N. 664 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 luglio 1995

                                N. 664
 Ordinanza  emessa  il  28  luglio  1995  dal  giudice  istruttore del
 tribunale di Rovigo nel  procedimento  civile  vertente  tra  Roccato
 Giuseppina ed altro e Anastasia Salvatore ed altri
 Processo civile - Modifiche normative apportate con decreto-legge -
    Fissazione della prima udienza di trattazione da parte del giudice
    istruttore  con assegnazione al convenuto di un termine perentorio
    non inferiore a venti giorni prima di tale  udienza  per  proporre
    eccezioni  -  Conseguente impossibilita' per il giudice istruttore
    di procedere  alla  trattazione  della  causa  -  Lamentato  abuso
    dell'adozione  del  decreto-legge  per mancanza dei presupposti di
    necessita' ed urgenza - Lesione del principio del  buon  andamento
    dell'amministrazione della giustizia.
 (C.P.C., art. 180, modificato dal d.-l. 21 giugno 1995, n. 238, art.
    4).
 (Cost., artt. 77 e 97).
(GU n.43 del 18-10-1995 )
                         IL GIUDICE ISTRUTTORE
    A scioglimento della riserva assunta osserva quanto segue:
    1.  -  La  provvisionale ex art. 24 legge assic.  . .. puo' essere
 accolta l'istanza di provvisionale ex art. 24 legge  assic.  avanzata
 dagli attori gia' con la citazione.
    Dalle  produzioni  compiute  alla  prima  udienza emergono infatti
 gravi indizi di responsabilita'  a  carico  del  convenuto  Anastasia
 Salvatore,  assicurato con Assitalia-Le Assicurazioni d'Italia s.p.a;
 chiara e' infatti relazione di servizio redatta dai vigili urbani  di
 Rovigo  sulle  modalita'  del  sinistro  stradale  che attribuisce la
 responsabilita' del gravissimo tamponamento di cui e'  stata  vittima
 la Roccato, a colpa dell'assicurato Assitalia; quest'ultimo, si legge
 nella  relazione,  procedeva  a velocita' non moderata ed inoltre non
 teneva, rispetto all'auto  dell'attrice,  la  distanza  di  sicurezza
 tanto da tamponarla violentemente.
    I  verbalizzanti  contravvenzionavano  poi  il  convenuto  per  le
 violazioni previste dagli artt. 141, terzo e  ottavo  comma,  e  149,
 primo e sesto comma, c.d.s.
    Anche l'altro requisito richiesto dalla legge, lo stato di bisogno
 del  danneggiato  riconducibile al fatto del danneggiante, pare, allo
 stato, sussistente.
    Esso sembra solo attenuato ma non escluso dalla dazione,  avvenuta
 in    udienza,    della    somma   di   L.   200.000.000   da   parte
 dell'assicurazione. Infatti il requisito dello stato  di  bisogno  e'
 senz'altro  presente  in  capo  a  chi,  come  la  Roccato,  si trovi
 paraplegico in conseguenza del sinistro  ed  invalido  per  il  resto
 della  sua  vita, senza disporre di entrate familiari particolarmente
 sostanziose  (il  marito  ha  infatti  dichiarato  di  percepire  uno
 stipendio  mensile  di  L. 1.700.000). Lo stato di totale invalidita'
 determina indubbiamente un peggioramento delle condizioni  economiche
 del  danneggiato  che, in conseguenza di cio', e' a tutti gli effetti
 un malato bisognoso di essere costantemente accudito, lavato,  curato
 e  vestito  da  terze  persone  e non puo' piu' essere di alcun aiuto
 materiale  ai  propri  familiari  nella  conduzione  della  residenza
 familiare  (la  Roccato  prima  del  sinistro  era casalinga). Non e'
 pensabile che l'aiuto dei terzi all'invalido avvenga gratuitamente  o
 possa  esplicarsi  solo sulla base dell'affectio parentale (come fino
 adesso  e'  avvenuto  grazie  alle   cure   prodigate   dai   parenti
 dell'attrice);  i  prestatori  d'opera  infatti  vanno retribuiti. Lo
 stato di bisogno dell'istante percio' persiste ancora oggi.
    Data la gravita' delle conseguenze lesive a carico della  Roccato,
 perdurante  e'  il  suo  stato  di  bisogno  anche  dopo  la  dazione
 dell'assicurazione, dati i non brevi tempi di presumibile durata  del
 procedimento,  che necessita di verifiche ad ampio spettro, pare equo
 porre a carico dell'assicurazione Assitalia-Le Assicurazioni d'Italia
 una provvisionale
  ex art. 24 legge assic. pari a L. 400.000.000.
    2. - Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 180 c.p.c.
 novellato.
    Detto  questo, chi scrive ritiene di sollevare d'ufficio questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  180  c.p.c.,  nel  testo
 modificato  dall'art.  4  d.-l.  21  giugno 1995, n. 238 in quanto la
 norma deve  applicarsi  dallo  scrivente  nel  presente  giudizio;  i
 convenuti  del presente procedimento hanno infatti tutti domandato la
 concessione del termine previsto dal capoverso della norma per  poter
 depositare memorie e documenti.
    La   questione   appare   ammissibile   in   quanto  unico  organo
 giurisdizionale legittimato ad applicare la norma di cui si  discute,
 circa la concessione al convenuto del termine ex art. 180, capoverso,
 e'  evidentemente il g.i. e non altri (giurisprudenza di questa Corte
 consolidata sul punto; cfr. C. cost. 23 luglio 1980, n. 125;  id,  20
 dicembre 1988, n. 1104 e da ultimo 6 luglio 1994, n. 278).
    Chi  scrive  reputa  che nel decreto governativo modificativo, tra
 l'altro, della norma in questione, non siano innanzitutto ravvisabili
 le  condizioni  poste  dall'art.  77,  capoverso,  Cost.  a  che   il
 decreto-legge  possa  essere  approvato  dal Governo; si dubita cioe'
 che, nel caso concreto, sia ravvisabile  "un  caso  straordinario  di
 necessita' ed urgenza".
    Un   siffatto   controllo   da  parte  della  Corte  adita,  sulla
 sussistenza delle condizioni poste dalla  norma  costituzionale  onde
 legittimare   la  decretazione  d'urgenza,  puo'  essere  oggetto  di
 controllo da parte della autorita' adita.
    Per la verita'  gli  autori  cbe  hanno  affrontato  la  questione
 appaiono  in  prevalenza orientati verso una soluzione contraria e le
 obiezioni addotte operano su di un triplice versante. Da una parte si
 esclude che la Corte possa compiere il proprio giudizio nell'arco dei
 60 giorni  di  vigenza  del  decreto,  prima  cioe'  della  legge  di
 conversione.
    L'argomento e' stato proprio di recente smentito per tabulas dalla
 stessa  Corte  che  con  la  sentenza  n.  302  del  10 marzo 1988 ha
 dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 12 del d.-l. n.
 2/1988 in costanza della sua vigenza, non essendo ancora  intervenuta
 la conversione in legge.
    Dall'altro  si e' scritto che la legge di conversione del decreto,
 in quanto espansione della piena potestas legislativa  delle  Camere,
 sanerebbe   ab  origine  gli  eventuali  vizi  presupposti  dell'atto
 legislativo.
    Infine l'ultimo degli ostacoli al sindacato  dei  presupposti  dei
 decreti-legge individuati dalla dottrina deriverebbe dal fatto che il
 controllo  della  Corte  sarebbe  limitato  ai  vizi di legittimita',
 mentre  invece  la  valutazione  della  straordinaria  necessita'  ed
 urgenza avrebbe al contrario natura politica.
    Facile  e'  ribattere  a quest'ultima critica che si tratta di due
 controlli  diversi  nei  fini,  negli  obiettivi  perseguiti,   nelle
 conseguenze,  negli  effetti che se ne traggono e negli organi a cio'
 deputati; i due controlli non si escludono a vicenda proprio date  le
 loro  diversita'  e  anzi  possono  convivere  su  piani  appunto non
 coincidenti.
    Si aggiunga poi da ultimo che nessuna norma  esclude  l'intervento
 ed il controllo della Corte sulla costituzionalita' dei decreti-legge
 perche' anzi l'art. 134 Cost. sembra presupporlo.
    Piuttosto, con una dottrina che ha studiato funditus la questione,
 puo'  dirsi  che  gli argomenti contrari ad un controllo siffatto non
 convincono; per la verita'  se  e'  vero  che  il  Governo  ha  ampia
 discrezionalita'  in  ordine  al  se  ed al quando intervenire con la
 decretazione d'urgenza, cio' deve  fare  in  via  provvisoria  e  nei
 limiti  fissati  dall'ordinamento. Se si opinasse diversamente non si
 spiegherebbe  la  disposizione   costituzionale   che   determina   i
 presupposti  legittimanti  la loro adozione ed il successivo richiamo
 alla responsabilita' governativa.
    La clausola dell'art. 77 Cost. sta piuttosto a significare che  il
 potere  legislativo,  esercitato in tal caso dal Governo, e' limitato
 nell'ambito  al  perseguimento  di  espressi  fini,  e'  un   "potere
 vincolato"   risultando   discrezionale   solo   in   relazione  alla
 individuazione delle concrete situazioni che diventano giuridicamente
 rilevanti al fine della legittimazione dei decreti. Ne  deriva,  come
 e'  stato  scritto,  che  i presupposti di cui all'art. 77 si pongono
 come vincolo di legittimita' al contenuto dell'atto  stesso,  con  la
 conseguenza  che  ben  possono  costituire oggetto di sindacato della
 Corte.
    Sarebbe d'altra parte non accettabile affermare che la Corte possa
 sindacare il contenuto dell'atto governativo in riferimento  a  tutte
 le  altre  disposizioni costituzionali e non invece in relazione alle
 sole disposizioni contenute nel secondo comma dell'art. 77 Cost.  che
 indica i fini essenziali e necessari della decretazione d'urgenza.
    Concludendo   sul  punto,  chi  scrive,  sorretto  dalle  opinioni
 dottrinarie ora riferite, reputa  che  la  Corte  possa  pronunciarsi
 sulla  sussistenza  dei  presupposti  di  straordinaria necessita' ed
 urgenza giustificanti l'emissione del decreto n. 238/1995.
    Pare superfluo ribadire la rilevanza della questione nel  giudizio
 in   corso   dal  momento  che  i  convenuti,  all'udienza  di  prima
 comparizione,  hanno  tutti  domandato  la  concessine  del   termine
 previsto  dal  capoverso  del  novellato art. 180 c.p.c. Il g.i. deve
 percio' sapere, prima di applicare la norma concedendo  al  convenuto
 tale  diritto,  se  la  disposizione  sia  oppure  no  rispondente  a
 costituzione.
    Sotto altro profilo, la questione  che  si  sottopone  al  giudice
 delle  leggi  non  appare  manifestamente infondata secondo quanto si
 esporra'.
    Nel preambolo al decreto-legge in questione non si da' infatti  in
 alcun modo conto di quale sia in concreto la straordinaria necessita'
 ed  ugenza  "di  intervenire,  come si legge, su taluni aspetti della
 competenza e della fase introduttiva  dei  giudizi  di  primo  grado,
 nonche'  sulla disciplina transitoria della legge 26 gennaio 1990, n.
 353". L'impellenza di provvedere sembra piu' che altro presupposta ed
 in re ipsa presente nel provvedimento del Governo, senza che pero' se
 ne individui la reale e concreta presenza.
    La necessita' e l'urgenza potevano probabilmente ravvisarsi invece
 nella lunga teoria dei decreti-legge approvati dal Governo dalla fine
 del 1993 al dicembre dello scorso anno che si sono succeduti, come si
 legge nel preambolo di quei decreti-legge, "al fine di  differire  le
 date  di  avvio  delle  riforme  processuali".  Lo  strumento tecnico
 adottato in quei frangenti era probabilmente l'unico  a  disposizione
 dell'esecutivo  per  differire  la  altrimenti  automatica  ed  ormai
 imminente entrata in vigore delle due riforme di  rito,  dal  momento
 che  le  strutture  materiali  che dovevano ospitare il nuovo giudice
 onorario e le procedure di reclutamento non  erano  all'epoca  ancora
 state completate.
    Viceversa la nuova situazione verificatasi con l'entrata in vigore
 delle  tanto  attese  riforme, "ibernate" per cinque anni, a far data
 dal  corrente  due  maggio,  non  giustifica  piu'  il  ricorso  alla
 decretazione  d'urgenza.  Non si ravvisa ormai piu' alcuna urgenza di
 provvedere se e' vero che le due riforme di rito sono gia' entrate in
 vigore da circa tre mesi.
    Ne' va dimenticato che le innovazioni introdotte dal d.-l. n.  238
 (tra  cui anche quella prevista dal nuovo art. 180 c.p.c.) riguardano
 aspetti   non   certo   secondari    della    procedura,    attenendo
 all'articolazione   stessa   del  processo  nel  suo  snodo  cruciale
 costituito dalla prima udienza di trattazione ( ex art. 183).  Si  e'
 cioe'  trattato  di  un  intervento ordinamentale di grande rilievo e
 portata che incide sul cuore della novella  del  '90  svuotandola  di
 significato,  senza  che  tale  mutamento  radicale sia in alcun modo
 stato discusso in sede teorica e tra gli operatori del diritto.
    Ma poi quale urgenza di provvedere viene ad esaudire il decreto in
 questione se e' vero  che  le  norme  oggi  modificate  sono  rimaste
 indenni da qualsivoglia intervento legislativo (almeno nella sostanza
 e  nel  loro  globale complesso) per ben cinque anni, cioe' durante i
 cinque anni di durata della vacatio legis? E' chiaro  che  in  questo
 lungo tempo anche il Parlamento piu' lento avrebbe potuto modificare,
 aggiungere,   o  sopprimere  le  novita'  contenute  nella  legge  n.
 353/1990, senza bisogno che a cio' provvedesse il Governo  a  riforma
 gia'  entrata in vigore, dopo la conclusione di due legislature dalla
 approvazione definitiva.
    Ne' si puo' dire che la necessita'  di  un  intervento  celere  ed
 immediato  fosse  determinata  o  favorita dalla cattiva prova che le
 nuove norme avevano dato di se', se e' vero, come  tutti  sanno,  che
 queste  norme  non  sono  ancora  quasi  del  tutto  state  applicate
 all'interno degli uffici giudiziari perche' le prime  udienze  tenute
 fino  ad  oggi  sono  state  un numero del tutto esiguo; molti Uffici
 giudiziari hanno infatti deciso di sperimentare  il  nuovo  regime  a
 partire  dall'autunno.  In  definitiva  e'  del tutto mancata una pur
 limitata fase di sperimentazione della riforma  che  consigliasse  di
 rivederne alcuni aspetti.
    Sara'  poi  la  Corte  a statuire se nell'astensione dalle udienze
 proclamata dagli avvocati e dai procuratori, che protestavano  contro
 la nuova filosofia delle preclusioni, il Governo abbia legittimamente
 ritenuto  di ravvisare i presupposti richiesti dall'art. 77 Cost. per
 la decretazione d'urgenza. Ma e' chiaro  che  se  la  risposta  fosse
 positiva  vorrebbe  dire  riconoscere vittoriose tra le categorie che
 protestano quelle che sono in grado di fare la voce  piu'  grossa,  a
 tal punto da condizionare l'attivita' legislativa del Governo.
    L'art.  180  c.p.c.  novellato  si pone poi anche in contrasto con
 l'art.  97  Cost.  laddove  dispone  che  "i  pubblici  uffici   sono
 organizzati   secondo  disposizioni  di  legge,  in  modo  che  siano
 assicurati    il     buon     funzionamento     e     l'imparzialita'
 dell'amministrazione".
    Appare   infatti   del   tutto  contrario  ai  principi  di  buona
 amministrazione giudiziaria disporre da una parte  lo  spezzettamento
 del  processo e dall'altro rinviare la prima udienza di trattazione a
 data da destinarsi senza che in essa possa tendenzialmente  svolgersi
 alcuna attivita' processuale.
    Dal   primo  punto  di  vista  il  ritorno  ad  un  processo  poco
 concentrato, come quello che tutti conosciamo,  diluito  e  snaturato
 dalla   lunga  distanza  temporale  intercorrente  tra  un'udienza  e
 l'altra, impedisce al giudice di assumere decisioni  e  di  conoscere
 adeguatamente  il  processo che cosi' continuera' a non conoscere o a
 conoscere malamente. Molto piu' logico era permettere ai soggetti del
 processo di comparire  in  udienza  ben  consci  delle  attivita'  da
 compiere,   senza   doverli   costringere  a  studiare  e  ristudiare
 all'infinito le carte processuali, con evidente aggravio di fatica  e
 spreco di energie per tutti.
    Dal  secondo  punto  di  vista prevedere che alla prima udienza di
 comparizione  il  giudice  non   possa   compiere   alcun   attivita'
 processuale  che  non  sia  quella  di  verificare la correttezza del
 contraddittorio  appare  pure  contrario  al  principio  di  economia
 processuale  che  presiede  a  tutto  il  nostro sistema processuale.
 Infatti,  come  e'  stato  autorevolmente  rilevato,  e'  del   tutto
 inverosimile  ritenere  che  siano  fisiologici i casi di invalidita'
 degli atti introduttivi e della costituzione delle parti  richiedenti
 interventi  di rinnovazione, quando invece essi sono necessari in una
 percentuale molto limitata di casi.
    Se poi la ratio sottesa al termine di cui all'art. 180 era  quella
 di  tutelare il convenuto non si puo' che pensare ad un esubero degli
 strumenti adottati rispetto ai  fini  da  perseguire.  Se  si  voleva
 meglio  tutelarlo  non  era  piu'  semplice  aumentare  la durata dei
 termini a comparire?
    La scelta contenuta nel decreto n. 238 favorisce indubbiamente  le
 tattiche  dilatorie  di questo soggetto che non ha alcun interesse ad
 una celere conclusione del processo,  a  tutto  scapito  delle  buone
 ragioni di giustizia dell'attore.
    Nel caso di specie, alla prima udienza di comparizione, chi scrive
 non  ha potuto interrogare le parti ex art. 183 c.p.c., pur se queste
 erano quasi tutte fisicamente presenti, proprio a  causa  del  tenore
 dell'art  180. L'attrice, paralizzata e su una sedia a rotelle dovra'
 ritornare in udienza e sara' necessario spiegarle che  il  26  luglio
 non  e'  stata  interrogata  perche'  quella  era l'udienza "di prima
 comparizione", mentre l'interrogatorio libero si puo'  svolgere  solo
 nella successiva udienza di "prima trattazione".
    Non  sara'  facile  farglielo intendere, dato che anche il giudice
 fatica a capirlo, ma si cerchera' egualmente di provvedere.
    In conclusione, essendo non manifestamente infondata la  questione
 di  legittimita' costituzionale esposta, il g.i. la solleva d'ufficio
 adottando le seguenti statuizioni di rito.
                                P. Q. M.
    Dispone   che   l'Assitalia-Le   Assicurazioni   d'Italia    s.p.a
 corrisponda  all'attrice  a  titolo di provvisionale ex art. 24 legge
 assic. la somma di L. 400.000.000;
    Solleva  d'ufficio  questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  180 del c.p.c., cosi' come novellato dall'art. 4 del d.-l.
 21 giugno 1995, n. 238, in quanto in detto decreto non si ravvisano i
 requisiti di straordinaria necessita' ed urgenza richiesti  dall'art.
 77 della Costituzione;
    Dispone la sospensione del presente giudizio;
    Dispone  la  trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale e
 manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti
 in causa ed al Presidente del Consiglio dei  Ministri,  comunicandola
 inoltre alle due Camere del Parlamento.
      Rovigo, addi' 28 luglio 1995
                     Il giudice istruttore: MASONI
 
 95C1268