N. 658 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 giugno 1995

                                N. 658
 Ordinanza emessa  il  22  giugno  1995  dal  pretore  di  Milano  nei
 procedimenti civili vertenti tra Spada Maria ed altro e l'I.N.P.S.
 Pensioni - Pensioni previdenziali - Controversie - Sostituzione al
    termine  di dieci anni per la proposizione dell'azione giudiziaria
    del piu' breve termine di tre anni  dalla  data  di  comunicazione
    della  decisione  del ricorso o dalla data di scadenza del termine
    stabilito per la pronuncia della decisione in sede  amministrativa
    -  Previsione  dello  stesso  a  pena  di  decadenza - Conseguente
    incisione sul diritto alle prestazioni  pensionistiche  -  Mancata
    previsione  di  un  diverso  regime  transitorio  che non solo non
    sopprima  i  diritti,  ma  non  ne  renda  neppure  eccessivamente
    difficoltoso l'esercizio - Incidenza sul diritto di difesa e sulla
    garanzia  previdenziale  -  Riferimenti  alle sentenze della Corte
    costituzionale nn. 246/1992 e 20/1994.
 (D.-L. 19 settembre 1982, n. 384 (recte: 19 settembre 1992), art. 4,
    convertito in legge 14 novembre 1982, n. 438 (recte:  14  novembre
    1992).
 (Cost., artt. 24 e 38, secondo comma).
(GU n.43 del 18-10-1995 )
                              IL PRETORE
    Sciogliendo  la  riserva  contenuta  nel verbale di udienza del 21
 giugno 1995;
                                OSSERVA
    L'I.N.P.S. ha eccepito la decadenza di parti attrici dalle  azioni
 proposte,   ex  art.  4  d.-l.  n.  384  del  1982,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge n. 438 dello stesso anno.
    Secondo tale norma, infatti, che ha sostituito i commi  secondo  e
 terzo  dell'art.  47  d.P.R.  n.  639  del  1970,  opera la decadenza
 triennale   per   le   controversie   in   materia   di   trattamenti
 pensionistici, a decorrere:
       a)  dalla  data  di  comunicazione  della decisione del ricorso
 pronunziata dai competenti organi dell'Istituto;
       b)  dalla  data  di  scadenza  del  termine  stabilito  per  la
 pronunzia della predetta decisione;
       c)   dalla   data   di  scadenza  dei  termini  prescritti  per
 l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a  decorrere
 dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.
    Ebbene,  nella  specie  e'  accaduto  che al momento di entrata in
 vigore  del  decreto  citato  siffatto  termine  fosse  appunto  gia'
 decorso. Da un lato, infatti, il ricorso amministrativo non era stato
 proposto  (la  proposizione  e'  infatti  avvenuta  per  Spada  il 16
 febbraio 1993, per l'altra ricorrente il 3 marzo 1994); da  un  altro
 lato,  come  pure  e'  previsto  nella  norma  su  trascritta,  erano
 ampiamente scaduti i  termini  (300  giorni)  per  l'esaurimento  del
 procedimento  amministrativo, computati, sempre secondo tale norma, a
 decorrere dalla data di presentazione della richiesta di  prestazione
 (22 settembre 1988 e, rispettivamente, 20 marzo 1990).
    Ne'  d'altra parte, puo' applicarsi alla specie la deroga prevista
 dall'ultimo comma dell'art. 4, cit.  per  i  procedimenti  instaurati
 anteriormente  alla  data  di  entrata in vigore del decreto stesso e
 ancora in corso alla medesima data:  siffatti  procedimenti,  pur  se
 intesi  come amministrativi secondo quanto ritenuto dal giudice delle
 leggi (che nell'interpretazione della  regola  ha  tenuto  conto  del
 "ricorso  amministrativo  proposto anteriormente alla data di entrata
 in  vigore  del  decreto":  Corte  cost.  3  febbraio  1994  n.   20,
 (Paragrafo) 6), erano appunto gia' esauriti a tale momento; se intesi
 come giudiziari, non erano ancora stati instaurati.
    Si  pone pero' il problema della legittimita' costituzionale della
 normativa  prima  richiamata,  naturalmente  sotto  il  profilo   del
 criterio  della  non  manifesta infondatezza. La questione e' infatti
 sicuramente rilevante nel caso in esame.
    Ed  invero,  l'art.  6,  primo  comma,  d.-l.  n.  103  del  1991,
 convertito  con  modificazioni  nella legge n. 166 dello stesso anno,
 recita testualmente:
    "1. - I termini previsti dall'art. 47, commi secondo e terzo,  del
 decreto  del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, sono
 posti  a  pena  di  decadenza  per  l'esercizio  del   diritto   alle
 prestazione  previdenziale.  La  decadenza determina l'estinzione del
 diritto  ai  ratei  pregressi  delle  prestazioni   previdenziali   e
 l'inammissibilita'  della  relativa  domanda  giudiziale.  In caso di
 mancata proposizione di ricorso amministrativo, i  ternini  decorrono
 dall'insorgenza dei singoli ratei".
    E  Corte cost. 20 maggio 1992 n. 246, Foro it., 1992, I, 2601, nel
 dichiarare non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 della  norma, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., l'ha
 interpretata sottolineando che la estinzione ivi prevista colpisce il
 diritto ai ratei maturati, non quello alla pensione.  Del  resto,  il
 prevalente  e  piu'  recente indirizzo ha sostenuto che il termine di
 cui all'art. 47 cit. aveva semplicemente la  funzione  di  delimitare
 l'efficacia   temporale  della  condizione  di  procedibilita'  della
 domanda giudiziale: cfr., da ult. Cass. 26 aprile 1993 n. 4864,  Dir.
 e pratica lav., 1993, 1844, (m.).
    Con la precedente normativa, quindi, i diritti vantati dalle parte
 ricorrenti  nell'ambito  del  decennio  precedente  la  istanza,  non
 sarebbero estinti, mentre lo  sarebbero  per  effetto  dell'eccezione
 preliminare di decadenza sollevata dall'istituto. Di qui la rilevanza
 della  questione  che  attiene  alla  prima domanda, peraltro potendo
 riflettersi - determinando  l'importo  da  "cristallizzare"  -  anche
 sull'altra.
    Passando  allora  all'esame  del  requisito  della  non  manifesta
 infondatezza, al pretore la nuova  disciplina  sembra  collidere  con
 l'art.  24  Cost.  Essa,  infatti,  si  risolve,  in questo caso, nel
 sacrificio di diritti che sino al giorno della sua entrata in  vigore
 esistevano e potevano essere azionati.
    In  sostanza,  la  modifica  legislativa,  che  prevede  un regime
 transitorio limitatissimo (v. antea) e  non  comprendente  situazioni
 come  quella in questione - certo peraltro le piu' numerose - viene a
 comportare una sorta di espropriazione di diritti  patrimoniali,  per
 di piu' di valenza costituzionale (art. 38, secondo comma, Cost.).
    Dubbio  non  manifestamente infondato di costituzionalita' si pone
 quindi anche con riferimento a tale norma.
    Diverso, naturalmente, sarebbe stato se la legge avesse  stabilito
 un regime transitorio diverso per le vecchie situazioni, che non solo
 non   sopprimesse  i  diritti,  ma  ne  rendesse  non  eccessivamente
 difficoltoso l'esercizio attraverso il giudizio.
    In definitiva, il pretore  ritiene  di  sollevare  d'ufficio,  per
 essere    non    manifestamente    infondata,    la    questione   di
 costituzionalita' dell'art. 4 d.-l. n. 384 del 1982, convertito,  con
 modificazioni,  nella  legge n. 438 dello stesso anno, in riferimento
 agli artt. 24 e 38, secondo comma, Cost.
                               P. Q. M.
    A  norma  dell'art.  23  della  legge  n.  87/1953,  dichiara  non
 manifestamente  infondata la questione di costituzionalita' dell'art.
 4 del d.-l. n. 384 del 1992,  convertito,  con  modificazioni,  nella
 legge  n.  438  dello stesso anno, in riferimento agli artt. 24 e 38,
 secondo comma, Cost.;
    Sospende il presente procedimento, e ordina trasmettersi gli  atti
 alla  Corte costituzionale, notificarsi il provvedimento alle parti e
 al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicarsi lo  stesso  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
      Milano, addi' 22 giugno 1995
                        Il pretore: DE ANGELIS
 
 95C1262