N. 263 ORDINANZA 14 - 19 giugno 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Rito speciale - Reati punibili in astratto  con  la
 pena  dell'ergastolo - Richiesta di giudizio abbreviato - Circostanza
 attenuante ad effetto speciale a favore  del  soggetto  collaboratore
 con  la giustizia - Sostituzione della pena dell'ergastolo con quella
 della reclusione da 12 a 20 anni -  Applicabilita'  -  Preclusione  -
 Difetto  di  rilevanza  - Richiamo alla giurisprudenza della Corte in
 materia (v. sentenza n.  305/1993 e ordinanza n. 204/1994) - Coerenza
 della preclusione nel disegno del nuovo processo penale  -  Manifesta
 inammissibilita' - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P.,  artt.  442, secondo comma, 69, primo comma; d.-l. 13 maggio
 1991, n. 152, art. 8, convertito, con modificazioni, dalla  legge  12
 luglio 1991, n. 203).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 27).
 
(GU n.27 del 28-6-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  442,  comma
 secondo,  del  codice di procedura penale, dell'art. 69, primo comma,
 del codice penale e dell'art. 8 del decreto-legge 13 maggio 1991,  n.
 152  (Provvedimenti  urgenti  in  tema  di  lotta  alla  criminalita'
 organizzata  e  di  trasparenza  e  buon   andamento   dell'attivita'
 amministrativa), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
 1991, n. 203, promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa l'11 luglio 1994 dal giudice per le indagini
 preliminari  presso  il  Tribunale  di Caltanissetta nel procedimento
 penale a carico di Benvenuto Giuseppe Croce iscritta al  n.  575  del
 registro  ordinanze  1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1994;
      2) ordinanza emessa il 1 agosto 1994 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Palermo nel procedimento penale  a
 carico  di  Benvenuto  Giuseppe Croce iscritta al n. 776 del registro
 ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 20 aprile 1995 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto che nel corso del procedimento penale  per  il  reato  di
 omicidio  pluriaggravato  in  danno  del  dott.  Rosario  Livatino il
 giudice  per  le  indagini  preliminari  presso   il   Tribunale   di
 Caltanissetta,  all'udienza  preliminare, ha sollevato, con ordinanza
 dell'11 luglio 1994, questione di legittimita'  costituzionale  degli
 articoli  442,  comma  secondo,  del  codice di procedura penale, 69,
 primo comma, del codice penale e 8 del decreto-legge 13 maggio  1991,
 n.  152  (Provvedimenti  urgenti  in  tema di lotta alla criminalita'
 organizzata  e  di  trasparenza  e  buon   andamento   dell'attivita'
 amministrativa), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
 1991,  n.  203,  in  riferimento agli articoli 3, 25 (recte: 24) e 27
 della Costituzione;
      che nel sollevare la questione il rimettente muove  dal  rilievo
 per  cui  la richiesta di giudizio abbreviato formulata dall'imputato
 non puo' essere accolta, allo stato della disciplina  positiva  quale
 risultante   da   decisioni   della  Corte  costituzionale,  giacche'
 l'accesso  a  detto  rito  speciale  non  e'  consentito   a   favore
 dell'imputato  di  un  reato  punibile,  in  astratto,  con  la  pena
 dell'ergastolo, come e' nel caso di specie;
      che la riferita preclusione, sussistente anche quando il giudice
 per l'udienza preliminare ritenga di dover escludere una  circostanza
 aggravante che comporta, sempre in astratto, la pena perpetua, ovvero
 ritenga di dover diversamente qualificare l'imputazione formulata dal
 pubblico  ministero, non puo' non valere dunque - e a maggior ragione
 - quando si tratti di delibare  in  ordine  alla  ricorrenza  di  una
 circostanza come quella dell'art. 8 del decreto-legge n. 152 del 1991
 convertito in legge n. 203 del 1991; norma, questa, che configura una
 circostanza  attenuante  ad  effetto  speciale  a favore del soggetto
 collaboratore con la giustizia e che prevede per questi, ricorrendone
 gli estremi applicativi (dissociazione dai  compartecipi  nel  reato;
 "adoperarsi" del soggetto per "evitare che l'attivita' delittuosa sia
 portata   a   conseguenze   ulteriori  anche  aiutando  concretamente
 l'autorita' di polizia o l'autorita' giudiziaria  nella  raccolta  di
 elementi   decisivi   per   la   ricostruzione   dei   fatti   e  per
 l'individuazione  o  la  cattura  degli  autori   dei   reati"),   la
 sostituzione della pena dell'ergastolo con quella della reclusione da
 dodici a venti anni;
      che,  inoltre,  il  giudice  a  quo,  argomentata  la  natura di
 circostanza   della   previsione   richiamata,   ne   sottolinea   la
 riconducibilita'  alla  disciplina  correlativa  e  dunque,  in primo
 luogo, al giudizio di comparazione a norma dell'art. 69, primo comma,
 del codice penale, il quale  implica  una  completa  valutazione  del
 merito  della  res  iudicanda  e  non  puo'  essere  ricompreso nella
 delibazione affidata al giudice ai fini dell'ammissione del  giudizio
 abbreviato;
      che, date queste premesse, e stante la qualita' di collaboratore
 dell'imputato,  nei  sensi anzidetti, il rimettente solleva questione
 di legittimita' costituzionale  dell'art.  442,  comma  secondo,  del
 codice  di procedura penale, in quanto non prevede la possibilita' di
 applicazione della circostanza attenuante in discorso ai  fini  della
 determinazione  della  pena  in sede di decisione sull'ammissibilita'
 del giudizio abbreviato, assumendone il contrasto: a)  con  l'art.  3
 della   Costituzione,   in  quanto  sarebbero  parificate  situazioni
 profondamente diseguali (di chi e' collaboratore e di chi non lo e');
 b) con l'art. 25 (recte: 24) della Costituzione, risultando compresso
 il  diritto  di  difesa  del soggetto collaborante, privato in questo
 modo  di  un  "importante  strumento  di  definizione  delle  proprie
 pendenze";   c)   con   l'art.  27  della  Costituzione,  perche'  ne
 risulterebbe vanificato il diritto premiale che  si  fonda  su  detto
 precetto   costituzionale,  in  quanto  la  pena  deve  tendere  alla
 rieducazione del condannato  che,  se  collaborante,  dovrebbe  avere
 diritto ad un trattamento differenziato;
      che  inoltre  il  giudice  coinvolge  -  "conseguenzialmente"  -
 nell'impugnativa  anche  la  norma  sostanziale  piu'  volte  citata,
 relativa  alla  circostanza  attenuante,  nonche'  la  disciplina del
 giudizio  di  comparazione  in  caso  di  concorso   di   circostanze
 eterogenee,  in  riferimento  ai  medesimi parametri costituzionali -
 nonche'  ulteriormente  per  lamentata  complessiva  irragionevolezza
 della  disciplina  in  argomento  -  e  per  le  stesse ragioni sopra
 esposte;
      che questione sostanzialmente identica e  riferita  agli  stessi
 parametri e' stata sollevata, con ordinanza del
 1  agosto  1994,  dal  giudice  per le indagini preliminari presso il
 Tribunale di Palermo, in un distinto procedimento penale a carico del
 medesimo imputato del giudizio precedentemente riferito;
      che e' intervenuto in questo secondo giudizio il Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato, che ha dedotto l'inammissibilita' o comunque la
 non fondatezza della questione in quanto - dopo la  sentenza  n.  176
 del  1991  della Corte costituzionale - il giudizio abbreviato non e'
 consentito in radice per i delitti punibili in astratto con  la  pena
 dell'ergastolo,  come appunto si verifica nella specie, e comunque in
 quanto la Corte costituzionale si e'  gia'  pronunciata  al  riguardo
 anche  sul  piano  della esclusione di valutazioni di merito da parte
 del giudice dell'udienza preliminare ai fini  della  decisione  sulla
 ammissibilita'   del   rito,   sottolineando   inoltre  connotati  di
 incomprensibilita'  del  quesito  riferito  all'art.  69  del  codice
 penale;
    Considerato  che  le ordinanze di rimessione prospettano questioni
 pressoche' identiche e concernenti le medesime disposizioni,  sicche'
 i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica
 pronuncia;
      che  l'ordinanza  emessa dal giudice per le indagini preliminari
 presso il Tribunale di Palermo, pur se in larga  misura  riproduttiva
 dell'altra,  e'  tuttavia  -  diversamente da quest'ultima - priva di
 ogni indicazione in ordine alla concreta  rilevanza  della  questione
 sollevata  rispetto al processo a quo, non risultando neppure il tipo
 di imputazione contestata, per cui essa e'  inidonea  a  dare  valido
 ingresso  alla  questione di legittimita' costituzionale, della quale
 va dichiarata la  manifesta  inammissibilita',  come  da  consolidato
 orientamento di questa Corte (v., ex plurimis, ordinanze nn. 246, 136
 e 43 del 1994);
      che,  relativamente  all'ordinanza  del  giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta, si  deve  osservare
 che  l'impugnativa  congiunta  della  norma  processuale - in tema di
 giudizio abbreviato - e di quelle  sostanziali  -  che  prevedono  la
 specifica circostanza della collaborazione nonche' il generale regime
 applicativo - mira, da diverse possibili prospettive, ad un preciso e
 unico  petitum,  che  e' quello di consentire al giudice dell'udienza
 preliminare di riconoscere ed applicare la circostanza attenuante  ai
 fini  dell'ammissione del giudizio abbreviato, altrimenti precluso in
 ragione della contestazione di un reato punibile, in astratto, con la
 pena dell'ergastolo;
      che peraltro questa Corte ha gia' disatteso questioni  analoghe,
 e  riferite  in  parte  agli  stessi  parametri,  concernenti la piu'
 generale preclusione alla verifica della esattezza  dell'imputazione,
 quale  contestata dal pubblico ministero, da parte del giudice per le
 indagini preliminari, sia quanto al titolo-base del reato che  quanto
 alla  esistenza  di circostanze aggravanti (sentenza n. 305 del 1993;
 ordinanza n. 204 del 1994);
      che in dette decisioni si e' affermata, sul piano  dell'indagine
 di  costituzionalita',  la  coerenza  di  una  simile preclusione nel
 disegno del nuovo processo  penale,  in  rapporto  alla  funzione  di
 controllo  sulla  richiesta  di  giudizio  (sent.  n.  41  del  1993)
 assegnata  all'udienza  preliminare  e  correlativamente  al  giudice
 dinanzi  al quale essa si svolge, e, nell'escluderne il contrasto con
 il principio di ragionevolezza e con il diritto di difesa, si e' piu'
 in particolare sottolineato che sarebbe, al contrario, distorsiva una
 diversa conclusione: sia perche', una volta accordato  il  potere  di
 sindacato  sul  merito  dell'imputazione  al  giudice  delle indagini
 preliminari, questo potere non potrebbe non operare  anche  in  senso
 peggiorativo   per   l'imputato,   al  pari  di  quanto  avviene  nel
 dibattimento; sia perche' al riconoscimento del  potere  in  discorso
 osta  la  mancanza  di  uno strumento di controllo idoneo a prevenire
 possibili determinazioni errate da parte del giudice;
      che gli accennati rilievi, formulati  in  rapporto  a  questioni
 prospettanti   una   serie   di   ipotesi  di  erronea  o  inadeguata
 contestazione da parte del pubblico ministero, non possono che essere
 ribaditi in rapporto all'ipotesi offerta dal giudizio a quo,  in  cui
 non  viene  in  gioco  alcun  profilo  di  dissenso del giudice sulla
 contestazione  formulata  dall'organo  di  accusa  ma   si   richiede
 l'attribuzione    di    un   potere   di   "neutralizzazione"   della
 contestazione,  in   se'   preclusiva   del   rito,   attraverso   il
 riconoscimento e l'applicazione di attenuanti;
      che,  in  contrario, su quest'ultimo profilo, si deve ancora una
 volta ribadire che un potere siffatto e' del tutto eccezionale al  di
 fuori  del  giudizio  sul merito della regiudicanda (sent. n. 431 del
 1990; ord. n. 204 del 1994 citata);
      che i rilievi che precedono sono riferibili anche al  parametro,
 ulteriormente  invocato,  dell'art.  27  della  Costituzione, che non
 impone l'introduzione della richiesta deroga al sistema,  e  valgono,
 del   pari,  in  relazione  alle  censure  riferite  alla  disciplina
 sostanziale della circostanza de qua, per la quale del resto  sarebbe
 extra ordinem una addizione normativa tale da renderla applicabile in
 qualunque  fase  del procedimento diversa dal giudizio sul merito del
 reato (onde superare la preclusione al  rito  speciale);  non  senza,
 infine,  rilevare che la peculiarita' della situazione collaborativa,
 sottesa, non e' idonea a condurre a  diversa  conclusione  in  questa
 sede;
      che,  pertanto,  per  tutti  i profili dedotti la questione deve
 essere dichiarata manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della  questione   di
 legittimita'  costituzionale  degli  articoli 442, secondo comma, del
 codice di procedura penale, 69, primo comma, del codice penale,  e  8
 del  decreto-legge  13  maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in
 tema di lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza  e  buon
 andamento    dell'attivita'    amministrativa),    convertito,    con
 modificazioni, dalla legge 12 luglio  1991,  n.  203,  sollevata,  in
 riferimento  agli articoli 3, 25 (recte: 24) e 27 della Costituzione,
 dal giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di
 Palermo, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
      dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione  di
 legittimita' costituzionale degli articoli 442,  secondo  comma,  del
 codice  di  procedura penale, 69, primo comma, del codice penale, e 8
 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152  (Provvedimenti  urgenti  in
 tema  di  lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e buon
 andamento    dell'attivita'    amministrativa),    convertito,    con
 modificazioni,  dalla  legge  12  luglio  1991, n. 203, sollevata, in
 riferimento agli articoli 3, 25 (recte: 24) e 27 della  Costituzione,
 dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il Tribunale di
 Caltanissetta, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 19 giugno 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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