N. 668 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 luglio 1995

                                N. 668
 Ordinanza  emessa il 25 luglio 1995 dal giudice di pace di Napoli nel
 procedimento civile vertente  tra  S.p.a.  Autostrade  concessioni  e
 costruzioni autostrade e Di Nardo Giovanni
 Processo civile - Procedimento d'ingiunzione - Opposizione a decreto
    ingiuntivo - Elevazione del termine da venti a quaranta giorni per
    effetto di modifica normativa disposta con decreto-legge - Carenza
    dei requisiti di necessita' ed urgenza - Disparita' di trattamento
    tra  soggetti destinatari di provvedimenti ingiuntivi - Violazione
    del  principio  del  buon  andamento  dell'amministrazione   della
    giustizia.
 Processo civile - Modifiche normative disposte con decreto-legge -
    Ritenuta  inidoneita'  di  tale strumento legislativo a modificare
    norme attinenti all'amministrazione della giustizia - Carenza  dei
    requisiti  di necessita' ed urgenza - Esautoramento dei poteri del
    Parlamento - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione del
    principio del buon andamento della p.a.
 (D.-L. 21 giugno 1995, n. 238, art. 8, primo comma).
 (Cost., artt. 3, 70, 72, 76, 77, 97, 101, 102 e 108).
(GU n.43 del 18-10-1995 )
                          IL GIUDICE DI PACE
   Letto il ricorso ex art. 633  c.p.c.  depositato  l'8  giugno  1995
 dall'Autostrade  concessioni  e  costruzioni  autostrade S.p.a. (avv.
 Carlo Schiavone)  c/Di  Nardo  Giovanni,  r.g.  n.  1055/1995  avendo
 terminato  la  fase  istruttoria  ex  art.  640  c.p.c. ed ottenuti i
 chiarimenti e le integrazioni necessarie, ritiene di  poter  emettere
 il  richiesto decreto di ingiunzione.  A tal punto il giudice di pace
 si pone il problema di dover concedere  all'intimato  il  termine  di
 legge  previsto per il pagamento dell'ingiunzione ovvero per proporre
 opposizione al decreto medesimo e al riguardo osserva in
                                DIRITTO
    Detto termine e' di giorni venti ex art.  641  c.p.c.  secondo  la
 legge del tempo in cui e' stato proposto il ricorso, ma in virtu' del
 principio tempus regit actum dovrebbe essere esteso a giorni quaranta
 ex  art.  8  n.  1  del  d.-l.  21  giugno  1995,  n. 238, e tanto e'
 sufficiente   a   questo   giudice   per   porsi  il  problema  della
 costituzionalita'  della  nuova  norma  da  applicare.  Problema  che
 ritiene  possa  legittimamente  porsi  anche  in fase di procedimento
 monitorio ove il ricorso e' sin dalla data del deposito ritenuto  far
 parte delle fase introduttiva del giudizio di primo grado.
    Ed  invero appare con immediatezza il trattamento differenziato da
 applicare al caso rispetto a  quello  usato  per  i  decreti  emanati
 anteriormente  alla  data del 22 giugno 1995 ove si tenga anche conto
 che  il  decreto-legge,  avendo  soltanto  efficacia  di  legge,   e'
 notoriamente   precario   attendendosi  la  sua  conversione  perche'
 acquisti valore di legge, e  che  nulla  toglie  che  il  trattamento
 differenziato  possa  ripetersi  dopo  la  conversione  in  legge, ma
 soprattutto e certamente, per di piu'  con  effetto  retroattivo,  se
 tale  conversione  non  dovesse  essere approvata dal Parlamento, con
 evidente violazione dell'art. 3 della  Costituzione  e  dell'art.  11
 c.c.  delle  disposizioni  sulla  legge  in generale, e tanto per gli
 effetti dell'art. 77, comma 3, della Costituzione.
    Ma  ancora  piu'  fondata  e'   la   questione   sulla   validita'
 costituzionale  di  un  atto  avente  soltanto forza di legge tale da
 modificare un procedimento civile in violazione degli artt.  77,  97,
 101, 102 e 108 della Costituzione.
    La  questione  di incostituzionalita' del d.-l. n. 238/1995 appare
 manifestamente fondata anche per  altri  motivi  e,  quindi,  la  sua
 applicazione  desta  dubbi  e  perplessita'  in  questo  giudice  che
 dovrebbe applicare,  ragione  per  cui  appare  giusto  sollevare  la
 questione per il supremo giudizio della Corte costituzionale.
    Tra  i  motivi di tale deferimento alla Corte costituzionale vi e'
 la  questione  fondamentale  se  un  decreto-legge  possa   realmente
 modificare  norme  organizzative  della giustizia e norme procedurali
 complesse per definizione  costituzionale  riservati  alla  legge  in
 senso  proprio,  approvata  dai  due  rami del Parlamento sovrano, la
 quale dispone stabilmente e per  l'avvenire,  almeno  fino  ad  altra
 legge  di  pari  valore  e  forza  di  legge ordinaria che ne dovesse
 disporre  l'abrogazione.  Va  di  pari  passo  con  tale  valutazione
 l'altra,  anch'essa  di  rilievo  costituzionale  e fondamentale, che
 riguarda il caso straordinario di necessita' ed urgenza che, ex  art.
 77,  comma  2,  della  Costituzione,  abbia  consentito al Governo di
 emanare il d.-l. n. 238/1995 in deroga al disposto non  soltanto  dei
 gia' citati artt. 77, 97, 101, 102 e 108 della Costituzione, ma anche
 degli artt. 70, 72 e 76 della Costituzione.
    Ed invero il motivo, e non il solo, che colpisce questo giudice di
 pace  nel  procedimento  a  lui  affidato,  e'  proprio la fondatezza
 dell'urgenza e necessita' della disposizione dell'art.  8  n.  1  del
 d.-l.  n.  238/1995  oltre  che la precarieta' della norma soggetta a
 conversione, pena  la  caducita'  della  stessa  e,  quindi,  con  il
 rischio,   peraltro  del  tutto  ingiustificato,  di  una  disparita'
 notevole di trattamento (del  100%)  fra  i  cittadini  sottoposti  a
 procedimento  di  ingiunzione  a  seconda  se  ingiunti prima, dopo o
 durante la validita' del decreto-legge impugnato.
    Vi e' naturalmente di piu'. La disposizione  in  decreto,  che  si
 somma  a  tutta  una serie di norme modificative della competenza dei
 giudici (tribunale, pretore e giudice di  pace)  imporrebbe  in  ogni
 caso, alla conversione in legge da parte del Parlamento, una serie di
 norme  transitorie  omesse in decreto e che dovrebbero trovare dimora
 nella legge di conversione, con evidente ingiustificata forzatura del
 potere esecutivo  sul  potere  legislativo  non  conforme  ai  citati
 prescritti costituzionali (v. art. 77, comma 3, della Costituzione).
    Quale  potrebbe essere la caotica situazione della giustizia se il
 d.-l. 21 giugno 1995, n. 238, non venisse convertito in legge  lo  si
 lascia alla valutazione giuridica della Corte.
    A  questo  giudice tali questioni sono sottratte, e, pur ritenendo
 che il d.-l. n. 238/1995 per l'interesse di  un  normale  svolgimento
 della  giustizia  non  vada  applicato,  ha il solo preciso dovere di
 rilevarle   perche'   l'organo   competente   e   cioe'   la    Corte
 costituzionale, si pronunci su di esse.
    Queste  motivazioni  partono  da  una  premessa  che puo' sembrare
 politica,  ma  tale  non  e',  essendo  squisitamente  giuridica,   e
 costituisce  uno  dei  principali  dubbi di questo giudice di pace: e
 cioe' che una delle  ragioni  focali  del  dissesto  della  giustizia
 civile  in  Italia e' l'esistenza di una serie di leggi continuamente
 modificative  dell'organizzazione  giudiziaria  (la  cui  motivazione
 politica  e  parlamentare  non  puo'  non  essere condivisa stante la
 sovranita' parlamentare)  le  quali  tuttavia  rendono  il  cittadino
 perplesso  di fronte alla certezza del diritto.  Il caso del d.-l. n.
 238/1995  si  ritiene  essere  invece  gravissimo  perche'  sconvolge
 perfino  l'orientamento  parlamentare  gia'  iniziato con le leggi 26
 novembre 1990 n. 353, 21 novembre 1991 n. 374 e 4  dicembre  1992  n.
 477  (vedasi  anche  il  piu' reiterato d.-l. 16 dicembre 1993 n. 521
 nonche' il d.-l. 7 ottobre 1994  n.  571),  sulle  modificazioni  del
 precesso  civile  e sulla istituzione del giudice di pace, ci siano o
 non ci siano in Parlamento proposte o disegni di legge che  intendano
 nuovamente  riformare  il  predetto  sistema.  Il che appare a questo
 giudice   un'altra   ingiustificata   prevaricazione   dei   principi
 costituzionali  che  devolvono  al  Parlamento  e soltanto ad esso la
 regolamentazione  stabile  dell'organizzazione  giudiziaria   e   dei
 processi.
    La  valutazione  della  conformita'  di  tali  comportamenti  alla
 Costituzione non puo' che essere demandata alla Corte  costituzionale
 che  dovra'  anche  decidere  se  su  tale materia, in relazioni alle
 singole norme contenute nel  decreto-legge  n.  238/1995  e  riguardo
 all'intero   decreto-legge,   modificativo   di   altri   decreti   e
 modificazioni di norme procedurali, gia'  modificate  per  tre  volte
 nell'ultimo quinquiennio, vi siano stati quei motivi di necessita' ed
 urgenza  di  cui all'art. 77, comma 2, della Costituzione o piuttosto
 che esse siano state  suggerite  da  altri  motivi  contingenti,  non
 valutabili  secondo  la  Costituzione,  di  interessi  di  categoria.
 L'insegnamento della Corte, infatti, e' fin troppo  noto  laddove  e'
 stato  riconosciuto  alla  normativa  per  decreto  un  carattere  di
 assoluta  eccezionalita',  dovendosi  far   ricorso   ad   essa   per
 fronteggiare situazioni appunto "fuori dall'ordinario" ovvero tali da
 poter produrre inspiegabili vuoti normativi o, quantomeno, pericolose
 insufficienze di disciplina qualora si dovessero osservare le cadenze
 temporali  e procedimentali dell'iter formativo delle leggi ordinarie
 ad opera del Parlamento. Nulla  di  quanto  contenuto  nel  d.-l.  21
 giugno   1995,   n.   238,  appare  a  questo  giudice  supportato  o
 giustificato da necessita' e urgenze dovute a vuoti  normativi  od  a
 pericolose  insufficienze  di  disciplina  ovvero  a situazioni fuori
 dell'ordinario tali da non potere e dovere osservare l'iter formativo
 di una legge ordinaria.
    Anzi, e parrebbe superfluo l'aggiungerlo, risulta invece  evidente
 quale potra' essere l'aggravio per la giustizia civile dell'impugnato
 decreto  n.  238/1995  senza una contemporanea modifica dell'apparato
 giudiziario  italiano,  il  che  dovra'   essere   autorevolmente   e
 competentemente valutato dalla ecc.ma Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n.
 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per  violazione
 degli  artt.  3,  77,  comma  2  e  97, comma 1 della Costituzione, e
 solleva  di  ufficio  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  8 n. 1 del d.-l. 21 giugno 1995 n. 238 (Interventi urgenti
 sul processo civile e sulla disciplina  transitoria  della  legge  26
 novembre  1990,  n.  353,  relativa  al medesimo processo) pubblicato
 sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica  italiana  n.  144  del  22
 giugno 1995;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata, per violazione
 degli artt. 3, 70, 72, 76, 77, 97, 101, 102 e 108 della Costituzione,
 e solleva  d'ufficio  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'intero d.-l. 21 giugno 1995 n. 238;
    Dispone  la  sospensione  del  presente  procedimento  monitorio e
 l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza  venga
 notificata  al  procuratore  del  ricorrente  ed  al  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri nonche' comunicata al Presidente della  Camera
 dei  deputati  e  al  Presidente del Senato della Repubblica e che le
 prove di  questi  ultimi  adempimenti  siano  accluse  alla  presente
 ordinanza  al momento della trasmissione degli atti alla ecc.ma Corte
 costituzionale.
      Napoli, addi' 25 luglio 1995
                     Il giudice di pace: ERCOLINO
 
 95C1272