N. 389 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 aprile 1995
N. 389 Ordinanza emessa l'11 aprile 1995 dal tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Dall'Agata Marco Pena - Pene detentive brevi - Sanzioni sostitutive - Inapplicabilita', per interpretazione della Corte di cassazione, per i reati militari giudicati dall'autorita' giudiziaria militare - Lesione del principio di eguaglianza - Disparita' di trattamento per situazioni sostanzialmente identiche - Violazione del principio della funzione della pena - Richiamo alla sentenza n. 279/1987. (Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, e successive modificazioni). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.27 del 28-6-1995 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro Dall'Agata Marco, nato il 25 luglio 1975 a Forli', atto di nascita n. 1012/I/A; ivi residente in via V. Locchi n. 20, celibe, incensurato; aviere presso l'81 Gruppo I.T. di Chioggia (Venezia), libero, imputato di duplice insubordinazione con ingiuria in concorso formale, continuata (artt. 81, primo e secondo comma, del c.p., 189, primo e secondo comma, del c.p.m.p.) perche', aviere in servizio presso il Comando aeroporto di Vicenza 5a A.T.A.F. nelle stesse circostanze di tempo e luogo (nella notte tra il 1 ottobre 1994 ed il 2 ottobre 1994 in Vicenza) dapprima in un luogo pubblico sito in Vicenza, offendeva l'onore, il prestigio e la dignita' dei superiori, appuntati dei C.C., Cenzato Pierino e Mariano Antonio, dicendo loro: "Teste di cazzo, stronzi, bastardi, rompete sempre i coglioni"; successivamente all'interno della stazione C.C. di Vicenza nuovamente inveiva contro i predetti superiori Cenzato e Mariano offendendo il prestigio, l'onore e la dignita' degli stessi con le frasi "stronzi, bastardi, avete rotto i coglioni". A seguito di richiesta di applicazione di pena da parte dell'imputato e del p.m. FATTO E DIRITTO 1. - Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento le parti hanno concordemente richiesto l'applicazione della pena ex art. 444 del c.p.p. nella misura di mesi uno e giorni venti di reclusione militare, con sostituzione, ex legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, nella multa per lire tre milioniduecentocinquantamila. Cio' premesso, il tribunale, legittimamente investito a questo punto di pieni poteri di giudizio, poiche' non puo' pronunciarsi sentenza liberatoria ex art. 129 del c.p.p., ritiene di dovere sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, e successive modificazioni, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nei termini appresso prospettati. 2. - E' ben nota la disputa giurisprudenziale concernente l'applicazione delle sanzioni sostitutive ai reati militari commessi dagli appartenenti alle FF.AA. e sfociata nella sentenza 7 luglio 1987, n. 279, della Corte costituzionale: a fronte della dizione letterale contenuta nell'art. 54 della legge n. 689/1981, secondo cui l'applicazione delle sanzioni sostitutive era limitata alle categorie dei reati di "competenza del pretore", anche se giudicati per effetto della connessione da un giudice superiore o commessi da infradiciottenne, si era rilevata la sussistenza di una lacuna, relativamente ai reati di competenza dei tribunali militari - ancorche' puniti con pena detentiva equiparata a quella rientrante nella competenza del pretore -, che non era colmabile a mezzo di un intervento additivo della Corte costituzionale, consentito solo allorche' "sia rintracciabile nell'ordinamento una soluzione costituzionalmente obbligata". Di qui, la dichiarazione di inammissibilita', "sicuramente inappagante per i requisiti che la giustizia propone con giustificata preoccupazione" e, quindi, il richiamo al legislatore "sull'ormai indifferibile esigenza di dare alla materia in esame una piu' adeguata normativa", tra le cui non poche carenze "addebitabili al settore, quella della mancata regolamentazione delle sanzioni sostitutive per le pene militari brevi" era da rilevarsi come "ne' la meno grave ne' la meno bisognosa di urgente soluzione" (Corte cost., sent. cit.). Orbene, con legge 12 agosto 1993, n. 296 (che ha convertito il d.-l. 14 giugno 1993, n. 187) il legislatore, e' intervenuto nella materia delle sanzioni sostitutive ed ha apportato innovazioni di ampio respiro che sono apparse a certa giurisprudenza pero' significative e rilevanti anche per i reati militari: ambito nel quale si registrava perdurante inerzia legislativa anche successivamente alla ricordata sentenza della Corte. L'art. 5 della legge in questione, infatti, ha soppresso l'art. 54 della legge n. 689/1981, facendo venir meno, in tal modo, il riferimento al pretore, come organo giudicante, dinanzi al quale solo - e con esclusione delle menzionate eccezioni - potessero aver luogo l'applicazione delle sanzioni sostitutive. Conseguentemente, poiche' non vi e' piu' alcun dato legislativo ostativo all'applicazione delle sanzioni sostitutive da parte dei tribunali militari, si e' formato un'orientamento giurisprudenziale presso questo tribunale favorevole in tal senso, sorretto dall'opinione che un'interpretazione in malan partem, proprio in mancanza di un dato normativo testuale, potrebbe confliggere con il principio del favor libertatis, alla cui realizzazione le sanzioni in questione non appaiono estranee. La giurisprudenza della suprema Corte si e' tuttavia espressa in senso contrario, rilevando l'inapplicabilita' delle sanzioni sostitutive ai reati militari, anche a seguito della legge 12 agosto 1993, n. 296, sulla scorta delle seguenti argomentazioni: 1) incompatibilita' delle misure in questione con lo status di militare; 2) mancanza di qualsiasi riferimento nella legge n. 689/1981 ai reati militari, in special modo per la non previsione di taluno di questi ultimi tra le esclusioni oggettive. Pur non condividendo gli addotti argomenti, questo giudicante non puo' non tener conto dell'esistenza di tale prevalente indirizzo giurisprudenziale, ormai divenuto diritto vivente. Pertanto, essendo questo tribunale investito da richiesta delle parti ex art. 444 del c.p.p. e non potendo dar luogo alla sostituzione ex legge n. 689/1981, ritiene di dover sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non appare consentire l'applicazione delle sanzioni sostitutive anche ai reati militari. 3. - Primo parametro costituzionale che sembra leso e' l'art. 3 della Costituzione. Invero, sia che si ritenga che le misure in esame non siano applicabili dinanzi ai tribunali militari - secondo l'interpretazione consolidata ante legem n. 296/1993 -, sia che si reputi che esse non lo siano in relazione alla categoria dei reati militari da chiunque commessi - secondo l'orientamento espresso dalla suprema in tempi recenti - appare violato il principio di uguaglianza. Sotto il primo profilo, e' infatti di tutta evidenza che non puo' essere il dato meramente accidentale del giudizio instauratosi per effetto di vicende processuali conseguenti alla connessione (art. 13 del c.p.p.), a determinare l'eventuale applicabilita' anche al militare delle sanzioni sostitutive, che andrebbe di contro esclusa in assenza del menzionato vincolo processuale. Ancor piu' evidente la disparita' emerge poi in riferimento alle ipotesi in cui non operando la connessione, a seguito di concorso in un reato militare, il civile ottenga dal giudice ordinario l'applicazione delle sanzioni ex legge n. 689/1981 e non invece il militare, giudicato dal tribunale militare. Il che poi, avverrebbe sistematicamente in caso di concorso in reato militare tra militare infradiciottenne - giudicato dal giudice minorile - e militare maggiorenne - giudicato dal giudice militare. Situazioni tutte uguali, che non giustificano un differente trattamento sanzionatorio, mediante misconoscimento al militare dei sostanziali benefici previsti dalla legge n. 689/1981. Sotto il rimanente citato profilo (inapplicabilita' delle misure in questione ai reati militari), non applicare al reato militare le sanzioni sostitutive sembra ugualmente contrastare con principi di parita'. Basti considerare la categoria di reati obiettivamente militari (art. 37 del c.p.m.p.), i quali nei loro elementi costitutivi sono previsti in tutto o in parte dalla legge penale comune; reati, come il furto, l'ingiuria, l'appropriazione indebita, che in campo penale comune pacificamente sottostanno alla sostituibilita' della pena ex art. n. 689/1981. E' poi evidente che non puo' essere la qualifica di soggetto attivo di militare a giustificare il maggiore rigore sanzionatorio sia perche', da un lato, il reato militare e' realizzabile anche dal civile (artt. 6 e 14 del c.p.m.p.), sia perche' "ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini" (art. 3 della legge 11 luglio 1978, n. 382). 4. - Tale ultimo richiamato principio, poi, acquista assoluta rilevanza anche con riferimento alla funzione della pena (art. 27 della Costituzione). Se infatti si riconosce alle sanzioni sostitutive lo scopo di rieducazione del condannato per reati comuni di modesta gravita' e si ritiene che, in relazione agli stessi, tale funzione sia adeguatamente svolta dalle sanzioni sostitutive, non si vede come il medesimo assunto non valga anche per i reati militari, connotati da caratteristiche sostanzialmente identiche, commessi dal civile o dal militare. Invero, come dottrina ha rilevato, "la specifica finalita' di rieducazione militare .. dovra' trovare attuazione nell'esecuzione della pena detentiva (soltanto) quando a tale esecuzione occorre procedere". Al riguardo, si osserva che la dedotta incompatibilita' delle sanzioni sostitutive con lo status militare, e' solo apparente e superabile mediante idonei accorgimenti in fase esecutiva, come d'altronde pacificamente avviene nei casi di applicazione per reati comuni a carico di militari e di appartenenti a corpi civili militarmente organizzati (Polizia di Stato, agenti di polizia penitenziaria). Inoltre, le misure in questione sarebbero spesso adottabili a carico di soggetti, militari di leva, che hanno gia' cessato la prestazione del servizio militare e nei cui confronti non ricorrono quindi difficolta' in fase esecutiva. Comunque, non puo' elevarsi all'assoluta categoria dell'incompatibilita', la mera difficolta' pratica d'esecuzione, se essa comporta sacrificio dal principio di identita' funzione della pena a fronte di identiche situazioni. Per gli esposti motivi, si rimette la soluzione della questione, nei termini prospettati, alla Corte costituzionale.
P. Q. M. In sede di giudizio ex art. 444 del c.p.p.; letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modifiche, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che l'ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Padova, addi' 11 aprile 1995 Il presidente: ROSIN Il giudice estensore: BLOCK 95C0766