N. 26 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 4 agosto 1995

                                 N. 26
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il  4
 agosto 1995 (della regione Liguria)
 Edilizia  popolare, economica e sovvenzionata - Edilizia residenziale
    pubblica: criteri generali per l'assegnazione degli alloggi e  per
    la  determinazione  dei  canoni  -  Disciplina  minuziosa  di ogni
    aspetto  della  materia,   dai   requisiti   per   l'assegnazione,
    all'autogestione,    ai    casi    di    annullamento   e   revoca
    dell'assegnazione, ai criteri per la determinazione dei  canoni  -
    Violazione  della  sfera  di  competenza  regionale  in materia di
    edilizia  residenziale  pubblica   per   l'adozione   di   criteri
    analiticamente  vincolanti nei confronti dei legislatori regionali
    -  Riferimenti  alle  sentenze  della  Corte  costituzionale   nn.
    486/1992 e 347/1993.
 (Deliberazione del CIPE del 13 marzo 1995).
 (Cost., artt. 117 e 118).
(GU n.39 del 20-9-1995 )
    Ricorso  per  conflitto  di attribuzione della regione Liguria, in
 persona del presidente della Giunta regionale dott.  Giancarlo  Mori,
 autorizzato   con   delibera   G.R.  n.  2515  del  24  luglio  1995,
 elettivamente domiciliato in Roma, via del Foro Traiano, 1/A,  presso
 l'avv. Gian Paolo Zanchini, difeso dall'avv. Luigi Cocchi per procura
 a  margine  del presente atto, contro la Presidenza del Consiglio dei
 Ministri in persona del Presidente  pro-tempore,  per  l'annullamento
 della  deliberazione  del  CIPE  13  marzo  1995  avente  ad  oggetto
 "Edilizia residenziale pubblica: criteri generali per  l'assegnazione
 degli  alloggi  e per la determinazione dei canoni", pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale del 27 maggio 1995, n. 122.
                               F A T T O
    La regione Liguria si e'  da  tempo  dotata  di  una  complessa  e
 compiuta  disciplina  legislativa in materia di edilizia residenziale
 pubblica per la disciplina degli IACP (legge regionale n.  6/1983)  e
 del  canone  applicabile  agli  alloggi  di ERP, gestiti dagli stessi
 istituti e/o dagli altri enti locali.
    Tale disciplina, in qualche modo  rapportata  ai  criteri  forniti
 dallo   Stato   con  la  delibera  CIPE  del  1981,  e'  ancora  oggi
 puntualmente applicabile.
    Di recente al fine di adempiere a  quanto  previsto  dall'art.  6,
 nono  comma,  del d.-l. 30 agosto 1993 n. 331, su proposta del C.E.R.
 il CIPE con provvedimento  13  marzo  1995  ha  determinato  nuovi  e
 diversi  criteri  generali  per l'assegnazione degli alloggi di ERP e
 per la determinazione dei relativi canoni.
    In particolare  nell'allegato  a  tale  delibera  al  punto  8  il
 provvedimento qui impugnato prevede che:
    "8.2. Il canone degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e'
 determinato secondo il seguente schema:
                          C o n d i z i o n i
     A)  Reddito  imponibile  del  nucleo  familiare  (quale somma dei
 redditi fiscalmente imponibili risultanti dalle ultime  dichiarazioni
 dei  redditi  di tutti i componenti, non superiore all'importo di due
 pensioni minime INPS e derivante esclusivamente da lavoro dipendente,
 pensione  e/o  percepito   ai   seguenti   titoli:   trattamento   di
 cassintegrati, indennita' di mobilita', indennita' di disoccupazione,
 sussidi assistenziali e assegno del coniuge separato o divorziato.
     B)  Reddito  annuo complessivo del nucleo familiare non superiore
 all'importo stabilito dalla regione quale limite di  reddito  per  la
 decadenza.
     C)  Reddito  annuo  complessivo  del  nucleo  familiare superiore
 all'importo stabilito dalla regione quale limite di decadenza.
                              C a n o n e
     A) 'Canone sociale' non superiore al 10% del  reddito  imponibile
 familiare, anche articolato in relazione alla composizione del nucleo
 familiare.
     B)  'Canone  di  riferimento'  pari al 4,50% del valore catastale
 dell'alloggio. La regione potra'  stabilire  diverse  percentuali  di
 incidenza,  comunque  non  inferiori  al 3% e non superiori al 6% del
 valore catastale, da  articolare  in  un  massimo  di  tre  fasce  in
 relazione  al  reddito  del nucleo familiare, in modo da garantire la
 predetta incidenza media del 4,50%.
     C) Canone di locazione non  inferiore  al  7%  annuo  del  valore
 catastale  dell'alloggio  e  da  graduare in relazione al reddito del
 nucleo familiare ..
    8.7. In assenza di provvedimenti  regionali  attuativi,  gli  enti
 gestori  applicano i nuovi canoni, adottando i parametri previsti dal
 presente paragrafo, con decorrenza dal settimo mese  successivo  alla
 pubblicazione della presente delibera nella Gazzetta Ufficiale".
    Da  una  analisi  dei  criteri  di determinazione dei canoni ed in
 particolare  di  quelli  relativi  alla  quota  B,  emerge  come,  in
 sostanza,  anziche'  un criterio generale, con tale indicazione si e'
 dato alle regioni un criterio pressoche' fisso,  con  un  margine  di
 discrezionalita'  -  ai  fini dell'adattamento - cosi' restrittivo da
 risultare sostanzialmente vanificato.
    D'altro canto con disposizione altrettanto sospetta, al punto 8.7,
 il provvedimento impugnato ha - in mancanza  di  esercizio  da  parte
 della  regione  della  fissazione  dei  nuovi  canoni  entro 6 mesi -
 previsto  che  detti  criteri  fissati  dallo  Stato  debbano  essere
 direttamente  utilizzati  dagli enti gestori mediante applicazione di
 un canone commisurato agli stessi criteri generali,  in  sostituzione
 delle previsioni dell'ordinamento regionale.
    Tale  atto,  ed  in  particolare  i  punti 8.2 e 8.7, appare sotto
 diversi aspetti lesivo della sfera di attribuzioni costituzionalmente
 garantita  alla  regione  Liguria   che,   pertanto,   impugna   tale
 deliberazione per chiederne l'annullamento di codesta ecc.ma Sede.
                             D I R I T T O
    1. - Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 117 e 118 Cost.
 Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  legge  n. 457/1978 per
 contrasto con gli stessi artt. 117 e 118 Cost.
    Codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto piu' volte, dopo l'emanazione
 del d.P.R. n. 16/1977, che l'edilizia residenziale pubblica, pur  non
 costituendo una materia unitaria, si articola in svariate submaterie,
 di  competenza  propria  - ai sensi degli artt. 88 e 93 del d.P.R. n.
 616/1977 - delle regioni a statuto ordinario (cfr. per tutte  486/92,
 347/93)  e  che  in  tale  materia  le  regioni  dispongono di potere
 legislativo concorrente a sensi dell'art. 117 della Cost.,  oltreche'
 di potere amministrativo proprio.
    Cio'  comporta  che  in detta materia (ed in particolare in quella
 dei canoni applicabili agli immobili di  edilizia  residenziale,  che
 devono  -  per assicurarne la loro specifica funzione - esser diversi
 ed inferiori rispetto a quelli di mercato) il potere legislativo  tra
 lo  Stato  e  le  regioni  a  statuto ordinario deve esser esercitato
 secondo i parametri fissati nell'art. 117 Cost., e cioe' che lo Stato
 debba fissare con atto normativo alle regioni i principi fondamentali
 a cui attenersi, ferma  la  ampia  discrezionalita'  del  legislatore
 regionale nel dettare la concreta disciplina.
    Nella specie due sono i profili in cui l'atto qui impugnato non si
 rapporta correttamente allo schema di cui all'art. 117 Cost.:
       a)  sotto un primo profilo e' in contrasto con l'art. 117 Cost.
 la pretesa di porre  criteri  generali  per  l'esercizio  del  potere
 legislativo regionale mediante atto amministrativo.
    L'art. 117 Cost., infatti, prevede come possibile limite al potere
 legislativo  concorrente  regionale  quello dei principi fondamentali
 della legislazione dello Stato in materia.
    Ma tali principi non possono essere posti con  un  atto  (delibera
 CIPE) avente valore formale e contenuto di atto amministrativo.
    In  tal  senso,  proprio  in  relazione  ai  principi disciplinati
 dall'art.  117  Cost.,  dovrebbe  semmai  sollevarsi   d'ufficio   la
 questione  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2 legge n.
 457/1978, laddove si prevede che i criteri  generali  in  materia  di
 assegnazione  di  alloggi  di e.r.p. i relativi canoni possano essere
 posti mediante atto avente valore formale di atto amministrativo, per
 contrasto con l'art. 117 Cost.;
       b)  sotto  altro  - piu' rilevante - profilo i criteri adottati
 con  la  deliberazione  13  marzo  1995  sono  tali  da   vanificare,
 comprimendolo  oltre limiti accettabili (quasi che si trattasse di un
 potere meramente regolamentare),  il  potere  legislativo  attribuito
 alle regioni a statuto ordinario in materia.
    Il  meccanismo  ipotizzato,  fissato  sulla  individuazione per la
 quota B di un canone di riferimento pari al 4,5% del valore catastale
 dell'alloggio, appare parametro del tutto  equivoco  e  privo  di  un
 riferimento  effettivo  al  valore  del  bene locato, mentre, d'altro
 canto la fascia di oscillazione consentita  -  dal  3%  al  6%  -  in
 relazione  al  reddito della utenza non consente la individuazione di
 un  canone  adeguato  a  garantire  quei  fini   sociali   che   sono
 indubbiamente  sottesi  alla  disciplina della medesima e applicabile
 alle fascie di utenza piu' deboli, con esclusione  di  riferimento  a
 canoni di tipo privatistico riferibili al libero mercato.
    Sotto tale profilo la indicazione contenuta nella delibera CIPE e'
 tanto piu' illegittima in quanto, anziche' porre un criterio generale
 adattabile  alle proprie specifiche esigenze da parte delle regioni a
 statuto ordinario, in realta' pone un  unico  proprio  parametro  con
 criteri  rigidi  di possibile scostamento, di ampiezza cosi' limitata
 da comprimere in misura assurda  ed  abnorme  il  potere  legislativo
 regionale,  riducendolo, in sostanza, ad un mero potere regolamentare
 e/o esecutivo.
    Ma il potere legislativo  concorrente  spettante  alle  regioni  a
 statuto ordinario (garantito dall'art. 117 Cost.), non puo' non avere
 ben  maggiore  ampiezza,  sia  pure  nei limiti dei principi generali
 della legislazione dello Stato, principi  generali  che  non  possono
 risolversi  -  come  nella  specie  -  in  indicazioni  assolutamente
 puntuali, di estrema limitatezza e senza  lasciare,  in  realta',  al
 legislatore regionale alcuna scelta concreta.
    Donde  la  certa  illegittimita' della delibera CIPE in parte qua,
 laddove anziche' criteri generali e/o principi fondamentali, ha posto
 indicazioni   puntuali,   lasciando   alla   regione    margini    di
 estrinsecazioni pressoche' inesistenti.
    E  che  tale  sia  la  incisivita'  della indicazione impugnata e'
 confermato dal punto 8.7, laddove si dispone che gli enti gestori, in
 mancanza dell'iniziativa delle regioni, diano attuazione diretta alle
 disposizioni contenute al punto  8.2:  cio'  nella  logica  per  cui,
 l'applicazione  dei  provvedimenti  da  parte  dell'ente gestore (che
 dispone dello  stesso  spazio  attribuito  potere  legislativo  della
 regione)  si  risolve  in  una operazione meramente applicativa. Tale
 conseguenza appare tanto piu' grave in quanto  dalle  simulazioni  di
 applicazione  di  tali  indicazioni  -  senza  possibilita'  in  sede
 regionale di attuare i necessari correttivi, sono emerse  in  regione
 Liguria  situazioni  di  evidente  anomalia, con grave compromissione
 delle finalita' sociali sottese alla disciplina.
    2. - Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 117 e 118 Cost.
 in relazione ai principi in materia di poteri sostitutivi.
    La illegittimita'  e  la  invasivita'  della  sfera  di  autonomia
 regionale  derivante  dall'art. 8.2 della delibera CIPE 13 marzo 1995
 divengono poi macroscopiche al punto 8.7,  allorche'  -  in  caso  di
 inerzia da parte delle regioni - si prevede sic et simpliciter, che i
 cosiddetti   "criteri   generali",   previsti   dal   CIPE  con  atto
 amministrativo,  assurgano  a  fatto  abrogativo  dalla  legislazione
 regionale  in  materia,  con  un  peculiare, quanto perverso, effetto
 sostitutivo, e legittimino gli enti gestori a disapplicare  le  norme
 regionali  previgenti  e ad applicare direttamente la nuova normativa
 CIPE.
    A prescindere da quanto sopra dedotto con riguardo all'incisivita'
 dei criteri fissati dal CIPE, non puo' non dedursi la  illegittimita'
 dell'effetto   abrogativo/sostitutivo  della  legislazione  regionale
 derivante  da  un  provvedimento  amministrativo  e  tanto  piu'   la
 illegittimita'  di  un effetto abrogativo/sostitutivo di disposizioni
 aventi  valore  formale  di  legge,  senza  la  previsione  di  alcun
 preventivo  meccanismo  di  constatazione dell'inerzia regionale e di
 invito alla sua rimozione.
    In altri termini, non soltanto e' difficile ipotizzare che un atto
 amministrativo abbia forza abrogativa  di  una  norma  di  legge,  ma
 soprattutto  che tale effetto discenda tout court dalla mera scadenza
 del termine, senza la previa adozione di meccanismo per la  rimozione
 della inerzia.
    Anche  sotto  tale  profilo  la  deliberazione  CIPE 13 marzo 1995
 appare   illegittima    ed    invasiva    della    sfera    giuridica
 costituzionalmente garantita della regione Liguria.
                               P. Q. M.
    Si  chiede  che la Corte ecc.ma, riconosciuta l'invasivita' e/o la
 illegittimita' della delibera CIPE del 13 marzo 1995 in  accoglimento
 del  conflitto  di  attribuzione  sollevato  e  se  del  caso, previa
 declaratoria di non manifesta infondatezza dell'art. 2 della legge n.
 457/1978 per  contrasto  con  l'art.  117  della  Cost.,  annulli  il
 provvedimento impugnato con ogni conseguenza di legge.
      Genova, addi' 25 luglio 1995
                           Avv. Luigi COCCHI
 
 95C1077