N. 685 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 aprile 1995
N. 685 Ordinanza emessa il 20 aprile 1995 dal pretore di Udine nel procedimento penale a carico di Urli Ivano Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi di pubbliche fognature eccedenti i limiti tabellari previsti dalla legge n. 319/1976 - Lamentata depenalizzazione - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi meno gravi, ma punite con maggiore severita' - Lesione del diritto all'ambiente salubre - Omesso adeguamento con le norme del diritto internazionale, in particolare con quelle CEE - Violazione del principio di riserva di legge in materia penale per reiterazione a catena dei decreti-legge - Conseguente sottrazione del potere legislativo al Parlamento - Carenza del presupposto costituzionale dell'urgenza. (D.-L. 17 marzo 1995, n. 79, art. 3, primo comma, prima parte). (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 10, 25, secondo comma, 32 e 77).(GU n.43 del 18-10-1995 )
IL PRETORE Visti gli atti del procedimento penale a carico di Urli Ivano, nato a Lestizza il 4 gennaio 1946, assistito dal difensore di fiducia avv. Marino Ferro del foro di Udine; Premesso che l'imputato e' stato tratto a giudizio davanti a questo pretore - insieme con altre cinque persone, la cui posizione e' stata tuttavia separata in via preliminare - per rispondere della contravvenzione di cui all'art. 21, terzo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, "per avere provocato o comunque non impedito lo scarico delle acque reflue della pubblica fognatura della frazione di Galleriano di Lestizza, eccedente i limiti di accettabilita' prescritti dalla tabella A1 allegata al d.P.G.R. n. 384 del 23 agosto 1982 di approvazione del piano generale di risanamento delle acque, e comunque della tabella A allegata alla legge n. 319/1976, quale sindaco pro-tempore del comune di Lestizza"; In atti preliminari il difensore dell'imputato chiedeva a questo pretore di valutare la sussistenza delle condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p., in considerazione del fatto che, in base alle disposizioni contenute nell'art. 3, del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, il fatto contestato all'Urli non sarebbe piu' previsto dalla legge come reato, essendo per lo stesso prevista la sola sanzione amministrativa; chiedeva quindi, in via subordinata, a questa giudicante di valutare l'opportunita' di sollevare questione di legittimita' costituzionale della norma richiamata per violazione degli artt. 3, 9, secondo comma, e 32, 10, 25, secondo comma, e 77 della Costituzione. Ritenendo la questione rilevante e non manifestamente infondata, il pretore decideva quindi di sottoporre all'attenzione della Corte costituzionale la valutazione di legittimita' costituzionale di tale norma del citato d.-l. n. 79/1995. OSSERVA Infatti questa giudicante come sussista innanzi tutto il requisito della rilevanza della questione. L'art. 3 del decreto-legge in esame, sostituendo in toto l'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976, ha depenalizzato l'inosservanza dei limiti di accettabilita' stabiliti dalle regioni ai sensi del (nuovo) art. 14, secondo comma, per tale condotta introducendo una sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire trenta milioni. Dai verbali di prelevamento dd. 13 giugno 1991, e 2 luglio 1991 e dalle relative relazioni di analisi dd. 24 giugno 1991 e 11 luglio 1991, presenti nel fascicolo per il dibattimento, risulta d'altro canto che effettivamente venne accertato dal personale del Servizio chimico ambientale del p.m.p. dell'U.S.L. n. 7 "Udinese" il superamento dei limiti tabellari, cosi' come contestato nell'imputazione. In considerazione di cio', viste le istanze della difesa, il presente giudizio non puo' essere definito in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 3 del decreto-legge citato: solo dopo che ne sia stata accertata la conformita' o meno alla Costituzione, il pretore sara' infatti in grado di decidere per l'assoluzione del prevenuto, a mente dell'art. 129 c.p.p., o per la prosecuzione del dibattimento. Ed invero, in relazione alla disposizione di cui all'art. 3 del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, sussiste l'ipotesi di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con numerose disposizioni della Carta costituzionale. Venendo a considerare in maniera dettagliata la valutazione della non manifesta infondatezza della questione, si dovra' osservare come la norma citata si ponga innanzi tutto in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, e precisamente con il principio di uguaglianza che detta norma pone come fondamentale parametro costituzionale. Da un lato, infatti, si e' discriminata la disciplina sanzionatoria per i titolari di scarichi da insediamenti produttivi che superino i limiti di accettabilita' delle tabelle "A" e "C" allegate alla legge (puniti con la sanzione penale alternativa dell'ammenda o dell'arresto raddoppiata ove sia provato il superamento dei parametri inderogabili) rispetto ai titolari di scarichi di pubbliche fognature quali, nella medesima evenienza (violazione dell'art. 14, secondo comma, della legge n. 319/1976) e nell'ipotesi reputata in assoluto piu' pericolosa per l'ambiente tra le varie contemplate, subiscono la sola sanzione amministrativa pecuniaria sopra indicata: cio' che risulta del tutto irragionevole, ove si consideri che tale impianto solitamente altro non e' che la somma di molteplici scarichi misti, cioe' civili e produttivi, che in esso confluiscono, per cui, se comprensibile risulta l'irrogazione della sanzione amministrativa per gli scarichi da insediamenti civili, atteso il verosimile, minor loro carico inquinante, altrettanto non puo' dirsi per gli scarichi delle pubbliche fognature ad essi parificati e favorevolmente discriminati rispetto ad un superamento - anche minimo - dei parametri tabellari di un impianto produttivo, di certo meno pericoloso per l'ambiente rispetto ad un sostanzioso superamento dei limiti da parte dei primi. La differenziazione non trova, pertanto, ragionevole giustificazione, ma pare correlata in definitiva alla sola qualifica soggettiva dell'agente tenuto al rispetto della norma (pubblico amministratore nel primo caso, imprenditore nel secondo): cio' che pare peraltro trovare conferma nell'art. 6, secondo comma, del d.-l. n. 79/1995, il quale ha depenalizzato pure la condotta di apertura di uno scarico da pubbliche fognature "servite o meno da impianti pubblici di depurazione" in assenza della domanda di autorizzazione (attualmente soggetta alla sola sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni) permanendo al contrario la sanzione penale per il titolare di insediamento produttivo che ometta di richiedere la debita autorizzazione (art. 21, primo comma, della legge n. 319/1976, rimasto immutato). Pure l'ammontare della sanzione introdotta dall'art. 6 del d.-l. n. 79/1995 testimonia l'assoluta incongruita' della normativa in esame, essendosi preveduta una sanzione piu' elevata per un fatto di inquinamento formale, quale ritenuto quello previsto dall'art. 6 (ben potendo lo scarico non autorizzato essere contenuto nei limiti di legge), rispetto alla sanzione pecuniaria prescelta in caso di effettuazione di scarico da una pubblica fognatura che, autorizzato o meno, abbia provatamente recato un pregiudizio all'ambiente, con lo sversamento di reflui eccedenti i limiti tabellari fissati all'inquinamento c.d. "legittimo". La distonia della norma in esame risulta evidenziata ancor piu' dal mantenimento nel sistema dell'art. 23 della legge n. 319/1976, sanzionante penalmente l'effettuazione di nuovi scarichi (da chiunque effettuati, e, pertanto, pure dal titolare della pubblica fognatura) prima che l'autorizzazione, gia' richiesta, sia stata concessa: anche in tal caso in via assoluta un'irregolarita' formale - come l'effettuazione di scarichi in ipotesi consentiti dopo la presentazione della domanda di autorizzazione (ad es., da un insediamento civile) - e' valutata e punita assai piu' gravemente di una condotta sostanziale e atta ad incidere su beni primari collettivi - come lo scarico illecito di sostanze da un insediamento produttivo pubblico qual e' la fognatura comunale -; inoltre, in via relativa, per quest'ultima e piu' grave condotta, il pubblico amministratore sarebbe sanzionato assai meno pesantemente che in ipotesi di attivazione dello scarico della pubblica fognatura nelle more del rilascio dell'autorizzazione, pur quando il tenore di quello scarico fosse conforme agli standards di legge. Ma vi e' di piu': ove l'autorizzazione richiesta non venisse rilasciata, riprendendo vigore le norme dell'art. 21 della legge n. 319/1976 (vd. art. 23, secondo comma), lo stesso pubblico amministratore sarebbe soggetto ad una blandissima sanzione amministrativa pecuniaria ove lo scarico della fognatura fosse proseguito in spregio alle tabelle o alle disposizioni del P.G.R.A. (art. 3 del d.-l. n. 79/1995), o addirittura, ad una sanzione amministrativa piu' pesante per il fatto di aver mantenuto lo scarico dopo il diniego del provvedimento (art. 6 del d.-l. n. 17/1995). Come dunque emerge con evidenza, tra le tre, la condotta meno grave ed idonea a recare minor danno o, addirittura, a non arrecar danno alcuno agli interessi oggetto di tutela e' l'unica punita penalmente ( ex art. 23 della c.d. "legge Merli"), mentre nelle altre due ipotesi l'entita' della sanzione pecuniaria amministrativa e' inversamente proporzionale al grado di lesione, di pericolosita' e di offensivita' della condotta concretamente mantenuta. Trattasi di opzioni legislative che, pur giustificate dalla discrezionalita' tipica di quella funzione, nel caso creano profonde disparita' di trattamento, apparentemente non fondate ne' su presupposti logici obiettivi, ne' su specifiche concrete esigenze, in violazione dei canoni di ragionevolezza - cui devono rispondere le scelte punitive - e del principio di uguaglianza - che impone una proporzione tra la pena e il disvalore del fatto illecito commesso, inosservata quando il complesso normativo sanzioni in via amministrativa condotte connotate di maggior gravita' ed identicamente (se non piu') lesive del medesimo bene giuridico, ma sanzionate penalmente quando commesse da soggetti diversi (cfr. Corte costituzionale 19 maggio 1993, n. 249; Corte costituzionale 23 giugno 1994, n. 254; Corte costituzionale 25 luglio 1994, n. 341). La disciplina sin qui riassunta, ed introdotta dal d.-l. n. 79/1995, gia' piu' volte citato, pare poi porsi in aperta contrapposizione logica con l'art. 9, secondo comma, della Costituzione; secondo la piu' recente ed autorevole giurisprudenza, sia della Corte di cassazione che di quella costituzionale, il concetto di "paesaggio", al quale la norma costituzionale si richiama, deve infatti intendersi non solo nella sua dimensione estetica e culturale, ma come ambiente naturale in senso lato, tutelato anche (e soprattutto) in vista della conservazione di tutte le sue componenti bionaturalistiche. In considerazione di cio', e' evidente che la modificazione del regime di tutela dell'ambiente rispetto a fenomeni di inquinamento idrico causati da fatti gravi e in concreto assai pericolosi quali gli scarichi di pubbliche fognature, (incontrollati ed) eccedenti i limiti di accettabilita', connessa alla depenalizzazione della condotta e alla scomparsa dei poteri d'intervento - anche coercitivi - riconosciuti al giudice penale, riduce sensibilmente la capacita' preventiva e dissuasiva in materia, con una pericolosa regressione di efficacia della normativa e una conseguente, verosimile esposizione a maggior rischio e, comunque, una diminuzione netta di tutela del bene "paesaggio" nell'accezione sopra indicata. Sotto questo stesso profilo, la disciplina in questione si pone pure in contrasto con l'art. 32 della Costituzione, se e' vero che nel concetto di tutela del diritto alla salute non puo' non ricomprendersi anche il diritto alla salubrita' dell'ambiente naturale ed urbano in cui il cittadino vive (cosi' come autorevolmente riaffermato dalla Cassazione, a sezioni unite, nella ben nota decisione n. 517/1979, e dalla stessa Corte costituzionale nelle pronunce n. 641/1987 e n. 127/1990). Il principio posto dall'art. 32 della Costituzione, infatti, impone in via incondizionata rispetto ad ogni altro interesse la ricerca delle scelte piu' adeguate onde preservare la pienezza delle condizioni oggettive di godimento dell'ambiente, nei suoi molteplici componenti (suolo, aria e acqua) rispetto alle varie manifestazioni di inquinamento. Quanto poi all'art. 10 della Costituzione, la disposizione prevista dall'art. 14, secondo comma, della legge n. 319/1976 (novellato dall'art. 1, primo comma, del d.-l. n. 79/1995), costituente il precetto rispetto al quale si applica la sanzione amministrativa di cui all'art. 3, primo comma, del medesimo decreto-legge, pare altresi' porsi in contrasto con la norma costituzionale suddetta, norma che impone la conformazione dell'ordinamento italiano agli obblighi derivanti dall'appartenenza del nostro Paese alle Comunita' economiche europee. In particolare, risultano gia' scaduti al 30 giugno 1993, i termini per l'adeguamento alla direttiva del Consiglio 91/271/CEE, la cui adozione non solo viene ulteriormente procrastinata (dall'art. 1, quarto comma, del decreto-legge di cui ci si occupa, ma rispetto alla quale addirittura le norme in esame rappresentano l'antitesi, attesa la necessita' imposta dalle disposizioni comunitarie di classificare le "acque reflue urbane", le "acque reflue domestiche", le "acque reflue industriali" (art. 2) e, in particolare, di distinguere nettamente nella regolamentazione degli accessi alle reti fognarie pubbliche tra i vari tipi di scarico, assoggettando quelli industriali a specifiche autorizzazioni, ad accurati controlli nonche' a requisiti assai restrittivi (cfr. artt. 11, 13 e all. I dir. 91/271/CEE). Lo Stato italiano, nonostante l'ampia scadenza del termine, non solo non ha ancora provveduto in alcun modo ad operare tale distinzione basata sulla natura delle acque confluenti in pubblica fognatura, ma con la normazione d'urgenza oggetto di analisi si e' mosso addirittura in direzione antitetica, cioe' nel senso di depenalizzare sic et simpliciter tutta la condotta di gestione della pubblica fognatura (dalla mancata richiesta di autorizzazione al superamento dei limiti tabellari), a prescindere dalla qualita' oggettiva degli scarichi in essa terminanti, costituente presupposto necessario per le successive opzioni, e questo nonostante le plurime condanne gia' in passato subite ad opera della Corte di giustizia europea per l'eccessiva permissivita' del sistema sanzionatorio nel settore dell'inquinamento idrico e per l'insufficienza di alcuni tipi di sanzioni penali. Infine, un ulteriore profilo di illegittimita' della disciplina esaminata si pone in rapporto agli artt. 25, secondo comma, e 77 della Costituzione. Il fondamentale principio di riserva di legge in materia penale, posto dalla prima delle norme costituzionali indicate, implica infatti, a parere di chi scrive, una riserva delle scelte di politica criminale (sia relative alla introduzione di nuove incriminazioni, sia, come nel caso di specie, relative alla esclusione della rilevanza penale di determinate condotte) alla volonta' del Parlamento, unico organo che sia diretta espressione della sovranita' popolare e che garantisca nel contempo il controllo da parte delle minoranze. Pur se discutibile, l'introduzione di nuove norme penali attraverso la decretazione d'urgenza deve dunque considerarsi ammissibile solo quando sia comunque assicurato l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata, quanto questo abbia cioe' la effettiva possibilita' di conferire stabilita' e durevolezza (oltreche' - e fondamentalmente - la necessaria certezza) alle disposizioni normative introdotte in via precaria, attraverso l'esercizio dei propri poteri di conversione. Nella materia che ci occupa, al contrario, essendosi verificato un inquietante fenomeno di reiterazione dei decreti-legge, si e' di fatto spodestato l'organo parlamentare del monopolio a legiferare in maniera esclusiva nell'ambito penale, con assunzione, da parte del Governo, di esorbitanti poteri di bilanciamento e di valutazione degli interessi in gioco. Non pare poi si possa trascurare un ulteriore elemento, e cioe' la insussistenza di una delle condizioni fondamentali - quella dell'urgenza - che legittimano il Governo ad emanare decreti con valore di legge ordinaria, a mente dell'art. 77 della Costituzione: infatti, quale urgenza puo' mai ravvisarsi nell'adozione di decreti legge che vengono ripresentati, perche' non convertiti in legge nei termini, per quasi un anno e mezzo, a partire dal novembre 1993?
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge n. 1/1948 e 23 della legge n. 1/1953; Dichiara rilevante per la definizione del giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, prima parte, del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, recante "Modifiche alla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature", per violazione degli artt. 3, 9, secondo comma, e 32, 10, 25, secondo comma, e 77 della Costituzione; Sospende il presente giudizio; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al pubblico ministero, al difensore e all'imputato, qualora non presente alla sua lettura in udienza, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata alla Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Udine, addi' 20 aprile 1995 Il pretore: FERUGLIO Il collaboratore di cancelleria: NAPPI 95C1289