare non fondate le domande volte a  far  dichiarare
 la illegittimita' antisindacale del comportamento dell'ACOSER.
    In  effetti  il  periodo  di  dieci  giorni  di preavviso che deve
 intercorrere tra la comunicazione e l'inizio  dello  sciopero  e'  un
 termine  minimo,  perentoriamente  stabilito  per  tutti  i  casi  di
 sciopero (escluse le ipotesi dell'ultimo comma dell'art. 2,  che  non
 ricorrono  nel  caso),  non derogabile per volonta' delle parti e non
 collegato alla importanza dello sciopero o ad altri elementi  diversi
 dal mero decorso del tempo.
    Dall'accertamento  che  la  dichiarazione  dello sciopero e' stata
 comunicata con evidente violazione del termine di preavviso  previsto
 dall'art.  2,  quinto  comma, conseguirebbe pertanto l'applicabilita'
 della sanzione dell'art. 4, secondo comma, che prevede la sospensione
 per un periodo non inferiore ad  un  mese  dei  "benefici  di  ordine
 patrimoniale  derivanti  dagli  artt.  23  e 26, secondo comma, della
 legge 20 maggio 1970, n. 300 ..";  sospensione  eseguita  dall'ACOSER
 con  il  versamento all'INPS delle somme relative alle ritenute delle
 quote sindacali spettanti alle due organizzazioni.
    2. - La  difesa  dei  ricorrenti  ha  sollevato  le  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  delle norme della legge n. 146/1990 nel
 modo sopra integralmente riportato.
    2.1. - Il pretore giudica di non  dover  riproporre  le  questioni
 relative  al  termine  di preavviso dello sciopero, gia' decise dalla
 Corte costituzionale con la sentenza n. 276/1993.
    2.2. - Il  pretore  giudica  invece  rilevante,  anche  in  questo
 giudizio  sommario,  le  questioni  di  cui  alle lett. b) e c) delle
 deduzioni difensive, che riguardano le sanzioni previste per  i  casi
 di violazione delle norme e il procedimento per la loro applicazione.
    Anche  nel giudizio sommario deve innanzitutto essere accertata la
 legittimita' costituzionale delle norme da applicare come presupposto
 per la valutazione del comportamento del datore di lavoro  denunciato
 di illegittimita' antisindacale.
   3. - La non manifesta infondatezza delle questioni.
    3.1.  -  Le  norme ordinarie in discussione sono i commi due e tre
 dell'art. 4 della legge n. 146/1990, del seguente tenore:
    "2. -  Nei  confronti  delle  organizzazioni  dei  lavoratori  che
 proclamano  uno  sciopero,  o  ad esso aderiscono in violazione delle
 disposizioni  di  cui  all'art.  2,  sono  sospesi,  per  la   durata
 dell'azione  stessa  e, in ogni caso, per un periodo non inferiore ad
 un mese, i benefici di ordine patrimoniale derivanti dagli artt. 23 e
 26, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonche'  dalle
 norme  di  legge,  regolamentari  o contrattuali, che disciplinano le
 stesse materie per i  pubblici  dipendenti.  I  contributi  sindacali
 trattenuti  sulla  retribuzione  sono devoluti all'Istituto nazionale
 della previdenza sociale,  gestione  dell'assicurazione  obbligatoria
 per la disoccupazione involontaria.
    3.  -  I  soggetti che proclamano lo sciopero, o vi aderiscono, in
 violazione dell'art. 2, sono esclusi dalle trattative, in  quanto  vi
 partecipino, su indicazione della Commissione di cui all'art. 12, per
 un periodo di due mesi dalla cessazione del comportamento".
    3.2. - Sul problema piu' ampio delle sanzioni previste dalla legge
 n.  146/1990,  come  rafforzamento di prescrizioni e di obblighi sono
 state mosse dalla dottrina molte, aspre e convergenti  critiche,  sia
 sotto  il  profilo  della  loro congruenza rispetto al sistema creato
 dalla legge e agli scopi perseguiti, sia rispetto  alla  formulazione
 tecnico-giuridica  adottata:  si e' parlato autorevolmente perfino di
 "primitivismo tecnico" e di "mostruosita' giuridica".
    Non e' certo il caso  di  riprendere,  nemmeno  sommariamente,  le
 "generali osservazioni" che concorrono a formare il convincimento del
 giudice  sulla  necessita'  che  siano rimesse alla valutazione della
 Corte le questioni che hanno incidenza nella  definizione  di  questo
 processo.
    4.  -  Viene  sottoposta  al  giudizio della Corte costituzionale,
 innanzitutto, la questione  della  compatibilita  dell'assogettamento
 della  associazione  sindacale  -  che  si  ritiene  abbia violato le
 prescrizioni impostele dall'art. 2 della legge - alla applicazione da
 parte del datore di lavoro delle sanzioni previste  dall'art.  4,  in
 relazione  al  principio  della  liberta'  sindacale  genericamente e
 significativamente affermato nell'art. 39 della Costituzione.
    4.1. - Valgono in proposito le seguenti sommarie considerazioni.
    La attribuzione del potere sanzionatorio al datore di  lavoro  nei
 confronti  dei  lavoratori dipendenti per le ipotesi di trasgressione
 alle previsioni  sanzionate  previste  dall'art.  4  della  legge  n.
 146/1990     potrebbe     trovare     una    certa    giustificazione
 logico-sistematica nel fatto  che  il  lavoratore  e'  sottoposto  al
 potere gerarchico insito nel rapporto del lavoro subordinato; in tale
 contesto  egli  e'  soggetto  anche al potere disciplinare attribuito
 secondo la tradizione  e  le  norme  al  datore  di  lavoro,  per  le
 violazioni delle obbligazioni che scaturiscono dal rapporto.
    La attribuzione di un potere sanzionatorio al datore di lavoro nei
 confronti   della   associazione   sindacale  dei  propri  lavoratori
 dipendenti non puo' trovare alcuna legittimazione teorico-sistematica
 di questo genere.
    Le organizzazioni sindacali dei lavoratori sono e devono  rimanere
 del tutto libere e svincolate da ogni potere di supremazia del datore
 di lavoro, diretto o indiretto, e da qualsivoglia forma di penetrante
 ingerenza  giuridica  del datore di lavoro quale e' certamente quella
 del  potere  di  applicare  sanzioni  rilevanti  per  la  vita  della
 associazione sindacale in  relazione  all'esercizio  del  diritto  di
 sciopero.
    Quanto  si e' affermato e' un portato della storia delle relazioni
 sindacali, in una moderna societa' regolata da principi  democratici,
 quale  e'  la  nostra;  questo  e'  il  significato  ed  il contenuto
 pregnante  dell'art.  39   della   Costituzione;   non   solo   nella
 affermazione  di  principio  della liberta' sindacale, ma anche nelle
 articolazioni e nello sviluppo fattone con le altre disposizioni.
    La sottoposizione del sindacato al potere sanzionatorio del datore
 di lavoro appare percio' costituire una evidente menomazione  ed  una
 sensibile  compressione  e  riduzione della liberta' sindacale, tanto
 significativamente affermata in termini generali dalla Costituzione.
    5. - Le norme dell'art. 4,  secondo  e  terzo  comma  della  legge
 confliggono  anche  con  lo  stesso  riconoscimento  del  diritto  di
 sciopero, di cui all'art. 40 della Costituzione.
    Anche se la legge n. 146/1990 ha lo scopo  di  regolare  i  limiti
 dell'esercizio del diritto di sciopero, in relazione alle esigenze di
 tutela  dei  diritti  costituzionali,  lo  sciopero  e'  e  rimane lo
 strumento costituzionalmente affermato e garantito  della  autotutela
 dei  lavoratori  subordinati,  secondo  la  concezione  che  sta alla
 origine della formazione e dello sviluppo storico di tale  diritto  e
 di  tale  liberta'  e  della  dichiarazione di riconoscimento operata
 dall'art. 40 della Costituzione.
    Del  resto  il  rilievo  e  la  importanza  della  autotutela  dei
 lavoratori  dipendenti, quale realizzata anche con lo sciopero, viene
 affermata dalla stessa legge n. 146/1990, quando con gli artt. 1 e  2
 pone   a   fondamento   delle   discipline   per  il  contemperamento
 dell'"esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei  diritti
 della  persona  costituzionalmente  tutelati"  innanzitutto la stessa
 negoziazione sindacale, sia  pur  stimolata,  guidata  e  controllata
 dalla  Commissione  di  garanzia,  con  il  subordinare  di  norma la
 concreta determinazione delle  prestazioni  di  lavoro  da  ritenersi
 indispensabili  a  tali  fini  alla  esistenza di un "idoneo" accordo
 sindacale.
    Del resto, pur con le  ambiguita'  e  le  insufficienze  segnalate
 dalla  dottrina,  il  principio  della  liberta'  del  sindacato  nel
 confronto con le altre parti per arrivare consensualmente alla intesa
 e' affermato in tutte le  scelte  di  fondo  operate  nella  concreta
 struttura della legge n. 146/1990.
    Tale   criterio   e'   stato  seguito,  ad  esempio,  anche  nella
 determinazione delle funzioni assegnate alla "Commissione di garanzia
 per l'attuazione della legge". Tra i compiti dati  dalla  legge  alla
 Commissione di garanzia non sono certamente quelli attribuitisi dalla
 stessa  con  la  deliberazione  dell'ottobre  1991, di sostituirsi in
 maniera autoritaria - anche se in modo provvisorio -  alla  autonomia
 negoziale  delle  parti;  sicuramente  al  di  la' della legge, e con
 effetti contrari alla stessa, con il rendere vincolante per le  parti
 la "proposta" deliberata dopo la mancata intesa tra le parti, dopo le
 trattative e le altre proposte della Commissione.
    Il  potere  di  intervento autoritario, che serva anche a superare
 possibili "stalli" per l'"idoneo"  accordo  sindacale,  e'  riservato
 invece,  solamente  come  ultima  ed  estrema  ragione, all'autorita'
 politica, con il potere di precettazione, sia  pur  condizionato  dal
 parere e dal contenuto delle proposte della Commissione di garanzia.
    In  tale  contesto  normativo  - che e' pur oggetto a divergenti e
 contrastanti interpretazioni - la attribuzione al  datore  di  lavoro
 del  potere  sanzionatorio  anche  nei  confronti  della associazione
 sindacale dei dipendenti, in un certo  senso  come  assimilazione  ed
 estensione  del potere gerarchico disciplinare esistente nel rapporto
 di lavoro sui lavoratori, costituisce in realta' il  vero  e  proprio
 conferimento  di  una  autorita'  e di una potesta' dello Stato e del
 potere pubblico, nella delicata materia del diritto di sciopero,  per
 giunta al soggetto contro il quale lo sciopero e' esercitato.
    Certamente  nel  nostro  ordinamento  esistono  materie  e settori
 (quali  quello  dei  tributi,  della  contribuzione  previdenziale  e
 assicurativa)  nei  quali  il  legislatore  ha assegnato al datore di
 lavoro funzioni sostitutive o integrative rispetto a  quelle  proprie
 dell'apparato dello Stato.
    Peraltro,  senza  approfondire  tali possibilita' di comparazione,
 sembra paradossale (altri lo ha definito "grottesco")  che  la  legge
 affidi  allo  stesso  soggetto  contro  il  quale viene esercitato lo
 sciopero le funzioni di custode  delle  regole,  di  guardiano  degli
 interessi  generali costituiti dai diritti previsti nell'art. 1 della
 legge e di giudice del comportamento del suo naturale antagonista, il
 sindacato, in ordine al suo piu' rilevante mezzo di azione, quale  e'
 lo sciopero.
    In sostanza, cosi' come le norme ordinarie della legge n. 146/1990
 non  consentono al datore di lavoro di determinare unilateralmente le
 prestazioni e le "comandate" in caso di sciopero, cioe' la esecuzione
 del lavoro da eseguire dai singoli per le prestazioni  indispensabili
 per   i   diritti  essenziali  di  liberta'  (nonostante  il  diverso
 orientamento della  Commissione  di  garanzia  e  di  una  parte  dei
 giudici),  cosi' non dovrebbe essere consentito, per le sovraordinate
 norme costituzionali, che il datore di lavoro divenga  anche  giudice
 nei  confronti  del  proprio  antagonista sindacale, nel momento piu'
 delicato delle relazioni.
    6. - A sostegno di quanto si e' esposto si rileva come  la  stessa
 sanzione prevista dall'art. 4, terzo comma (la sospensione temporanea
 del   potere   di   trattativa)   appare,   piu'  che  una  sanzione,
 l'azzeramento anche se temporaneo della stessa ragione di esistenza e
 di vita del sindacato. Per tale sanzione, che non viene in  questione
 in  questo processo, si puo' ragionevolmente sospettare la violazione
 della norma costituzionale di liberta' sindacale di cui  all'art.  39
 della Costituzione.
    In  tal  modo  si  indica uno degli ulteriori possibili aspetti di
 illegittimita' costituzionale della normativa della legge, per quanto
 attiene alle sanzioni.
    7. - Da ultimo, come ulteriore questione rispetto a quelle svolte,
 non appare  infondato  il  dubbio  di  costituzionalita'  per  quanto
 attiene  alla  mancanza  nella  legge  di  ogni norma procedurale che
 disciplini l'esercizio del potere sanzionatorio del datore di lavoro.
    Infatti, sotto il profilo esegetico-sistematico, e' certo che  nei
 confronti  delle  organizzazioni  sindacali  non  potrebbero  trovare
 applicazione le norme sul procedimento disciplinare di cui all'art. 7
 della legge n. 300/1970.
    La  mancanza  di  ogni  regola  e  di  ogni  garanzia  procedurale
 sottopone  l'associazione  sindacale  alla  discrezione  del   potere
 sanzionatorio del datore di lavoro; con la ovvia apparente violazione
 del principio di liberta' sindacale di cui all'art. 39.
                               P. Q. M.
    Il  pretore,  rimette alla Corte costituzionale la questione della
 legittimita' costituzionale degli art. 4, secondo e terzo comma della
 legge 12 giugno 1990, n. 146 con riferimento agli articoli  39  e  40
 della  Costituzione,  per  le  ragioni  e  nei  termini  di  cui alla
 motivazione che precede;
    Ordina la comunicazione della presente ordinanza  alle  parti,  al
 Presidente  del  Consiglio  dei Ministri e ai Presidenti dei due rami
 del Parlamento;
    Ordina la sospensione del giudizio e la  trasmissione  degli  atti
 alla Corte costituzionale.
      Bologna, addi' 23 marzo 1995
                                               Il pretore: GOVERNATORI
 95C0759