N. 407 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 marzo 1995

                                N. 407
 Ordinanza emessa il 27 marzo 1995 dal commissario liquidatore per gli
 usi  civici  della  Toscana,  Lazio  e Umbria nel procedimento civile
 vertente tra Trasatti Maria ed altri contro il comune di Sutri
 Regione Lazio - Usi civici - Criteri di liquidazione - Riferimento
    per il calcolo del capitale d'affranco e  del  canone  annuo  alla
    destinazione  urbanistica  del terreno, alla volumetria su di esso
    edificabile,  alle  caratteristiche  intrinseche  ed   estrinseche
    dell'immobile,   alle   valutazioni   gia'   espresse  in  passato
    dall'ufficio procedente e al valore di  mercato  -  Disparita'  di
    trattamento  del  diritto  di  uso  civico  compensato  in maniera
    diversa da zona a zona, non in  ragione  della  produttivita'  dei
    suoli  o  della  diversa quantita' del raccolto prevedibile, ma in
    ragione  di  un  fattore  esterno   al   diritto   stesso,   quale
    l'intervenuta  o sperata urbanizzazione - Incidenza sul diritto di
    proprieta' - Violazione della disciplina statale  (legge  n.  1766
    del 1927).
 (Legge regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, art. 4).
 (Cost., artt. 3, 42 e 117).
(GU n.27 del 28-6-1995 )
                    IL COMMISSARIO AGLI USI CIVICI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza, a scioglimento della riserva
 implicitamente  presa  all'udienza  del 28 febbraio 1995, nella causa
 demaniale  avente  per   oggetto:      opposizione   a   liquidazione
 amministrativa  di usi civici sulle terre private, site nel comune di
 Sutri e censite in catasto al f. 7, part.  526-560-786 di ha 1.12.70,
 pendente tra Trasatti Maria, Trasatti Elio e Trasatti Ennio residenti
 in Roma, via Emma Carelli, 73, autorizzati a  stare  in  giudizio  di
 persona  e  rappresentati  dal  dott.  agr.  Giorgio  Colli  di Roma;
 domicilio legale: la segreteria del commissariato; procura alle liti:
 nessuna,  contro  il  comune  di  Sutri,  casa  comunale;  difensore:
 nessuno; il comune e' rimasto contumace.
                         M O T I V A Z I O N E
    1.  -  Con  ricorso  depositato  in questa segreteria il 5 ottobre
 1993, Trasatti Maria, Trasatti Elio e Trasatti  Ennio  si  opponevano
 contro  la  proposta  di liquidazione degli usi civici gravanti su un
 terreno di  loro  proprieta',  sito  in  comune  di  Sutri,  loc.  S.
 Benedetto, e contraddistinto al n.c.t. al f. 7, part. 526, 560 e 786,
 di  ha 1.12.70.  La perizia, redatta su incarico della regione Lazio,
 dal geom.  Guerrino Randolfi, era stata pubblicata all'albo  pretorio
 di   Sutri  dal  15  settembre  1993  al  15  ottobre  1993;  notizia
 dell'avvenuto  deposito  era  stato comunicata dal sindaco ai signori
 Trasatti con raccomandata, notificatagli dal messo  di  conciliazione
 il  17  settembre  1993.    Nel  loro  ricorso,  i  signori  Trasatti
 sostengono, con varie argomentazioni, che: a) non si  hanno  elementi
 certi  circa  l'esistenza dell'uso civico; b) il capitale di affranco
 non puo' superare L.  1.264.450.  Sulla base del  ricorso  in  esame,
 con  decreto  31  marzo  1994 il sottoscritto commissario ordinava la
 comparizione personale delle parti per l'udienza del 25 giugno  1994;
 ricorso  e decreto erano notificati a cura dell'ufficio commissariale
 al sindaco di Sutri, con raccomandata n. 18 del 25 giugno 1994, ma il
 comune  convenuto  restava  contumace.     In  corso   di   giudizio,
 all'udienza  del  21 ottobre 1994, veniva disposta consulenza tecnica
 sul terreno dei ricorrenti, sia al fine  di  accertare  se  esso  sia
 gravato da usi civici e quali, che al fine di stimare il valore degli
 usi  da  liquidare.    Il  perito incaricato, geom. Angelo Benedetti,
 depositava la propria relazione il 18 febbraio 1995; all'udienza  del
 28  febbraio, i ricorrenti depositavano peraltro copia della delibera
 di Giunta regionale n.  6091  del  5  agosto  1994,  che  aveva  reso
 esecutivo il progetto Randolfi, statuendo l'affrancazione del diritto
 civico  di  pascolo  e  imponendo loro un canone annuo di L. 570.000,
 pari ad un capitale di affranco di  L.  11.400.000.    Alla  medesima
 udienza,  sempre nella contumacia del comune di Sutri, il commissario
 invitava i ricorrenti a prendere le proprie conclusioni e  tratteneva
 la controversia in decisione.
    2.  -  La  vicenda  processuale  e  il  parallelo  procedimento di
 competenza regionale, concluso con la citata  delibera  n.  6091/1994
 della giunta regionale del Lazio, si prestano o varie considerazioni,
 sia di rito che di merito, anche di rilievo costituzionale.
    2.1.  -  Una  prima  considerazione riguarda proprio il rapporto e
 l'articolazione reciproca delle due procedure,  aventi  entrambe  per
 oggetto  la liquidazione di usi civici gravanti sul medesimo terreno,
 l'una pendente  davanti  alla  regione  territorialmente  competente,
 l'altra  pendente davanti al commissario agli usi civici, in qualita'
 di giudice demaniale.  Nello schema originario della legge 16  giugno
 1927,  n.  1766,  il  commissario,  quale organo titolare insieme dei
 poteri amministrativi  e  dei  poteri  giudiziari,  poteva  regolarne
 l'esercizio  in  modo  da  evitare  sovrapposizioni e conflitti.   In
 pratica,  egli  promuoveva  d'ufficio,  in  sede  amministrativa,  il
 procedimento  per  la  liquidazione dei diritti civici relativi ad un
 intero comune o ad un intero comprensorio, a tale  scopo  incaricando
 un istruttore per la formazione di un adeguato progetto. Il progetto,
 contenente  sia le informazioni di carattere storico sugli usi civici
 da liquidare, sia le proposte per lo loro liquidazione in natura o in
 denaro,  veniva  depositato  presso  la  segreteria  del   comune   o
 dell'associazione  agraria territorialmente competenti; dell'avvenuto
 deposito, il comune o l'associazione  davano  poi  avviso  a  ciascun
 interessato,  mediante  bando  da  affiggersi  all'albo pretorio, sia
 mediante biglietto in carta libera, da notificare personalmente.  Fin
 dal  deposito  in  segreteria,  gli  interessati  avevano  diritto di
 prendere visione del progetto di liquidazione; i privati nel possesso
 delle terre potevano inoltre presentare  opposizione  al  commissario
 entro  trenta  giorni  da  quello dell'avvenuta notifica (art. 15 del
 r.d. 26 febbraio 1928, n. 332).  Il procedimento seguito nel caso  di
 specie  si  adeguava  perfettamente, fino a questo punto, allo schema
 normativo;  da  notare,  in particolare, che i signori Trasatti hanno
 presentato il proprio ricorso direttamente al  commissario,  ventotto
 giorni  dopo che era stato loro notificato l'avviso di deposito della
 relazione peritale;  che,  dunque,  la  presente  azione  giudiziaria
 appare   perfettamente   legittima   e  procedibile.     Ma  l'azione
 giudiziaria in opposizione, promossa dai Trasatti, non ha determinato
 il  suo  effetto  normale,  cioe'  la  sospensione  del  procedimento
 amministrativo  opposto; questo ha invece proseguito il proprio corso
 fino alla conclusione, cioe' fino  alla  delibera  con  la  quale  il
 progetto  di  liquidazione  dei diritti civici e' stata accolta dalla
 giunta regionale Lazio e gli usi stessi dichiarati  estinti  mediante
 corresponsione di un canone in denaro.  E' da avvertire che in nessun
 luogo della legge fondamentale o del relativo regolamento si rinviene
 una disposizione, che esplicitamente sancisca l'obbligo di sospendere
 le   operazioni  amministrative  prima  della  decisione  giudiziaria
 destinata a  concludere  la  controversia  promossa  dall'interessato
 davanti  al commissario agli usi civici; tale obbligo deriva peraltro
 pacificamente dalla natura stessa della giurisdizione  commissariale,
 quale e' disegnata dal legislatore del 1927 e quale, in mezzo a molte
 deroghe,  si  e' sostanzialmente mantenuta fino al 1977.  Trattasi di
 giurisdizione  prevalentemente  incidentale,   cioe'   accessoria   e
 subalterna  alle  operazioni amministrative cui il commissario doveva
 primieramente sovrintendere; di una giurisdizione, in altri  termini,
 destinata   a   risolvere  "tutte  le  questioni  cui  dia  luogo  lo
 svolgimento di quelle operazioni" (cfr. art. 29, comma secondo, della
 legge  n.  1766/1927),  per  consentire  loro  di  proseguire  e   di
 raggiungere   il   proprio   termine   su   basi  di  certezza  e  di
 indefettibilita', quali solo un giudicato puo' garantire.  E'  dunque
 vero   che  in  nessun  luogo  e'  prescritta  la  sospensione  delle
 operazioni amministrative, ma e' anche  vero  che  la  stessa  natura
 incidentale   della   giurisdizione  commissariale  e  la  rafforzata
 effettivita'  delle  decisioni  che  la  esprimono  (parallela   alla
 naturale  immediata  efficacia dei provvedimenti amministrativi; cfr.
 tutto  l'art.  32  della  legge  fondamentale)   mostrano   come   la
 sospensione delle operazioni amministrative doveva essere, secondo il
 legislatore  del 1927, nell'ordine delle cose.  Essa era in ogni caso
 garantita dall'unicita'  dell'organo  deputato  a  procedere;  quello
 stesso  commissario,  che procedeva in via amministrativa, era anche,
 infatti, il giudice  delle  controversie  sorte  nel  corso  di  quel
 procedimento   e,   quando   avesse  ravvisato  una  loro  intrinseca
 pregiudizialita', non avrebbe certo  avviato  questo  a  conclusione,
 senza  prima  decidere  quelle  con  sentenza.   Il trasferimento dei
 poteri amministrativi alle regioni ha sconvolto  questo  schema,  non
 gia'  perche'  astrattamente  non  sia  ancor  oggi  ipotizzabile  la
 sospensione,   obbligatoria   o    volontaria,    del    procedimento
 amministrativo  di  competenza  regionale,  in  pendenza,  davanti al
 commissario, di un procedimento giurisdizionale,  avente  ad  oggetto
 questioni  pregiudiziali,  bensi',  perche' si e' spezzata l'unicita'
 dell'organo procedente e non e' stata introdotta alcuna norma atta  a
 garantire  il  passaggio  delle  necessarie informazioni da un organo
 all'altro.   Il  caso  di  specie,  da  questo  punto  di  vista,  e'
 assolutamente  esemplare;  dopo  la  pubblicazione  del  progetto  di
 liquidazione  redatto  dal  geom.  Guerrino  Randolfi  per   incarico
 dell'amministrazione  regionale,  i signori Trasatti indirizzavano il
 loro  ricorso  in  opposizione  al commissariato agli usi civici e lo
 depositavano in questa segreteria nei termini previsti  dalla  legge,
 senza  darne  notizia alcuna alla amministrazione procedente; nessuna
 notizia ufficiale  ne  era  data  neppure  dal  commissario,  perche'
 nessuna  disposizione  di  legge  o  di  regolamento  la  impone o la
 prescrive.   Traccia della  conseguente  disinformazione  e'  proprio
 nella  delibera  regionale  che  il  5  agosto  1994 provvedera' alla
 liquidazione degli usi civici secondo la proposta  del  Randolfi;  in
 essa si legge che avverso al progetto di liquidazione dell'uso civico
 non   sono   state   presentate   opposizioni,   mentre  il  presente
 procedimento prova esattamente il contrario.   Ben  puo'  immaginarsi
 che  questo  o  quel  funzionario  regionale  abbia avuto del ricorso
 notizia ufficiosa, ben puo' immaginarsi che la stessa amministrazione
 regionale sarebbe andata avanti per la sua strada anche se ne  avesse
 avuto   conoscenza   ufficiale;   ma   si  tratta  per  l'appunto  di
 immaginazioni senza fondamento e senza conseguenze.  E' un fatto  che
 oggi,  nel  sistema  residuato  dalle  trasformazioni e modificazioni
 della legge 16 giugno 1927 n. 1766, non  esiste  alcuna  disposizione
 atta  ad  evitare  la  pendenza,  contemporanea  e  parallela, di due
 distinti  procedimenti,  aventi  carattere,  l'uno,   amministrativo,
 l'altro,  giurisdizionale,  destinati  a  sfociare in due distinte (e
 potenzialmente contraddittorie) decisioni sul medesimo oggetto e  tra
 le medesime parti.
    2.2.  -  Cio'  che  e'  possibile  in fatto non e' necessariamente
 legittimo alla luce  dei  principi  costituzionali;  questa  inattesa
 concorrenzialita',    che    finisce    per    opporre   l'iniziativa
 amministrativa a quella giurisdizionale, caratterizzando la prima  in
 termini  di  assoluta  discrezionalita'  e revocando ad ogni passo in
 dubbio la certezza e la definitivita' della seconda, potrebbe  essere
 prospettata,  infatti,  almeno in termini di conflitto con i principi
 di imparzialita' e di correttezza dell'azione amministrativa (art. 97
 della Costituzione).  Pare, tuttavia, allo scrivente commissario che,
 o prescindere dalla  illegittimita'  costituzionale  della  normativa
 procedimentale,  nella  parte  in  cui consente - o non previene - il
 formarsi contemporaneo, in sede amministrativa e in sede giudiziaria,
 di due decisioni contraddittorie sul medesimo  oggetto,  il  rilevato
 conflitto  possa  essere,  almeno  nel caso di specie, risolto, senza
 impegnare la Corte delle leggi in un riesame,  che  ha  la  sua  sede
 propria  in  Parlamento.    Sembra,  in altri termini, che il giudice
 demaniale,  in  quanto  pervenga  alla  sua  decisione  dopo   quella
 amministrativa,  possa  esaminare  questa nel merito e disapplicarla,
 riaffermando il diritto soggettivo violato, ove essa sia  affetta  da
 un  qualche  vizio  rilevante;  rimanendo da esso vincolato e dovendo
 pertanto riconoscere cessata la materia del contendere, quando  trovi
 quella delibera immune da ogni vizio di legittimita'.
    2.3. - Anche questo diverso e piu' economico percorso non consente
 tuttavia  di evitare una nuova, e maggiore, questione di legittimita'
 costituzionale, che attiene questa volta non al rito,  ma  al  merito
 della controversia, promossa dai Trasatti, e che spiega, meglio delle
 considerazioni  formali  fin  qui  svolte, le ragioni sostanziali del
 rilevato conflitto di attribuzioni tra commissariato e regione.  Come
 e' noto, la legge 16  giugno  1927,  n.  1766,  in  alternativa  alla
 liquidazione per scorporo o divisione delle terre gravate (artt.  5 e
 6  legge  cit.),  consente,  per  "tutti  i  piccoli appezzamenti non
 raggruppabili in unita' agrarie" (art. 7, comma primo, della legge n.
 1766/1927  cit.),  la liquidazione degli usi civici in denaro o, come
 si dice, mediante imposizione di canone.  Per quanto non  rigidamente
 determinati  dalla  legge  nella  loro  estensione, debbono ritenersi
 piccoli appezzamenti "non raggruppabili in unita' agrarie" tutti quei
 terreni, che -  da  soli,  o  riuniti  con  quelli  viciniori  -  non
 consentono   per   le   loro   dimensioni  una  gestione  agraristica
 sufficientemente economica e remunerativa.    Il  concetto  e'  molto
 elastico   e  puo'  trovare  applicazioni  diverse  in  varie  epoche
 storiche; in particolare, esso si avvicina, ma non  si  identifica  a
 quello della minima unita' colturale, consacrato dal codice civile e,
 infatti,  si applica de plano, oggi, anche a quei terreni che, per le
 trasformazioni edilizie o urbanistiche da cui sono  stati  investiti,
 non sono piu' ragionevolmente convertibili alla produzione agraria, a
 patto,  che  si  tratti  di  piccoli  appezzamenti,  cioe' di terreni
 insuscettibili,  ove  per  ipotesi  ricondotti  all'uso  agrario,  di
 qualche  apprezzabile rendimento.   La superficie dei terreni oggetto
 della presente causa e' di soli 11.270 mq (cfr. relazione Randolfi  e
 relazione  Benedetti); che essi vadano esenti da ogni divisione e che
 il corrispettivo degli usi civici  da  liquidare  vada  stabilito  in
 denaro, appare ictu oculi dalle stesse loro ridotte dimensioni ed e',
 del  resto,  opinione  condivisa da tutti, anche dalla regione Lazio.
 Le   opinioni   divergono   nuovamente,   tuttavia,   in   punto   di
 determinazione   del  corrispettivo  pecuniario  della  liquidazione.
 Secondo l'art. 7, comma primo, della legge 16 giugno 1927, n.   1766,
 infatti,  i  piccoli appezzamenti insuscettibili di utilizzi agrari e
 gli altri terreni esenti dalla divisione, saranno ( ..)   gravati  da
 un annuo canone di natura enfiteutica ( ..), in misura corrispondente
 al  valore  dei  diritti,  da  stabilirsi  con  perizia  ( ..)   ; al
 contrario, secondo l'art. 4, legge regionale Lazio 3 gennaio 1986, n.
 1, allorche' si procede alla liquidazione degli usi civici,  le  zone
 gravate  di  uso  civico  (  ..)  sono stimate secondo il loro valore
 attuale, tenuto conto anche dell'incremento di valore che esse  hanno
 conseguito   per  effetto  della  destinazione  o  delle  aspettative
 edificatorie.  V'e' tra le due  disposizioni  un'evidente  contrasto,
 che   viene   esaltato,   come   presto   si   vedra',  dalla  prassi
 amministrativa; una cosa, infatti, e' "il valore dei diritti",  cioe'
 le  modeste  somme  corrispondenti  alla  capitalizzazione dei ricavi
 netti, o carattere agraristico, derivanti per es. dalla  vendita  del
 fieno  o  della  legna, una cosa ben diversa e' "il valore delle zone
 gravate", comprensivo della rendita  derivante  dalla  intervenuta  o
 sperata  urbanizzazione,  come il mercato lo determina.  Va osservato
 che la normativa regionale, nel prescrivere il riferimento al  valore
 delle  aree,  non  dice  in  che  misura questo vada ripartito tra il
 titolare del diritto di proprieta' e i titolari dei  diritti  civici.
 Nella  prassi,  come risulta anche dalla perizia Randolfi, si procede
 in primo luogo a determinare il valore di mercato dell'intero terreno
 gravato (nel nostro caso, L. 12.000 a mq, per 5.700  mq,  pari  a  L.
 68.400.000  complessive);  si  indica  poi  la  quota  da  assegnare,
 fittiziamente,  alla  popolazione,  a  compenso  degli   usi   civici
 liquidati  (nel nostro caso, 1/6 del terreno gravato, pari a mq 950);
 in terzo luogo, con  una  semplice  moltiplicazione,  si  calcola  il
 controvalore  monetario  di  questa  quota  (nel  caso  di specie, L.
 11.400.000); infine, in  ragione  dell'interesse  legale  sul  valore
 della  quota, si determina l'ammontare dell'annuo canone enfiteutico,
 da pagare fino alla affrancazione definitiva (nel caso di specie,  L.
 570.000).
    2.4. - La regola regionale prescrive come, in caso di liquidazione
 degli  usi civici, vada determinato il valore delle aree gravate, non
 dice espressamente che  il  corrispettivo  della  liquidazione  debba
 essere  necessariamente  e prioritariamente commisurato a tal valore,
 invece che a quello dei diritti da liquidare; in breve, essa non dice
 espressamente cio' che vi legge la prassi  amministrativa.    Poiche'
 questa non puo' assumere valenza normativa senza o contro la volonta'
 del  legislatore,  si  potrebbe ritenere - e il giudicante altrove ha
 ritenuto: vedi sentenza in proc. n. 138/1993, per Monterotondo,  agli
 atti  -  che  quella  regola non e' destinata a trovare applicazione,
 quando, come nel caso di specie, il corrispettivo della  liquidazione
 vada stabilito, per volonta' della legge dello Stato, in misura pari,
 non  al  valore delle aree gravate, ma al valore dei diritti. In tale
 ipotesi interpretativa, tuttavia, resterebbe  da  spiegare  quando  e
 come  vada applicata la regola diversa, posta dall'art. 4 della legge
 regionale Lazio 3 gennaio 1986, n. 1.   Ora, se non  andiamo  errati,
 non   esiste  neppure  un  caso  in  cui,  nel  procedimento  per  la
 liquidazione dei diritti civici, possa o  debba  aversi  riguardo  al
 valore  delle terre, invece che a quello degli usi da liquidare.  Per
 la legge nazionale, infatti, anche nel caso di liquidazione degli usi
 civici per scorporo,  l'estensione  delle  quote  da  assegnare  alla
 popolazione  va  determinata  in primo luogo in rapporto al tipo e al
 valore dei diritti civici; per esempio,  per  i  diritti  essenziali,
 essa  dovra'  essere  compresa  tra  un  ottavo  e la meta' del fondo
 gravato (art. 5, comma secondo, della legge n. 1766/1927), ma  potra'
 essere  ulteriormente ridotta allorche' si tratti di un solo diritto,
 che a giudizio del commissario sia di tenue entita' (  ..)  (art.  5,
 comma  quinto,  della  legge n. 1766).   In altri termini, secondo la
 legislazione nazionale, anche in caso di liquidazione in natura o per
 scorporo, l'ammontare del corrispettivo deve essere  prioritariamente
 determinato,  sia  pure  in  modo  forfettario e con criteri di larga
 massima, in misura proporzionale al valore dei diritti; solo  in  via
 subordinata,  si  potra'  tenere  conto  del  valore  delle  terre da
 assegnare (art. 6, comma primo, della legge  n.  1766/1927),  con  la
 conseguenza  che,  in questo caso, per il reciproco intreccio dei due
 criteri, quanto piu' sara' elevato il valore della terre  per  unita'
 di  superficie,  tanto piu' dovra' diminuire l'estensione della quota
 da scorporare.  Secondo la prassi applicativa in  uso  nella  regione
 Lazio,  al  contrario,  l'estensione  della  quota  di scorporo e' la
 variabile indipendente, da determinare in via  equitativa,  cioe'  in
 modo   assolutamente   discrezionale  o  al  massimo  in  analogia  a
 precedenti valutazioni per la liquidazione  degli  usi  civici  (cfr.
 perizia Randolfi, pag. 6); a tale quota puo' essere sostituito il suo
 equivalente  monetario,  calcolato  in ragione dei diversi valori del
 suolo  e  del  diverso  impatto  della  rendita   edilizia;   nessuna
 considerazione  e'  prescritta,  in  ogni  caso,  per  il  valore dei
 diritti.  Quale che sia stata l'intenzione del legislatore regionale,
 tale prassi si adegua nelle linee sostanziali al dettato dell'art.  4
 della  legge regionale n. 1/1986 e trova in questo il suo fondamento,
 colmandone le lacune applicative;  essa,  in  altri  termini,  ha  un
 valore  ermeneutico  privilegiato,  mostrando  quale sia, nel diritto
 vivente,  il  contenuto  normativo assegnato alla norma in esame.  E'
 del tutto evidente, d'altra parte, che  la  disciplina  in  tal  modo
 posta  e  applicata  non  e'  affatto  integrativa, ma sostitutiva di
 quella dettata dalla legge nazionale; essa non puo',  dunque,  essere
 disapplicata,   limitandone   il  campo  di  applicazione  per  modum
 interpretationis,  perche'  tale   interpretazione   restrittiva   si
 risolverebbe  in realta' nella sua abrogazione, che non e' consentita
 al giudicante.
    2.5. - Conviene dunque esaminare se  la  normativa  regionale,  in
 materia di determinazione dei corrispettivi di liquidazione degli usi
 civici,  quale  risulta dall'art. 4 della legge regionale n. 1/1986 e
 dalla prassi teste' descritta, non  contrasti  per  avventura  con  i
 principi  della  Carta  costituzionale.   Dalle stesse considerazioni
 svolte al  punto  precedente  risulta  all'evidenza  come  la  regola
 regionale  si  ponga  in  contrasto  con i diversi principi stabiliti
 dalla legge dello Stato e dunque,  indirettamente,  con  l'art.  117,
 comma   secondo,   della   Costituzione  italiana;  tale  preliminare
 conclusione,  tuttavia,  va  meglio  argomentata  in   relazione   al
 carattere  fondamentale  della  disciplina  stabilita dalla normativa
 nazionale.    Questo  carattere  emerge  indirettamente  dagli  altri
 profili di illegittimita' costituzionale, che la disciplina impugnata
 presenta,  per  contrasto  con  gli  artt. 3 e 42, terzo comma, della
 Costituzione.
    2.5.1. - Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione  deriva  dal
 fatto che, secondo la normativa regionale, il medesimo diritto civico
 dovrebbe essere compensato in maniera profondamente diversa da zona a
 zona,  non  in  ragione della diversa produttivita' dei suoli o della
 diversa  quantita'  del  raccolto  prevedibile,  cioe'  per   ragioni
 intrinseche  al  contenuto  del  diritto, ma in ragione di un fattore
 esterno   al   diritto   stesso,   come   l'intervenuta   o   sperata
 urbanizzazione.   Il diritto civico viene in tal modo sradicato dalla
 sua funzione agraristica, e trasformato in  una  quota  astratta  del
 valore    complessivo    delle    terre,    della    quale    vengono
 contraddittoriamente       riaffermate       inalienabilita'        e
 imprescrittibilita',  nel momento stesso in cui essa forma oggetto di
 un'alienazione amministrata; il diritto civico  viene  soprattutto  a
 perdere,  cosi',  ogni  carattere  di diritto reale sulla terra ed e'
 trasformato in un diritto di prelievo monetario, il cui ammontare  e'
 rimesso   alla   discrezionale   determinazione  dell'amministrazione
 competente, entro il limite, a sua  volta  ampiamente  discrezionale,
 del valore di stima dell'intero territorio gravato.  Si consideri che
 l'amministrazione  procedente ha il potere discrezionale di stabilire
 quando ricorrano i presupposti per la liquidazione in  denaro  o,  in
 alternativa,  i  presupposti per la liquidazione mediante scorporo e,
 per converso, almeno in Lazio,  il  potere  di  riconoscere  l'intero
 terreno  gravato  alla comunita' locale, imponendo a questa un canone
 in favore del proprietario (c.d affrancazione inversa; cfr.  art.  7,
 comma  secondo,  della  legge  n.    1766/1927);  si comprende allora
 perche' il "gravame" di uso civico, cioe' l'onere reale o  pecuniario
 da sopportare per la sua liquidazione, sia cosi' temuto.  Esso, nella
 prassi  amministrativa  seguita  al  d.P.R.  n.  616 del 1977 e nella
 legislazione regionale d'attuazione, come quella che qui si  esamina,
 non  tiene nessuno dei caratteri fondamentali del diritto soggettivo,
 il quale in primo luogo deve veder segnati obbiettivamente  i  propri
 limiti  in  rapporto  ai  diritti altrui. Per gli usi civici, invece,
 questi limiti vengono stabiliti, in via  amministrativa,  al  momento
 della    loro    liquidazione;    alla    massima    discrezionalita'
 amministrativa, quale risulta dal sistema della legge regionale Lazio
 n. 1/1986, corrisponde negli interessati non un diritto di  contenuto
 certo  e  confrontabile  con  diritti analoghi, ma una soggezione dal
 contenuto variabile  e  suscettibile  delle  piu'  diverse  forme  di
 contrattazione.    La  lesione  del  principio  di eguaglianza assume
 dunque, nel caso  di  specie,  anche  la  implicita  connotazione  di
 negazione  della  struttura  tipica  del diritto civico, che non puo'
 esser confidato, neppure per  la  determinazione  del  suo  contenuto
 pecuniario,  alla  pura  e  aleatoria  discrezionolita'  di un organo
 amministrativo.
    2.5.2.  -  Al  contrario,  il  contenuto  del  diritto  civico  va
 ricollegato  alla  riconosciuta facolta' per un determinato gruppo di
 persone  di  prelevare  dalla  terra  altrui  particolari  frutti   o
 utilita',   variamente  esemplificati  dall'art.  5  della  legge  n.
 1766/1927, ma sempre in qualche  modo  oggettivamente  determinati  o
 determinabili  nello  loro  consistenza e nel loro valore.  Ora, come
 abbiamo visto, la disciplina regionale  finisce  per  attribuire  una
 parte  della  rendita  urbana alla collettivita' degli utenti civici,
 senza che cio' sia giustificato dal contenuto e dalla  struttura  del
 diritto  in questione; dunque, essa confisca tale quota della rendita
 al proprietario delle terre gravate, senza indennizzo alcuno e  senza
 valide  ragioni di utilita' generale, ponendosi pertanto in contrasto
 anche con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione.  Sul punto  non
 sono necessarie altre considerazioni in diritto, ma puo' essere utile
 un  raffronto  in  fatto tra il corrispettivo liquidato dalla perizia
 opposta, in base ad una stima  del  valore  di  mercato  del  terreno
 gravato  -  dunque,  in forza dei criteri stabiliti dall'art. 4 della
 legge regionale n. 1/1986 -, con quello liquidato (vedi  sentenza  in
 proc.  n.  138/1993, per Monterotondo, in atti), in base ad una stima
 del diritto oggetto della liquidazione, dunque, ai sensi dell'art. 7,
 comma primo, della legge n. 1766/1927.   Quest'ultimo  risulta  dalla
 capitalizzazione  al  5% annuo del prezzo del pascolo ricavabile ogni
 anno da un ettaro di terra,  detratte  le  spese;  esso,  secondo  la
 perizia  richiamata dalla sentenza citata, ammonta a L. 2.679.760 per
 ettaro ed e' rapportabile, da un lato, al valore  di  mercato  di  un
 quintale  di  fieno,  dall'altro,  alla produttivita' annua media del
 terreno considerato.   Al  contrario,  secondo  il  criterio  di  cui
 all'art.  4 della legge regione Lazio n. 1/1986, come applicato nella
 prassi amministrativa, si parte dalla  destinazione  urbanistica  del
 terreno considerato e dalla volumetria su di esso edificabile in base
 agli  indici  di  piano;  se  ne  stabilisce  poi,  con  un  generico
 riferimento   alle   caratteristiche   intrinseche   ed   estrinseche
 dell'immobile   e   alle   valutazioni   gia'   espresse  in  passato
 dall'ufficio procedente, il valore di mercato (L. 12.000 al  mq);  si
 determina,  senza alcuna giustificazione e senza alcun riferimento al
 valore del diritto collettivo da liquidare, la  porzione  di  terreno
 pertinente  alla  popolazione  (1/6 del totale); si calcola infine il
 capitale di affranco e il canone annuo relativi o tale  quota.    Per
 un'area  gravata  dell'estensione  di quella dei signori Trasatti (mq
 5.700), a parita' di ogni  altra  variabile,  risulterebbe  pertanto,
 alla  stregua  della prima valutazione, un capitale di affranco di L.
 1.527.463,  alla stregua della seconda, un capitale di affranco di L.
 11.400.000 (oltre sette volte tanto), con una confisca ingiustificata
 della rendita urbana pari alla differenza tra i  due  valori.    Alla
 luce di questa differenza, destinata ad aumentare imprevedibilmente a
 seconda  dei  casi e delle opportunita', si comprende meglio per qual
 ragione la regione si attesti nell'applicazione di  una  regola,  che
 appare   in   contrasto   con   alcuni  principi  fondamentali  della
 Costituzione e, dunque, anche con i principi fondamentali della legge
 dello Stato regolatrice dello materia.  Un'ultima considerazione, non
 del  tutto   marginale.   Il   tecnico   incaricato   della   perizia
 amministrativa  non  e' un dipendente regionale, ma un professionista
 iscritto  all'albo  dei  periti  demaniali;  quella   differenza   e'
 destinata pertanto a ripercuotersi anche sui suoi compensi.
    2.6.  -  La  rilevanza  della  prospettata  questione  e' di tutta
 evidenza: premesso che i terreni dei Trasatti si assumono gravati  da
 uso  civico  di  pascolo  annuale  (relazione  CTU Benedetti, pag. 7,
 concl.), in tanto il giudicante potra' disapplicare la delibera della
 giunta regionale, che liquida quei diritti sulla base del  valore  di
 mercato  dei  suoli  gravati,  in  quanto  venga rimossa la normativa
 regionale che impone tale criterio di  liquidazione;  in  tanto  egli
 potra' provvedere alla nuova liquidazione sulla base del valore degli
 usi   da   liquidare,  in  quanto  per  essa  possa  farsi  esclusivo
 riferimento ai criteri stabiliti dalla normativa statuale piu'  volte
 richiamata, l'art. 7, comma primo, della legge n. 1766/1927.
                               P. Q. M.
    Il commissario, letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4  della  legge  regionale Lazio 3 gennaio
 1986, n. 1, per contrasto con gli artt. 3,  primo  comma,  42,  terzo
 comma,  e,  con  riguardo  ai  principi fondamentali posti in materia
 dagli artt. 5, 6 e 7, primo comma, della legge  16  giugno  1927,  n.
 1766,  anche  per  contrasto  con  l'art.  117,  secondo comma, della
 Costituzione;
    Poiche' il giudizio non  puo'  essere  definito  indipendentemente
 dalla  risoluzione  delle  sollevate  questioni,  dispone l'immediata
 trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  sospende  il
 giudizio  in  corso  e ordina che a cura della segreteria la presente
 ordinanza sia notificata alle parti in causa e  al  Presidente  della
 giunta regionale del Lazio;
    Dispone   infine   che   del   presente   provvedimento  sia  data
 comunicazione al presidente del Consiglio regionale del Lazio.
      Roma, addi' 27 marzo 1995
               Il commissario agli usi civici: CARLETTI
 
 95C0796