N. 396 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 novembre 1994- 6 giugno 1995

                                N. 396
 Ordinanza   emessa   l'8   novembre   1994   (pervenuta   alla  Corte
 costituzionale  il  6  giugno  1995)  dal  pretore  di  Bologna   nel
 procedimento penale a carico di Malferrari Massimiliana
 Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi provenienti da
    insediamenti  produttivi che eccedono in misura superiore al venti
    per cento  i  limiti  di  accettabilita'  previsti  dalle  tabelle
    allegate alla legge n. 319/1976 o quelli stabiliti dalle regioni -
    Reato  punibile  con  la  sola  pena  pecuniaria,  oblazionabile -
    Ritenuta omessa  previsione  di  qualsiasi  sanzione  in  caso  di
    scarichi   che   recapitino   in  pubbliche  fognature  dotate  di
    depuratore e in mancanza della normativa regionale di  risanamento
    - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi
    meno gravi, ma punite con maggior severita' - Mancata tutela della
    salute e dell'ambiente salubre.
 (D.-L. 17 settembre 1994, n. 537, artt. 2, 3 e 6).
 (Cost., artt. 3, 11 (recte: art. 10), e 32).
(GU n.27 del 28-6-1995 )
                              IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale n.
 3563/1991 a carico di Malferrari Massimiliana imputata del reato p. e
 p. all'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976  perche',  nella
 qualita' di amministratore unico e legale rappresentante della S.r.l.
 Gironi (attivita' di produzione di generi di gastronomia), effettuava
 uno  scarico di acque reflue in pubblica fognatura eccedente i limiti
 di accettabilita' fissati nella tabella  C  allegata  alla  legge  n.
 319/1976  e  al  regolamento  comunale  per  lo  scarico  in pubblica
 fognatura (azoto ammoniacale  mg  36.8  e  grassi  e  oli  animali  e
 vegetali mg 714). In Bologna il 7 agosto 1991.
    Letti gli atti, osserva quanto segue, a scioglimento della riserva
 all'eccezione sollevata dal p.m. in udienza dibattimentale.
    L'imputazione  contestata  si  fonda  sul  superamento  dei limiti
 tabellari previsti dalle tabelle allegate  alla  legge  n.  319/1976.
 Peraltro il d.-l. n. 537 del 17 settembre 1994, attualmente in vigore
 in  attesa  di  conversione,  ha  modificato  l'originaria disciplina
 legislativa  degli  scarichi,   introducendo   radicali   innovazioni
 suscettibili   di   provocare   effetti   anche   sotto   il  profilo
 dell'applicabilita' della sanzione penale.  In particolare,  per  gli
 scarichi  che  recapitano in pubbliche fognature, l'art. 2 del citato
 d.-l. n. 537/1994 ha stabilito che gli stessi siano  assoggettati  al
 rispetto  dei  limiti  di  accettabilita'  stabiliti  dalla tabella C
 soltanto prima dell'entrata in funzione dell'impianto di  depurazione
 fognario.
    Successivamente a tale data, invece, essi sono tenuti a rispettare
 i  limiti imposti dal gestore della fognatura, stabiliti in base alle
 caratteristiche dell'impianto di depurazione in modo da assicurare il
 rispetto della  disciplina  degli  scarichi  delle  fognature  stesse
 definita dalla regione con il piano di risanamento delle acque.
    La  norma  in  questione, pertanto, esclude l'applicabilita' di un
 regime tabellare uniforme su tutto  il  territorio  nazionale  (quale
 quello  assicurato  dalla  tabella C allegata alla legge n. 319/1976)
 per gli scarichi che recapitano in fognatura  ed  introduce  per  gli
 stessi  nuovi  limiti  di  accettabilita'  da  definirsi,  con  norme
 regolamentari, a cura di comuni, consorzi e province  che  provvedono
 alla gestione del servizio di fognatura.
    Detti  limiti,  pero', non potranno essere stabiliti prima che sia
 definita dalla regione, con l'approvazione del piano di  risanamento,
 la  disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature la quale, per
 effetto di quanto previsto dall'art. 1  dello  stesso  decreto-legge,
 potra'  derogare anche in senso meno restrittivo, al regime tabellare
 dettato dalla legge n. 319/1976.
    Va  osservato,  inoltre,  che  i  limiti  imposti con preesistenti
 regolamenti comunali non possono essere presi in  considerazione  dal
 momento che l'art. 1 del decreto-legge in questione fa salve soltanto
 le  prescrizioni  adottate in precedenza in materia dei soli scarichi
 civili non recapitanti in fognatura  e  di  quelli  delle  fognature,
 senza  minimamente  accennare alle norme eventualmente gia' in vigore
 emanate dai gestori della fognatura.
    Dopo l'entrata in funzione del depuratore  fognario,  dunque,  gli
 scarichi  allacciati  alla  fognatura  o  sono  privi  di  limiti  di
 accettabilita' (se non e' stata definita dalla regione la  disciplina
 dello scarico fognario stesso) oppure sono disciplinabili in modo che
 puo'  essere  meno rigoroso di quello previsto dalle tabelle allegate
 alla legge n. 319/1976.
    Dal punto di vista sanzionatorio, poi, le modifiche apportate  dal
 decreto-legge  in  questione  per  tal genere di scarichi sono ancora
 piu' rilevanti.
    Con l'art. 3, infatti, e' stato completamente riformulato  proprio
 il  terzo  comma  dell'art.  21 della legge n. 319/1976 attraverso la
 riscrittura  della  norma  incriminatrice  contestata  nel   presente
 procedimento.
    L'inosservanza  dei  limiti  di  accettabilita'  e'  stata, in via
 generale, trasformata da contravvenzione in illecito  amministrativo,
 ad eccezione dell'ipotesi disciplinata dal secondo comma.
    Tale  ipotesi prevede ancora la sanzione penale (anche se non piu'
 della pena, congiunta ma soltanto della pena alternativa) purche'  si
 tratti  di  scarichi  provenienti  da  insediamenti produttivi (tra i
 quali e' classificabile quello da cui proviene lo scarico oggetto del
 procedimento) ed  a  condizione  che  vi  sia  stato  un  superamento
 maggiore del 20%
 "  ..  dei  limiti  di accettabilita' previsti dalle tabelle allegate
 alla presente legge o di quelli stabiliti dalla regione ai sensi
 dell'art. 14, secondo comma .. ".
    Dalla combinata lettura degli  artt.  2  e  3  del  decreto-legge,
 pertanto,  si  deve  arrivare  alla conclusione che, quando sia stato
 attivato il depuratore fognario, il mancato rispetto  dei  limiti  di
 accettabilita'   determinati   dal   gestore   non  sia  sanzionabile
 penalmente (e nemmeno amministrativamente).
    La norma incriminatrice (ed anche quella  che  prevede  l'illecito
 amministrativo  contemplata  al  primo  comma), infatti, non opera un
 esplicito riferimento a detti limiti ma si e' limitata a  contemplare
 o  i  limiti  tabellari  (inapplicabili  dopo  l'entata  in  funzione
 dell'impianto) o quelli che la regione stabilisce  con  il  piano  di
 risanamento  ai  sensi dell'art. 14 (che riguardano altri scarichi ma
 non gli scarichi in fognatura).
    Essendosi accertato che la fognatura cui era allacciato lo scarico
 oggetto del  procedimento  era  dotata  di  impianto  di  depurazione
 attivato  dai  circa  10  anni,  si  dovrebbe  pervenire,  in base al
 combinato disposto degli artt. 2 e 3 del d.-l. 17 settembre 1994,  n.
 537,   alla   declaratoria   di  irrilevanza  penale  del  fatto  con
 conseguente proscioglimento dell'imputata.
    Tuttavia  insorgono  nel   giudicante   dubbi   in   ordine   alla
 costituzionalita'  delle  norme  citate  che  fanno  apparire  e  non
 manifestamente infondata la  relativa  questione,  la  cui  rilevanza
 appare  con evidenza ove si consideri l'impossibilita' di definire il
 procedimento senza dare applicazione alle norme richiamate.
    Il  contrasto  con i precetti costituzionali deve essere ravvisato
 sotto i seguenti molteplici profili:
 A) Contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
    Gia' altre ordinanze (cfr. pretura Terni 27 settembre 1994)  hanno
 sollevato censure al riguardo.  Pur partendo da analoghe premesse, il
 giudicante  ritiene  sussistano  ulteriori  profili di illegittimita'
 delle   norme   da   sottoporre   all'esame   della   ecc.ma    Corte
 costituzionale.   La nuova normativa favorisce ingiustificatamente la
 condotta piu' grave di chi scarichi sostanze  inquinanti  rispetto  a
 quella  di  chi  scarichi  senza  autorizzazione (sanzionata con pena
 alternativa).  L'agevolazione discende non solo dall'aver sanzionato,
 in via generale, soltanto con  la  pena  pecuniaria  (meno  grave  in
 quella alternativa o congiunta) lo scarico con superamento dei limiti
 ma  anche  dal  fatto  di  aver eliminato i limiti stessi e qualsiasi
 norma sanzionatoria per gli scarichi in pubblica fognatura dotata  di
 impianto  di  depurazione,  quando  manchi  la normativa regionale di
 risanamento (come nelle fattispecie).   La  Corte  costituzionale  ha
 piu'  volte  censurato,  in passato, per violazione dell'art. 3 della
 Costituzione, leggi che favorivano chi  avesse  posto  in  essere  la
 condotta piu' grave discriminando chi avesse realizzato il fatto meno
 offensivo   dello   stesso  valore  giuridico  (Corte  costituzionale
 sentenza n. 249/1993).  L'irragionevolezza della scelta  legislativa,
 nel  caso di specie, puo' essere ravvisata anche sotto altri profili.
 Infatti  non  e'  giustificabile  la  scelta  di  non  aver  previsto
 specifici  limiti  per gli scarichi in fognatura quando non sia stato
 adottato il piano di risanamento.  Se potrebbe accettarsi  l'idea  di
 un abbandono del regime tabellare in favore di un altro regime che ad
 esso  si  sostituisca, al contrario diventa incomprensibile il motivo
 per  cui,  a  seguito  della  sola   attivazione   dell'impianto   di
 depurazione  fognario,  si  debba  subito rinunciare all'applicazione
 della tabella C per gli scarichi confluenti in fognatura senza  avere
 la  possibilita'  di applicare altri limiti per la mancanza del piano
 regionale di risanamento.  Gli scarichi da insediamenti produttivi in
 fognatura risultano essere, in detta ipotesi, sprovvisti di limiti  e
 di  sanzione,  ad equiparati, quanto a trattamento giuridico, in modo
 del tutto irragionevole, agli scarichi in fognatura  da  insediamenti
 civili.    Ne'  varrebbe  sostenere,  al  contrario,  che una qualche
 disciplina sanzionatoria  potrebbe  ricavarsi,  per  detti  scarichi,
 dall'art.  22 della legge n. 319/1976 cosi' come modificato dall'art.
 4 del decreto-legge n. 537/1994.  La nuova norma, infatti,  non  solo
 depenalizza  il  precedente  reato  punito con la pena alternativa (e
 sarebbe, quindi, irragionevolmente piu' favorevole di quella  tuttora
 contemplata  al  primo ed al secondo comma dell'art. 21), ma sanziona
 soltanto  l'inosservanza  delle  "  ..    prescrizioni  indicate  nel
 provvedimento  di  autorizzazione,  diverse  da  quelle  relative  al
 rispetto dei limiti di accettabilita' di cui al precedente art.  21".
 Per  esplicita volonta' del legislatore, pertanto, essa non puo' piu'
 applicarsi per sanzionare un superamento dei limiti di accettabilita'
 (cosi' come, invece, nell'originaria formulazione era stato  ritenuto
 possibile in relazione ad alcune categorie di scarichi).
 B) Contrasto con l'art. 32 della Costituzione.
    Le    norme    in   questione   dovrebbero   tutelare   l'ambiente
 dall'inquinamento idrico cosi' da assicurare, al  tempo  stesso,  una
 difesa   anticipata   della   salute   dell'uomo,   concepita   dalla
 Costituzione come "fondamentale diritto  dell'individuo  e  interesse
 della  collettivita'".    Il carattere assoluto ed incomprimibile del
 diritto  porta  ad  escludere  che  lo  Stato  abbia  il  potere   di
 restringerne  gli  spazi  di  fruibilita',  consentendo, sia pure per
 interessi  pubblici  di  particolare  rilevanza,  di   aggravare   le
 condizioni  dell'ambiente  determinandone l'insalubrita'.  Il supremo
 Collegio ha piu' volte ribadito tale principio (cfr. ad esempio Cass.
 6 ottobre 1979, n.  5172)  che  impegna  lo  Stato  a  promuovere  le
 migliori   condizioni   di   salubrita'   dell'ambiente  al  fine  di
 consentire, cosi' come richiesto dall'art. 32 della Costituzione,  la
 migliore  difesa  della  salute  delle  persone che in quell'ambiente
 vivono.  Non si vede come possano dirsi ispirate da un simile impegno
 promozionale le norme del decreto-legge che da  un  lato,  almeno  in
 certe  condizioni, eliminano ogni limite e qualsiasi sanzione per gli
 scarichi in fognatura (proprio nel momento in cui, mancando il  piano
 di  risanamento, non esiste la possibilita' giuridica di disciplinare
 lo  scarico  finale  della  fognatura  che  puo',  pertanto,   essere
 effettuato   senza   alcuna   limitazione)   e,  dall'altro,  elevano
 indiscriminatamente del 20% tutti i limiti tabellari previsti  per  i
 diversi  parametri,  senza  alcuna considerazione in ordine alla loro
 diversa pericolosita' od in relazione agli  effetti  provocati  sulla
 salute.   Cosi' come risulta difficile comprendere come sia possibile
 affidare alla piena discrezionalita' delle  regioni  (e  persino  dei
 gestori  degli  impianti  di fognatura) il compito, delicatissimo, di
 fissare limiti di accettabilita' che debbono salvaguardare  non  solo
 l'ambiente  ma  anche la salute delle persone.  Il carattere assoluto
 del diritto alla salute non consente una sua tutela  differenziata  a
 seconda  delle  diverse aree geografiche del paese e dipendente della
 maggiore o minore sensibilita' dei loro amministratori.    Un  regime
 che  non  assicuri  un'uniformita' di trattamento, sia pur minima, ai
 limiti di accettabilita' degli scarichi idrici (che tanta parte hanno
 nella diffusione delle malattie, soprattutto di quelle infettive come
 il colera, come purtroppo recentemente sperimentato anche nel  nostro
 Paese)  non puo' dirsi conforme alle prescrizioni contenute nell'art.
 32 della Costituzione.
 C) Contrasto con l'art. 11 della Costituzione.
    In Europa la CEE ha da tempo varato una strategia  che  mira  alla
 "gestione  integrata  delle  acque"  finalizzata  ad un uso razionale
 delle risorse idriche.   Con una serie  di  direttive  essa  ha  dato
 specifiche indicazioni in ordine ai problemi della qualita' ecologica
 delle acque di superficie, del trattamento delle acque reflue urbane,
 delle  sostanze  pericolose  scaricate  in  ambiente  idrico  e della
 qualita' delle acque  destinate  al  consumo  umano.    La  normativa
 comunitaria  si e' ispirata a principi molto semplici:  da un lato ha
 dettato  prescrizioni  per  impedire  l'inquinamento  della   risorsa
 idrica,  dall'altro ha dettato regole per evitare che l'uomo utilizzi
 acqua sprovvista di precisi requisiti di qualita'  tali  da  renderla
 sicura.    Si  tratta  di  strategie  difensive coordinate miranti al
 comune risultato di  difendere  la  salute  dell'uomo  attraverso  la
 tutela  della  salubrita'  dell'acqua.    In  tale contesto gli Stati
 membri hanno il dovere di concorrere al  raggiungimento  degli  scopi
 fissati dalla Comunita', varando la normativa che sia orientata a tal
 fine.   Uno dei requisiti che la normativa statale deve possedere per
 poter partecipare alla  realizzazione  del  progetto  comunitario  e'
 costituito  dall'essere  munita  di  sanzioni  che  abbiano  "  .. un
 carattere effettivo, congruo e dissuasivo" (cosi' si e'  espressa  la
 Corte  di giustizia con sentenza del 21 settembre 1989).  Le norme in
 esame   hanno,   invece,   ridotto   la   parte   sanzionatoria   che
 caratterizzava,  originariamente,  la  normativa  italiana  di tutela
 dall'inquidamento idrico.  In tal modo hanno  accentuato  un  divario
 gia'  evidenziato da alcune sentenze di condanna da parte della Corte
 di  giustizia  della  CEE,  formulate  in  relazione  alla   ritenuta
 permissivita'  del  sistema  instaurato  con la legge n. 319/1976 (si
 vedano, al riguardo, le sentenze  del  13  dicembre  1990  e  del  28
 febbraio   1991).     Tale  contrasto  diventa  esplicito  quando  il
 decreto-legge  stabilisce,  all'art.  1,  che  le  disposizioni   del
 presente   decreto  si  applicano  in  attesa  dell'attuazione  della
 direttiva 91/271/CEE del  Consiglio  del  21  maggio  1991.    Quella
 direttiva  sul  trattamento  delle acque reflue urbane avrebbe dovuto
 essere attuata nel giugno 1993 e non certo itroducendo un sistema  di
 liberalizzazione  degli  scarichi  in pubblica fognatura quale quello
 che gli artt. 2 e 3 del decreto rendono, in taluni casi, inevitabile.
 L'aperto contrasto con le prescrizioni  contenute  in  una  direttiva
 comunitaria  da parte di una normativa statale varata successivamente
 alla  scadenza  del  termine  per   il   recepimento   della   stessa
 costituisce,  soprattutto  se  valutato  alla luce di altri indici di
 permissivita' del sistema che ancor piu'  segnalano  un  divario  tra
 ordinamento  interno  e  diritto comunitario, un fattore decisivo nel
 far supporre la violazione del precetto contenuto nell'art. 11  della
 Costituzione  secondo  l'ormai  consolidato  orientamento della Corte
 costituzionale.  In tal caso, infatti, e' evidente la volonta'  dello
 Stato  di  sottrarsi  agli impegni assunti in sede comunitaria al cui
 rispetto esso invece e' tenuto,  oltre  che  dal  vincolo  sul  piano
 internazionale  derivante  dalla  ratifica  del  trattato, anche, sul
 piano interno, dalla norma costituzionale che consente le limitazioni
 di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e  la
 giustizia  fra le Nazioni.  Tutte le descritte eccezioni appaiono non
 manifestamente infondate e rilevanti per i  motivi  gia'  illustrati.
 Trattandosi  di  eccezioni sollevate in malam partem (dal momento che
 se fosse applicata la normativa della cui legittimita' costituzionale
 si dubita l'imputata dovrebbe essere assolta), giova  ricordare  come
 le   stesse   siano   state   considerate   ammissibili  dalla  Corte
 costituzionale  sin  da  quando,  con  le  sentenze  nn.  148/1983  e
 321/1983, essa ha ritenuto possibile il giudizio di costituzionalita'
 nei confronti delle norme penali di favore, in modo da non privare la
 Corte  di  ogni  strumento  atto  a  garantire  la  preminenza  della
 Costituzione sulla legislazione statale ordinaria.
                      Tutto quanto sopra premesso
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per  violazione
 degli   artt.  3,  11  e  32  della  Costituzione,  la  questione  di
 legittimita' costituzionale degli  artt.  2,  3  e  6  del  d.-l.  17
 settembre 1994, n. 537;
    Ordina  conseguentemente  la  sospensine  del  giudizio  in corso,
 disponendo   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Dispone,  infine, che la presente ordinanza sia notificata, a cura
 della  cancelleria,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e
 comunicata  al  Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente
 del Senato della Repubblica.
      Bologna, addi' 8 novembre 1994
                         Il pretore: SCHIESARO
 
 95C0785