N. 524 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 giugno 1995
N. 524 Ordinanza emessa il 23 giugno 1995 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Rollero Margherita e l'I.N.P.S. Pensioni - Pensioni previdenziali - Azione giudiziaria per le prestazioni pensionistiche - Termine di decadenza di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso o dalla data di scadenza stabilita per la decisione stessa - Decorrenza del termine dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei - Conseguente possibilita' per coloro che non hanno esaurito i gradi del contenzioso amministrativo di richiedere tutti i ratei del decennio precedente con la presentazione di una nuova domanda (prima amministrativa e poi, se del caso, giudiziale) - Mancata previsione, per gli assicurati o pensionati, che dopo aver presentato una domanda di prestazione all'Istituto previdenziale non l'abbiano fatta seguire dal prescritto iter amministrativo, della decorrenza dei termini di decadenza dell'azione giudiziaria dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazioni - Deteriore trattamento dei cittadini piu' diligenti nel percorrere l'iter amministrativo della domanda rispetto ai meno diligenti. (D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, secondo comma; d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, primo comma, ultimo periodo, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166). (Cost., art. 3).(GU n.39 del 20-9-1995 )
IL PRETORE Ha pronunciato, d'ufficio, fuori udienza, la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nella causa iscritta al r.g.l. n. 3770/1995, promossa da Rollero Margherita, assistita dall'avv. Giuseppe Bosso, attore, contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale, assistito dall'avv. Adele Olla', convenuto; Letti gli atti; Udita la discussione orale dei procuratori. La parte ricorrente espone di essere titolare di due pensioni - entrambe a carico dell'I.N.P.S. - una diretta ed una di reversibilita', quest'ultima con decorrenza originaria dal 1 novembre 1969, corrisposta nella misura del 60% dell'importo "a calcolo" contributivo spettante all'originario titolare, oltre le perequazioni successive di legge. E' fatto incontroverso che, avverso tale liquidazione, parte ricorrente non ha proposto alcun ricorso amministrativo ne' alcuna azione giudiziaria, prima della presente. Con successiva domanda del 31 marzo 1994 (questa volta fatta seguire dal rituale iter amministrativo) parte ricorrente ha richiesto la riliquidazione della pensione di reversibilita' di cui e' titolare, nella misura del 60% del trattamento minimo che sarebbe spettato al coniuge, evocando poi in giudizio l'istituto previdenziale per sentirlo condannare a riconoscerle le prestazioni inutilmente richieste in sede amministrativa, a decorrere dalla data di originaria decorrenza della pensione di reversibilita' in questione. La parte convenuta, ritualmente costituendosi in giudizio, ha preliminarmente eccepito la decadenza dell'azione giudiziaria, quale prevista dall'art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (come interpretato dall'art. 6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166) per essere decorsi piu' di dieci anni dalla "data di comunicazione della liquidazione contenente i dati di calcolo della pensione e la relativa decorrenza" (cfr. pag. 4 memoria costitutiva I.N.P.S.), chiedendo, quindi, dichiararsi inammissibile la domanda giudiziale, per quanto concernente il periodo anteriore alla domanda amministrativa del 31 marzo 1994 e riconoscendo, invece, il diritto dal primo giorno del mese successivo a tale ultima domanda. OSSERVAZIONI 1. - Va, preliminarmente, evidenziato che l'oggetto del contendere non attiene ad un diritto diverso ed autonomo rispetto al diritto alla pensione, ma semplicemente al modo con il quale quest'ultima e' stata originariamente liquidata, contestando la parte ricorrente unicamente l'erroneita' della base di calcolo presa in considerazione dall'istituto. Non si versa, dunque, in un'ipotesi analoga a quella, ripetutamente e non sempre uniformemente decisa, relativa al diritto all'integrazione al minimo, controvertendosi invece in ordine alla "base imponibile" per il computo della pensione di reversibilita' (se, cioe', debba essere la pensione diretta "a calcolo" contributivo, ovvero integrata al trattamento minimo), circostanza che puo' evincersi dalle stesse norme richiamate nell'atto introduttivo, relative, appunto, ad aspetti concernenti il procedimento di calcolo. 2. - Si deve, quindi, rilevare, per le ragioni sopra esposte, che il dies a quo della decadenza deve essere individuato con riferimento all'ipotesi di domanda amministrativa (quella che ha portato all'originaria liquidazione della pensione di reversibilita') non seguita da alcun ulteriore iter amministrativo. 3. - Cio' posto, ritiene il remittente che alla fattispecie debba essere applicato l'art. 6, primo comma, ult. parte, del d.-l. n. 103/1991, cit., il quale, testualmente, dispone: "In caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini (di decadenza) decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei". Di conseguenza, parte ricorrente sarebbe nel diritto di ottenere il pagamento di tutti i ratei maturati, mese per mese, da dieci anni prima in avanti, rispetto alla nuova domanda amministrativa, dal richiedere ciascuno dei quali non sarebbe ancora decaduto. 4. - Ritiene il pretore che la norma in esame (e, a monte, la norma dell'art. 47 del d.P.R. n. 639/1970, da quella intepretata) dia adito a dubbi di violazione del principio di razionalita'-ragionevolezza cui e' posto a presidio, secondo la costante giurisprudenza della Corte delle leggi, l'art. 3 della Costituzione. 5. - La vulnerazione del precetto costituzionale teste' richiamato si ricava, in particolare, dal confronto tra l'ultima parte del primo comma dell'art. 6 del d.-l. n. 103/1991 ed il combinato disposto degli artt. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 639/1970 e 6, primo comma, prima parte, del d.-l. n. 103/1991, da intendersi quale tertium comparationis. Tali norme disciplinano il caso in cui, a seguito della reiezione della domanda di prestazione pensionistica, l'interessato esperisca i previsti rimedi amministrativi, stabilendo (art. 47) che: l'azione giudiziaria puo' essere proposta entro il termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunciata dai competenti organi dell'istituto o dalla data di scadenza stabilita per la decisione medesima .. (omissis) e che (art. 6): i termini previsti dall'art. 47, commi secondo e terzo, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale. 6. - Occorre, ancora, rilevare come la stessa Corte costituzionale, nella sentenza 29 maggio 1992, n. 246, rettificando un precedente prevalente orientamento della Corte di cassazione, ha interpretato detti termini come aventi effetti di decadenza sostanziale, nel senso cioe' che il loro decorso, se non determina l'estinzione del diritto a pensione (che resta imprescrittibile) comporta tuttavia l'estinzione del diritto a riscuotere tutti i ratei pregressi della prestazione previdenziale. Cosi' pronunciando, la Corte delle leggi ha ben chiarito come la ratio dell'art. 47 cit. - interpretato dall'art. 6 cit. - consistesse, pur nella riaffermazione del principio di imprescrittibilita' delle prestazioni previdenziali, nella volonta' di porre un ben definito limite - e cio' anche per evidenti ragioni di salvaguardia delle esigenze di bilancio e di previsione di spesa dell'ente previdenziale - alle pretese degli assicurati, assegnando loro un preciso onere di iniziare l'azione giudiziale nel (pur amplissimo) termine di dieci anni a partire dall'esaurimento della fase amministrativa. 7. - Risulta evidente, a questo punto, la non manifesta infondatezza del dubbio di irrazionalita' ed irragionevolezza della norma dell'art. 6, primo comma, ult. parte, del d.-l. n. 103/1991, nella parte in cui prevede che, per coloro che non hanno percorso i gradi del contenzioso amministrativo, sostanzialmente non si compirebbe mai un definitivo termine di decadenza, potendo gli stessi, come gia' osservato, con l'introduzione di una nuova domanda (prima amministrativa e poi, se del caso, giudiziale) richiedere tutti i ratei del decennio precedente. In altre parole, la disposizione in questione, chiaramente confliggendo con la ratio complessiva della norma, quale riconosciuta dalla stessa Corte delle leggi nella giurisprudenza sopra citata, reintroduce la ripudiata categoria della decadenza procedimentale (in tutto equiparabile, quanto agli effetti, alla pura e semplice prescrizione decennale), differenziando irragionevolmente due situazioni previdenziali sostanziali assolutamente sovrapponibili, il cui unico dato differenziatore e' rappresentato dal previo esperimento dell'iter amministrativo, presente nell'un caso ed assente nell'altro (il che, si noti ad colorandum, appare ulteriormente sperequativo, laddove viene attribuito un rilevantissimo vantaggio a chi e' stato invece, in certo senso, procedimentalmente meno diligente, non avendo percorso la fase del contenzioso amministrativo, obbligatoriamente prevista dall'art. 443 del c.p.c.). 8. - Tirando le fila del discorso, ritiene il remittente che le due differenti situazioni sopra delineate debbano essere riportate ad unita' nell'unico modo possibile in relazione alla ratio complessiva della norma, vale a dire prevedendo per entrambe un termine di decadenza sostanziale che, nel caso di mancato esprimento dell'iter amministrativo, non potra' che avere, come dies a quo la data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. 9. - L'indicazione del dies a quo quale teste' prospettata trova, fra l'altro, un preciso riferimento testuale che, ad un tempo, rappresenta la sicura conferma che l'intenzione del legislatore era senza dubbio quella di introdurre rigorosi termini di decadenza sostanziale in materia previdenziale. Si allude all'art. 4 del d.-l. 19 settembre 1992, n. 384 (convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438), il quale, sostituendo i primi due commi dell'art. 47 del d.P.R. n. 6391970, ha espressamente previsto e disciplinato il caso della mancata proposizione dei ricorsi amministrativi secondo quanto testualmente riportato sub 8), in fine, equiparando in tal modo i diversi casi possibili. Va, per completezza, osservato come detta norma (che riduce, fra l'altro, i termini di decadenza a tre anni e ad un anno, a seconda delle prestazioni richieste) non sia immediatamente applicabile alla fattispecie, richiamando l'interpretazione datane dalla Corte costituzionale, con sentenza 3 febbraio 1994, n. 20, ma, viceversa, sicuramente utilizzabile come parametro interpretativo. 10. - Da ultimo si evidenzia, richiamando quanto fin qui osservato, che la questione di costituzionalita' e', oltreche' non manifestamente infondata, anche rilevante, in quanto l'esistenza delle norme impugnate impone l'accoglimento della domanda, in spregio al principio di ragionevolezza e razionalita' - ed in definitiva, anche di eguaglianza - tutelato dall'art. 3 della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47, secondo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 e dell'art. 6, primo comma, ultima parte, del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 (convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166) nella parte in cui non prevedono che, per gli assicurati o pensionati i quali, dopo aver presentato una domanda all'istituto previdenziale, non l'abbiano fatta seguire dal prescritto iter amministrativo, i termini di decadenza dall'azione giudiziaria decorrano dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione ed invece prevedono che gli stessi termini di decadenza decorrano dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei; Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nonche' alle parti in causa. Cosi' deciso in Torino, nella camera di consiglio del 23 giugno 1995. Il pretore: CAMBRIA 95C1105