N. 676 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 novembre 1994- 15 settembre 1995

                                N. 676
 Ordinanza emessa il 21 novembre 1994 (pervenuta alla Corte
    costituzionale il 15 settembre 1995) dalla Corte di cassazione sul
    ricorso   proposto  da  Olivotti  Adriano  contro  il  procuratore
    generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Bologna  ed
    altri.
 Adozione - Adozione di figlio maggiorenne dell'altro coniuge gia'
    inserito  in  famiglia - Esclusione in presenza di figli legittimi
    minorenni - Mancata garanzia dell'unita' familiare - Disparita' di
    trattamento rispetto ad identica  situazione  ma  in  presenza  di
    figli  legittimi  maggiorenni o interdetti o nel caso di adottando
    minore.
 Adozione - Adozione di figlio maggiorenne dell'altro coniuge gia'
    inserito nel nucleo  familiare  in  presenza  di  figli  legittimi
    minorenni  - Lamentata omessa previsione del potere del giudice di
    valutare gli interessi e l'obiettiva convenienza  dell'adozione  -
    Mancata tutela del rafforzamento dell'unita' familiare.
 (C.C., artt. 291 e 312, n. 2).
 (Cost., artt. 2, 3 e 30).
(GU n.43 del 18-10-1995 )
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso proposto da
 Olivotti Adriano, elettivamente domiciliato in Roma, via Alberico II,
 33,  presso  l'avv.  Bruno  Cossu  che  insieme  all'avv.  Alessandro
 Miglioli  lo  rappresenta  e difende per procura in calce al ricorso,
 ricorrente; contro il procuratore generale della Repubblica presso la
 Corte di appello di Bologna;  e  Delfari  Pietro  e  Delfari  Moreno,
 intimati,  avverso  decreto  della Corte di appello di Bologna del 22
 marzo 1993;
    Udita nella pubblica udienza del 21 novembre 1994 la relazione del
 cons. Giuseppe Borre';
    Udito  l'avv.  Cossu   per   il   ricorrente,   che   ha   chiesto
 l'accoglimento del ricorso;
    Sentito  il  p.m.,  in  persona del dott. Carlo Tondi, il quale ha
 concluso per la inammissibilita' del ricorso e in  subordine  per  il
 rigetto.
                           LA CORTE OSSERVA
    1. - Con ricorso al tribunale di Bologna Adriano Olivotti, nato il
 17  aprile  1949,  chiese che si facesse luogo all'adozione, da parte
 sua,  del  maggiorenne  Moreno  Delfari,  nato  il  14  aprile   1974
 dall'unione  matrimoniale  tra  Pietro  Delfari  e  Maria  Sterbizzi,
 quest'ultima successivamente coniugatasi, il 20  febbraio  1988,  con
 esso  ricorrente,  con  cui aveva generato due figli, nati nel 1988 e
 nel 1990. Preciso' l'Olivotti che l'adottando da tempo conviveva  con
 lui  e  con la madre Maria Sterbizzi, nonche' con i fratelli uterini,
 appartenendo,  nei  fatti,  a  tale nucleo familiare.   Il tribunale,
 nonostante l'assenso prestato  dall'adottando,  dalla  di  lui  madre
 (coniuge  dell'adottante)  e  dal  di  lui  padre  (Pietro  Delfari),
 rigetto'  il   ricorso   per   la   presenza   di   figli   minorenni
 dell'adottante,  ritenendo  manifestamente  infondata  l'eccezione di
 illegittimita' costituzionale sollevata dall'Olivotti relativamente a
 tale elemento ostativo.  La pronuncia, fatta oggetto  di  reclamo  da
 parte  dell'Olivotti,  fu  confermata, con decreto del 22 marzo 1993,
 dalla Corte di appello di Bologna, la quale, premesso che l'art.  291
 c.c.,   quale   risultante   dall'intervento   operato   dalla  Corte
 costituzionale con la sentenza 19 maggio 1988, n. 557,  non  contiene
 piu'  l'originario  divieto  di  adozione da parte di soggetti aventi
 discendenti legittimi o legittimati, ma ammette l'adozione  allorche'
 tali  discendenti  siano  maggiorenni  e consenzienti, ha escluso che
 tale  residua  condizione  confligga  con  gli  artt.  2  e  3  della
 Costituzione,  da un lato perche' la doverosa tutela nei riguardi dei
 discendenti  legittimi  impone  la  previsione  del   loro   assenso,
 dall'altro  perche'  la  diversita' delle regole poste per l'adozione
 dei minori e' giustificata dalla  finalita'  di  protezione  di  tali
 soggetti  propria  della  legge  4 maggio 1983, n. 184.   Contro tale
 provvedimento l'Olivotti ha proposto  ricorso  per  cassazione  sulla
 base  di  un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e,
 quale mezzo al fine, la illegittimita' costituzionale  dell'art.  291
 c.c.  nella parte in cui non consente l'adozione dei maggiori di eta'
 a coloro che abbiano discendenti legittimi o legittimati, dei  quali,
 stante la loro minore eta' non possa essere acquisito l'assenso.
 2.   -  Ritiene  preliminarmente  il  collegio  che  il  ricorso  per
 cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.  sia  ammissibile  contro  il
 decreto  con cui la Corte di appello, in sede di reclamo, provvede in
 materia di adozione di maggiorenne. Come questa Corte ha  gia'  avuto
 occasione  di  stabilire  (sentenza  n.  1133  del 1988) si tratta di
 provvedimento che,  sebbene  emesso  in  sede  camerale,  decide  con
 carattere  di  definitivita'  sull'esistenza delle condizioni per far
 luogo alla costituzione di uno  status,  incidendo  sulla  sfera  dei
 diritti   soggettivi.      L'esame  del  ricorso  non  puo'  tuttavia
 prescindere  dalla   risoluzione   della   sollevata   questione   di
 costituzionalita', della quale e' percio' evidente la rilevanza.
 3.  - L'elemento specifico, su cui il ricorrente imposta la eccezione
 di illegittimita' costituzionale, e' il  fatto  che  l'adottando  sia
 figlio   del  coniuge  dell'adottante,  fratello  uterino  dei  figli
 legittimi di questo, e partecipe della vita del nucleo familiare, nel
 quale  l'adozione  lo  immetterebbe  anche   formalmente.   In   tale
 situazione,  un contrasto con gli interessi dei discendenti legittimi
 (in eta' minore) dell'adottante  sarebbe  astrattamente  ipotizzabile
 solo  dal punto di vista patrimoniale, ma e' da escludere, secondo il
 ricorrente, che tale tipo di  interesse  possa  prevalere  su  quello
 dell'unita'  della  famiglia  e  della tutela dei diritti inviolabili
 dell'uomo in tale formazione sociale (artt. 30 e 2  Cost.).  Aggiunge
 il  ricorrente  che  anche  l'adozione  dei maggiorenni puo' avere la
 funzione di inserire a pieno titolo l'adottando nella famiglia di cui
 gia' di fatto costituisca uno dei membri; e che anche per un  ragazzo
 che  abbia  superato  la  soglia  dei diciotto anni e' importante che
 venga dato riconoscimento formale e  rilevanza  esterna  all'affectio
 che  gia'  lo lega a tutti i componenti del nucleo familiare.  Deduce
 inoltre  il  ricorrente  che  l'art.  291 c.c., pur dopo il ricordato
 intervento della Corte  costituzionale,  implica  una  disparita'  di
 trattamento  rispetto  all'art.  44,  primo  comma, lettera b), della
 legge 4 maggio 1983, n. 184. Questo, infatti, ammette l'adozione  del
 figlio  minorenne  del  coniuge anche in presenza e indipendentemente
 dal  consenso  dei  figli  legittimi  dell'adottante,  maggiorenni  o
 minorenni  che  essi  siano (v. anche il secondo comma dell'art. 44),
 mentre  l'art.  291  c.c.,  implicando  l'assenso   dei   discendenti
 legittimi,  preclude l'adozione del maggiorenne, ancorche' figlio del
 coniuge, quando i predetti  discendenti  siano  minorenni  e  percio'
 incapaci   di   esprimere   volonta'   giuridicamente   valida.  Tale
 disuguaglianza di disciplina  non  sarebbe  giustificata  dall'essere
 l'adottando, nei due casi, rispettivamente in eta' minore o maggiore,
 perche'   anche   nella  seconda  ipotesi  viene  perseguito,  quando
 l'adottando gia' di fatto appartenga al nucleo familiare, lo scopo di
 rendere  quest'ultimo  piu'   armonico   e   completo.      Ulteriore
 ingiustificata  disuguaglianza si coglierebbe, secondo il ricorrente,
 in relazione all'art.  294,  primo  comma,  del  c.c.,  che  consente
 l'adozione  di  piu'  persone  con atti successivi, poiche' in questo
 caso  non  si  da'  rilievo  alla  potenziale  lesione  di  interessi
 patrimoniali  dei  soggetti  gia' adottati, a tali fini equiparati ai
 figli legittimi.
    4.  -  Ritiene  il  collegio   che,   pur   essendosi   la   Corte
 costituzionale   pronunziata   piu'   volte  in  argomento,  segnando
 determinati limiti al proprio intervento, tuttavia non si ravvisino -
 almeno in questa sede, ove e' consentita soltanto una delibazione  di
 non  manifesta  infondatezza  -  ragioni  preclusive  di un ulteriore
 approfondimento, profilandosi alcuni spazi argomentativi che meritano
 di essere percorsi.   La Corte costituzionale,  con  la  sentenza  n.
 557/1988,  ha  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo l'art. 291
 c.c. nella parte  in  cui  precludeva  l'adozione  di  maggiorenne  a
 persone che avessero discendenti legittimi o legittimati. L'interesse
 di questi soggetti doveva trovare espressione, come gia' era previsto
 per  il  coniuge  dell'adottante  e  dell'adottando,  in un potere di
 assenso all'adozione, ma non poteva l'esistenza dei soggetti medesimi
 essere per se' sola preclusiva. Restava peraltro  fuori  della  nuova
 costruzione  (e  un  po'  in  ombra  anche  nella  motivazione  della
 sentenza) la posizione dei discendenti  legittimi  o  legittimati  in
 eta'   minore,   come   tali   incapaci   di   esprimere   l'assenso.
 Successivamente, con la sentenza n. 345/1992, la Corte ha  dichiarato
 infondata la questione di legittimita' del medesimo art.  291 c.c. in
 relazione   all'ipotesi   di   discendenti   legittimi  in  stato  di
 interdizione, avuto  presente  che  l'art.  297  c.c.  considera  non
 ostativa  la  mancata  prestazione  dell'assenso da parte di soggetti
 incapaci.   Si poneva, a questo  punto,  il  problema  del  carattere
 eventualmente discriminatorio di un'interpretazione che, adottata per
 gli   interdetti,   non   si   estendesse  ai  minori,  ma  la  Corte
 costituzionale, con la sentenza n. 53/1994, ha respinto la questione,
 distinguendo la "predeterminata transitorieta'"  dell'incapacita'  di
 agire  del  minorenne  rispetto alla situazione di prolungata e forse
 irreversibile patologia che caratterizza l'interdizione.  Orbene, con
 tale  recentissima  sentenza,  viene  decisamente  chiarito  che   la
 posizione   dei  discendenti  legittimi  dell'adottante  in  rapporto
 all'adozione e' dalla Corte costituzionale considerata  non  come  un
 interesse  la  cui  ponderazione possa essere affidata al giudice, ma
 come un ruolo attivo che nel caso degli interdetti e' definitivamente
 "sterilizzato", mentre  nel  caso  dei  minorenni  e'  rinviato  alla
 maggiore   eta',   non   potendosi  privare  "i  figli  minore  della
 personalissima  facolta'  -  una  volta  divenuti  maggiorenni  -  di
 valutare  e  decidere  sui  delicati interessi in gioco".  Se cio' e'
 vero, ne discende, da un lato, che  continua  ad  esistere,  sia  pur
 limitatamente alla categoria dei discendenti minorenni e per un tempo
 determinato   (tempo   tuttavia   anche   considerevole   e  comunque
 sufficiente a frustrare il  fine  dell'adozione),  quella  logica  di
 preclusione  (data dalla mera esistenza di un certo tipo di soggetti)
 che la sentenza n. 557 sembrava aver voluto abbattere; e, dall'altro,
 che la categoria degli interdetti e' definitivamente sacrificata, pur
 essendo titolare di diritti  e  aspettative  patrimoniali  del  tutto
 identiche a quelle dei discendenti minorenni.  Tali esiti non possono
 non  suscitare  perplessita' specialmente se posti in rapporto con la
 configurazione che la riforma del 1975 ha  dato  al  procedimento  di
 adozione  di  maggiorenne,  consentendo  al  giudice  di  pronunziare
 l'adozione anche in difetto dell'assenso dei genitori dell'adottando,
 o del coniuge non convivente dell'adottante o dell'adottando,  quando
 il   rifiuto  dell'assenso  stesso  sia  ingiustificato  o  contrario
 all'interesse della persona da adottare (art. 297, c.c.).  Essendosi,
 con   cio',  attribuito  al  giudice  un  potere  valutativo,  appare
 irragionevole che esso non si estenda, postoche' ne sarebbe  identica
 la  necessita',  alla  valutazione di altre situazioni problematiche,
 per le  quali  il  bilanciamento  degli  interessi  in  gioco  appare
 egualmente preferibile all'automatismo del sacrificio di un interesse
 rispetto  all'altro.  In altri termini, da una parte la posizione dei
 discendenti interdetti potrebbe essere affidata alla ponderazione del
 giudice, anziche' essere automaticamente  sacrificata  (come  risulta
 dalla  sentenza  di rigetto n. 345/1992, cit.), e, dall'altra, a tale
 ponderazione si potrebbe rimettere anche la posizione dei discendenti
 legittimi in eta' minore, piuttosto che farne - in contrasto  con  lo
 spirito  della  sentenza  n.  557/1988  e  con la logica stessa della
 procedura, ormai aperta a momenti valutativi -  un  fattore  di  pura
 preclusione.    In  tal  modo,  secondo  questa Corte, si avrebbe una
 disciplina  realmente  rispondente  al  canone   di   uguaglianza   e
 ragionevolezza,  oltreche' conforme ai principi dettati dagli artt. 2
 e 30 della Costituzione.
    5.  -  Un'area  di  non  manifesta  infondatezza  sembra  altresi'
 individuabile  attraverso  il  raffronto  con l'art. 44, primo comma,
 lettera  b),  della  legge  4  maggio  1983,  n.   184   ("Disciplina
 dell'adozione  e dell'affidamento di minori"), prevedendosi in questa
 norma la possibilita' di adozione da parte del coniuge "nel  caso  in
 cui  il  minore  sia  figlio dell'altro coniuge", senza che rilevi la
 presenza e il consenso dei figli legittimi (art. 44, secondo  comma).
 La  diversita',  quanto  a  necessita'  di  assenso  dei  discendenti
 legittimi dell'adottante, fra tale disciplina e quella dell'art.  291
 c.c.,  pur  nel  medesimo caso di adozione del figlio del coniuge, si
 affida  unicamente   al   dato   della   minore   o   maggiore   eta'
 dell'adottando,  e  conseguentemente  alla diversita' delle procedure
 utilizzabili, vale a dire ad elementi dei quali appare dubbia  (anche
 secondo   autorevoli  posizioni  dottrinali)  la  capacita'  di  dare
 razionale  giustificazione  al  differente  trattamento.    La  Corte
 costituzionale,  in verita', con la sentenza n. 53/1994, cit., spiega
 tale diversita' alla luce della ratio complessivamente diversa  degli
 istituti  dell'adozione  di  maggiorenni  e  dell'adozione di minori,
 cogliendo in quest'ultima una finalita' di protezione e di assistenza
 dell'adottando, che e' invece assente nell'altra  ipotesi.    A  tale
 sentenza   e'  tuttavia  estraneo  (almeno  per  quanto  costa  dalla
 motivazione)  quello  che  e'  il  proprium  della   situazione   qui
 esaminata,  cioe'  il  fatto  che l'adottando sia non solo figlio del
 coniuge dell'adottante, ma parte integrante -  insieme  all'adottante
 stesso,  alla  madre e ai fratelli uterini - di un comune ed unitario
 nucleo familiare.  Tale situazione e' invece  presa  in  esame  dalla
 Corte  costituzionale  nella  sentenza n. 44/1990, che ha ritenuto la
 illegittimita' dell'art. 44, quinto comma, legge n.  184/1983,  nella
 parte  in  cui,  limitatamente  alla  lettera b) del primo comma, non
 consente al giudice di ridurre, quando sussistono validi  motivi  per
 la  realizzazione  dell'unita'  familiare,  la  differenza di eta' di
 diciotto anni fra adottante o adottato. In tale sentenza e' precisato
 che scopo dell'adozione, nel caso di cui all'art. 44, lettera b),  e'
 quello  di  "consolidare  l'unita'  familiare".  Infatti,  "senza  lo
 strumento adozionale cosi' impiegato, malgrado la coppia  genitoriale
 sia  legata  nel  matrimonio, la prole riconosciuta o adottata da uno
 dei coniugi resterebbe estranea all'altro coniuge, non porterebbe  il
 cognome  dei  fratelli  uterini  generati  in costanza di matrimonio,
 vivrebbe, anche in una forte coesione affettiva, il  disagio  sociale
 della   diversita'   di   origine,  con  possibili  disarmonie  nella
 formazione psicologica e morale". Insomma l'adozione del  figlio  del
 coniuge  "agevola  una  piu'  compiuta  unione  della  coppia e della
 prole", mentre correlativamente si scolora la finalita' di assistenza
 del minore, di regola gia' fruente, nell'ipotesi considerata, di  una
 buona  "coesione  affettiva"  e gia' inserito nel nucleo familiare al
 quale, con l'adozione, lo si vuole anche formalmente ascrivere.
    Il discorso della sentenza gravita sul versante dell'adozione  dei
 minori,   ma  non  par  dubbio  che  tale  scopo  di  "consolidamento
 dell'unita' familiare" possa esser  proprio  anche  dell'adozione  di
 maggiorenne,  quando  questa riguardi il figlio del coniuge, che gia'
 appartenga al contesto  affettivo  ed  organizzativo  della  famiglia
 dell'adottante:  evenienza  nient'affatto  esclusa o resa improbabile
 dal raggiungimento della soglia dei diciotto anni, sensibilmente piu'
 lungo essendo, di regola, il periodo di permanenza dei figli presso i
 genitori. Quando  si  tratta,  cioe',  di  adozione  del  figlio  del
 coniuge,  si  crea  fra adozione dei minori e adozione di maggiorenne
 una forte prossimita'  sul  piano  dei  valori,  entrambe  mirando  a
 favorire la coesione affettiva e l'unita' della famiglia. Prossimita'
 ulteriormente sottolineata dal fatto che, ricorrendo tale situazione,
 da un lato arretra il profilo assistenziale dell'adozione dei minori,
 dall'altro  si  esalta,  nell'adozione  di  maggiorenne,  il  profilo
 personalistico rappresentato  dall'appartenenza  dell'adottando  alla
 comunita' familiare.
    Nondimeno  la Corte costituzionale, con la sentenza n. 89/1993, ha
 dichiarato non fondata, con riferimento all'adozione  di  maggiorenne
 (art.  291  c.c.),  la  medesima questione dell'inderogabilita' della
 differenza  di  diciotto  anni  fra  adottante   e   adottando,   pur
 nell'ipotesi  in  cui quest'ultimo sia figlio del coniuge e "di fatto
 stabilmente  inserito   nel   contesto   familiare".   A   fondamento
 dell'opposta  conclusione rispetto all'adozione di minori la sentenza
 indica, da un lato, la non necessita', nell'adozione di  maggiorenni,
 dell'instaurarsi  o  del  permanere  della  convivenza  familiare con
 l'adottante e l'insussistenza del  dovere  di  questo  di  mantenere,
 educare  e istruire l'adottato; dall'altro, la limitatezza dei poteri
 del tribunale in tema di adozione di  maggiorenne  (art.  312  c.c.),
 tali  da  non  consentire,  come  accade  invece  nelle  procedure di
 adozione di minori, un penetrante  ed  incisivo  apprezzamento  degli
 interessi e dei valori in campo.
    Ritiene  questa  Corte  che tale decisione del giudice delle leggi
 non  chiuda  il  discorso  ed  anzi  sia   di   stimolo   a   qualche
 approfondimento  in  direzione dell'ipotesi di sollevare, nel caso in
 esame, questione di costituzionalita'.
    Le caratteristiche  differenziali  dell'adozione  di  maggiorenne,
 rilevate  da  tale  sentenza e sopra riferite, non paiono contrastare
 decisivamente tale ipotesi ove si consideri a) che la gia'  esistente
 e  non precaria convivenza dei soggetti dell'adozione e' assunta come
 elemento qualificante della fattispecie astratta che si  ipotizza  di
 sottoporre  a controllo di costituzionalita', e b) che si sostiene in
 dottrina che l'adottante di maggiorenne, qualora il  figlio  adottivo
 sia  in  giovane  eta'  e  non  abbia ancora raggiunto l'indipendenza
 economica, sia tenuto a mantenerlo e a  sostenere  le  spese  per  il
 completamento  della  sua  istruzione,  come  accade (per tutte Cass.
 13126/1992) per i genitori non adottivi.
    Ben e' vero, poi,  che  i  poteri  del  giudice  dell'adozione  di
 maggiorenne,  pur  essendo stati (come sopra si e' detto) accresciuti
 dalla riforma del 1975 (nel  senso  della  possibilita'  di  ritenere
 ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando il rifiuto di
 assenso  dei  genitori  e  del  coniuge  non convivente, nondimeno si
 esauriscono  entro  l'orbita  della  convenienza  dell'adozione   per
 l'adottando (art. 312, n. 2, c.c.), sicche' seriamente puo' dubitarsi
 della   loro  estensibilita'  al  controllo,  ad  esempio,  del  gia'
 esistente   inserimento   dell'adottando   nel    nucleo    familiare
 dell'adottante    e   della   conseguente   "convenienza   obiettiva"
 dell'adozione,  come   strumento   di   "consolidamento   dell'unita'
 familiare".   Tale  constatazione,  tuttavia,  lungi  dal  costituire
 ostacolo   all'ipotesi   finora   considerata   di    questione    di
 costituzionalita',  puo'  semmai  tradursi  in  ragione  di ulteriore
 denuncia  di  illegittimita'  costituzionale,  ove  si  ritenga   che
 l'istituto,  per  poter  funzionare  con  lo  spessore  che  tende  a
 caratterizzarlo alla  luce  dei  principi  costituzionali,  implichi,
 proceduralmente, la possibilita' anche di altri obiettivi di indagine
 e di piu' significativi bilanciamenti di valori.
    6.   -   In   conclusione,   e   sulla  scorta  della  complessiva
 giurisprudenza della Corte costituzionale sul  tema,  puo'  ritenersi
 non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 291 c.c., quale  risultante  dall'intervento
 operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 557/1988, nella
 parte  in cui non prevede che possa aversi adozione di maggiorenne da
 parte di soggetto che abbia discendenti legittimi  o  legittimati  in
 eta'   minore,  anche  quando  l'adottando  sia  figlio  del  coniuge
 dell'adottante  e  sia  stabilmente  inserito  nel  nucleo  familiare
 facente  capo  a tale coppia, e cio' per contrasto sia con i principi
 espressi negli artt. 2 e 30 Cost.,  in  particolare  per  non  essere
 previsto  che  l'interesse  dei  discendenti legittimi minorenni, non
 suscettibile di esprimersi attraverso il  potere  di  assenso,  possa
 esser  fatto  oggetto  di  ponderazione da parte del giudice, sia con
 l'art. 3, primo comma, Cost., attesa la ingiustificata disparita' fra
 la norma denunciata e l'art. 44, primo comma, lettera b),  e  secondo
 comma,  della  legge  n.  184/1983,  quale norma intesa a consolidare
 l'unita' del nucleo familiare ed operante anche in presenza di  figli
 legittimi dell'adottante.
    La  simmetria  con  il  citato  art.  44  escluderebbe  del  tutto
 l'assenso dei discendenti legittimi o legittimati, anche quando essi,
 per eta' e sanita' mentale, siano in  grado  di  prestarlo;  ma  tale
 risultato  (che  autorevole  dottrina  ritiene auspicabile in termini
 generali sul piano  legislativo)  non  e'  strettamente  imposto  dal
 canone  costituzionale  di  uguaglianza/ragionevolezza, il quale puo'
 ritenersi soddisfatto anche da una disciplina che - quando si  tratti
 di  adozione  del  figlio  maggiorenne  del coniuge, gia' immesso nel
 contesto familiare - per un verso conservi l'assenso dei  discendenti
 legittimi  maggiorenni  e,  per altro verso, tolga effetto impeditivo
 alla presenza di discendenti legittimi minori, demandando al  giudice
 la valutazione degli interessi in campo e della obiettiva convenienza
 dell'adozione  in  rapporto  al  fine  di  rafforzamento  dell'unita'
 familiare.
    Appare  peraltro  conseguenziale,  in   questa   prospettiva,   la
 necessita'  di  denunciare  anche la norma di cui all'art. 312, n. 2,
 c.c., nella parte  in  cui,  limitando  la  funzione  valutativa  del
 tribunale   alla   convenienza  dell'adozione  per  l'adottando,  non
 riconosce a tale organo  poteri  idonei  al  compimento  di  un  piu'
 complesso  esame  come  quello  sopra  indicato.  La  questione,  non
 proposta dal  ricorrente,  viene  sollevata  d'ufficio  dalla  Corte,
 indicandosi  come  norme  costituzionali  di raffronto le stesse gia'
 segnalate in precedenza: gli artt. 3 e 30 Cost., in quanto la vigente
 costruzione del procedimento camerale non risponde  alla  piu'  ampia
 valutazione  implicata  dai  principi  espressi  nelle  citate  norme
 costituzionali; e l'art.  3  Cost.  per  la  irragionevolezza  di  un
 procedimento  troppo  ridotto e semplificato, per ambito di indagine,
 rispetto a quanto previsto per le ipotesi di adozione dei minori.
                               P. Q. M.
    La Corte dichiara rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 291 del c.c. e,
 d'ufficio, dell'art. 312, n. 2, del c.c., per contrasto con gli artt.
 2, 30 e 3 della Costituzione, in entrambi i casi per le ragioni,  nei
 sensi e nei limiti precisati in motivazione;
    Ordina  che  gli  atti siano trasmessi alla Corte costituzionale e
 sospende il giudizio in corso;
    Dispone che la presente ordinanza  sia  notificata  a  cura  della
 cancelleria alle parti ed al pubblico ministero nonche' al Presidente
 del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle Camere.
    Cosi' provveduto in Roma, il 21 novembre 1994.
 1995.
                         Il presidente: CORDA
 
 95C1280