N. 771 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 1995

                                N. 771
 Ordinanza  emessa  l'11  maggio  1995  dal  tribunale  di   Catanzaro
 sull'istanza proposta da Romeo Giuseppe
 Processo  penale - Misure cautelari personali (nella specie: custodia
    cautelare in carcere) - Consentita omissione della motivazione del
    provvedimento applicativo di detta misura in ordine  al  requisito
    della  "gravita' indiziaria di colpevolezza", dopo l'emissione del
    decreto di rinvio a giudizio - Conseguente impossibilita', in sede
    di riesame di tale atto, del controllo sia formale che sostanziale
    - Violazione dell'obbligo di motivazione degli atti dell'autorita'
    giudiziaria incidenti sulla  liberta'  personale  -  Irragionevole
    disparita'  di  trattamento  tra indagati ed imputati, nonche' tra
    imputati a seconda della fase processuale  in  cui  si  trovino  -
    Compressione del diritto di difesa.
 (C.P.P.  1988,  art. 309, in relazione all'art. 292, secondo comma, e
    425 stesso codice).
 (Cost., artt. 3, 13, secondo comma, 24, secondo comma, e 111, secondo
    comma).
(GU n.47 del 15-11-1995 )
                               IL TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel  procedimento  iscritto  al
 numero  320  del  registro  delle impugnazioni delle misure cautelari
 personali dell'anno 1995, riservato per  la  decisione  alla  udienza
 camerale dell'11 maggio 1995;
   Sulla   richiesta  di  riesame  proposta  nell'interesse  di  Romeo
 Giuseppe, nato a Cassano Jonio il 24 agosto 1955 ed in atto  detenuto
 presso  la  casa  circondariale  di  Catanzaro,  avverso la ordinanza
 applicativa della misura cautelare della custodia in carcere,  emessa
 dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il tribunale di
 Catanzaro in data 12 aprile 1995;
   Sentito  il  difensore,  avv.to  Gaetano  Di  Cunto,  del  foro  di
 Castrovillari;
   Esaminati agli atti di causa;
   Udito il relatore;
   Premette:  con  ordinanza  del  12  aprile 1995 il g.i.p. presso il
 locale tribunale ha disposto l'applicazione della  misura  custodiale
 carceraria   nei  confronti  di  ventisette  imputati  (tra  i  quali
 l'odierno  riesaminante),  per  il  delitto   di   associazione   per
 delinquere  di  stampo  mafioso e per altri delitti specifici, reati,
 tutti, relativamente ai quali e' stato  disposto  rinvio  a  giudizio
 dinanzi  al tribunale di Castrovillari, dallo stesso giudice, come da
 decreto indicato in atti.
   Avverso detta ordinanza e' stata proposta richiesta di  riesame  da
 parte del difensore, con atto del 22 aprile 1995.
   Con  nota  in data 4 maggio 1995 il pubblico ministero ha trasmesso
 gli atti.
   Alla odierna udienza  camerale,  fissata  per  la  trattazione  del
 riesame,  celebrata  in  assenza  del  p.m.,  la  difesa  ha concluso
 insistendo per la declaratoria di nullita' della ordinanza  impugnata
 (con   parziale   bis   in   idem)   e   ha  sollevato  questione  di
 costituzionalita'.
   All'esito il tribunale ha riservato la decisione.
   Rileva:
     A) E' infondata la eccezione di incompetenza del primo giudice.
   Pacifici  i  presupposti  di  fatto  (di  adozione   della   misura
 successivamente  al  disposto  rinvio  a giudizio e di disponibilita'
 degli atti del processo), e'  indubbio  che  la  competenza  rispetto
 all'esercizio del potere cautelare e' determinabile secondo la regola
 del  criterio funzionale e della disponibilita' materiale e giuridica
 del procedimento.
   Anche se il quadro normativo in materia non sembra esauriente  (dal
 momento che: a) l'art. 279 fissa la competenza in capo al giudice che
 procede;  b)  in  materia reale, quanto al sequestro conservativo, e'
 statuito, in particolare, che "prima che gli atti siano trasmessi  al
 giudice  competente, provvede il giudice per le indagini preliminari"
 e,  quanto  al  sequestro  preventivo,  che  provvede   "il   giudice
 competente  a  pronunciarsi  nel  merito";    c) l'art. 91 disp. att.
 individua il giudice competente dalla fase degli atti preliminari  al
 dibattimento  in  poi,  fino alla pronuncia finale), la competenza e'
 regolata, per il profilo che interessa, nel senso che,  nel  transito
 da  un giudizio ad un altro, spetta al giudice che ha provveduto fino
 a che mantiene la disponibilita' degli atti processuali.
   La soluzione, univoca e coerente, perche' espressiva  di  un  ovvio
 principio  (ereditato, tra l'altro dal vecchio sistema), e' stata, da
 ultimo, ribadita dalle  sezioni  unite  della  Cassazione  (sent.  n.
 34752/1994  in data 24 marzo 1995, risolutiva di conflitto tra questo
 tribunale ed il locale ufficio g.i.p.);
     B) Sotto il profilo  di  "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza"
 l'ordinanza impugnata si astiene espressamente dal motivare in ordine
 alla ricorrenza del detto requisito, sul presupposto (pacifico) della
 avvenuta' emissione del decreto  dispositivo del giudizio.
   Orbene,   e'   evidente   come  la  ordinanza,  lungi  dal  potersi
 qualificare come "nulla" ai  sensi  dell'art.  2972.2  lett  c),  del
 codice  di  rito, avvalori la correttezza (enunciativa e sostanziale)
 del  suo  porsi,  in   correlazione   con   il   fermo   orientamento
 giurisprudenziale,  secondo  il  quale: Attesa l'intervenuta modifica
 dell'art. 425 del c.p.p., dal cui testo, per effetto  della  legge  8
 aprile 1993 n. 105, e' stata eliminata la parola "evidente" (riferita
 alla   presenza   delle   condizioni   che,   all'esito  dell'udienza
 preliminare, debbono da luogo al proscioglimento dell'imputato),  che
 deve  ritenersi nuovamente vigente il principio, gia' affermato nella
 vigenza  del  codice  abrogato,  secodo  il   quale,   in   tema   di
 provvedimenti   riguardanti   la  liberta'  personale  dell'imputato,
 l'avvenuto rinvio a  giudizio  di  costui  si  pone  come  motivo  di
 preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni questione
 attinente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (cfr., da
 ultimo,  Cass.  sez.  V,  5 maggio 1994 n. 1652, Bonifati ed altri, a
 conferma di un orientamento prevalente della  Cassazione,  in  specie
 dopo  la abolizione del requisito della "evidenza" probatoria ai fini
 del rinvio a giudizio; cfr., anteriormente e  tra  le  piu'  recenti,
 Cass., sez. V, 17 marzo 1994, Morando e, sez. I,  12 febbraio 1994 n.
 5196, Russo).
   In  linea  con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronuncie che seguono:
     A) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel  caso  in  cui,
 intervenuta  sentenza  di  condanna, questa, in sede di legittimita',
 sia stata annullata  con  rinvio  per  difetto  di  motivazione,  non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I,  7 gennaio 1994, n. 5120, Bontempo Scavo);
     B)  "ΓΏ  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio  a
 giudizio, rimettere in discussione il principio, allorquando  si  sia
 in  presenza  di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso, non
 vengono ad essere in contrasto con la intervenuta decisione"  (Cass.,
 sez. I, 5 febbraio 1994, n. 5257, Mancion).
   La  forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1) la introduzione della  modifica  legislativa  alla  regola  di
 giudizio  per  le emissioni del decreto dispositivo del giudizio, con
 la conseguenza che la soppressione dell'inciso  "evidente"  (dopo  il
 verbo  "risulta")  postulando "la insussistenza di elementi denotanti
 una situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita'  dell'imputato",
 comporta  che  "gli  elementi di colpevolezza, la cui sussistenza per
 definizione normativa, costituisce motivo  di  legittimizzazione  del
 provvedimento  di rinvio a giudizio, si rendono valutabili nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2) la rivalutazione della disciplina del rinvio  a  giudizio  nei
 termini   fissati   dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,  laddove  la
 giurisprudenza era consolidata nell'escludere, una volta  emanata  la
 ordinanza  di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul fondamento
 dell'accusa,  sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e   sulla
 sufficienza   degli   indizi:   conseguentemente,   le  contestazioni
 contenute in tale ordinanza non  erano  modificabili  ai  fini  della
 pronuncia  sulla  liberta'  personale  e quindi non erano sindacabili
 neppure in sede di riesame del relativo provvedimento.
   La forza del principio rende necessitato il ricorso  alla  verifica
 di costituzionalita'.
   La  questione  e'  rilevante  poiche' la norma di cui si segnala la
 incostituzionalita' (il disposto  dell'art.  309  in  relazione  agli
 artt.   292.2   e  425  c.p.p.  nella  parte  in  cui,  alla  stregua
 dell'orientamento esaminato, e' consentito  omettere  la  motivazione
 sul   requisito   di   "gravita'   indiziaria   di  colpevolezza"  e,
 correlativamente,  e'  precluso  ogni  controllo,  sia  formale   che
 sostanziale, sul punto, in sede di riesame) e' di immediata e diretta
 applicazione nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata, in relazione:
     a)   al   disposto   dell'art.   13.2   Cost.,   che   pone  come
 imprescindibile  la  presenza  di   "atto   motivato   dell'autorita'
 giudiziaria",  quale  idoneo  titolo  detentivo,  mentre, nel caso in
 esame, la motivazione sarebbe ex lege superflua;
     b) al disposto dell'art. 111.2 Cost., che salvaguardia la  tutela
 di legittimita', contro i provvedimenti sulla liberta' personale, per
 "violazione   di   legge",   violazione  riscontrabile  vieppiu'  nel
 preliminare controllo di merito, eppure preclusa, nel caso in  esame,
 in  virtu'  di  una  presunzione assoluta di "probabile colpevolezza"
 insita nel decretato rinvio a giudizio;
     c) al disposto dell'art. 3 Cost., per una evidente disparita'  di
 trattamento,   in   contrasto   con   ogni   coerenza  sistematica  e
 ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela del diritto  di
 liberta',  tra  indagati  ed  imputati  ed  anche tra imputati, avuto
 riguardo alla fase processuale  precedente  la  decisione  finale  di
 udienza  preliminare  e  quella  immediatamente successiva, fino alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      la scelta operata dal  p.m.,  del  momento  preocedimentale  nel
 quale  azionare  la  pretesa  cautelare,  e'  insindacabile  e non e'
 motivata da specifiche ragioni o  dalla  sopravvenienza  di  elementi
 nuovi  che ne sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto
 cogente;
      detta scelta si coordina con una decisione preliminare, a  tasso
 garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'   del   dibattimento   si   ripercuote  inevitabilmente  sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  ne'  sul  decreto  di  rinvio   a   giudizio,   notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne'  sulla
 ordinanza   cautelare,   come   si   e'   gia'   notato,  altrettanto
 sinsindacabile nel  primario  e  fondante  requisito  sostanziale  di
 "probabile colpevolezza";
      dal  combinarsi  delle  sue  incontrollabili potesta' (di azione
 cautelare e di provvedimento  conseguente)  puo'  derivare,  come  e'
 certo  quanto  al  caso in esame (posto che gli elementi fattuali non
 erano mutati dopo la richiesta di rinvio a giudizio),  un  verosimile
 "aggiramento"  dell'istituto  del riesame, effettivo nel controllo di
 merito solo su provvedimenti restrittivi antecedenti  al  decreto  ex
 art. 429 c.p.p.;
     d) al disposto dell'art. 24.2 Cost., perche', per le ragioni gia'
 dette,  restringendosi  la  sfera di tutela sulle censure proponibili
 avverso   il   provvedimento   cautelare    impugnato,    ne    resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa in relazione al  bene  primario  della  liberta',  tanto  piu'
 tutelabile,   quanto   piu'  il  sacrificio  di  esso  si  ponga  con
 predominante   efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo    sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   La  involuzione  sistematica  e  di  principi,  che sempre maggiori
 lamentele suscita nella  attuazione  pratica  del  nuovo  codice,  si
 coglie  in  uno  degli  aspetti  piu'  rilevanti  in  relazione  alla
 questione agitata, dal momento che una perisolosa linea  di  tendenza
 nel senso prospettato instaurerebbe una prassi dai risvolti ingiusti,
 incontrollabili   ed   antigarantistici,  tali  da  compromettere  la
 coerenza stessa del modello processuale, con l'ovvia  conseguenza  di
 produrre risultati non di rado insoddisfacenti sul piano della tutela
 sostanziale dei valori coinvolti.
                               P. Q. M.
   Letti  ed  applicati  gli  artt.  1  della  legge  costituzionale 9
 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante nel presente  giudizio  e  non  manifestatamente
 infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 309
 del c.p.p., in relazione agli artt. 292.2 e  425  del  c.p.p.,  nella
 parte  in  cui  precludono,  dopo  il decretato rinvio a giudizio, il
 controllo sulla sussistenza del requisito di "gravita' indiziaria  di
 colpevolezza"  ai fini della legittimita' della ordinanza custodiale,
 in relazione agli artt. 3, 13.2, 24.2 e 111.2 della Costituzione;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera  dei  deputati,
 oltre che alle parti;
   Sospende   il   procedimento   in  corso  e  dispone  la  immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
     Cosi' deciso in Catanzaro, addi' 11 maggio 1995.
                         Il presidente:  Baudi
                                          I giudici:  Talerico - Dolce
 95C1412