N. 397 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 1994- 6 giugno 1995

                                N. 397
 Ordinanza   emessa   il   24   giugno   1994  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale  il  6  giugno  1995)  dal  pretore  di   Varese   nel
 procedimento penale a carico di Nelson Jessica
 Sicurezza pubblica - Stranieri - Inottemperanza all'obbligo,
    penalmente sanzionato, di adoperarsi per ottenere dalla competente
    autorita'  diplomatica  o  consolare  il rilascio del documento di
    viaggio occorrente all'esecuzione del provvedimento di  espulsione
    - Genericita' della norma che non consente di individuare il fatto
    previsto  come  reato  -  Lamentato  contrasto  con  il  principio
    costituzionale di legalita',  tassativita'  e  determinatezza  del
    precetto penale - Incidenza sul diritto di difesa.
 (Legge 28 febbraio 1990, n. 39, artt. 7 e 7-bis).
 (Cost., artt. 2, 24, primo e terzo comma, 25, secondo comma, 27,
 primo comma, e 113, primo comma).
(GU n.27 del 28-6-1995 )
                              IL PRETORE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n. 5498/1994
 r.g.n.r., n. 856/1994 r.g. pretura nei confronti  di  Nelson  Jessica
 per  il  reato di cui all'art. 7-bis della legge 28 febbraio 1990, n.
 39.
    1. - Il 22 giugno 1994 alle ore 15,10, Jessica  Nelson,  cittadina
 nigeriana,  veniva arrestata da militari dell'Arma dei Carabinieri di
 Azzate: il  24  giugno  1994  e'  stata  presentata  al  pretore  per
 l'udienza  di  convalida  e  contestuale giudizio direttissimo, sulla
 base dell'imputazione formulata dal pubblico ministero per il delitto
 di cui all'art. 7-bis della legge 28 febbraio 1990, n. 39, introdotto
 dal d.-l. 14 giugno 1993, n. 187, convertito in legge 12 agosto 1993.
 L'arresto e' stato convalidato; non e' stata applicata alcuna  misura
 cautelare;  l'imputata  ha  chiesto  il  giudizio  abbreviato  ed  il
 pubblico ministero vi ha consentito.  Il giudizio in corso  non  puo'
 essere  definito  indipendentemente dalla risoluzione della questione
 di legittimita' costituzionale degli artt. 7 e 7-bis della  legge  28
 febbraio  1990, n. 39; ritiene il pretore remittente che l'art. 7-bis
 della legge 28 febbraio 1990, n. 39, si ponga  in  contrasto  con  la
 Costituzione;  e  cosi'  pure l'intero art. 7 della stessa legge: non
 solo perche' la norma sopra citata ha veste sanzionatoria rispetto  a
 statuizioni   dell'art.  7,  ma  anche  perche'  in  quest'ultimo  si
 disciplina complessivamente un'attivita'  amministrativa  generatrice
 di provvedimenti oggetto di officioso esame di legittimita', ai sensi
 dell'art.  5  della legge n.   2248/1865 allegato E, ogniqualvolta il
 giudice penale - come in questo caso  -  sia  chiamato  ad  applicare
 l'art.  7-bis.   L'art. 7-bis punisce con la pena della reclusione da
 sei mesi a tre anni la condotta dello straniero che, dopo l'emissione
 di un provvedimento di espulsione dal territorio  italiano  distrugga
 il passaporto o documento equipollente per sottrarsi al provvedimento
 di  espulsione  o  che  non  si  adoperi per ottenere il rilascio dei
 documenti di viaggio.
    2.  -  La formulazione della norma viola ad avviso del remittente,
 il principio di  tassativita',  elevato  a  principio  costituzionale
 dall'art.  25, secondo comma, della Carta.  Nella prima delle ipotesi
 delittuose (distruzione di documento) il legislatore ha costruito  un
 reato  commissivo  a  dolo specifico; la condotta materiale vi appare
 sufficientemente descritta; puo' soltanto osservarsi  come  la  prova
 dell'elemento  soggettivo  risulti  praticamente impossibile.   Nella
 ipotesi di "mancata attivazione", per contro, la  formulazione  della
 fattispecie   e'   tanto   approssimativa   da   non   consentire  la
 ricostruzione e classificazione del reato.  Se  si  trattasse  di  un
 reato   permanente  il  soggetto  attivo  sarebbe  in  condizione  di
 rimuovere una situazione antigiuridica volontariamente  instaurata  e
 mantenuta "adoperandosi" per ottenere il documento di viaggio: ma non
 e' dato comprendere dalla formulazione della norma quando si instauri
 quel minimo di mantenimento della situazione offensiva necessario per
 la   sussistenza   del  reato:  e  cio'  in  quanto  manca  qualsiasi
 coordinamento con l'art. 7 anche attraverso riferimenti  temporali  e
 decorrenze  precise,  tali  da  consentire,  sotto  altro profilo, di
 stabilire se l'adempimento del dovere di  attivarsi  sia  soggetto  a
 termine  perentorio  o  ordinatorio;  se  l'"adoperarsi" del soggetto
 possa utilmente intervenire in qualsiasi  momento;  se  via  sia  una
 lesione   perdurante   dopo  una  scadenza  precisa.    Sembra  pero'
 ugualmente da escludere che  ci  si  trovi  di  fronte  ad  un  reato
 (omissivo  proprio)  istantaneo  (eventualmente  - laddove si accetti
 questa classificazione - con effetti permanenti): perche' si dovrebbe
 individuare un momento iniziale qualificato nel quale si integra  (ma
 non  si esaurisce) l'offesa: e questo dovrebbe essere - in difetto di
 specifica  indicazione  nelle  norme  -  il   primo   momento   utile
 all'extracomunitario   per  "adoperarsi":  ma  poiche'  il  contenuto
 semantico di questo termine non rinvia ad una realta' percepibile con
 sufficiente certezza, quel momento tende a coincidere, logicamente  e
 temporalmente,  con  il  momento stesso della notifica del decreto di
 espulsione. Sicche' da subito l'extracomunitario sarebbe arrestabile,
 ai sensi dell'art. 7-bis, secondo comma, qualora la sua prima e unica
 attivita' dopo essere stato  espulso  non  fosse  quella  di  recarsi
 presso  l'autorita' diplomatica o consolare per ottenere il documento
 di viaggio. Cosi' pure dovrebbe procedersi ad immediato  arresto,  ai
 sensi  della norma da ultimo citata, subito dopo la conclusione di un
 processo nel quale  l'extracomunitario  fosse  stato  condannato  per
 violazione  dell'art.  7-bis  o  dell'art. 7.12-sexies della legge n.
 39/1990 con il beneficio della  pena  sospesa,  se  appena  letto  il
 dispositivo  non si dirigesse immediatamente al proprio consolato; ed
 ancora si dovrebbe arrestare il soggetto scarcerato ed  a  suo  tempo
 colpito   da   provvedimento   di   espulsione   non   appena  uscito
 dall'istituto  di  custodia   per   fine   pena;   stessa   sorte   -
 nell'indeterminatezza    della    fattispecie    -   dovrebbe   avere
 l'extracomunitario che ad esito dell'udienza di convalida nella quale
 non fosse stata applicata  alcuna  misura  cautelare  (o  una  misura
 diversa  dalla  custodia  in  carcere  o  dagli  arresti domiciliari)
 chiedesse un termine a difesa, con  la  volonta'  di  partecipare  al
 processo  e  quindi  di  permanere  nel territorio italiano fino alla
 conclusione di questo (posto  che  l'art.    7.12-quinquies  riguarda
 altro  ambito,  in  relazione  all'art.  7.12-  bis; e comunque anche
 un'applicazione estesa della norma non copre attivita'  complementari
 inerenti la posizione processuale dell'espulso, del tipo colloqui con
 il  proprio  difensore  fuori dell'udienza: con conseguente ulteriore
 ipotizzabile   violazione   dell'art.   24,   primo   comma,    della
 Costituzione). E gli esempi non finiscono qui posta la varieta' delle
 combinazioni  che  rimangono  irrisolte  dal  difetto di tassativita'
 della  fattispecie.      La   migliore   riprova   dell'insufficiente
 determinatezza  della  fattispecie  sta  in  due  dati  di esperienza
 applicativa delle norme di cui si tratta: da un  lato  i  destinatari
 del  precetto  non  appaiono  in  grado di conoscerne il contenuto: a
 soggetti con scarsa conoscenza della lingua italiana scritta  vengono
 consegnati    documenti    prestampati   contenenti   espulsione   ed
 intimazione,  eventualmente  tradotti  in  una  lingua  europea  loro
 assegnata  come  presumibilmente  conosciuta  in  base  ad ascendenze
 coloniali; con questo atto formale il funzionario pubblico ha "chiuso
 la pratica" consegnando un soggetto ignaro del presidio sanzionatorio
 al suo "mancato adoperarsi" alle cure  della  giustizia  penale  come
 unica  alternativa  alla  clandestinita'.    E  dall'altro  lato,  la
 violazione del principio di tassativita' produce l'effetto tipico  di
 pregiudicare l'obbligatorieta' dell'azione penale, posto che, al fine
 di dare un minimo di effettivita' alle norme, nella prassi le procure
 della  Repubblica  presso  le  preture  tendono  ad  aggiungere  alla
 formulazione testuale elementi ulteriori (tipicamente  il  numero  di
 mesi  trascorsi  in  Italia  dallo  straniero  dopo l'espulsione) che
 consentano un esercizio "ragionevole" dell'azione penale.
    3. - Gli artt. 7 e 7-bis della legge n.  39/1990,  violano  l'art.
 24,  primo  comma,  in  relazione  all'art.  113,  primo comma, della
 Costituzione;  infatti,   quand'anche   non   si   dovesse   ritenere
 sussistente  il  lamentato  difetto  di tassativita', nel concetto di
 "mancato  adoperarsi"  di  cui  all'art.  7-bis  -  stante   la   sua
 formulazione  comunque  estremamente  generica  -  dovrebbe rientrare
 qualsiasi  comportamento  attivamente  finalizzato  ad  opporsi  alle
 determinazioni   dell'autorita'   amministrativa:  ricorrere  in  via
 amministrativa o in  via  giurisdizionale  amministrativa  contro  il
 provvedimento  di  espulsione e' comportamento diametralmente opposto
 all'attivarsi per lasciare il territorio italiano e manifesta opposta
 volonta'; ed allora il normale esercizio del diritto di  difesa,  che
 l'art.  24, primo comma della Costituzione garantisce a "tutti" senza
 distinzione  di  cittadinanza;  l'invocare  la  tutela   dei   propri
 interessi   legittimi   nelle  forme  previste  dalla  legge:  devono
 ritenersi comportamenti che l'eventuale legittimita' (successivamente
 riconosciuta)    del    provvedimento    di    espulsione     farebbe
 retrospettivamente qualificare come penalmente rilevanti: il che pare
 in  deciso contrasto con le norme costituzionali citate.  Si aggiunga
 che  l'art.  113  della  Costituzione  articola  complessivamente  il
 diritto  alla  tutela  giurisdizionale contro gli atti della pubblica
 amministrazione in maniera tale da non lasciare alcuna zona  d'ombra:
 laddove  dichiara  ammessa  "sempre" la tutela giurisdizionale contro
 gli atti della p.a. (primo comma); vieta esclusioni o limitazioni  di
 tutela  (secondo comma); demanda alla legge la disciplina strutturale
 e funzionale dei relativi "organi  di  giurisdizione".  Nell'art.  7,
 settimo  comma, per contro, si prevede che a seguito dell'intimazione
 lo straniero debba abbandonare entro quindici  giorni  il  territorio
 dello  Stato  non  potendo  quindi  sfruttare,  come  qualsiasi altro
 soggetto, i termini piu' ampi previsti per i ricorsi amministrativi e
 giurisdizionali  amministrativi;   si   tratta   di   contrasto   non
 componibile  a  livello  interpretativo,  non  essendo  in alcun modo
 verificabile la natura eventualmente derogatoria del  citato  settimo
 comma.  Se poi, come emerge dall'art. 7, undicesimo comma, si ammette
 che  il  provvedimento  di  espulsione  possa riguardare soggetto del
 quale  e'  ignota  l'identita',  si  prevede   l'emanazione   di   un
 provvedimento  amministrativo  strutturalmente carente di un elemento
 essenziale (il destinatario); con cio' dando per scontata la mancanza
 del vaglio fondamentale di legittimita' degli atti  da  compiersi  da
 parte  della  stessa  amministrazione,  presupposto  per  consentirne
 l'esame eventuale da parte del giudice amministrativo.
   4. - Gli artt. 7 e 7-bis della legge  n.  39/1990,  violano  l'art.
 24,  terzo  comma,  della Costituzione; il cittadino extracomunitario
 incorso in provvedimento di espulsione, se non abbiente (e questa  e'
 la  realta'  nella  quasi  totalita'  dei  casi  concreti)  non ha la
 possibilita' di farsi assistere nelle forme previste dalle leggi  sul
 gratuito  patrocinio  in  controversie  in  cui  possa  far valere un
 proprio diritto in Italia:  qualsiasi  sua  iniziativa  per  ottenere
 quanto  garantito  (a  cittadini  italiani  e non) dalla citata norma
 costituzionale ne svelerebbe la posizione irregolare;  e  soprattutto
 costituirebbe  -  nei  limiti in cui, poste le dubitative premesse in
 punto  di  tassativita',  e'  possibile  dare  senso  alla  norma   -
 comportamento   contrario  a  quanto  richiesto  dall'art.  7-bis;  e
 comunque, ancora sotto il profilo del contrasto con l'art. 24,  primo
 comma,  della  Costituzione,  deve osservarsi che esercitando in sede
 giurisdizionale qualsiasi proprio fondato diritto, l'extracomunitario
 si  dovrebbe  consapevolmente  esporre  ad  indagine  su  un  proprio
 comportamento penalmente rilevante.  Il sistema delineato dagli artt.
 7  e  7-bis  della  legge  n.  39/1990  e'  quindi tale da creare una
 categoria di soggetti assolutamente privi di concreta possibilita' di
 tutela giurisdizionale dei propri diritti: con evidente contrasto con
 le norme costituzionali da ultimo richiamate; che crea una  categoria
 di contraenti debolissimi, i quali mai potranno difendersi legalmente
 dagli abusi di controparti consapevoli di questa condizione.
    5.  -  Piu'  volte  la  Corte costituzionale ha avuto occasione di
 ripetere che l'esercizio della discrezionalta' del legislatore  esula
 dal  giudizio di legittimita' costituzionale: ma non si puo' ritenere
 che il legislatore scegliendo di attribuire rilevanza penale a taluni
 comportamenti  possa  spingersi   sino   a   violare   il   principio
 costituzionale della personalita' della responsabilita' penale di cui
 all'art. 27, primo comma, della Costituzione anche nella sua veste di
 altissima  espressione del rifiuto di utilizzare l'individuo e le sue
 liberta' in maniera puramente strumentale.   E qui  ci  si  trova  di
 fronte  ad un uso della sanzione penale del tutto confliggente con il
 principio costituzionale, posto che se  ne  fa  un  succedaneo  della
 ordinaria  attivita'  amministrativa.    Si  da'  cioe' per acquisita
 l'incapacita' della pubblica amministrazione di portare ad esecuzione
 i propri provvedimenti (di espulsione): e si fa  della  nuova  figura
 del   "provvedimento   amministrativo   esecutivo   ineseguibile"  il
 presupposto di  un  reato.  Si  sanzionano  penalmente  comportamenti
 direttamente  o  indirettamente oppositivi del privato all'esecuzione
 del provvedimento di espulsione: comportamenti che  rispetto  ad  una
 ordinata  ed efficiente attivita' amministrativa dovrebbero risultare
 comunque superabili.   Sicche' la  responsabilita'  penale  sara'  in
 radice   esclusa   nel   caso   in   cui   l'amministrazione   esegua
 effettivamente    (come    dovrebbe   essere   naturale)   i   propri
 provvedimenti;  mentre   vi   potra'   essere   nei   casi   in   cui
 l'amministrazione   sia   incapace   di   portare  ad  esecuzione  il
 provvedimento di espulsione.  E si verra' in questi casi a condannare
 a pena detentiva un individuo per l'incapacita'  dell'amministrazione
 di eseguire a tempo debito il proprio provvedimento di espulsione. La
 conferma  si  trova nell'art. 7; in cui si prevede (ai commi quinto e
 settimo) l'"accompagnamento alla frontiera", con intervento  coattivo
 effettivo dell'autorita' amministrativa: ma anche (sempre nel settimo
 comma)   l'"esecuzione"  dell'espulsione  "mediante  intimazione"  ad
 abbandonare il territorio  dello  Stato.  Con  evidente  finzione  di
 attivita'  amministrativa.    La norma finisce con l'essere costruita
 per consegnare alla giustizia penale  "esemplarmente"  gli  stranieri
 espulsi  che certamente non lasceranno il territorio nazionale (senza
 riuscire a vivere in clandestinita', privilegio riservato a chi  puo'
 contare  su  strutture  di sostegno, magari criminali) perche' e' del
 tutto irragionevole pensare che essi si attiveranno in  supplenza  di
 un'autorita'  amministrativa  non  attrezzata per rendere effettivi i
 propri  provvedimenti  (anche  attraverso  il  contatto  diretto   ed
 istituzionale  con  quelle  autorita'  diplomatiche  e consolari alle
 quali l'espulso, ignorandone spesso esistenza ed ubicazione, dovrebbe
 senza ritardo dirigersi).
    6. -  Infine,  se  la  Repubblica,  in  forza  dell'art.  2  della
 Costituzione, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo,
 non  pare  giustificato da esigenze di tutela della collettivita' ne'
 dalla cura di altro  interesse  costituzionalmente  tutelato  che  ai
 cittadini  extracomunitari  incorsi  in  provvedimenti  di espulsione
 venga offerta - dalle norme che si rimettono  all'esame  della  Corte
 costituzionale  -  come  unica alternativa alla sanzione penale della
 reclusione minima di sei mesi o all'effettivo ritorno in Paesi che la
 divisione internazionale delle risorse e del lavoro ha reso luoghi in
 cui e' dubbia la possibilita' di fisica sopravvivenza,  la  negazione
 della  propria  identita'  e  la  rinuncia a qualsiasi diritto.   Per
 evitare di porre a repentaglio la propria vita; per evitare di essere
 condannato  a  una   pena   detentiva,   l'extracomunitario   espulso
 relativamente  al  quale la pubblica amministrazione italiana non sia
 stata in grado di rendere effettivi i propri provvedimenti,  rimarra'
 in  Italia senza la possibilita' di identificarsi con un nome e senza
 la possibilita' di ottenere qualsiasi  tutela  giuridica,  sanitaria,
 sociale.
    Il    che   pare   eccedere   il   ragionevole   esercizio   della
 discrezionalita' del legislatore che la Costituzione  consente  -  in
 relazione  alla  diversa  posizione  dello  straniero  -  nei termini
 riconosciuti dalla Corte costituzionale (sentenze:  n.  244/1974;  n.
 62/1994).
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuto  che  il  giudizio  in  corso  non  possa essere definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 7 e 7-bis della legge 28 febbraio 1990, n.
 39,  in  relazione  agli  art. 2; 24, primo e terzo comma; 113, primo
 comma; 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione;
    Dispone  la  trasmissione  degli  atti  del presente processo alla
 Corte costituzionale sospendendo il giudizio in corso;
    Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al
 pubblico ministero, all'imputato, al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  per  la  comunicazione  della stessa al Presidente della
 Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.
      Varese, addi' 24 giugno 1994
                         Il pretore: BATTARINO
 
 95C0786