N. 271 ORDINANZA 14 - 20 giugno 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Pena  -  Applicazione  su  richiesta  -  Misure  di
 sicurezza - Applicazione - Inapplicabilita' per alcuni reati nei
 casi  previsti  dall'art.  219 del c.p. - Inconferente richiamo alla
 sentenza  n.  313/1990   -   Richiesta   di   sentenza   additiva   -
 Discrezionalita' legislativa - Manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.P., art. 445, primo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 25, terzo comma, e 27, terzo comma)
 
(GU n.27 del 28-6-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
    Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 445,  comma  1,
 del  codice  di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 3
 giugno 1994 dal Pretore di Modena nei procedimenti riuniti  a  carico
 di  F. A., iscritta al n. 513 del registro ordinanze 1994 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  38,  prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto che il Pretore di  Modena,  prima  ancora  di  aprire  il
 dibattimento a carico di persona imputata di falso nonche' di plurime
 ricettazioni  e  truffe,  ha, di fronte alla concorde richiesta delle
 parti di applicazione della pena a norma dell'art. 444 e seguenti del
 codice  di  procedura  penale,  con  ordinanza  del  3  giugno  1994,
 denunciato  l'illegittimita'  dell'art.  445,  comma 1, del codice di
 procedura penale, "nella parte in cui, con le parole "e delle  misure
 di  sicurezza",  dispone  la non applicazione delle medesime nei casi
 previsti dall'art. 219" del codice penale;
      che il giudice a quo, dopo aver premesso che  l'accordo  fra  le
 parti  si  era formato determinando la pena in anno uno, mesi otto di
 reclusione e lire un milione di multa, a  se'guito  dell'applicazione
 della  continuazione,  delle  circostanze attenuanti generiche, della
 circostanza attenuante del vizio parziale di mente, oltre  che  della
 diminuzione  prescritta  per  la  scelta del rito e che tale assetto,
 "formalmente corretto e sostanzialmente equo ed  adeguato",  pure  in
 relazione alla circostanza attenuante del vizio parziale di mente (si
 era,  infatti,  accertato  uno  stato  di  infermita'  mentale  - "in
 rapporto criminogenetico rispetto ai reati  in  giudizio  -  tale  da
 compromettere  grandemente  la  capacita' di intendere e di volere al
 momento dei fatti"), gli  precluderebbe,  nonostante  la  persistente
 pericolosita'  sociale dell'imputato di rigettare la richiesta per la
 necessita' di applicare una misura di sicurezza  con  il  conseguente
 ineluttabile  dovere  di  pronunciare  sentenza di applicazione della
 pena richiesta;
      che la norma denunciata contrasterebbe,  anzitutto,  con  l'art.
 25,  terzo  comma,  della  Costituzione, perche' la previsione di una
 diversificazione cosi' accentuata  dal  regime  ordinario,  quale  si
 riscontra  in  una  disciplina  che fa derivare esclusivamente da una
 norma processuale l'impossibilita'  di  applicare  in  ogni  caso  la
 misura  di  sicurezza potrebbe rivelarsi in contrasto con i princip/'
 di legalita' e tassativita';
      che risulterebbe vulnerato pure  l'art.  3  della  Costituzione,
 sotto  il  profilo  del  rispetto  del  principio  di ragionevolezza,
 considerando che, mentre nel caso di proscioglimento per vizio totale
 di mente, il giudice dovrebbe applicare - ricorrendone i  presupposti
 - la misura di sicurezza, nel caso di condanna con riconoscimento del
 vizio  parziale  di  mente  deve  rinunciare - per effetto della sola
 disciplina   processuale   -   a   "quell'aspetto   del   trattamento
 sanzionatorio      prettamente     rieducativo,     terapeutico     e
 socialpreventivo";
      che  sarebbe,  infine,  compromessa anche l'osservanza dell'art.
 27,  terzo  comma,  della  Costituzione,  da   ritenere   applicabile
 (nonostante i decisa delle sentenze costituzionali n. 68 del 1967, n.
 106  del  1972,  n.  139  del  1982, di cui richiede il riesame) alle
 misure di sicurezza;
      che nel giudizio non si e' costituita la parte  privata  ne'  ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri;
    Considerato  che  - alla stregua del vigente assetto normativo per
 questa parte non attinto dalla sentenza n. 313 del 1990  -  non  puo'
 escludersi  che una situazione di pericolosita' sociale in atto possa
 proiettare i suoi  riverberi,  non  soltanto  sulla  prestazione  del
 consenso  del  pubblico  ministero,  ma  anche  sulla verifica che il
 giudice e' tenuto a compiere a norma dell'art.  444  e  seguenti  del
 codice  di  procedura  penale  e  che attiene, in via esclusiva, alla
 valutazione del programma complessivo predisposto da  ciascuna  delle
 parti ai fini dell'applicazione della pena su richiesta;
      che  il  giudice  a  quo richiede a questa Corte una statuizione
 solo apparentemente di tipo demolitorio, ma  in  realta'  diretta  ad
 introdurre,  in  relazione  al regime dell'applicazione della pena su
 richiesta, una disciplina che consenta  di  adottare  una  misura  di
 sicurezza  oltre  i limiti segnati dall'art. 445, comma 1, del codice
 di procedura penale;
      che, come gia' statuito con riguardo ad altra  questione  avente
 ad  oggetto  l'applicazione  di  misure  di  sicurezza  al  di  fuori
 dell'ipotesi  prevista  dall'art.  240,  secondo  comma,  del  codice
 penale,  appositamente  richiamato dall'art. 445, comma 1, del codice
 di procedura penale, la realizzazione del petitum che  il  giudice  a
 quo  tende  a  conseguire  resta  preclusa a questa Corte, "spettando
 interventi additivi di tal genere  al  solo  legislatore  che,  nella
 sfera   della   sua   discrezionalita',  puo'  operare  scelte  anche
 derogatorie rispetto a quelle previste in via generale  in  relazione
 alla sentenza di patteggiamento" (v. ordinanza n. 334 del 1994);
      che la questione e', dunque, manifestamente inammissibile;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  445,  comma 1, del codice di
 procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3,  25,  terzo
 comma,  e  27, terzo comma, della Costituzione, dal Pretore di Modena
 con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 20 giugno 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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