N. 440 SENTENZA 18 ottobre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati  in  genere  -  Bestemmia  - Trattamento sanzionatorio penale -
 Cessazione della religione cattolica quale sola religione dello Stato
 italiano -  Presunta  indeterminatezza  della  fattispecie  penale  -
 Richiamo  alla  sentenza  della  Corte n. 925/1988 - Differenziazione
 della tutela penale del sentimento religioso  individuale  a  seconda
 della  fede  professata  -  Violazione del principio di eguaglianza -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.P., art. 724, primo comma)
 
(GU n.44 del 25-10-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Vincenzo CAIANIELLO;
 Giudici:  avv.  Mauro  FERRI,  prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI,
    dott. Renato GRANATA, prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco
    GUIZZI,  prof.  Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
    Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,  prof.
    Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 724 del codice
 penale  promosso  con  ordinanza  emessa  il  14  novembre  1991  dal
 Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Onesti Fabio,
 iscritta  al  n.  457  del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  36,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1995 il Giudice relatore
 Gustavo Zagrebelsky.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un giudizio penale, il Tribunale di Milano, con
 ordinanza del 14 novembre 1991 (pervenuta alla  Corte  costituzionale
 il   3   luglio   1995),   ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 724, primo  comma,  del  codice  penale,  in
 riferimento agli artt. 3, 8 e 25, secondo comma, della Costituzione.
    Si  sostiene  nell'ordinanza  di  rinvio  che,  poiche'  la  norma
 impugnata sanziona con l'ammenda la  condotta  di  chi  pubblicamente
 "bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinita' o
 i  Simboli  o  le  Persone  venerati  nella religione dello Stato", e
 poiche'  il  Protocollo  addizionale  all'Accordo  di  modifica   del
 Concordato  lateranense, recepito con legge 25 marzo 1985, n. 121, al
 punto 1, prevede testualmente il venir meno della religione cattolica
 come sola  religione  dello  Stato  italiano,  ne  conseguirebbe,  in
 violazione  dell'art.  25,  secondo  comma,  della  Costituzione,  la
 indeterminatezza della fattispecie penale di  cui  all'art.  724  del
 codice  penale, che "a'ncora" esplicitamente la sussistenza del reato
 all'offesa alla religione, appunto, di Stato.
    Ne'  la  censura  potrebbe  superarsi  ritenendo  che   la   norma
 denunciata   continui   a  riguardare  la  religione  cattolica  come
 confessione religiosa piu' diffusa del Paese - mutuando l'espressione
 dalla sentenza n. 14 del 1973 della Corte  costituzionale  -  poiche'
 non  verrebbe ora in discussione la ratio della norma incriminatrice,
 bensi' la sua (sopravvenuta) incompatibilita'  con  il  principio  di
 tassativita'.
    Nemmeno   potrebbe  ritenersi  rispettato  tale  ultimo  principio
 opinando che  l'art.  724  del  codice  penale  tuteli  la  religione
 cattolica  "in  quanto  gia'  religione  di  Stato" - cosi' potendosi
 individuare la condotta sanzionata secondo le affermazioni  contenute
 nella  sentenza  n. 925 del 1988 della Corte costituzionale - perche'
 nella  norma  predetta  non  e'  contenuto  alcun  riferimento   alla
 religione cattolica, essendo questa oggetto di tutela solo indiretta,
 per il fatto della sua qualificazione come religione di Stato.
    2.  -  Qualora  invece  si  volesse  ritenere  che la stessa norma
 contenga un riferimento univoco alla religione  cattolica,  essa,  ad
 avviso  del  giudice  rimettente,  violerebbe  gli  artt. 3 e 8 della
 Costituzione. A sostegno della censura, nell'ordinanza  si  riportano
 brani  di  precedenti pronunce di questa Corte che sono consistiti in
 espressi inviti al legislatore, non ancora accolti, per una revisione
 della   disciplina   in   vista   dell'attuazione    del    principio
 costituzionale  della  liberta'  di  religione,  dal  momento che "la
 limitazione  della  previsione  legislativa  alle  offese  contro  la
 religione   cattolica   non   puo'  continuare  a  giustificarsi  con
 l'appartenenza ad essa della quasi totalita' dei cittadini italiani".
                        Considerato in diritto
    1. - L'ordinanza del Tribunale di Milano ripropone la questione di
 legittimita' costituzionale del  reato  di  bestemmia,  previsto  dal
 primo comma dell'art. 724 del codice penale, sotto il duplice profilo
 della  violazione  del  principio di determinatezza della fattispecie
 penale  (art.  25,  secondo  comma,  della  Costituzione)   e   della
 violazione  del  principio  di  uguaglianza  in  materia di religione
 (artt. 3 e 8, primo comma, della Costituzione).
    2.1. - L'art. 724, primo comma, del codice penale punisce a titolo
 contravvenzionale la condotta di chi  "pubblicamente  bestemmia,  con
 invettive  o parole oltraggiose, contro la Divinita' o i Simboli o le
 Persone   venerati   nella   religione   dello   Stato".   La   prima
 prospettazione della questione si incentra sulle conseguenze che - ad
 avviso  del  Tribunale rimettente - deriverebbero dall'espunzione dal
 vigente ordinamento della nozione di "religione dello Stato". Di tale
 nozione,  enunciata  nell'art.  1  dello  Statuto albertino, ribadita
 nell'art. 1 del Trattato del 1929 tra la  Santa  Sede  e  l'Italia  e
 largamente utilizzata dal codice penale vigente, ma incompatibile con
 il  principio  costituzionale  fondamentale  di  laicita' dello Stato
 (sentenze nn. 203 del 1989 e 149 del 1995), il Protocollo addizionale
 all'Accordo  di  modifica  del   Concordato   lateranense,   recepito
 nell'ordinamento  italiano  con  legge  25  marzo  1985,  n.  121, ha
 constatato (al punto 1) il superamento: "Si  considera  non  piu'  in
 vigore   il   principio,   originariamente   richiamato   dai   Patti
 lateranensi, della religione  cattolica  come  sola  religione  dello
 Stato italiano".
    Da   questa   caducazione,   secondo   il   Tribunale  rimettente,
 deriverebbe l'indeterminatezza della fattispecie dell'art. 724, primo
 comma, del codice penale e quindi la violazione dell'art. 25, secondo
 comma,  della  Costituzione,  in  quanto   ora   non   sarebbe   piu'
 individuabile  la  religione  destinataria  delle  invettive  e delle
 parole oltraggiose costitutive dell'elemento materiale del  reato  di
 bestemmia.
    La  questione, cosi' delineata, e' gia' stata esaminata e respinta
 da questa Corte con sentenza n. 925 del 1988.
    La formula dell'art. 724, primo comma, del codice penale, dopo  la
 scomparsa  dall'ordinamento  giuridico  della  nozione  di "religione
 dello Stato", non contempla alcuna  nozione  generica  e  quindi  non
 giustifica  la  censura  di  indeterminatezza. Semplicemente, si apre
 un'alternativa tra due possibilita', entrambe determinate: o ritenere
 che l'eliminazione della nozione di  "religione  dello  Stato"  abbia
 fatto  venire  meno  la  fattispecie  dell'art. 724, primo comma, del
 codice penale e l'abbia cosi' privata di contenuto normativo; oppure,
 ritenere  che  quell'espressione   sia   semplicemente   il   tramite
 linguistico  per  mezzo del quale, ora come allora, viene indicata la
 religione  cattolica.  Si  tratta  di   una   scelta   interpretativa
 dipendente  da  una  presa  di posizione in ordine al "perche'" della
 volonta'  del  legislatore  espressa  nell'art.  724  (la   religione
 cattolica  in  quanto religione dello Stato ovvero la religione dello
 Stato in quanto religione cattolica).  La  giurisprudenza  penale  ha
 seguito  ora  il primo, ora il secondo orientamento e quest'ultimo ha
 finito per prevalere con  l'avallo  di  questa  Corte,  la  quale  ha
 affermato  che  "l'innegabile  venir  meno del significato originario
 dell'espressione 'religione dello Stato' non esclude  che,  entro  il
 contesto  dell'art.  724  del codice penale, essa ne abbia acquistato
 uno diverso, ma sempre sufficientemente determinabile ..:  cioe',  il
 significato  di 'religione cattolica', in quanto gia' religione dello
 Stato" (sentenza n. 925 del 1988 e ordinanza n. 52 del 1989).
    2.2. -  Riaffermata  cosi'  la  sopravvivenza  dell'incriminazione
 penale  della  bestemmia  in  relazione alla "religione dello Stato",
 formula da intendersi - nei limiti che saranno appresso  precisati  -
 senza possibilita' di dubbio o oscillazione come religione cattolica,
 la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 724, primo
 comma, del codice penale deve essere esaminata  rispetto  agli  altri
 parametri costituzionali invocati.
    3.1.  -  L'esame  della  legittimita'  costituzionale del reato di
 bestemmia previsto dall'art. 724, primo comma, del codice penale, con
 riferimento  al  principio  di  uguaglianza  senza   distinzione   di
 religione  (art.  3  della  Costituzione)  e  al  principio di uguale
 liberta'  davanti  alla legge di tutte le confessioni religiose (art.
 8, primo comma, della Costituzione) presuppone la  ricostruzione  del
 bene  giuridico  protetto dalla norma oggetto di sindacato, a partire
 dalla concezione originaria del legislatore penale del 1930.
    Il riferimento alla religione dello Stato-religione  cattolica  e'
 il  primo  elemento  di  questa  ricostruzione.  Tale  riferimento e'
 generale nelle fattispecie dei reati attinenti alla religione  (artt.
 402-404:  vilipendi variamente caratterizzati, e 724: bestemmia) e si
 spiega per il rilievo che, nelle concezioni politiche dell'epoca, era
 riconosciuto  al  sentimento  religioso  collettivo  cattolico  quale
 fattore  di  unita'  morale  della  nazione.  Lo Stato, espressione e
 garante di tale unita', aveva, comprensibilmente, la "sua"  religione
 ed  era  interessato a sostenerla e difenderla. Il secondo elemento -
 che si somma al precedente, senza escluderlo - e' rappresentato dalla
 configurazione   del   reato   di   bestemmia   congiuntamente   alle
 manifestazioni  oltraggiose  verso i defunti e dalla sua collocazione
 nel "titolo" quanto mai eterogeneo delle "contravvenzioni concernenti
 la polizia dei costumi", collocazione che  giustifica  anche  per  la
 bestemmia  (come  per  il  gioco  d'azzardo,  gli  atti contrari alla
 pubblica decenza,  il  turpiloquio,  ecc.)  una  configurazione  piu'
 riduttiva, come atto di malcostume.
    3.2.  -  In  prosieguo,  anche  in  conseguenza dei nuovi principi
 costituzionali di liberta'  e  di  uguaglianza  dei  cittadini  e  di
 laicita' dello Stato, il reato di bestemmia e' stato sottoposto a una
 riconsiderazione,  i  cui  punti  fondamentali  sono rappresentati da
 altrettante pronunce della Corte costituzionale. Nella sentenza n. 79
 del 1958 viene operata  una  prima  conversione  del  bene  giuridico
 protetto.  La  religione  cattolica  e'  configurata non piu' come la
 religione dello Stato in quanto  organizzazione  politica,  ma  dello
 Stato  in  quanto  societa':  la protezione speciale della "religione
 dello Stato" si giustificherebbe per "la rilevanza che ha avuto ed ha
 la  religione  cattolica  in  ragione   della   antica   ininterrotta
 tradizione  del popolo italiano, la quasi totalita' del quale ad essa
 sempre appartiene.  .. La norma dell'art. 724 Cod. pen.,  come  altre
 dello  stesso  Codice  ..,  si riferisce alla 'religione dello Stato'
 dando rilevanza non gia' a una qualificazione formale della religione
 cattolica, bensi' alla circostanza che  questa  e'  professata  nello
 Stato  italiano dalla quasi totalita' dei suoi cittadini, e come tale
 e' meritevole di particolare tutela penale, per la maggior ampiezza e
 intensita' delle reazioni sociali naturalmente suscitate dalle offese
 ad essa dirette".
    Successivamente, con la sentenza n. 14 del 1973, la giurisprudenza
 della Corte costituzionale va oltre e  la  religione  cattolica  come
 religione  della  "quasi totalita'" degli italiani viene sostituita -
 come oggetto  della  tutela  penale  -  dal  "sentimento  religioso",
 elemento  base  della  liberta'  di  religione  che  la  Costituzione
 riconosce a tutti.  Si  apre  cosi',  attraverso  il  riferimento  al
 concetto   di  sentimento  religioso,  una  prospettiva  che  investe
 l'atteggiamento  dell'ordinamento  verso  tutte  le  religioni  e   i
 rispettivi  credenti  e va quindi al di la' del riferimento alla sola
 religione cattolica. Tuttavia l'espressa limitazione della previsione
 legislativa  alle  offese  contro  la  sola  religione  cattolica  e'
 ritenuta  dalla  Corte,  in  tale sentenza, ancora giustificata, data
 "l'ampiezza  delle  reazioni  sociali  ..  della  maggior parte della
 popolazione italiana", ma viene aggiunto un richiamo: che,  "per  una
 piena  attuazione  del  principio  costituzionale  della  liberta' di
 religione, il legislatore debba  provvedere  a  una  revisione  della
 norma,  nel  senso di estendere la tutela penale contro le offese del
 sentimento religioso di individui appartenenti a confessioni  diverse
 da quella cattolica".
    Da  ultimo,  la sentenza n. 925 del 1988, che rappresenta il punto
 di partenza per l'esame della questione  ora  riproposta  alla  Corte
 costituzionale,  dichiara  non fondato il dubbio di costituzionalita'
 sulla vigente disciplina  della  bestemmia,  ma  in  base  a  diverse
 affermazioni  di  principio che accantonano l'argomento numerico, sul
 quale fino ad allora si era motivato per escludere la violazione  del
 principio   di   uguaglianza:   "'la   limitazione  della  previsione
 legislativa alle offese  contro  la  religione  cattolica'  non  puo'
 continuare  a  giustificarsi  con l'appartenenza ad essa della "quasi
 totalita'" dei cittadini italiani ..  e  nemmeno  con  l'esigenza  di
 tutelare   il   sentimento   religioso  della  'maggior  parte  della
 popolazione italiana' .. : non  tanto  vi  si  oppongono  ragioni  di
 ordine  statistico (comunque sia la religione cattolica resta la piu'
 seguita  in  Italia),  quanto  ragioni  di   ordine   normativo.   Il
 superamento  della contrapposizione fra la religione cattolica, 'sola
 religione dello Stato', e gli  altri  culti  'ammessi',  sancito  dal
 punto   1   del  Protocollo  del  1984,  renderebbe,  infatti,  ormai
 inaccettabile ogni tipo di discriminazione che  si  basasse  soltanto
 sul   maggiore   o   minore  numero  degli  appartenenti  alle  varie
 confessioni religiose". L'abbandono del criterio quantitativo,  cosi'
 argomentato  dalla  Corte, significa che in materia di religione, non
 valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza
 di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale  che  sia  la
 confessione  religiosa  di  appartenenza.  Il primo comma dell'art. 8
 della Costituzione trova cosi' la sua piena valorizzazione.
    Il riconoscimento da parte della sentenza n. 925  del  1988  della
 disparita'  di  disciplina,  derivante  dalla "perdurante limitazione
 insita nel dettato dell'art.  724",  e'  dunque  inevitabile,  ma  si
 afferma  che  la  norma  "possa trovare tuttora un qualche fondamento
 nella constatazione,  sociologicamente  rilevante,  che  il  tipo  di
 comportamento  vietato  dalla norma impugnata concerne un fenomeno di
 malcostume divenuto da  gran  tempo  cattiva  abitudine  per  molti",
 aggiungendosi  peraltro  che  incombe  sul  legislatore "l'obbligo di
 addivenire  ad   una   revisione   della   fattispecie".   La   Corte
 costituzionale  ha  cosi'  nuovamente  definito i beni protetti dalla
 norma del codice  penale  (beni  attinenti  l'uno  alla  religione  e
 l'altro  al  buon  costume) e ha ritenuto, per il momento e in attesa
 dell'intervento del  legislatore,  che  le  esigenze  di  tutela  del
 secondo   bene   portassero   ad   escludere   la   declaratoria   di
 incostituzionalita' della norma, pur difettosa sul piano della tutela
 del primo, in ragione dell'imperativo di uguaglianza.
    3.3. - Nella  riconsiderazione  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  724,  primo  comma,  del codice penale cui
 l'ordinanza del Tribunale di Milano chiama la  Corte  costituzionale,
 devono   essere   tenuti   fermi   due  punti  essenziali,  affermati
 nell'ultima giurisprudenza ora richiamata: l'irrilevanza del criterio
 numerico nelle valutazioni costituzionali in nome dell'uguaglianza di
 religione  e l'appartenenza della norma sanzionatrice della bestemmia
 (anche) all'ambito dei reati che attengono alla religione.
    In particolare, non puo' essere condivisa la tendenza - risultante
 da alcune pronunce della giurisdizione penale di  legittimita'  e  di
 merito  -  volta ad attrarre senza residui la norma dell'art. 724 del
 codice penale solo all'ambito dei reati di malcostume. Di tale norma,
 infatti, si perderebbe la ragione d'essere caratteristica - cioe'  la
 sua attinenza alla protezione della sfera della religione - una volta
 che la si volesse intendere nell'ambito esclusivo della maleducazione
 verbale.  Contro, stanno la sua origine, il riferimento testuale alla
 "religione dello Stato", poi mutato  in  riferimento  alla  religione
 cattolica,   e   la   sua   collocazione   sistematica  accanto  alla
 disposizione che punisce il turpiloquio non ulteriormente qualificato
 (art. 726, secondo comma, del codice penale). Si potra' dire  che  la
 bestemmia  -  anche  per  la  nostra  legislazione  -  e'  un atto di
 incivilta'  nei  rapporti  della  vita  sociale  che   non   colpisce
 necessariamente  soltanto  i  credenti, ma non si puo' trascurare che
 esso e' caratterizzato dal suo attenere alla sfera  della  religione.
 La  religione  e  i credenti sono pur sempre cose diverse dalla buona
 creanza e dagli uomini di buona creanza.
    Per  questa  ragione,  i  parametri  costituzionali   invocati   -
 l'uguaglianza di fronte alla legge senza discriminazioni di religione
 (art. 3) e l'uguale liberta' di tutti i culti (art. 8, primo comma) -
 sono  pertinenti.  Da  essi  deve  trarsi  ora  la  conseguenza della
 declaratoria  d'incostituzionalita'  della  norma  che   punisce   la
 bestemmia,  in  quanto  differenzia  la  tutela penale del sentimento
 religioso  individuale  a  seconda  della  fede  professata.  A  tale
 declaratoria,  la  sentenza  n.  925  del 1988 non era per il momento
 pervenuta, in attesa di un intervento del  legislatore  penale  (gia'
 auspicato  fin dalla sentenza n. 14 del 1973) che valesse a sanare la
 discriminazione tra  fedeli  di  diverse  confessioni  religiose.  La
 perdurante  inerzia  del  legislatore  non consente - dopo sette anni
 dall'ultima sentenza, ribadita nei suoi contenuti  dall'ordinanza  n.
 52 del 1989 - di protrarre ulteriormente l'accertata discriminazione,
 dovendosi  affermare  la  preminenza  del principio costituzionale di
 uguaglianza in materia di religione su altre esigenze -  come  quella
 del  buon  costume  tutelato  dall'art.  724 - pur apprezzabili ma di
 valore non comparabile.
    3.4. - La dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 724, primo
 comma, del codice penale deve tuttavia essere circoscritta alla  sola
 parte  nella  quale  esso  comporta  effettivamente  una  lesione del
 principio di uguaglianza. La fattispecie dell'art. 724, primo  comma,
 del  codice penale e' scindibile in due parti: una prima, riguardante
 la  bestemmia  contro  la   Divinita',   indicata   senza   ulteriori
 specificazioni  e  con  un  termine  astratto,  ricomprendente sia le
 espressioni verbali  sia  i  segni  rappresentativi  della  Divinita'
 stessa,  il cui contenuto si presta a essere individuato in relazione
 alle concezioni delle diverse religioni; una seconda, riguardante  la
 bestemmia  contro  i  Simboli  o  le Persone venerati nella religione
 dello Stato. La bestemmia contro la Divinita', come anche la dottrina
 e la giurisprudenza hanno talora  riconosciuto,  a  differenza  della
 bestemmia  contro  i Simboli e le Persone, si puo' considerare punita
 indipendentemente dalla riconducibilita'  della  Divinita'  stessa  a
 questa   o  a  quella  religione,  sottraendosi  cosi'  alla  censura
 d'incostituzionalita'.  Del  resto,  dal  punto  di  vista  puramente
 testuale, ancorche' la  formula  dell'art.  724  possa  indurre  alla
 riconduzione  unitaria  delle nozioni di Divinita', Simboli e Persone
 nella tutela penalistica accordata alla sola "religione dello Stato",
 e' da notarsi che, in senso stretto, il termine "venerati", impiegato
 nell'art. 724, e' propriamente riferibile ai soli Simboli e  Persone.
 Cosicche',  dovendosi  ritenere  che  il  legislatore abbia fatto uso
 preciso e consapevole delle  espressioni  impiegate,  il  riferimento
 alla  "religione dello Stato" puo' valere soltanto per i Simboli e le
 Persone.
    La norma impugnata si presta cosi' ad essere divisa in due  parti.
 Una  parte  -  esclusa  restando ogni valenza additiva della presente
 pronuncia, di per se' preclusa dalla particolare riserva di legge  in
 materia   di   reati   e  di  pene  -  si  sottrae  alla  censura  di
 incostituzionalita', riguardando la bestemmia contro la Divinita'  in
 genere   e  cosi'  proteggendo  gia'  ora  dalle  invettive  e  dalle
 espressioni oltraggiose tutti i credenti e tutte le  fedi  religiose,
 senza  distinzioni  o  discriminazioni, nell'ambito - beninteso - del
 concetto costituzionale di buon costume (artt. 19 e 21, sesto  comma,
 della   Costituzione).   L'altra  parte  della  norma  dell'art.  724
 considera invece la bestemmia contro  i  Simboli  e  le  Persone  con
 riferimento  esclusivo  alla  religione  cattolica,  con  conseguente
 violazione del principio di uguaglianza. Per questa parte, delle  due
 possibilita'  di superamento del vizio rilevato: l'annullamento della
 norma incostituzionale per  difetto  di  generalita'  e  l'estensione
 della  stessa  alle fedi religiose escluse, alla Corte costituzionale
 e' data soltanto la prima, a causa del predetto divieto di  decisioni
 additive in materia penale.
    La  scelta  attuale  del  legislatore  di punire la bestemmia, una
 volta depurata del suo riferimento ad una sola fede religiosa, non e'
 dunque di  per  se'  in  contrasto  con  i  principi  costituzionali,
 tutelando  in  modo non discriminatorio un bene che e' comune a tutte
 le religioni che caratterizzano oggi la nostra  comunita'  nazionale,
 nella quale hanno da convivere fedi, culture e tradizioni diverse.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  724,  primo
 comma, del codice penale, limitatamente alle parole: "o i  Simboli  o
 le Persone venerati nella religione dello Stato".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 1995.
                       Il Presidente: CAIANIELLO
                       Il redattore: ZAGREBELSKY
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 18 ottobre 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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