N. 510 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 giugno 1995
N. 510 Ordinanza emessa il 3 giugno 1995 dal pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Bilato Oscar Processo penale - Impedimento legittimo a comparire del difensore per sciopero degli avvocati - Sussistenza anche quando l'astensione stessa sia stata deliberata senza congruo preavviso e senza termine finale certo e per il difensore d'ufficio nominato dopo la reiezione della richiesta di rinvio proposta da altro precedente difensore per il medesimo motivo - Incidenza sulla funzione giurisdizionale e sull'amministrazione della giustizia e sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio della tutela del lavoro per le turbative alla regolarita' delle occupazioni dei cittadini coinvolti nel processo quali testimoni, consulenti, persone offese e imputati. (C.P.P. 1988, artt. 97 e 486, quinto comma; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 29). (Cost., artt. 2, 24, primo e secondo comma, 35, primo comma, 97, 101, secondo comma, e 112).(GU n.39 del 20-9-1995 )
IL PRETORE Rilevato che all'udienza del 29 maggio 1995 i difensori di fiducia dell'imputato hanno chiesto il rinvio del processo, dichiarando di aderire all'astensione dalle udienze - che avrebbe dovuto terminare il precedente giorno 27 e che invece proprio in tale data e' stata ulteriormente prorogata; Rilevato che con ordinanza in pari data la richiesta di rinvio e' stata respinta, giudicandosi il protrarsi della astensione, per le sue modalita' ed a seguito di nuovo giudizio di bilanciamento degli interessi e diritti contrapposti, non piu' costituente un legittimo impedimento, ex art. 486.5 c.p.p. (v. in atti, fg. 34-38 retro); Rilevato che i difensori di fiducia hanno tuttavia confermato la propria astensione sicche', per dare esecuzione all'ordine di procedersi oltre nel processo e' stato nominato un difensore d'ufficio, nella persona del presidente del locale Ordine forense (per la correttezza della nomina di difensore d'ufficio nel caso di rigetto della istanza di rinvio proposta dal difensore di fiducia, v. sez. 3 sent. 8168 dep. 19 luglio 1994, Nonnavecchia); Rilevato che questi ha dichiarato di aderire anch'egli all'astensione, non prestando il proprio consenso e la propria opera professionale per l'utile trattazione del processo; Rilevato che si deve prendere atto della impossibilita' di procedere oltre - pur essendo stati espletati i rimedi e le vie procedimentali indicati dalle norme del codice di rito e pur essendo aperta la via processuale per la contestazione dei provvedimenti adottati, negli eventuali ulteriori gradi di giudizio - e della ineluttabilita' di un ulteriore rinvio, con le valutazioni tra l'altro conseguenti alla constatazione dell'avvenuta interruzione dell'esercizio della funzione giurisdizionale, attesa la accertata impossibilita' di ottenere la presenza della invece necessaria difesa; O S S E R V A Il fenomeno della cosiddetta astensione dalle udienze da parte dei difensori e' privo di disciplina legislativa, differentemente da quanto previsto per i pubblici dipendenti - coprotagonisti della vita giudiziaria - e nonostante l'aperta sollecitazione della Corte costituzionale con la sentenza 114 del 23-31 marzo 1994. Non vi e' quindi una norma di legge che legittimi, disciplinandola, l'astensione dalle udienze dei difensori. Questo fa si' che manchi una individuazione legislativa esplicita dell'equilibrio tra il diritto alla protesta della classe forense ed il diritto dello Stato e dei cittadini - interessati quali parti lese, testimoni, consulenti e imputati - all'esercizio il piu' possibile regolare ed adeguato della fondamentale funzione giurisdizionale. L'unica soluzione interpretativa allo stato possibile, e' quella affermata dalla Corte di cassazione dopo precedente difforme indirizzo: la riconducibilita' della astensione alla nozione processuale di legittimo impedimento, di cui all'articolo 486.5 del c.p.p. (si ricordi infatti che la Corte di cassazione, dopo iniziali pronunce negative - Sez. 3 sent. 7753 del 26 agosto 1985, Decio e Sez. 1, sent. 2517 del 22 febbraio 1990, Zeno - ha successivamente e con piu' pronunzie ricondotto tale astensione proprio alla nozione processuale di legittimo impedimento, di cui tratta l'art. 486.5 del c.p.p. - Sez. 3, sent. 8533 del 14 settembre 1993, Capaci; Sez. 4, sent. 6604 del 5 luglio 1993, Montagnoli; Sez. 3, n. 8338 del 23 luglio 1994, Riccio -). A tale sussunzione si e' pervenuti ritenendo la astensione dalle udienze esercizio del diritto costituzionale di manifestazione del pensiero, anche in forma associativa, del quale il diritto di protesta e' componente; essa infatti non puo' essere ricondotta al diritto di sciopero, costituzionalmente garantito, in quanto si e' al di fuori di un rapporto di lavoro subordinato. Se quello e' l'istituto applicabile, occorre richiamare la giurisprudenza ad esso relativa, con la conseguenza che esso deve innanzitutto essere tempestivamente segnalato e che lo stesso non ha una valenza assoluta, essendo suscettibile di valutazione il bilanciamento tra l'interesse difensivo e quello pubblico alla trattazione immediata (v. sia pure relativamente all'impegno professionale concorrente Sezioni Unite dep. 24 aprile 1992, Fogliani e altri, in Cass. pen. 1992, pag. 1787, nonche' la sentenza Sez. 4 n. 6604, richiamata), valutazione suscettibile di censura processuale nelle forme delle impugnazioni (Sez. 3, sent. 8338 cit., per tutte). Questo pretore ha ritenuto e ritiene non piu' sussistente un legittimo impedimento idoneo ad imporre il rinvio del processo, ex art. 486.5 del c.p.p., per due concorrenti ragioni. La prima e' di natura prevalentemente formale: le modalita' di deliberazione della astensione sono infatti del tutto contrastanti con i principi che pur il legislatore ha affermato, trattando dello sciopero dei pubblici dipendenti nei servizi essenziali; se e' vero che le disposizioni della legge 12 giugno 1990, n. 146 non possono avere immediata applicazione nei confronti degli esercenti la professione forense, e' tuttavia evidente che quei principi debbono essere tenuti in considerazione perche' costituiscono la positiva manifestazione del bilanciamento, operato dal legislatore, degli interessi confliggenti in situazioni di questo genere; infatti quel bilanciamento e' stato operato non con riferimento ai soggetti interessati all'astensione dall'attivita' lavorativa ma con riferimento alla natura del servizio di interesse pubblico prestato. In questo caso, invece, non vi e' stato preavviso (poiche' la deliberazione dell'astensione e' avvenuta solo al termine della precedente fase, disponendone l'immediata prosecuzione), non vi e' indicazione di termine finale certo, non vi e' indicazione adeguata e chiara dei limiti connessi alla trattazione delle pratiche urgenti per la natura propria degli atti (provvedimenti cautelari, procedimenti con indagati o imputati sottoposti a misure cautelari personali, procedimenti per reati di non lontana prescrizione, per esempio). In particolare l'astensione in atto, deliberata il 22 aprile 1995 con termine 6 maggio 1995, poi prorogata lo stesso giorno 6 senza interruzioni fino al 28 maggio, lo stesso giorno 28 e' stata deliberata in prosecuzione. L'attuale termine risulta essere il 24 giugno p.v. - nella delibera dell'assemblea generale degli avvocati italiani del 28 maggio 1995 - e "fino a che non siano approvati in sede parlamentare, a seguito dell'esame in aula, i contenuti delle riforme a cui si erano impegnate le forze politiche, con riferimento anche all'art. 371-bis c.p." - nella delibera dell'Unione delle camere penali del 27 maggio 1995 -. Non solo nulla viene detto in ordine alla indicazione del primo termine come ultimativo o suscettibile di ulteriori differimenti, cosi' come accaduto per i due precedenti termini (e la gia' deliberata convocazione di un'altra assemblea il giorno 24 giugno rende evidente il carattere - allo stato - non ultimativo del termine stesso); ma si manifesta ora la presenza di pluralita' di soggetti associativi che deliberano astensioni anche non coordinate tra loro, alcune senza preavviso e tutte con termine finale incerto, tutte sostanzialmente rivolte agli stessi destinatari che volta per volta aderiscono o possono aderire per la pluralita' formale delle appartenenze associative (si consideri che se la delibera dell'Unione camere penali e' del 27 maggio 1995, i suoi appartenenti - in sede locale - hanno partecipato all'astensione gia' dal 24 aprile 1995). Si deve quindi prendere atto che dal 24 aprile ad oggi sono stati rinviati quasi tutti i processi penali in ruolo, con azione che ha interessato finora circa 60 udienze ed oltre 500 processi solo presso questa pretura circondariale, con l'occupazione dei ruoli dei mesi da ottobre in avanti, destinati invece alla trattazione di altri processi. La seconda ragione attiene allo stretto merito. In assenza di norma positiva, chiamato necessariamente al bilanciamento degli interessi confliggenti (Cass. Sez. 4, sent. 6604 cit.), ritiene questo pretore che non possa essere accolta una richiesta di rinvio che, conseguente al blocco totale delle udienze per oltre un mese, non consente tra l'altro di determinare la fissazione calibrata della data per la prosecuzione, posto che gia' per due volte il termine indicato per la cessazione e' stato prorogato, senza preavviso alcuno (tant'e' che alcuni processi, gia' provenienti da un primo rinvio determinato dalla precedente astensione, sono stati ulteriormente rinviati per il mancato rispetto del termine finale indicato), e che non e' comunque ancora oggi indicato un termine ultimo certo (e tra l'altro la pluralita' di rivendicazioni - afferenti il processo civile, il giudice di pace, il processo penale, la separazione delle carriere dei magistrati requirenti e giudicanti, anche l'aspetto previdenziale - rende non facilmente individuabile l'obiettivo concreto il cui conseguimento determinerebbe la cessazione della astensione). Ma soprattutto la richiesta non puo' essere accolta perche' e' assolutamente contrastante con i principi costituzionali attinenti alla giurisdizione ed all'organizzazione dello Stato lasciare che uno dei soggetti necessari del processo determini, con assoluta discrezionalita', al di fuori di qualsiasi fondamento normativo positivo e con modalita' contrarie ai principi posti dal legislatore per gli operatori pubblici coprotagonisti nella vita giudiziaria, se il processo puo' essere celebrato e fino a quando il processo non potra' essere celebrato, prescindendo del tutto dalla valutazione degli interessi costituzionalmente garantiti contrastanti (diritto alla pronuncia giurisdizionale, diritto alla pretesa punitiva e risarcitoria, diritto dei cittadini terzi coinvolti nel processo alla regolarita' delle proprie occupazioni, buon andamento della pubblica amministrazione). L'acquiescenza alle modalita' dello sviluppo di questa astensione dalle udienze (blocco totale dell'attivita' giudiziaria dalla durata imprevedibile) comporterebbe l'acquiescenza alla paralisi della funzione giurisdizionale, con conseguente grave compromissione di fondamentali principi che il costituente ha inteso affermare (Corte cost. sent. 114/94 cit.). E veramente l'esercizio della giurisdizione e' attivita' essenziale dello Stato democratico. Numerosi e rilevanti sono i diritti costituzionali, espressamente affermati, che manifestano la essenzialita' della giurisdizione: basti richiamare quelli di cui agli artt. 2, 24.1, 24.2, 101.2 e 112 Cost. Essi hanno tutti quantomeno pari dignita' con quello di manifestazione del pensiero e sono e devono essere quindi salvaguardati quantomeno come quello. E che tali diritti debbano essere salvaguardati, evitando l'impedimento del pieno esercizio della funzione giurisdizionale, funzione a risalto primario nell'ordinamento dello Stato, e' gia' stato affermato dalla stessa Corte costituzionale, con la sentenza 114/1994 (in Gazzetta Ufficiale 13 aprile 1994, n. 16, 1a serie speciale). Il protrarsi della astensione dalle udienze per piu' di due mesi e le modalita' di tale protrarsi, determinando il blocco di ogni processo gia' fissato ed il suo rinvio incerto su ruoli gia' destinati alla trattazione di altri processi - senza piu' la possibilita' di dare applicazione organica e doverosa alle norme afferenti l'organizzazione delle udienze quale delineata dal legislatore, ex artt. 132 e 160 disp. att. c.p.p., 477, c.p.p. - e' fatto tale da provocare tra l'altro grave e difficilmente riparabile pregiudizio all'esercizio ordinario della giurisdizione in questo ufficio, contribuendo a far saltare gli sforzi congiunti degli operatori delle varie categorie professionali interessate - magistrati, personale di cancelleria, appartenenti all'ordine forense - che stavano consentendo il raggiungimento di un efficiente ancorche' ovviamente migliorabile esercizio della giurisdizione. E' inoltre da evidenziare come non essendo il fenomeno disciplinato per legge e non essendo quindi, tra l'altro, prevista la sospensione della prescrizione dei reati per i quali si deve procedere, gli inevitabili rinvii comportano il decorso di almeno cinque sei mesi di prescrizione, realta' di grave pregiudizio per l'interesse pubblico alla persecuzione di fatti antisociali (ove al termine del processo risultasse accertata la responsabilita' dell'imputato;), specialmente tenuto conto dei termini di prescrizione per i reati pretorili, soprattutto contravvenzionali (e si noti incidentalmente che nel caso di assoluzione il cittadino imputato si ritrova con permanenti pendenze giudiziarie, che avrebbero potuto essere subito definite). E' ovvio, la considerazione e' probabilmente ultronea ma giova ricordarla, che quando si parla di prescrizione occorre avere riguardo alla possibilita' che intervenga una pronuncia di merito definitiva prima della estinzione per la prescrizione. A fronte delle modalita' della deliberazione di questa astensione, della esposta gravita' delle conseguenze della sua protrazione dalla durata allo stato - per le ragioni indicate - imprevedibile, per il pregiudizio rilevante recato ai ricordati numerosi diritti costituzionalmente garantiti, il giudice ha preso posizione processuale, essendo a cio' chiamato dal doveroso esercizio della propria funzione. Si pone ora una ulteriore questione, attesa la condotta del difensore nominato d'ufficio per lo svolgimento della necessaria attivita' defensionale, in assenza della quale e' interrotto l'esercizio stesso della giurisdizione. La reiterata dichiarazione di astensione di fatto costituisce rifiuto a prestare oggi la difesa d'ufficio richiesta, e cio' pur dopo la motivata reiezione della richiesta di rinvio, con la quale si e gia' ritenuto che in questo processo quella dichiarazione non costituisce legittimo impedimento e nonostante che avverso tale pronuncia sia consentito il rimedio processuale dell'impugnazione. La questione che si pone e' quindi quella della legittimita' e della liceita' della condotta del difensore che, nominato d'ufficio dopo che una richiesta del difensore di fiducia di rinvio per impedimento sia stata respinta, rifiuti di prestare la propria opera, richiamandosi al medesimo impedimento. In particolare, occorre evidenziare, va considerata la posizione di colui che, anche per il ruolo istituzionale che interpreta, rappresenta l'ultimo che puo' essere alfine chiamato per garantire la presenza della difesa nel processo. A giudizio del pretore questa condotta di rifiuto deve ritenersi illegittima ed illecita: essendo possibili rimedi endoprocessuali avverso l'operato del giudicante, con la sottoposizione delle proprie ragioni ai giudici delle fasi di impugnazioni, ed essendo l'obbligo giuridico del difensore d'ufficio di prestare la propria attivita' immanente a tutta la sistematica processualpenalista e comunque esplicitamente affermato ( ex artt. 97.5 c.p.p. e 29.6 disp. att. c.p.p.), il rifiuto dell'ultimo possibile difensore rappresenta condotta oggettivamente eversiva del sistema stesso. La disposizione dell'art. 14 del decreto-legge 14 luglio 1990, n. 440, non convertito, si poneva in tal senso quale interpretazione autentica e conferma di questo principio sistematico indefettibile. Non appare infatti corretto il ritenere che, non essendo l'esercizio di un diritto regolato per legge, tale esercizio possa avvenire in modo assoluto, venendo cosi' quel diritto posto di fatto al vertice di tutti i diritti ed interessi costituzionalmente garantiti. A questo punto il pretore dovrebbe quindi rinviare il processo e non esimersi dalla doverosa segnalazione della situazione determinatasi al procuratore della Repubblica. Va pero' prima esperito un ultimo tentativo processuale, per evitare l'interruzione traumatica del processo. E' di tutta evidenza che la condotta del difensore d'ufficio nominato risponda ad adesione e solidarieta' di categoria ed interessi politici, e che, quindi, il rifiuto sia determinato dalla convinzione o quantomeno dalla affermazione della esistenza di un diritto costituzionale di protesta di tale ampiezza ed estensione da giustificare comunque anche l'inottemperanza agli obblighi specifici che la legge pone a carico del difensore d'ufficio. E' gia' detto che tale prospettazione va, a convinto giudizio del pretore e per le ragioni esposte, decisamente respinto. Tuttavia, nell'estremo tentativo di contenere una altrimenti inevitabile oggettiva contrapposizione tra categorie professionali, quella dei magistrati e quella degli esercenti la professione forense, che - come con felice espressione e' stato detto - sono condannate a vivere insieme e la cui concorde fattiva collaborazione e' indispensabile per l'efficace quotidiano esercizio della giurisdizione, va richiesto l'intervento della Corte costituzionale, unico soggetto istituzionale che, nella permanente sordita' e nel disinteresse del legislatore, puo' contribuire alla regolazione endoprocessuale del contrasto. Appare infatti non manifestamente infondata la questione della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 97, 486.5 c.p.p., 29 disp. att. c.p.p. nella parte in cui - come evidentemente interpretato dal difensore - consentono di ritenere la dichiarazione di adesione ad una astensione dalle udienze, deliberata dalle associazioni di categoria senza congruo preavviso e con termine finale indeterminato e comunque incerto, legittimo impedimento anche dell'(ultimo possibile) difensore d'ufficio. Le condizioni minimali del preavviso congruo e del termine finale certo risultano gia' esplicitamente affermate dal legislatore in situazioni del tutto analoghe, sicche' la loro individuazione non e' frutto di discrezionalita'. Una tale interpretazione sembra contrastare: con l'art. 2 Cost., perche' idonea a determinare la paralisi della funzione giurisdizionale, privando ogni cittadino della tutela che, in quanto tale e prescindendo da concreti specifici interessi, gli deriva dall'ordinato funzionamento della giurisdizione; con l'art. 24.1 Cost., perche' determina grave perturbamento della possibilita' di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi legittimi; con l'art. 24.2 Cost., perche' vanifica l'inviolabile diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento; con l'art. 35.1 Cost., perche' - determinando successivi rinvii delle udienze - comporta grave turbamento alla regolarita' delle occupazioni lavorative dei cittadini, coinvolti nel processo quali testimoni, consulenti, persone offese ed imputati; con l'art. 97 Cost., perche' - impedendo l'applicazione adeguata e coordinata degli artt. 132 e 160 disp. att. c.p.p., 477 c.p.p. - determina un disordine crescente nei modi e nei tempi di organizzazione della celebrazione dei processi penali, con una assoluta disarticolazione delle prassi e dei principi seguiti sulla base delle indicate norme positive (si consideri, come gia' accennato, che alcuni processi gia' provenienti da precedenti rinvii disposti in relazione ai termini inizialmente comunicati dagli astenuti sono stati ulteriormente rinviati, con evidenti implicazioni organizzative, di dispendio ed incertezza, e la conseguente impossibilita' di una gestione razionale del ruolo, attenta anche al rispetto del tempo e della liberta' dei cittadini che sono interessati alla trattazione); con l'art. 101.2 Cost., perche' impedisce lo svolgimento della funzione giurisdizionale senza che questo sia previsto per legge; con l'art. 112 Cost., perche' - non essendo prevista la sospensione del decorso della prescrizione - contribuisce ad impedire l'accertamento di merito che e' la conseguenza immediata della previsione di obbligatorieta' dell'azione penale. La questione e' altresi' rilevante nel presente giudizio. Se infatti la Corte si pronunciasse, sia pure in sede di motivazione, sulla legittimita' della condotta del difensore, il processo potrebbe utilmente procedere. Nel caso di indicazioni nel senso della illegittimita' della stessa, infatti, deve ritenersi che - anche per il ruolo istituzionale rivestito - il difensore si adeguerebbe revocando il rifiuto a svolgere la propria necessaria funzione; nel caso di indicazioni nel senso della legittimita' di quella condotta, sarebbe il pretore a prenderne il doveroso atto, cosi' rinviando senza alcun problema e soprattutto evitando una non piu' fondata trasmissione di atti al pubblico ministero. Vanno adottati i conseguenziali provvedimenti ordinatori.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953; Dichiara rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 24.1, 24.2, 35.1, 97, 101.2 e 112 Cost., la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 97, 486.5 del c.p.p., 29 disp. att. c.p.p., nella parte in cui sia interpretabile nel senso di ritenere legittimo impedimento l'astensione dalle udienze, anche quando la stessa sia stata deliberata senza congruo preavviso e senza termine finale certo, anche per il difensore di ufficio che sia stato nominato dopo la reiezione della richiesta di rinvio proposta da altro precedente difensore per il medesimo motivo; Sospende il presente giudizio ed ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Ordina la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri ed all'imputato e la sua comunicazione ai Presidenti delle Camere. Padova, addi' 3 giugno 1995 Il pretore: CITTERIO 95C1086