N. 671 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 maggio 1995

                                N. 671
 Ordinanza  emessa  il  25  maggio  1995  dal  pretore  di  La  Spezia
 sull'istanza proposta da P.M.A.
 Aborto - Interruzione della gravidanza di donna minore di eta' -
    Autorizzazione del giudice tutelare - Rilevanza  delle  condizioni
    economiche,  sociali  e  familiari  -  Lamentata presunzione della
    sussistenza delle condizioni in presenza della  manifestazione  di
    volonta'  della  donna  -  Mancata  protezione  della maternita' -
    Compressione del diritto alla vita del concepito.
 (Legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 4, comb. disp., 5 e 12).
 (Cost., artt. 2 e 31, secondo comma).
(GU n.43 del 18-10-1995 )
                          IL GIUDICE TUTELARE
    Vista la richiesta di interruzione di gravidanza avanzata in  data
 17  maggio  1995  da P.M.A., dimorante in La Spezia, via Genova, 183,
 minore degli anni 18;
    Vista la relazione in data 22 maggio 1992 della  locale  struttura
 socio-sanitaria;
    Sentita personalmente la richiedente;
    Ritenuto  che  la madre della minore ha manifestato il suo assenso
 all'interruzione della gravidanza, nel mentre il padre  della  minore
 non risulta avere alcun rapporto con la minore stessa;
                             O S S E R V A
    Non  si  dubita  in  primo  luogo  (e  non  e'  quindi  il caso di
 diffondersi particolarmente sul punto) che l'applicazione della norma
 in  esame  da'  luogo  ad  un  vero  e  proprio  giudizio  e   quindi
 all'esercizio   della  giurisdizione,  sia  pure  nella  forma  della
 giurisdizione non contenziosa o volontaria,  cosicche'  non  puo'  in
 alcun   modo   ritenersi   precluso   al   giudice   l'esercizio  del
 potere-dovere di vagliare la  conformita'  dell'applicanda  norma  al
 dettato  costituzionale. Viene in considerazione, a questo proposito,
 in primo luogo il disposto del secondo  comma  dello  art.  12  della
 legge  22  maggio  1978,  n.  194,  la'  dove  recita che il "giudice
 tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto  della
 sua   volonta',   delle   ragioni   che   adduce  e  della  relazione
 trasmessagli, puo' autorizzare la donna,  con  atto  non  soggetto  a
 reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza".
    E'  fermo convincimento dello scrivente che la valutazione da tale
 norma affidata al  giudice  tutelare  non  possa  non  comportare  la
 verifica  della  rispondenza  tra le ragioni addotte e i parametri di
 cui  all'art.  4  della  legge  e  cioe'  della  norma   che   indica
 analiticamente  le  circostanze  che  legittimano  in  linea generale
 l'interruzione volontaria della gravidanza; ed invero, per  i  motivi
 che  seguono,  non  si  ritiene  in  alcun  modo di poter condividere
 l'assunto pur manifestato dalla Corte  costituzionale  (ordinanza  n.
 462  del  1988), secondo cui il provvedimento in questione rimarrebbe
 esterno al riscontro in concreto delle condizioni di  fatto  previste
 dal  legislatore  per consentire l'interruzione della gravidanza, "in
 quanto l'accertamento e la  valutazione  di  quelle  condizioni,  nei
 limiti  previsti  dall'art.  5  della  legge,  sono  espletati  . dal
 consultorio,  dalla  struttura  socio-sanitaria  o  del   medico   di
 fiducia",   entrando   nella   procedura  tutelare  "quale  antefatto
 specifico e presupposto di carattere tecnico";  con  la  conseguenza,
 cui  perviene  in  detto  provvedimento  la Corte costituzionale, che
 "l'intervento  del  giudice  tutelare  essendo  limitato  alla   sola
 generica  sfera  della  capacita' del soggetto, cosi' come accade per
 analoghe fattispecie (v. art. 415 c.c.), il  diniego  o  il  consenso
 alla  integrazione  della  volonta'  della  minore e' in relazione al
 giudizio che il magistrato si forma in ordine  alla  capacita'  della
 giovane  di  dare adeguata valutazione alla gravita' e all'importanza
 dell'atto che si accinge a compiere".
    Ma questa limitazione dell'intervento integrativo  del  magistrato
 alla  valutazione  esclusiva della capacita' del soggetto minorenne a
 determinarsi in tale delicatissima  materia  non  pare  assolutamente
 convincente  ed  e'  proprio  il  richiamo, fatto dalla Corte al caso
 analogo dell'intervento del giudice  tutelare  nei  provvedimenti  di
 volontaria   giurisdizione   riguardanti   i   soggetti  incapaci,  a
 convincere vieppiu' della insostenibilita' dell'assunto.  Proprio  in
 quanto mirante ad integrare la volonta' del soggetto incapace ai fini
 del  compimento di un atto avente il massimo rilievo (anche) sotto il
 profilo giuridico, il provvedimento  autorizzatorio  del  magistrato,
 non  difformemente  da  quanto si verifica nel caso dell'assenso dato
 dal genitore o dal  tutore,  si  risolve  in  una  manifestazione  di
 volonta',  convergente  con  quella  del  minore  verso  il  medesimo
 oggetto, e pertanto non  si  vede  come  possa  essere  affermato  il
 carattere meramente esterno di un atto, che, essendo diretto, in caso
 di   autorizzazione,   verso  un  contenuto  specifico,  comporta  di
 necessita' una valutazione del contenuto intrinseco dell'atto, che si
 viene autorizzando. Per restare all'analogia  formulata  nella  sopra
 richiamata  ordinanza  della Corte costituzionale, nessuno dubita che
 in materia di volontaria giurisdizione, e  piu'  in  particolare  per
 quanto  attiene  agli specifici compiti affidati al giudice tutelare,
 mai potrebbe essere autorizzato,  ad  esempio,  con  il  limitare  il
 proprio  esame  alla  generica sfera della capacita' del soggetto, il
 compimento di negozi giuridici che fossero nulli  per  contrasto  con
 norme  imperative;  a  maggior  ragione  quindi pare impossibile allo
 scrivente sottrarsi, rifugiandosi dietro la fragile copertura  di  un
 mascheramento   o   mimetismo   puramente   verbale,  all'obbligo  di
 previamente valutare se  la  manifestazione  di  volonta'  che  viene
 chiamato  ad  eventualmente  autorizzare  sia  diretta  a  conseguire
 risultati inconciliabili con il disposto della vigente  Costituzione,
 in  quanto  lesivi  dei  diritti  inviolabili dell'uomo, solennemente
 riconosciuti e garantiti dall'art. 2 della Costituzione stessa.
    Giova prendere le mosse, a tale proposito, della storica  sentenza
 n.  27  del 12 febbraio 1975 della Corte costituzionale, la quale nel
 dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  (parziale)  dell'allora
 vigente  art. 546 c.p., in quanto lesivo del bene, costituzionalmente
 garantito, della salute  della  gestante,  ha  tracciato  con  grande
 chiarezza  le linee direttive di una futura disciplina della delicata
 materia, tale da renderla  non  contrastante  con  i  principi  della
 vigente   carta   costituzionale.   E'   stato  pertanto  chiaramente
 evidenziato come la tutela giuridica del concepito  abbia  fondamento
 costituzionale,  alla  luce  sia  del  disposto  di  cui all'art. 31,
 secondo  comma,  che  impone  espressamente   la   protezione   della
 maternita',  sia,  piu'  in  generale,  e  soprattutto,  in forza del
 disposto di cui  all'art.  2  della  Costituzione,  che  riconosce  e
 garantisce  i diritti inviolabili dell'uomo "tra i quali non puo' non
 collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue  proprie,
 la  situazione  giuridica del concepito", con particolare riguardo al
 primo e fondamentale diritto del medesimo alla vita. Tale tutela puo'
 venire meno, secondo tale insegnamento, solamente se viene, per cosi'
 dire,   in  collisione  con  la  concorrente  tutela  di  altro  bene
 costituzionalmente   garantito    avente    un'importanza    ritenuta
 prevalente, quali la vita e la salute di chi e' gia' persona, come la
 madre.
    Tale  operazione di bilanciamento comparativo della tutela di beni
 costituzionalmente  rilevanti,  sempre  secondo  il  chiaro  pensiero
 manifestato   dalla   Corte   costituzionale   (che  non  si  ritiene
 assolutamente essere  stato  superato  da  successive  considerazioni
 giuridicamente  rilevanti)  comporta che solamente il pericolo di una
 grave compromissione della salute della donna potrebbe consentire  il
 sacrificio  del  fondamentale  diritto  alla  vita  del concepito; da
 notare che le considerazioni che precedono non sono  state  formulate
 dalla   Corte   costituzionale   solamente  nell'ambito  della  trama
 argomentativa della pronuncia, ma sono state praticamente recepite  e
 trasfuse  nella  parte  dispositiva di una sentenza di illegittimita'
 costituzionale, in cui con estrema precisione sono stati tracciati  i
 limiti  al  di  la' dei quali la tutela della vita del nascituro deve
 essere  assolutamente  prevalente,   in   quanto   costituzionalmente
 garantita;  del  resto, la stessa legge n. 194/78, in linea puramente
 teorica, presta un formale ossequio a tali principi,  affermando  che
 lo  Stato  "tutela  la vita umana dal suo inizio". In realta' pero' i
 meccanismi predisposti dalle successive disposizioni della legge  (in
 particolare  degli  artt.  4,  5  e 12) vanificano completamente tale
 riconoscimento, riducendolo, all'atto  pratico,  al  livello  di  una
 semplice declamazione retorica.
    Ed   invero,   ad   avviso   di   questo  giudice  tutelare,  tale
 considerazione vale sia per  quanto  riguarda  la  norma  di  diritto
 sostanziale  contenente  l'elencazione  dei casi in cui e' consentita
 l'interruzione volontaria della gravidanza, sia, e  ancor  piu',  per
 quanto  riguarda le norme procedimentali che consentono di addivenire
 alla decisione di abortire.
    Quanto  alla  prima,  contenuta  nell'art.  4  della  legge,  pare
 evidente  che  i  riferimenti  in  essa  contenuti,  tra l'altro alle
 condizioni economiche, sociali e familiari (nel caso  di  specie,  la
 minore   ha   in  modo  particolare  evidenziato  le  sue  condizioni
 economiche)  dilatano  singolarmente  la  configurabilita'   di   una
 situazione  di  pericolo  per  la  salute della donna, consentendo di
 sussumere indebitamente,  in  tale  concetto  situazioni  che,  anche
 secondo il comune modo di sentire, non danno luogo a pericolo alcuno,
 bensi'  solamente  a  disagi  ed  incomodi  (quasi  che  la scelta di
 procreare non comporti  comunque,  in  ogni  caso,  per  un  genitore
 responsabile  e  in primo luogo per la madre, disagi ed incomodi); si
 e' comunque, ad  avviso  dello  scrivente,  del  tutto  al  di  fuori
 dell'ambito in cui, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale
 dianzi  richiamata, il diritto alla vita del concepito, pur avente un
 saldissimo fondamento costituzionale, puo' essere sacrificato.
    Si osserva pero' come i limiti, ormai vaghi e blandi oltre che del
 tutto insoddisfacenti, entro cui la norma sostanziale  consente  tale
 sacrificio,  finiscono  poi,  nella  realta'  effettuale  (ove non si
 voglia volontariamente chiudere gli occhi dinnanzi alla stessa),  per
 essere  vanificati  in  modo  totale,  dal  momento  che la procedura
 prevista consente solamente di prendere atto della manifestazione  di
 volonta' della donna che intende interrompere la gravidanza, volonta'
 che,  per  il  solo  fatto  di  essere manifestata nelle forme di cui
 all'art. 5 della legge, fa presumere juris et de jure la  sussistenza
 delle  condizioni  che  consentono  la  soppressione  della  vita del
 concepito.
   Questo giudice tutelare si domanda come  tale  diritto  alla  vita,
 costituzionalmente  tutelato,  sia  garantito  da  una  normativa che
 conferisce alla donna, nella realta' un vero  e  proprio  diritto  di
 vita  e di morte sul prodotto del concepimento, che non e' un ammasso
 di cellule informi, ne' tanto meno una portio viscerum  mulieris,  ma
 un  essere  umano  vivente. Non pare quindi infondato il dubbio sulla
 conformita' delle norme, di cui questo  giudice  tutelare  deve  fare
 applicazione ai fini della definizione della presente procedura, agli
 artt. 2 e 31 cpv. della Costituzione.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale,  sollevata  di  ufficio,  del  combinato
 disposto  degli  artt.  4,  5 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 87,
 nella parte in cui consentono alla donna di  decidere  e  al  giudice
 tutelare  di autorizzare la donna minorenne a decidere l'interruzione
 volontaria della gravidanza  anche  al  di  fuori  dei  casi  in  cui
 l'ulteriore  gestazione  implichi  danno o pericolo grave ed attuale,
 medicalmente accertabile in modo obiettivo e non altrimenti evitabile
 per la salute della madre, per contrasto con gli artt. 2  e  31  cpv.
 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale, sospendendo il giudizio in corso;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      La Spezia, addi' 25 maggio 1995
                    Il giudice tutelare: PUTIGNANO
 
 95C1275