N. 267 ORDINANZA 14 - 19 giugno 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Bene  gia'  sottoposto  a sequestro preventivo -
 Richiesta  di  restituzione  dopo  la  formazione  del  giudicato   -
 Requisiti - Difetto di esposizione dei fatti processuali da parte del
 giudice  a quo - Difetto di rilevanza - Erroneita' dei
 presupposti interpretativi - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., art. 666, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 101, secondo comma)
 
(GU n.27 del 28-6-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 666, comma 2,
 del codice di procedura penale, promosso con  ordinanza  emessa  l'11
 dicembre  1993  dal Pretore di Potenza nel procedimento esecutivo nei
 confronti di Caraffa Vito iscritta al n. 202 del  registro  ordinanze
 1994  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17,
 prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 17 maggio 1995 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto che con ordinanza dell'11 dicembre  1993  il  Pretore  di
 Potenza,  quale  giudice  dell'esecuzione,  ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'articolo  666,  comma  secondo,  del
 codice  di  procedura  penale,  in riferimento agli articoli 3 e 101,
 secondo comma, della Costituzione;
      che nel sollevare la questione il giudice rimettente espone,  in
 punto  di  fatto,  che,  successivamente  alla  proposizione  di  una
 richiesta di restituzione di cauzione (in precedenza imposta, ex art.
 85 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante  le  norme
 di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura
 penale,  quale  condizione  per  la  restituzione  di  un  bene  gia'
 sottoposto a sequestro preventivo nel corso del procedimento penale),
 avanzata  dall'interessato  dopo  la  formazione  del  giudicato,  ma
 respinta  dal  medesimo  giudice  rimettente  sull'assunto  che  tale
 provvedimento avrebbe dovuto essere adottato dal  pubblico  ministero
 quale   organo   dell'esecuzione,   era   stata  rivolta,  sempre  al
 rimettente, nuova identica istanza  di  svincolo  della  cauzione  da
 parte  del pubblico ministero, cui medio tempore l'interessato si era
 rivolto in base alla accennata precedente statuizione;
      che, in tale situazione, sussisterebbero, secondo l'ordinanza di
 rinvio, gli estremi della situazione di mera  riproposizione  di  una
 precedente   richiesta   gia'   respinta,  tale  da  legittimare  una
 declaratoria di inammissibilita' dell'ulteriore  richiesta,  a  norma
 dell'art. 666, comma secondo, del codice di procedura penale;
      che  tuttavia,  ad  avviso del giudice a quo, quest'ultima norma
 precluderebbe, per il suo tenore letterale, l'adozione di una  simile
 declaratoria, in particolare in ragione dei riferimenti ivi contenuti
 alla  necessita'  di  previa audizione del pubblico ministero e della
 difficolta' di configurare l'audizione dell'interessato  in  siffatta
 ipotesi;
      che,  muovendo  da  questa premessa interpretativa, il giudice a
 quo ravvisa nella norma impugnata un profilo di violazione  dell'art.
 3 della Costituzione (programmaticamente sviluppato come principio di
 parita'  delle  parti  nell'art. 2, punto 3) della legge-delega n. 81
 del  1987),  per  ingiustificata  diversificazione  del   trattamento
 accordato alla parte privata rispetto al pubblico ministero;
      che   ulteriore  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  e'
 dedotto  con  riferimento  all'art.   101,   secondo   comma,   della
 Costituzione,  in  base al rilievo per cui il giudice investito della
 richiesta del pubblico ministero si troverebbe obbligato a instaurare
 in ogni caso un procedimento camerale, con sottrazione del potere  di
 delibazione   anticipata  dei  presupposti  di  ammissibilita'  della
 richiesta,  potere  viceversa  accordato  nell'ipotesi  reciproca  di
 richiesta ripetuta dalla parte privata;
      che  e'  intervenuto in giudizio il presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che,  rilevando  una  inadeguata  esposizione  della  vicenda
 processuale di cognizione ai fini del controllo  sulla  rilevanza,  e
 sottolineando  comunque  la possibilita' di una diversa lettura della
 norma impugnata, ha concluso per una declaratoria di inammissibilita'
 o di infondatezza della questione;
    Considerato  che  l'eccezione,  sollevata  dall'interveniente,  di
 inammissibilita'  per difetto di esposizione dei fatti processuali da
 parte del giudice a quo - ai fini della verifica sulla rilevanza  del
 quesito - non puo' essere accolta, in quanto le indicazioni contenute
 al  riguardo  nell'ordinanza  di rinvio presuppongono logicamente che
 non vi sia stata  alcuna  statuizione  in  ordine  alla  sorte  della
 cauzione nell'ambito del processo di cognizione;
      che,  nel sollevare la questione, il giudice a quo - che ritiene
 di dover applicare la disposizione generale in tema  di  procedimento
 di esecuzione ex art. 666 del codice di procedura penale, in luogo di
 ricorrere   a   diverse   previsioni  specificamente  concernenti  la
 restituzione di cose sequestrate,  secondo  una  scelta  allo  stesso
 affidata  e non censurabile in sede di controllo di costituzionalita'
 - muove  da  una  interpretazione  palesemente  erronea  della  norma
 richiamata,  in  quanto il comma 2 impugnato assoggetta alla medesima
 disciplina la  richiesta  in  executivis,  da  qualunque  parte  essa
 provenga;
      che   pertanto   la   questione,  sollevata  in  base  al  detto
 presupposto, deve essere dichiarata, per tale profilo, manifestamente
 infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 666, secondo comma, del codice di procedura
 penale, sollevata, in riferimento agli  articoli  3  e  101,  secondo
 comma,  della  Costituzione,  dal Pretore di Potenza, con l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 19 giugno 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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