N. 434 SENTENZA 6 - 15 settembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Provvedimenti di proroga dei  termini  di  custodia
 cautelare   concessi  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  -
 Procedimento in camera di consiglio - Applicazione delle disposizioni
 previste dall'art. 127 del  c.p.p.  -  Esclusione  -  Erroneita'  dei
 presupposti  interpretativi  in  senso  rigorosamente  restrittivo da
 parte del giudice   a quo - Riferimento  alla  sentenza  n.  219/1994
 della  Corte  -  Insussistenza di valide ragioni per ritenere escluso
 l'esercizio del diritto di difesa - Audizione del difensore da  parte
 del  giudice  competente  per  il  provvedimento  (cfr.  sentenze nn.
 99/1975 e 190/1970) - Effettivita' di  un  contraddittorio  anche  se
 semplificato - Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (C.P.P., art. 305, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.39 del 20-9-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici:  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
    VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
    Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  305,  comma  2,
 del codice di procedura penale, promossi con n. 6 ordinanze emesse il
 10  ed  il  29 settembre 1994 dal Tribunale di Catanzaro, iscritte ai
 nn. 649, 685, 686, 687, 688 e  689  del  registro  ordinanze  1994  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica nn. 44 e 48,
 prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  3 maggio 1995 il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Tribunale di Catanzaro, in sede di appello  avverso  varie
 ordinanze di proroga dei termini di custodia cautelare, denuncia, con
 sei ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, l'illegittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
 dell'articolo 305, comma 2, del codice  di  procedura  penale,  nella
 parte  in  cui non prevede l'applicazione delle disposizioni previste
 dall'art. 127 dello stesso codice per il procedimento  in  camera  di
 consiglio.
    2.  -  Sotto  il  primo  profilo,  sostiene  il remittente, appare
 ingiustificata  l'esclusione  del  rito   camerale   a   fronte   dei
 numerosissimi casi in cui la legge ne prescrive l'osservanza.
    La  palese  diversita'  di  trattamento rispetto a tutti gli altri
 incidenti, de libertate e no,  che  devono  essere  trattati  con  la
 applicazione  della  disciplina  di  cui  all'art.  127 del codice di
 procedura penale -  che  non  sono  di  rilievo  e  importanza  certo
 maggiori  -  e  la  conseguente  discriminazione, evidenzierebbero il
 contrasto col principio di  uguaglianza  fissato  dall'art.  3  della
 Costituzione.
    L'irrazionalita'   della   disciplina   puo'  meglio  apprezzarsi,
 prosegue il giudice a quo, considerando  che  le  piu'  garantistiche
 forme  del  rito  camerale  devono essere attuate allorquando si deve
 procedere alla mera correzione materiale del provvedimento di proroga
 (l'art. 130 c.p.p. richiama, appunto, l'art. 127 c.p.p.).
    Sicche' appare veramente assurdo,  conclude  il  remittente,  che,
 laddove  si  tratti  di  rettificare  l'ordinanza  che ha disposto la
 proroga, di guisa che l'emendamento non  comporti  una  modificazione
 essenziale  dell'atto,  la  legge imponga di provvedere "in camera di
 consiglio a norma dell'art. 127" e, invece, dispensi  dall'osservanza
 del  rito  camerale  proprio  quando  si deve deliberare il contenuto
 sostanziale del provvedimento.
    3.  -  Sotto  il  secondo  profilo  la  norma  contrasterebbe  col
 principio del diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo  comma,
 della Costituzione.
    Premette  il  remittente  che il procedimento di cui all'art. 305,
 comma 2, del  codice  di  procedura  penale  dispiega  rilevantissime
 conseguenze sullo status libertatis dell'indagato, in quanto comprime
 la  liberta' personale al di la' dei limiti massimi di fase stabiliti
 in via ordinaria per la durata della custodia cautelare.
    Per questo motivo,  una  volta  riconosciuta  dal  legislatore  la
 necessita' dell'intervento della difesa nel procedimento incidentale,
 disponendo  che  il giudice provvede "sentiti il pubblico ministero e
 il difensore", non potrebbe ritenersi ne' congrua,  ne'  accettabile,
 in  relazione  alla  importanza dell'interesse in discussione ed alla
 correlata esigenza dell'adeguato esercizio del diritto di difesa,  la
 sostituzione della disciplina del rito camerale (avviso della udienza
 sia  all'interessato  che  al  difensore;  termine dilatorio di dieci
 giorni; facolta' di presentare memorie prima della udienza;  adozione
 del  provvedimento  nel  pieno  contraddittorio  tra le parti) con la
 riduttiva previsione della mera audizione  del  difensore,  la  quale
 comporta:  a)  l'esclusione  del  preventivo  deposito in cancelleria
 della richiesta del pubblico ministero ed, eventualmente, degli  atti
 su  cui la stessa si fonda; b) l'esclusione del termine dilatorio per
 l'esame degli atti e per l'allestimento della  difesa,  previsto  nei
 procedimenti  in  camera  di consiglio; c) e, infine, l'estromissione
 dal procedimento  incidentale  dell'indagato,  al  quale  neppure  si
 riconosce il diritto di aver notizia e di interloquire in merito alla
 richiesta di proroga della propria coercizione.
    4.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del consiglio dei
 ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 concludendo per l'infondatezza della questione.
    Rileva l'Avvocatura che la norma impugnata prevede un procedimento
 ed  un contraddittorio semplificati che non appaiono in contrasto con
 il principio  costituzionale  di  uguaglianza  e  di  ragionevolezza,
 atteso  che la detta semplificazione sarebbe giustificata, secondo la
 giurisprudenza della Corte di cassazione, da  ragioni  di  urgenza  e
 cioe' dall'imminenza dello scadere dei termini di custodia cautelare,
 in  presenza di "gravi esigenze cautelari" e della complessita' delle
 indagini. Sarebbero le medesime ragioni a determinare una "legittima"
 compressione del diritto di difesa. Come piu' volte  affermato  dalla
 Corte  costituzionale,  rammenta la difesa del Governo (v. sentt. nn.
 98 e 219 del 1994), tale diritto puo'  subire  limitazioni  "solo  in
 presenza  della  necessita'  di  evitare l'assoluta compromissione di
 esigenze prioritarie nell'economia del processo".
    In quest'ottica, conclude l'Avvocatura, la disciplina dettata  dal
 secondo   comma   dell'articolo   305   rappresenterebbe   il  giusto
 contemperamento tra diritto di difesa,  tutelato  con  l'obbligo  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari  di  audizione  del  pubblico
 ministero e del difensore, e l'esigenza di assicurare un procedimento
 celere per la proroga dei termini di custodia cautelare  di  cui  sia
 imminente la scadenza.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Con  sei  ordinanze  di  identico contenuto il Tribunale di
 Catanzaro, adito in sede di appello avverso altrettanti provvedimenti
 di proroga dei termini di custodia cautelare concessi dal giudice per
 le indagini preliminari,  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  305,  comma 2, del codice di procedura penale, nella parte
 in cui, sulla richiesta del pubblico ministero di proroga dei termini
 di  custodia,  esclude  l'applicazione  delle  disposizioni  previste
 dall'art.  127  del  medesimo codice per il procedimento in camera di
 consiglio.
    Poiche' i provvedimenti di rimessione sollevano tutti la  medesima
 questione  di legittimita' costituzionale, i relativi giudizi possono
 essere riuniti e decisi con unica sentenza.
    2. - Ad avviso del remittente la norma impugnata  si  porrebbe  in
 contrasto  con  l'art.  3  della Costituzione in raffronto a tutte le
 altre  ipotesi,  anche  di  minor  rilievo  (ad  es.:  ordinanza   di
 correzione  degli errori materiali) regolate con la piu' garantistica
 disciplina del rito camerale; nonche' con l'art. 24,  secondo  comma,
 della   Costituzione,   in   quanto,   in   relazione  all'importanza
 dell'interesse in discussione, la  riduttiva  previsione  della  mera
 audizione  del  difensore (in luogo del piu' completo contraddittorio
 previsto dall'art. 127 cit.) non consentirebbe un adeguato  esercizio
 del diritto di difesa.
    3.  -  La  questione, sotto entrambi i profili, non e' fondata nei
 sensi di seguito esposti.
    Non puo' essere  condiviso  il  presupposto  interpretativo  della
 questione,  e  cioe'  la  lettura  rigorosamente  restrittiva  che il
 giudice a quo compie della disposizione di cui al comma  2  dell'art.
 305,  la quale, a suo avviso, esclude del tutto la previa ed adeguata
 conoscenza, da parte del difensore, dei motivi  della  richiesta  del
 pubblico  ministero,  ed  eventualmente  degli  atti su cui si fonda,
 nonche' ogni  termine  dilatorio  per  l'esame  di  tali  atti  e  la
 preparazione della difesa.
    E'  ben  vero,  da  un  lato, che l'orientamento consolidato della
 giurisprudenza di legittimita' esclude senz'altro la possibilita'  di
 applicare   le   forme   del  procedimento  in  camera  di  consiglio
 nell'ipotesi in esame, rilevando che la decisione sulla richiesta  di
 proroga  trova la sua disciplina esclusiva nell'art. 305, comma 2, il
 quale introduce un procedimento ed un contraddittorio semplificati ed
 ispirati da evidenti ragioni d'urgenza; e cioe' dall'imminenza  dello
 scadere  dei  termini  di  custodia  in  presenza  di "gravi esigenze
 cautelari che, in rapporto ad accertamenti particolarmente complessi,
 rendano indispensabile il protrarsi della custodia" (art. 305,  comma
 2).
    Nondimeno la medesima giurisprudenza, in numerose pronunce, non ha
 mancato   di  sottolineare  che,  pur  senza  l'osservanza  di  forme
 specifiche, il difensore deve, con congruo termine, essere  posto  in
 grado  di  interloquire,  che  le  motivazioni della richiesta devono
 essere adeguatamente specificate, ed  anche  che  la  congruita'  del
 termine assegnato al difensore va valutata in rapporto alla richiesta
 del pubblico ministero ed al grado di complessita' della stessa.
    Da  ultimo,  le  stesse  sezioni  unite della Corte di cassazione,
 chiamate   a   pronunciarsi   sull'individuazione   delle   modalita'
 attraverso  le  quali  il  giudice,  richiesto  della  proroga,  deve
 accertare la sussistenza delle condizioni previste dalla norma, hanno
 affermato che, stante l'eccezionalita' dell'istituto  della  custodia
 cautelare  (che  colpisce  la  liberta' personale dei cittadini e del
 quale e' prevista l'applicazione sol quando  risulti  indispensabile,
 come   il   legislatore   ha   recentemente  confermato  nelle  nuove
 disposizioni in tema di  misure  cautelari  introdotte  con  legge  8
 agosto 1995, n. 332), al pubblico ministero incombe, nel formulare la
 richiesta,  un  dovere  di  allegazione  riguardante  non soltanto le
 ragioni per  le  quali  si  rende  indispensabile  l'accertamento  da
 eseguire  (in  riferimento alla posizione processuale dell'indagato),
 bensi'    anche    quelle     dimostrative     della     complessita'
 dell'accertamento,  e dell'impossibilita' che lo stesso si sia potuto
 compiere  durante  il  decorso  del  periodo  ordinario  di  custodia
 cautelare.
    4.  -  Si  tratta  di  affermazioni certamente esatte sulla scorta
 delle quali e' possibile pervenire ad un'interpretazione della  norma
 aderente al dettato costituzionale.
    Gia' con la sentenza n. 219 del 1994 (resa in tema di rinnovazione
 della  misura  cautelare  ex art. 301 del codice di procedura penale:
 istituto, per quanto qui rileva, affine a  quello  in  esame)  questa
 Corte ha avuto occasione di affermare che, allorquando l'indagato sia
 gia'  assoggettato  ad  una  misura cautelare, non possono sussistere
 ragioni valide  per  escludere  l'esercizio  del  diritto  di  difesa
 mediante  l'audizione  del  difensore  da  parte del giudice che deve
 adottare il provvedimento.
    Ora, poiche' la garanzia  del  contraddittorio  e'  certamente  un
 connotato essenziale del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della
 Costituzione,  oltreche',  ovviamente, un cardine del vigente sistema
 processuale, e' del  tutto  evidente  che  tale  diritto  puo'  dirsi
 assicurato  solo  nella  misura  in  cui  si  dia  all'interessato la
 possibilita' di partecipare ad una effettiva  dialettica  processuale
 (cfr. anche sentenze nn. 99 del 1975 e 190 del 1970).
    Che  l'art.  305,  comma  2,  non  disciplini  il  procedimento da
 instaurare sulla richiesta di proroga - limitandosi a  stabilire  che
 il  giudice,  sentiti il pubblico ministero ed il difensore, provveda
 con ordinanza - non puo' quindi assumere il significato di un esonero
 dal rispetto del contraddittorio, ma soltanto che il legislatore  non
 ha  inteso  vincolare  il  giudice  all'obbligo di determinate forme,
 lasciandolo libero di scegliere, caso per caso, quelle ritenute  piu'
 opportune  per assicurare sia pure in modo celere e semplificato, una
 effettiva dialettica tra accusa e difesa.
    In conclusione, a detta  preventiva  audizione  del  difensore  e'
 certamente  possibile  dare  significato concreto, alla stregua degli
 indicati canoni  giurisprudenziali,  affinche'  sia  realizzato,  nei
 limiti   posti   dall'oggetto   del   giudizio,   un  contraddittorio
 semplificato ma effettivo, nel quale  la  parte  sia  tempestivamente
 posta in grado di conoscere le ragioni addotte dal pubblico ministero
 a  fondamento  della  richiesta  di  proroga, con un congruo termine,
 rimesso alla prudente valutazione del giudice, per l'esame degli atti
 e l'allestimento delle difese.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi, dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in
 motivazione,  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art.
 305,  comma  2,  del  codice  di  procedura  penale,  sollevata,   in
 riferimento  agli  artt.  3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di
 Catanzaro con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 15 settembre 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C1237