N. 482 SENTENZA 23 ottobre - 7 novembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Opere pubbliche - Regioni Emilia Romagna,  Lombardia,  Friuli-Venezia
 Giulia,  Sardegna,  Toscana,  Valle  d'Aosta  e  province autonome di
 Trento e Bolzano - Lavori pubblici di interesse regionale - Procedure
 di assegnazione degli appalti e delle concessioni - Organizzazione di
 uffici - Istituzione di  un'autorita'  di  vigilanza  del  settore  -
 Programmazione   degli   interventi,   progettazione,   collaudo   ed
 esecuzione - Disciplina - Presunta lesione dell'autonomia degli  enti
 - Legge 11 febbraio 1994, n. 109 - Autoqualificazione normativa delle
 disposizioni  - Richiamo alla giurisprudenza della Corte (v. sentenze
 nn.  406, 153, 29 del 1995, 356/1994, 359  e  355  del  1993)  -  Non
 consentito    attribuire    all'autoqualificazione    enunciata   dal
 legislatore un valore ed un'estensione assoluta tale da  assegnare  a
 tutte  le  disposizioni e ad ogni prescrizione normativa il valore di
 principio e di norma fondamentale del settore -  Qualificazione  come
 norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociali  e principi della
 legislazione dello  Stato  "le  disposizioni  della  presente  legge"
 anziche'   solo  "i  principi  desumibili  dalle  disposizioni  della
 presente  legge"  -  Illegittimita'  costituzionale  parziale  -  Non
 fondatezza   -   Cessazione   della  materia  del  contendere  -  Non
 fondatezza.
 
 (Legge 11 febbraio 1994, n. 109 art. 1 comma  2;  legge  11  febbraio
 1994,  n. 109 art. 1 comma 3, art. 1 comma 4, art. 2 comma 2, art.  3
 commi 1, 2 e 6, art. 4 commi 1, 3, 4 lett. f) numero 3 e lett.    h),
 5,  6,  7, 8, 12, 14, 16 e 17, art. 7 commi 1, 2, 3 e 5, art. 8 comma
 8, art. 14 commi 1, 5, 6 e 7, art. 19 comma 1, art. 20 comma 2,  art.
 24 comma 1, art. 6 comma 5, art. 20 comma 4, art. 19 comma 4, art. 21
 comma  1;  d.-l. 3 aprile 1995, n. 101 art. 4-bis, comma 1, lett. a);
 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 giugno 1995, n.
 216).
 
 (Cost., artt. 3, 11, 70, 97, 97 primo comma, 115, 116, 117, 118,  118
 primo  comma,  119,  125;  legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1
 artt. 4 numeri 1 e 9, 8 e 58; d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 artt.  8,
 n.  1  e  17, 16, 54 primo comma n. 5 e 107; legge  costituzionale 26
 febbraio 1948, n. 3 artt. 3, lettere a) ed e),  6,  46  e  56;  legge
 costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 artt. 2 lettere a) ed f), 4, 43
 e 46; legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 artt. 2 e 4).
 
(GU n.47 del 15-11-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Vincenzo CAIANIELLO ;
 Giudici:     avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI,
 dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco
 GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando SANTOSUOSSO, avv.
 Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.
 Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 2, 3
 e 4, 2, comma 2, 3, 4, 6, comma 5, 7, commi 1, 2, 3 e 5, 8, comma  8,
 14,  19,  commi 1 e 4, 20, commi 2 e 4, 21, comma 1, e 24 della legge
 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici)
 e dell'art. 4-bis, comma 1, lettera a), del  decreto-legge  3  aprile
 1995,   n.  101  (Norme  urgenti  in  materia  di  lavori  pubblici),
 convertito in legge, con modificazioni, con la legge 2  giugno  1995,
 n. 216, promossi con ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia,
 Friuli-Venezia  Giulia,  delle  Province  autonome  di  Bolzano  e di
 Trento, delle  Regioni  Sardegna,  Toscana  e  Valle  d'Aosta  (n.  2
 ricorsi),  notificati  il  18  marzo,  il 21 marzo, il 19 marzo (n. 3
 ricorsi) e il 21 marzo 1994 (n. 3  ricorsi)  ed  il  3  luglio  1995,
 depositati in cancelleria il 24 marzo, il 28 marzo (n. 5 ricorsi), il
 29  marzo  e  il  30  marzo  1994  ed  il  12  luglio  1995, iscritti
 rispettivamente ai nn. 31, 33, 34, 35, 36, 37, 38,  39  del  registro
 ricorsi 1994 ed al n. 39 del registro ricorsi 1995;
   Visti  gli  atti  di  costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1995 il Giudice relatore
 Cesare Mirabelli;
   Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco  Mastragostino  per
 la  Regione  Emilia-Romagna,  Maurizio  Steccanella  per  la  Regione
 Lombardia, Sergio Panunzio per le  Regioni  Friuli-Venezia  Giulia  e
 Sardegna  e  per la Provincia autonoma di Trento, Roland Riz e Sergio
 Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano, Vito  Vacchi  e  Fabio
 Lorenzoni  per  la  Regione Toscana, Gustavo Romanelli per la Regione
 Valle d'Aosta e l'avvocato dello Stato  Pier  Giorgio  Ferri  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con separati ricorsi le Regioni Emilia-Romagna (r. ric. n.  31
 del  1994), Lombardia (r. ric. n. 33 del 1994), Friuli-Venezia Giulia
 (r. ric. n. 34 del 1994), le Province autonome di Bolzano (r. ric. n.
 35 del 1994) e di Trento  (r.  ric.  n.  36  del  1994),  le  Regioni
 Sardegna (r. ric. n. 37 del 1994), Toscana (r. ric. n. 38 del 1994) e
 Valle  d'Aosta  (r.  ric. n. 39 del 1994) hanno promosso questioni di
 legittimita' costituzionale in via principale nei confronti di alcune
 disposizioni della legge 11 febbraio 1994, n. 109  (Legge  quadro  in
 materia   di  lavori  pubblici),  denunciando  la  lesione  di  norme
 costituzionali e dei rispettivi statuti speciali, in  relazione  alla
 diversa  sfera  di  autonomia.   Le Regioni a statuto ordinario hanno
 competenza legislativa concorrent   e e  funzioni  amministrative  in
 materia  di  lavori  pubblici di interesse regionale (artt. 117 e 118
 della Costituzione); la Regione  Friuli-Venezia  Giulia  ha  potesta'
 legislativa  primaria  per  i  "lavori pubblici di interesse locale e
 regionale" (art. 4, numero 9, della legge costituzionale  31  gennaio
 1963,  n.  1)  ed  identica  competenza hanno le Province autonome di
 Bolzano e di Trento, con riferimento ai "lavori pubblici di interesse
 provinciale" (art. 8, numero 17, del d.P.R. 31 agosto 1972, n.  670),
 la  Regione  Sardegna,  per i "lavori pubblici di esclusivo interesse
 della Regione" (art. 3, lettera e),  della  legge  costituzionale  26
 febbraio  1948, n. 3), e la Regione Valle d'Aosta, con riferimento ai
 "lavori pubblici di interesse regionale" (art. 2, lettera  f),  della
 legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  4).    Le  ricorrenti
 riconoscono che la legge n. 109  del  1994  innova  profonda    mente
 l'intero  quadro  della  legislazione  in materia di lavori pubblici,
 toccando  aspetti  salienti  della  materia:  l'organizzazione  degli
 uffici,  l'istituzione  di  un'autorita' di vigilanza del settore, la
 programmazione degli interventi,  la  progettazione,  il  collaudo  e
 l'esecuzione,   con   una  disciplina  unitaria  delle  procedure  di
 assegnazione  degli  appalti  e  delle   concessioni.   L'innovazione
 riguarda anche le fonti, giacche' si prevede la delegificazione della
 materia,   con  una  disciplina  rimessa,  in  parte,  alla  potesta'
 regolamentare del Governo.  In questo contesto di ampia  riforma,  le
 ricorrenti  ritengono  che alcune disposizioni specifiche della legge
 quadro sui lavori pubblici ledano l'autonomia ad esse riservata dalla
 Costituzione, e presentino aspetti in contrasto con  direttive  della
 Comunita' europea.
   2.  -  Alcune questioni di legittimita' costituzionale riguardano i
 principi generali della legge n. 109 del 1994. Anzitutto l'art.    1,
 comma  2,  che  qualifica  espressamente  le disposizioni della legge
 stessa quali  "norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociale  e
 principi  della legislazione dello Stato ai sensi degli statuti delle
 regioni a statuto speciale e dell'articolo  117  della  Costituzione,
 anche per il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato".  La
 Regione  Emilia-Romagna  denuncia  questa  norma per violazione degli
 artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione,  giacche'  tutte  le
 disposizioni  della  nuova legge riceverebbero questa qualificazione,
 indipendentemente dal loro reale contenuto di principio.  Inoltre  la
 menomazione   delle   competenze  costituzionalmente  riservate  alle
 regioni sarebbe aggravata per effetto  del  successivo  art.  3,  che
 attribuisce   alla   potesta'  regolamentare  del  Governo,  con  una
 delegificazione da attuare in base all'art. 17, comma 2, della  legge
 23  agosto  1988,  n. 400, la disciplina di larga parte della materia
 dei lavori pubblici; sicche'  i  principi  e  le  norme  fondamentali
 potrebbero  risultare  definiti  non  solo dalle singole disposizioni
 legislative, ma anche dalle connesse integrazioni regolamentari.   La
 Regione Emilia-Romagna deduce anche la violazione dell'art.  11 della
 Costituzione,  in  quanto alcune norme della legge n. 109 del 1994 si
 discosterebbero dalla direttiva 89/440/CEE. Sarebbe  diversa  e  piu'
 restrittiva la nozione di appalto di lavori pubblici; sarebbe esclusa
 la  licitazione  privata  con il criterio dell'offerta economicamente
 piu' vantaggiosa; sarebbero vietate le  varianti  ai  progetti  e  la
 verifica  delle offerte anormalmente basse prima della loro eventuale
 esclusione; non sarebbe consentita  la  procedura  negoziata  per  la
 scelta  del  contraente,  anche  in  casi  nei quali e' ammessa dalla
 normativa comunitaria; vi sarebbe, inoltre,  l'obbligo  di  ricorrere
 alla  licitazione  privata  per  affidare  la  concessione  di lavori
 pubblici. La qualificazione delle disposizioni della legge n. 109 del
 1994  come  di  riforma  economico-sociale,  senza  che  vi  sia   la
 necessaria  rispondenza  nella  natura  effettiva  di  tutte le norme
 contenute nella legge, comporterebbe  un  condizionamento  vincolante
 per  la legislazione delle regioni, impedendo alle stesse di adottare
 norme che  rispettino  pienamente  la  disciplina  comunitaria.    La
 Regione  Lombardia  ritiene che l'art. 1, comma 2, della legge n. 109
 del  1994  comporti,  in contrasto con l'art. 117 della Costituzione,
 una  sostanziale   abrogazione   del   trasferimento   alle   regioni
 dell'intera  materia  "lavori  pubblici  di interesse regionale". Non
 sarebbe giustificata l'emanazione di  norme  statali  autoqualificate
 "di  principio",  in  presenza di numerose disposizioni di dettaglio,
 per le quali non potrebbero invocarsi interessi attinenti, per natura
 e  dimensioni,  all'intera  collettivita'  nazionale.    La   Regione
 Friuli-Venezia  Giulia  denuncia  il contrasto dell'art.  1, comma 2,
 della legge n. 109 del 1994 con l'art. 4,  numero  9,  dello  statuto
 speciale  di  autonomia. La ricorrente, richiamando la giurisprudenza
 costituzionale (sentenza n. 219 del 1984), ritiene che la  natura  di
 riforma  economico-sociale  di una norma non possa essere determinata
 dalla  mera  affermazione  del  legislatore,  dovendo  essere  sempre
 ricercata   nell'oggetto   della  normativa,  nella  sua  motivazione
 politico-sociale,  nel  suo   scopo,   nel   suo   contenuto,   nelle
 modificazioni che essa apporta nei rapporti sociali. Le singole norme
 della  riforma  possono imporsi come limite alla potesta' legislativa
 primaria  solo  se  la  disciplina  si  qualifica  per  il  carattere
 fortemente    riformatore,    ancorato    a   valori   di   rilevanza
 costituzionale, e per  l'introduzione  di  norme  fondamentali  e  di
 principio. In ogni caso deve essere garantito all'autonomia regionale
 un  sufficiente  spazio  normativo  di  adeguamento  dei  principi al
 contesto locale (sentenza n. 1033 del 1988).  Nella legge denunciata,
 invece, accanto a norme di  valenza  riformatric    e,  vi  sarebbero
 numerose  norme  di dettaglio, non idonee per loro natura a vincolare
 la competenza  legislativa  primaria  della  ricorrente.    Anche  le
 Province  autonome  di  Bolzano  e  di  Trento  e la Regione Sardegna
 ritengono che la legge n. 109 del 1994, sebbene si autoqualifichi nel
 titolo  come  "legge  quadro",  contenga  in  realta'  una  normativa
 minuziosa  e dettagliata di numerosi aspetti della materia dei lavori
 pubblici, di competenza delle ricorrenti. Non tutte  le  disposizioni
 della  legge  potrebbero  essere  considerate  norme  fondamentali di
 riforma   economico-sociale,   giacche'   tale   qualificazione   non
 discenderebbe  dalla  definizione  adottata  dal  legislatore, ma dai
 requisiti, indicati dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze nn.
 349 del 1991, 85 del 1990,  1033  del  1988  e  219  del  1984),  del
 carattere  realmente  riformatore della disciplina, dell'incidenza su
 settori di rilevante  importanza  per  la  vita  economico-sociale  e
 sempre  con  riferimento  alle sole norme fondamentali connesse ad un
 interesse  unitario  dello  Stato.    Tra  le  disposizioni  che  non
 rivestirebbero   carattere   di  norme  fondamen    tali  di  riforma
 economico-sociale, ma conterrebbero norme di dettaglio  in  contrasto
 con  la  qualificazione  formale operata dal legislatore, le Province
 autonome di Bolzano e di Trento e la  Regione  Sardegna  indicano  le
 seguenti  disposizioni  della  legge  n. 109 del 1994: l'art.  7, che
 prevede misure per l'adeguamento della funzionalita'  della  pubblica
 amministrazione;  l'art.  8, comma 8, che vieta l'utilizzazione degli
 albi  speciali  o  di  fiducia  delle  imprese  che  eseguono  lavori
 pubblici;  gli  artt.  16  e  17,  che  disciplinano  l'attivita'  di
 progettazione e la redazione dei progetti; l'art. 21, che  disciplina
 i  criteri  di  aggiudicazione  dei  lavori  e  la costituzione delle
 commissioni  giudicatrici;  l'art.  27,   comma   2,   che   riguarda
 l'attivita'  di  direzione dei lavori; l'art. 28, che detta norme sui
 collaudi e sulla vigilanza nella  realizzazione  dei  lavori.    Sono
 inoltre  denunciati  dalle Province autonome di Bolzano e di Trento e
 dalla Regione Sardegna come disposizioni che incidono  sull'autonomia
 provinciale  e  regionale,  anche  per  la  loro  natura  di norme di
 dettaglio, l'art. 19, comma 4, che vieta di determinare a  misura  il
 corrispettivo  dei  lavori  appaltati e, dalla sola Regione Sardegna,
 l'art. 24, che limita, ed in taluni casi vieta, l'utilizzazione della
 procedura negoziata.   Anche la Regione Toscana  denuncia  l'art.  1,
 comma  2,  della  legge  n. 109 del 1994 per violazione dell'art. 117
 della Costituzione, giacche', elevando tutte  le  disposizioni  della
 legge al rango di principi della materia, si vincolerebbe l'esercizio
 dell'autonomia  legislativa  regionale,  riducendola  alla stregua di
 potesta' attuativa, anziche' di tipo concorrente.   La Regione  Valle
 d'Aosta  denuncia  la  stessa  disposizione  per  violazion    e  sia
 dell'art.  116  della  Costituzione  che  dello   statuto   speciale,
 osservando tuttavia che l'autoqualificazione dovrebbe essere priva di
 rilevanza,  perche'  le  norme  che enunciano i principi fondamentali
 possono essere riconosciute soltanto in base  alla  loro  motivazione
 politico-sociale,  al  loro  scopo,  alla  modificazione  che possono
 indurre nei rapporti sociali (sentenza n. 219 del 1984).  La  Regione
 esclude  che  una  normativa di dettaglio, come quella della legge n.
 109 del  1994,  possa  assumere  il  carattere  proprio  delle  norme
 fondamentali    di    riforma   economico-sociale.   Queste   possono
 legittimamente incidere sulla competenza normativa  delle  regioni  a
 statuto  speciale  solo  se  rimangono  nell'ambito  dei  principi  e
 lasciano alle regioni uno spazio normativo sufficiente di adattamento
 alle specifiche realta' locali (sentenza n. 1033 del 1988).  In  ogni
 caso,   non   potrebbero   essere   introdotti  principi  di  riforma
 economico-sociale con un  regolamento  del  Governo,  che  e'  invece
 previsto  quale  strumento  di  delegificazione  in materia di lavori
 pubblici.
   3. - Le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana denunciano,  in
 riferimento  agli artt. 117 e 118 della Costituzione, l'art. 1, comma
 3, della legge n. 109 del 1994, che attribuisce al Governo, ai  sensi
 dell'art.  2,  comma  3,  lettera d), della legge n. 400 del 1988, la
 facolta' di emanare atti di indirizzo e coordinamento  dell'attivita'
 amministrativa  delle  regioni  in conformita' alle norme della legge
 stessa. Sarebbe violato il principio  di  legalita'  sostanziale,  in
 quanto  non  risulterebbero  specificati i presupposti ed i contenuti
 degli atti di indirizzo e coordinamento  da  emanare,  ne'  sarebbero
 individuate  le  esigenze unitarie che devono essere soddisfatte.  Le
 ricorrenti ritengono che la norma potrebbe avere  carattere  ricognit
 ivo   di   un'astratta  competenza,  che  tuttavia  non  puo'  essere
 esercitata in  concreto,  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale
 (sentenza  n.    139  del  1990),  senza  il  fondamento  di  altre e
 specifiche disposizioni legislative. Ma se si ripete una disposizione
 superflua e si prevede l'esercizio  della  funzione  di  indirizzo  e
 coordinamento  "in  conformita'  alle norme della presente legge", si
 verrebbe ad attribuire alla  disposizione  una  portata  direttamente
 operativa,  in  contrasto  con  le  garanzie richieste a salvaguardia
 dell'autonomia regionale.
   4. - La Regione Lombardia denuncia, con  riferimento  all'art.  117
 della  Costituzione,  l'art. 1, comma 4, della legge n. 109 del 1994,
 il quale prevede che le norme della legge stessa non  possono  essere
 derogate, modificate o abrogate se non per dichiarazione espressa con
 specifico  riferimento  a  singole  disposizioni.  Ne  deriverebbe un
 vincolo per  le  regioni  rispetto  all'obbligo  che  esse  hanno  di
 osservare  le  norme comunitarie operative nell'ordinamento giuridico
 italiano. Se venisse modificata la direttiva 89/440/CEE, recepita con
 il decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406, attraverso una nuova
 direttiva autoesecutiva, senza che un formale recepimento  a  livello
 statale  dichiari  espressamente la deroga, modifica o abrogazione di
 una o piu'  specifiche  disposizioni  della  legge  quadro  con  essa
 contrastanti,  le regioni non potrebbero applicare la nuova e diversa
 disciplina comunitaria.
   5. - Le Province autonome di Bolzano  e  di  Trento  e  le  Regioni
 Sardegna  e  Valle d'Aosta denunciano gli artt. 2, comma 2, e 3 della
 legge n. 109 del 1994.   La  prima  di  queste  disposizioni  delinea
 l'ambito  soggettivo  di  applicazione  delle  norme, oltre che della
 legge quadro, del regolamento previsto dall'art. 3, comma 2, al quale
 e' demandata la disciplina dei lavori pubblici  con  riferimento:  a)
 alla  programmazione,  alla progettazione, alla direzione dei lavori,
 al collaudo e alle attivita' di supporto  tecnico-amministrativo  con
 le annesse normative tecniche; b) alle procedure di affidamento degli
 appalti,  delle  concessioni  di lavori pubblici e degli incarichi di
 progettazione; c) alle forme di pubblicita' e di conoscibilita' degli
 atti procedimentali; d) ai rapporti funzionali  tra  i  soggetti  che
 concorrono alla realizzazione dei lavori ed alle relative competenze.
 Il   regolamento   sarebbe  destinato  a  delineare,  con  la  legge,
 l'ordinamento   generale   in   materia   e   ad   attuare   un'ampia
 delegificazione. Difatti la legge prevede che, con effetto dalla data
 di  entrata  in  vigore  del  regolamento,  sono  abrogati  gli  atti
 normativi da esso indicati nella  materia  dei  lavori  pubblici,  ad
 eccezione  delle  norme  della  legislazione  antimafia.   Secondo le
 Province autonome di Bolzano  e  di  Trento  queste  disposizion    i
 sarebbero in contrasto con le competenze provinciali (artt. 8, numeri
 1  e  17,  e  16  dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e
 relative   norme   di   attuazione),   e   lederebbero   i   principi
 costituzionali concernenti il rapporto tra fonti del diritto e quelli
 di   legalita'   e   di   preferenza   della  legge  (art.  70  della
 Costituzione).  La Regione Sardegna prospetta identiche  censure  con
 riferimento  agli  artt.  3,  lettere  a)  ed  e),  e 6 dello statuto
 speciale ed alle relative norme di attuazione, ed all'art.  70  della
 Costituzione.    La  Regione  Valle  d'Aosta denuncia che il previsto
 regolamento determinerebbe la violazione degli artt. 2, lettera f), e
 4  dello  statuto  speciale,   comprimendo   la   propria   autonomia
 legislativa  ed amministrativa.  Le Province autonome di Bolzano e di
 Trento  e  la  Regione  Sardegna  ritengono  in  particolare  che  il
 regolamento  governativo sarebbe applicabile, per effetto delle norme
 denunciate, anche ad esse. La delegificazione in  materia  di  lavori
 pubblici  avrebbe  cosi'  per  oggetto  anche  le  leggi  regionali e
 provinciali, che risulterebbero abrogate dalla  data  di  entrata  in
 vigore  del  regolamento  stesso.    Le  ricorrenti  affermano  che i
 principi costituzionali che  regolano  il  sistema  delle  fonti  non
 consentono  alla legge ordinaria statale di delegificare direttamente
 la legislazione regionale, demandando ad un  regolamento  governativo
 la  facolta'  di  sostituirsi  a  quest'ultima.   Gli stessi principi
 impedirebbero ai regolamenti governativi, come ha gia'  precisato  la
 giurisprudenza   costituzionale   (sentenza  n.  359  del  1993),  di
 intervenire in materie di competenza regionale  o  provinciale  (art.
 17, comma 1, lettera b), della legge n. 400 del 1988).  Le ricorrenti
 denunciano  un  ulteriore vizio di legittimita' costituzio  nale, che
 deriverebbe dalla mancata determinazione, nell'art. 3 della legge  n.
 109  del  1994,  delle  norme  legislative  regolatrici della materia
 delegificata  e   dalla   omessa   indicazione   delle   disposizioni
 legislative,  statali ed eventualmente anche regionali e provinciali,
 abrogate con l'entrata in vigore del regolamento stesso.    Anche  la
 Regione Emilia-Romagna denuncia l'art. 3 della legge n.  109 del 1994
 per  violazione  degli  artt. 117 e 118 della Costituzione.  La norma
 sarebbe viziata in quanto non esclude i lavori pubblici di  interesse
 regionale  dall'ambito  della  potesta'  regolamentare  demandata  al
 Governo. Sebbene non risulti chiarito il rapporto  tra  l'ordinamento
 generale in materia di lavori pubblici, composto dalla legge quadro e
 dal  regolamento,  e la potesta' normativa riservata alle regioni, la
 ricorrente   ritiene   che   l'ambito   attribuito   alla    potesta'
 regolamentare governativa sia talmente ampio e onnicomprensivo da far
 ritenere  che  la  normativa regolamentare si possa riferire anche ai
 lavori  pubblici  di  interesse  regionale.    La  Regione  Lombardia
 denuncia  l'art.  3  della  legge  n.  109  del 1994, con particolare
 riguardo al comma 4, assumendo la violazione degli artt. 115,  117  e
 118  della  Costituzione, sul presupposto che il regolamento abbia la
 forza di abrogare anche le leggi regionali tuttora vigenti in materia
 di lavori pubblici di interesse regionale.  La Regione Friuli-Venezia
 Giulia denuncia l'art. 3 della legge n. 109 del 1994, con riferimento
 all'art. 4, numero 9, della legge costituzionale 31 gennaio 1963,  n.
 1,  ai  principi  costituzionali  relativi ai rapporti tra fonti e al
 principio di legalita', ritenendo  che  si  determini  la  soggezione
 della  potesta'  legislativa  primaria della Regione ad una normativa
 regolamentare.    La  ricorrente  considera  le   norme   legislative
 regionali  prevalenti  sulle  fonti  statali  di rango secondario, ma
 promuove la questione di legittimita' costituzionale per cautela,  in
 quanto la qualifica di norme di riforma economico-sociale di tutte le
 disposizioni    della    legge   quadro   comprenderebbe   anche   la
 delegificazione  e  potrebbe  far   ritenere   che   il   regolamento
 governativo,  componendo  l'ordinamento generale della materia, debba
 essere applicato in un complesso  normativo  riformatore  anche  alla
 ricorrente. Ma, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n.
 359  del 1993), un regolamento governativo non puo' intervenire nelle
 materie di competenza regionale.  La disposizione denunciata  sarebbe
 viziata  anche  perche'  non conterreb   be l'indicazione delle norme
 generali regolatrici della materia delegificata, che  il  regolamento
 dovra'  rispettare,  ne'  preciserebbe quali disposizioni legislative
 saranno abrogate per effetto dell'entrata in vigore  del  regolamento
 stesso.   La Regione Toscana denuncia l'art. 3, commi 1, 2 e 6, della
 legge  n.  109  del  1994  con   riferimento   all'art.   117   della
 Costituzione,  osservando  che  i  limiti  alla  potesta' legislativa
 regionale possono essere stabiliti soltanto  con  legge.  Secondo  la
 giurisprudenza    costituzionale,    i    regolamenti   non   possono
 legittimamente contenere  la  disciplina  di  materie  di  competenza
 regionale  (sentenze nn. 97 del 1992; 465, 391 e 204 del 1991) e sono
 ammessi  solo  quando  hanno  un  contenuto  tecnico,  tale  da   non
 coinvolgere scelte ed indirizzi politico-amministrativi.
   6.  -  Viene anche denunciata l'illegittimita' costituzionale della
 disposizione che istituisce l'Autorita' per la vigilanza  sui  lavori
 pubblici,  chiamata  a  garantire  l'osservanza  dei principi fissati
 dall'art. 1, comma 1, della legge n. 109 del  1994.  L'art.  4  della
 legge   quadro   disciplina   la   composizione,  le  attribuzioni  e
 l'organizzazione del nuovo  organismo.    La  Regione  Emilia-Romagna
 denuncia  questa  disposizione  per violazione degli artt. 117, primo
 comma, 118, primo comma, 125 e 97, primo comma,  della  Costituzione,
 giacche' le regioni verrebbero sottoposte alla potesta' di vigilanza,
 di  ispezione  e sanzionatoria attribuita all'Autorita' in materia di
 lavori  pubblici,  compresi  quelli  di  interesse  regionale.     Il
 carattere  statale  dell'attivita'  che  l'Autorita'  svolge  sarebbe
 dimostrato dal suo incardinamento nell'ambito  della  Presidenza  del
 Consiglio  dei ministri, dall'essere il personale dipendente statale,
 dalla  dipendenza  economica  dall'amministrazione   statale,   dalla
 disciplina  con  atto  regolamentare  governativo  delle modalita' di
 esercizio della vigilanza. Le regioni non sarebbero invece  coinvolte
 nella  costituzione e nella gestione dell'Autorita', ai cui poteri di
 controllo, ispezione, acquisizione di documenti e denuncia  sarebbero
 tuttavia  sottoposte.    La  Regione  Emilia-Romagna  non contesta il
 principio di un controllo  sull'attivita'  di  gestione  delle  opere
 pubbliche, ma ritiene che anche le regioni dovrebbero essere chiamate
 a  partecipare all'organizzazione ed all'esercizio del controllo, che
 non puo' avere carattere solo statale.   Anche la  Regione  Lombardia
 denuncia l'art. 4 della legge 109 del 1994 (in particolare i commi 1,
 3, 4, lettera f), numero 3, e lettera h), 5, 7, 8 e 17), deducendo il
 contrasto  con  gli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione. La nuova
 Autorita' per la vigilanza sui lavori  pubblici  non  prevede  alcuna
 partecipazione  delle  regioni, ne' forme di consultazione per la sua
 composizione  o  per  la  costituzione  ed  il  funzionamento   delle
 strutture  da essa dipendenti. L'Autorita' avrebbe le caratteristiche
 di un organo centrale dello  Stato,  con  la  facolta'  di  comminare
 sanzioni  disciplinari,  previste  dall'ordinamento per gli impiegati
 dello Stato,  anche  a  soggetti  appartenenti  alle  amministrazioni
 regionali.  Ne  deriverebbe l'invasione delle competenze regionali in
 materia di ordinamento degli uffici. Anche altri  poteri  e  funzioni
 dell'Autorita',  tra  i quali l'accertamento che dalla esecuzione dei
 lavori  non  sia  derivato  pregiudizio  per  il   pubblico   erario,
 lederebbero   le   attribuzioni   costituzionalmente  riservate  alle
 regioni.  La Regione Friuli-Venezia Giulia denuncia l'art.  4,  commi
 6, 8, 12 e 17, della legge n. 109 del 1994, in riferimento agli artt.
 4,  numeri 1 e 9, e 58 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.
 1.  La  disposizione  denunciata  sarebbe  invasiva  della  sfera  di
 autonomia  legislativa  ed  amministrativa  regionale  in  materia di
 ordinamento degli uffici, di disciplina dell'attivita' del  personale
 regionale  e  di  lavori  pubblici  di  interesse locale e regionale.
 Sarebbe lesivo in particolare il potere dell'Autorita' di  richiedere
 informazioni,  documenti  o  chiarimenti, di disporre ispezioni sulle
 amministrazioni  aggiudicatrici,  anche  regionali,  e  di  comminare
 sanzioni   disciplinari  in  applicazione  dell'ordinamento  per  gli
 impiegati dello Stato.  La Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene  che
 si sia in presenza di una nuova forma di controllo, diversa da quella
 statutariamente   prevista  ed  in  contrasto  con  il  principio  di
 tassativita' degli istituti e delle forme  di  controllo  sugli  atti
 delle   regioni,   che   possono   essere  stabiliti  solo  da  norme
 costituzionali. Il controllo affidato all'Autorita' per la  vigilanza
 sui  lavori pubblici non si sostituirebbe a quelli gia' esistenti, ma
 si affiancherebbe ad essi, essendo rivolto  non  a  singoli  atti  ma
 all'insieme  delle  attivita'  nel settore.   Le Province autonome di
 Bolzano e di Trento denunciano l'art. 4 della legge n. 109  del  1994
 per  violazione  dello  statuto  speciale  per il Trentino-Alto Adige
 (artt. 8, numeri 1 e 17, 16, 54, primo comma,  numero  5,  e  107)  e
 delle relative norme di attuazione. Identica questione e' prospettata
 dalla  Regione  Sardegna  con riferimento agli artt. 3, lettera a) ed
 e), 6, 46 e 56 dello  statuto  speciale  e  alle  relative  norme  di
 attuazione.    La disciplina stabilita dall'art. 4 della legge n. 109
 del  1994  sarebbe  nel  suo  complesso   lesiva   delle   competenze
 costituzionalmente  riservate  alle  ricorrenti  in materia di lavori
 pubblici e di ordinamento degli uffici e del relativo personale. Essa
 sarebbe inoltre in contrasto sia con  il  regime  costituzionale  dei
 controlli  sugli  atti  delle  Province autonome e della Regione, che
 sono riservati alla Corte dei conti, sia con il regime dei  controlli
 sugli  enti  locali.  Questo  assetto  non  potrebbe  essere alterato
 neanche da  leggi  di  riforma  economico-sociale,  che  non  possono
 modificare gli organi titolari ne' i tipi di controllo previsti dallo
 statuto  e  dalle relative norme di attuazione.  L'art. 4 della legge
 n. 109 del 1994 inciderebbe sull'autonomia delle ricorrenti la'  dove
 prevede  il potere dell'Autorita' di chiedere informazioni, documenti
 e chiarimenti o di disporre ispezioni  a  carico  di  amministrazioni
 aggiudicatrici  e  di ogni ente; sarebbe inoltre lesivo nel prevedere
 l'applicazione di sanzioni disciplinari (comma 8), lo svolgimento  di
 accertamenti  ed  indagini  ispettive con denuncia di responsabilita'
 per amministratori e pubblici dipendenti (comma 12), e  nel  disporre
 l'obbligo  di  trasmettere  entro tempi stretti una numerosa serie di
 atti delle procedure di appalto, prevedendo una  sanzione  pecuniaria
 in  caso  di  inosservanza  (comma  17).   Nei ricorsi si sottolinea,
 inoltre, l'irrazionalita' di una norma che colpisce con  le  sanzioni
 disciplinari stabilite per gli impiegati dello Stato le infrazioni ad
 obblighi  previsti  dalla  stessa  legge  ma  commesse  da dipendenti
 regionali o provinciali,  per  i  quali  la  materia  delle  sanzioni
 disciplinari e' gia' disciplinata da leggi adottate nell'ambito della
 speciale  autonomia.   La Regione Toscana denuncia l'art. 4, commi 1,
 6, 14, 16 e 17, della legge n. 109  del  1994  per  violazione  degli
 artt.  117,  118,  125,  3  e  97 della Costituzione.   La ricorrente
 sostiene che i poteri ispettivi rimessi all'Autorita' comporterebbero
 interferenze nell'azione amministrativa ed una forma di controllo non
 previste  da  alcuna  norma  costituzionale.  La  creazione   di   un
 Osservatorio  dei lavori pubblici alle dipendenze dell'Autorita', con
 sezioni  regionali  presso  i  provveditorati  regionali  alle  opere
 pubbliche,  si  sovrapporrebbe  agli osservatori gia' istituiti dalle
 regioni, con una duplicazione di compiti che renderebbe questi ultimi
 marginali e subalterni, in violazione  di  competenze  amministrative
 riservate  alle regioni in materia e dei principi di ragionevolezza e
 di buon andamento della  pubblica  amministrazione.  Inoltre  sarebbe
 lesivo    l'obbligo    previsto    per   tutte   le   amministrazioni
 aggiudicatrici, comprese le regioni, di  comunicare  all'Osservatorio
 tutti  i  dati  relativi  ai  lavori  pubblici di importo superiore a
 80.000  ECU,  obbligo  rafforzato  da  una  sanzione   amministrativa
 applicata  direttamente  dall'Autorita'  ai  soggetti che omettano le
 comunicazioni o le diano non veritiere.   La  Regione  Valle  d'Aosta
 denuncia  l'art. 4 (in particolare i commi 6 e 17) della legge n. 109
 del 1994 per violazione dello statuto speciale. La sfera di autonomia
 regionale   sarebbe   intaccata   dall'introduzione   di   controlli,
 particolarmente   incisivi   e  sistematici,  delineati  dalla  norma
 impugnata, che prevede anche ispezioni sull'attivita' regionale.   Si
 tratta  di  controlli non compresi tra quelli tassativamente previsti
 dallo statuto, che assoggetta  l'attivita'  amministrativa  regionale
 esclusivamente al controllo della Commissione di coordinamento, i cui
 componenti  sono  di  designazione  in  parte  statale  ed  in  parte
 regionale, mentre tutti i membri  dell'Autorita'  sono  nominati  dal
 potere centrale.
   7. - Le Regioni Emilia-Romagna e Toscana denunciano, in riferimento
 all'art.  118  della  Costituzione, l'art. 6, comma 5, della legge n.
 109 del 1994,  che  prevede  il  parere  obbligatorio  del  Consiglio
 superiore  dei lavori pubblici su tutti i progetti di opere pubbliche
 di importo superiore a 100 milioni di ECU  e  su  quelli  di  importo
 inferiore  per  i quali il parere sia richiesto dall'Autorita' per la
 vigilanza.  Questa disposizione non eccettuerebbe dal  proprio  campo
 di  applicazion    e  le  regioni,  che  verrebbero  inserite  in  un
 meccanismo amministrativo tipicamente statale.
   8. - La Regione Friuli-Venezia Giulia denuncia l'art. 7, commi 1, 2
 e 3, della legge n. 109 del 1994 per violazione dell'art.  4,  numero
 1,  della  legge  costituzionale  31  gennaio  1963,  n. 1. L'obbligo
 previsto della disposizione denunciata di nominare, nell'ambito della
 struttura tecnica  ed  amministrativa  di  tutte  le  amministrazioni
 aggiudicatrici   di   lavori  pubblici,  un  unico  responsabile  del
 procedimento  per  le  diverse  fasi  della   programmazione,   della
 progettazione,  dell'affidamento  e  dell'esecuzione  dei  lavori  e'
 ritenuto  dalla  ricorrente   invasivo   della   propria   competenza
 legislativa  primaria  nella  disciplina dell'attivita' del personale
 regionale e del proprio assetto organizzativo. Questo  e'  articolato
 in  direzioni,  servizi ed uffici e non rende possibile incaricare un
 unico soggetto delle  responsabilita'  indicate  unitariamente  dalla
 legge.    Le  disposizioni  denunciate  detterebbero  una  disciplina
 irrazionale ed illogica perche' i compiti amministrativi, di  cui  si
 richiede  la  conduzione  unitaria da parte di un unico responsabile,
 risulterebbero funzionalmente attribuiti a  dipendenti  regionali  di
 diverse  qualifiche  e  profili  professionali.  Inoltre  il  comma 3
 dell'art. 7 sarebbe illegittimo anche perche' rinvia  al  regolamento
 per    identificare   ulteriori   funzioni   del   responsabile   del
 procedimento.  La Regione Toscana denuncia l'art. 7,  commi  1  e  2,
 della  legge  n. 109 del 1994, per violazione della propria autonomia
 organizzativa, garantita dall'art.  117  della  Costituzione,  ed  il
 comma  3  per  il  rinvio  che  esso fa alla disciplina regolamentare
 prevista dall'art.  3 della stessa legge.  La Regione  Valle  d'Aosta
 denuncia  l'art.  7, comma 1, della legge n. 109 del 1994, sostenendo
 che questa disposizione incida  sulle  competenze  amministrative  ad
 essa  attribuite in via esclusiva, limitando la potesta' regionale di
 organizzare i propri uffici (artt. 2, lettera a), e 4  dello  statuto
 speciale).
   9.  -  La Regione Emilia-Romagna, deducendo la violazione dell'art.
 118  della   Costituzione,   promuove   questione   di   legittimita'
 costituzionale nei confronti dell'art. 7, comma 5, della legge n. 109
 del  1994,  che prevede per le opere pubbliche di rilievo nazionale o
 di iniziativa di amministrazioni statali, comprese nel  programma  di
 settore  e  per le quali siano immediatamente utilizzabili i relativi
 finanziamenti, l'acquisizione delle intese con lo  Stato  nell'ambito
 della  conferenza  di  servizi,  ove queste non si siano perfezionate
 entro  60  giorni  dalla   richiesta   dell'amministrazione   statale
 competente.  La ricorrente ritiene che l'art. 7, comma 5, della legge
 n.  109  del  1994 trasferisca l'intesa tra Stato e regione, prevista
 dall'art.    81  del  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616,  dal  piano
 politico-costituzionale  al  piano amministrativo della conferenza di
 servizi  e  di   conseguenza   riduca   le   garanzie   di   autonoma
 determinazione  regionale. Difatti, in caso di mancato raggiungimento
 dell'intesa in sede di conferenza di servizi, l'opposizione regionale
 potrebbe essere superata con deliberazione del Consiglio dei ministri
 (art. 14, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990,  n.  241,  aggiunto
 dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537), senza che sia piu'
 necessario  il parere della Commissione parlamentare per le questioni
 regionali.  Analoga censura nei confronti dell'art. 7, comma 5, della
 legge n.  109  del  1994  e'  proposta  dalla  Regione  Toscana,  che
 prospetta  anche  la violazione del principio di leale collaborazione
 tra Stato e regioni, piu' volte enunciato dalla Corte  costituzionale
 (sentenze n. 462 del 1992; nn. 464 e 37 del 1991).
   10.  -  La Regione Lombardia impugna l'art. 8, comma 8, della legge
 n. 109 del 1994, che vieta l'utilizzazione  di  albi  speciali  o  di
 fiducia  per  l'affidamento  di  lavori  pubblici,  e  prevede che, a
 decorrere dal 1 gennaio 1997, i lavori stessi possono essere eseguiti
 esclusivamente da soggetti qualificati secondo i criteri previsti dai
 commi 2 e 3 dello stesso art. 8.  La ricorrente deduce la  violazione
 degli   artt.   117  e  118  della  Costituzione,  ritenendo  che  le
 disposizioni  denunciate  sottraggano  alle  amministrazioni  ed   al
 legislatore   regionale   ogni   scelta   preliminare,   operativa  e
 strumentale, escludendo la preselezione mediante albi ed elenchi,  in
 gran parte gia' istituti in base a leggi regionali vigenti.
   11. - La Regione Emilia-Romagna denuncia, in riferimento agli artt.
 117,  primo  comma,  118,  primo  comma,  e  119,  primo comma, della
 Costituzione, l'art. 14, commi 5, 6 e 7, della legge n. 109 del 1994,
 che  disciplina  la  programmazione  dei   lavori   pubblici.      La
 disposizione  denunciata  affida  al  Ministro dei lavori pubblici il
 compito di definire con proprio  decreto,  entro  centottanta  giorni
 dalla data di entrata in vigore della legge quadro, lo schema tipo di
 programma  triennale (comma 5); prevede, come regola generale, che le
 pubbliche amministrazioni non possono concedere finanziamenti per  la
 realizzazione  di lavori e opere pubbliche non compresi nei programmi
 o quando la  richiesta  non  ne  rispetti  le  priorita'  (comma  6);
 stabilisce, infine, che le amministrazioni aggiudicatrici non possono
 alterare   l'ordine   di  priorita'  degli  interventi  indicato  nel
 programma, salvo che non si tratti di  modifiche  imposte  da  eventi
 imprevedibili  o  calamitosi  ovvero  da nuove disposizioni normative
 (comma 7).  Secondo la ricorrente, lo schema di  programma  triennale
 elaborato dal Ministro dei lavori pubblici (art. 14, comma 5) sarebbe
 vincolante  anche  per  le regioni, incidendo, senza alcuna razionale
 giustificazione, sulla potesta' amministrativa  e  legislativa  delle
 regioni.  Parimenti illegittimi sarebbero i commi 6 e 7 dell'art. 14:
 essi limiterebbero l'autonomia legislativa e  finanziaria  regionale,
 irrigidendo  i  criteri  di  programmazione  oltre  ogni  misura,  in
 relazione  sia  ai  finanziamenti,  sia   piu'   in   generale   alla
 possibilita'   di   realizzare   opere   pubbliche.      La   Regione
 Emilia-Romagna rivendica  alla  propria  responsabilita'  politica  e
 amministrativa  la definizione dei programmi e, in relazione ad essi,
 la determinazione dell'ordine di  priorita'  nelle  realizzazioni  di
 opere  pubbliche  e  nei  connessi  aspetti  finanziari.   La Regione
 Lombardia promuove questione di legittimita'  costituzionale    ,  in
 riferimento  agli  artt.  117 e 118 della Costituzione, oltre che dei
 commi 5, 6 e 7, anche del comma 1 dell'art. 14 della legge  n.    109
 del  1994.  Quest'ultima  disposizione prevede che le amministrazioni
 aggiudicatrici   approvino,   anche    nell'ambito    di    documenti
 programmatori  gia' contemplati dalla normativa vigente, il programma
 dei lavori pubblici da eseguire nel triennio, distinto per settori  e
 compiuto,   sia  sotto  il  profilo  finanziario  (indicazione  delle
 risorse) che sotto il profilo tecnico (disponibilita' del  progetto).
 Lo  strumento  programmatico deve altresi' indicare le finalita' ed i
 tempi di realizzazione degli interventi, i quali vanno  scelti  sulla
 base  di  una  valutazione  dei  costi  e dei benefici che ne attesti
 l'utilita'  e  la  convenienza.    E'  riconosciuta  priorita'   agli
 interventi  di  manutenzione e di recupero del patrimonio pubblico ed
 ai lavori di completamento  di  opere  gia'  iniziate.    Secondo  la
 ricorrente,  l'art.  14  della legge n. 109 del 1994, imponend  o uno
 specifico programma, anche in  deroga  agli  strumenti  programmatori
 gia'    previsti    dalla    normativa   vigente,   rivelerebbe   una
 riappropriazione  allo  Stato  di  funzioni  in  questo   settore   e
 comporterebbe   la  sostanziale  soppressione  di  una  materia  gia'
 trasferita alle regioni.  Anche il carattere vincolante del programma
 sarebbe illegittimo, perche' impedirebbe che  in  capo  alle  regioni
 residuino,  nella materia dei lavori pubblici di interesse regionale,
 spazi per determinazioni volitive aggiuntive.    La  Regione  Toscana
 denuncia  l'art. 14 della legge n. 109 del 1994 per contrasto con gli
 artt. 117 e 118 della Costituzione, in riferimento all'art.  3  della
 legge  8  giugno  1990,  n.  142.  La disposizione denunciata sarebbe
 lesiva del ruolo delle regioni quali  enti  di  programmazione  nella
 materia delle opere pubbliche di interesse regionale. L'art.  3 della
 legge  n.  142  del  1990,  riconoscendo la competenza programmatoria
 regionale,  che  ha  fondamento  costituzionale,   comporterebbe   la
 rinuncia  da  parte  dello  Stato  ad  intervenire  ulteriormente nel
 prevedere e  definire  atti  programmatori  degli  enti  locali,  per
 evitare  interferenze  con  la nuova funzione regionale.   La Regione
 Toscana osserva, inoltre, che l'art. 3, comma 4, della legge  n.  142
 del  1990, per l'attuazione dei programmi degli enti locali, compreso
 il settore dei lavori pubblici, prevede meccanismi  di  finanziamento
 integrato,  statale  e  regionale, governati dalle regioni. L'art. 14
 della legge quadro configurerebbe invece un rapporto diretto tra ente
 locale ed ente erogatore del finanziamento, non mediato dalle  scelte
 programmatiche   compiute   nel  sistema  delle  autonomie  locali  e
 regionali, ed  indebolirebbe  la  programmazione  regionale,  il  cui
 effetto   propulsivo   e   di   indirizzo   dovrebbe  necessariamente
 organizzarsi intorno a scelte di sintesi  rispetto  alle  frammentate
 necessita' dei singoli enti locali.
   12.  - La Regione Emilia-Romagna denuncia l'art. 19, comma 1, della
 legge n. 109 del 1994, che definisce i contratti di appalto di lavori
 pubblici come quei contratti che hanno per  oggetto  l'esecuzione  di
 lavori  da  parte  dell'impresa  contraente sulla base di un progetto
 esecutivo,  ad  eccezione  di  quelli  riguardanti  la   manutenzione
 periodica    e    gli   scavi   archeologici.   Questa   disposizione
 restringerebbe la nozione di appalto di lavori  pubblici,  offrendone
 una  definizione  meno  ampia  di  quella  prevista  dalla  normativa
 comunitaria, che li definisce come i contratti che hanno per  oggetto
 l'esecuzione,  o  congiuntamente  l'esecuzione e la progettazione, di
 lavori,  oppure  l'esecuzione  di  un'opera  rispondente  ai  bisogni
 specificati   dall'amministrazione   aggiudicatrice   (art.  1  della
 direttiva 89/440/CEE).  Ne deriverebbe una violazione degli artt. 11,
 117, primo comma, e 118, primo  comma,  della  Costituzione,  perche'
 sarebbe  ristretta la liberta' dell'amministrazione aggiudicatrice di
 comprendere nell'appalto anche, in tutto o in parte,  l'attivita'  di
 progettazione.  Questa  limitazione  sarebbe  superabile solo in casi
 eccezionali, per opere con  caratteristiche  particolari,  ricorrendo
 all'appalto-concorso,  o attraverso la concessione (ex art. 19, comma
 2), che e' ammessa solo se alla costruzione  si  unisce  la  gestione
 dell'opera.
   13.  - La Regione Emilia-Romagna denuncia l'art. 20, comma 2, della
 legge n. 109 del 1994, che prevede l'attribuzione  delle  concessioni
 di  lavori  pubblici  solo mediante licitazione privata, deducendo la
 violazione degli artt. 11, 117, primo  comma,  e  118,  primo  comma,
 della  Costituzione.  Oltre alla lesione dell'autonomia regionale, si
 verificherebbe un contrasto con il diritto  comunitario,  che  lascia
 libera  la  forma  della  gara  (direttiva  89/440/CEE),  sia  per il
 carattere fiduciario della concessione, sia perche' il concessionario
 e' tenuto al rispetto delle procedure di gara per appaltare a terzi i
 lavori.
   14. - Le Regioni Emilia-Romagna e  Toscana  denunciano  l'art.  20,
 comma  4,  della  legge  n.  109  del  1994, che, senza eccettuare le
 regioni  dal  proprio  ambito  di  applicazione,  prevede  il  parere
 obbligatorio e vincolante del Consiglio superiore dei lavori pubblici
 per affidare lavori pubblici mediante appalto-concorso. Viene dedotto
 il  contrasto  con  l'art.  118,  primo comma, della Costituzione, in
 quanto le regioni sarebbero sottoposte ad  un  potere  amministrativo
 statale  e la loro azione dipenderebbe dalla valutazione di un organo
 statale.
   15. - La Regione Emilia-Romagna denuncia l'art. 21, comma 1,  della
 legge n. 109 del 1994, che esclude l'aggiudicazione della licitazione
 privata  con il criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa
 e la presentazione di varianti  progettuali.    Viene  denunciata  la
 violazione degli artt. 11, 118, primo comma, e 97, primo comma, della
 Costituzione,  in quanto la disciplina nazionale sarebbe in contrasto
 con la normativa europea e sarebbero lesi l'autonomia delle  regioni,
 quali   amministrazioni  aggiudicatrici,  ed  il  principio  di  buon
 andamento dell'amministrazione.  La Regione  Emilia-Romagna  denuncia
 anche  l'art.  21,  comma  1, secondo periodo, della legge n. 109 del
 1994 in quanto, in  violazione  dell'art.    11  della  Costituzione,
 vieterebbe   all'amministrazione   di   verificare  ed  eventualmente
 escludere le offerte anormalmente  basse.  La  normativa  comunitaria
 prevede  che l'amministrazione aggiudicatrice proceda ad una verifica
 in  contraddittorio  delle  offerte  anomale,  per decidere in ordine
 all'ammissibilita' delle  stesse.  Questa  procedura  salvaguarda  le
 ragioni   dell'impresa   che  sia  in  grado,  per  la  sua  migliore
 organizzazione o per la tecnologia adottata, di  fornire  prestazioni
 al  prezzo  inferiore; protegge anche l'amministrazione da offerte al
 ribasso presentate solo per ottenere l'aggiudicazione dei lavori.  La
 norma  denunciata, anziche' ricorrere a questo meccanismo di concreta
 verifica,  prevederebbe  una  soluzione,  considerata  meccanica   ed
 aprioristica,   di  solo  aumento  dell'importo  della  garanzia  che
 l'impresa deve prestare.
   16. - La Regione Emilia-Romagna denuncia l'art. 24, comma 1,  della
 legge  n.  109  del  1994,  in  quanto  inibisce  all'amministrazione
 aggiudicatrice di utilizzare la procedura negoziata per  gli  appalti
 di  importo  superiore  a  5  milioni  di  ECU; procedura consentita,
 invece, in taluni casi,  dalla  normativa  europea.  La  disposizione
 denunciata  violerebbe  gli  artt.  11, 118, primo comma, e 97, primo
 comma, della Costituzione.  La ricorrente ritiene illegittimo che per
 impedire fenomeni degenerati   vi si privino  indiscriminatamente  le
 amministrazioni  di strumenti necessari, se bene usati, per una buona
 e corretta amministrazione.  Analoga denuncia e' rivolta all'art. 24,
 comma 1, lettera b), della  legge  n.  109  del  1994  dalla  Regione
 Toscana,  che  tuttavia  prospetta  la  questione  di legittimita' in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione,  sotto  il  profilo  della
 ragionevolezza,   giacche'   la  disposizione  non  permetterebbe  la
 trattativa privata nei casi in  cui  la  stessa  e'  consentita,  per
 importi notevolmente superiori, dalla normativa comunitaria.
   17.  -  In  tutti  i  giudizi  si  e'  costituito il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale   dello  Stato,  chiedendo  che  tutte  le  questioni  siano
 dichiarate non fondate.  L'Avvocatura ritiene che la legge n. 109 del
 1994  esprima   un   complesso   normativo   fortemente   innovativo.
 L'interpretazione delle singole disposizioni dovrebbe, quindi, essere
 centrata sui principi-guida che ordinano e governano l'intero sistema
 normativo,  alla  luce dei quali occorrerebbe leggere ed applicare le
 disposizioni settoriali, in modo da garantire una coerenza d'insieme,
 ritenuta indispensabile per il conseguimento degli obiettivi  che  la
 legge  si  propone  per tutto il settore degli appalti pubblici.  Con
 riferimento alle questioni di  legittimita'  costituzionale  concerne
 nti l'art. 1, comma 2, della legge 109 del 1994, l'Avvocatura ritiene
 che   la   qualificazione  delle  disposizioni  di  essa  come  norme
 fondamentali di riforma economico-sociale e come norme  di  principio
 della   legislazione   dello   Stato   valga   per   quanto   risulta
 effettivamente rispondente alla portata riformatrice ed ai  contenuti
 del  provvedimento.  La  valutazione  data dal legislatore troverebbe
 pieno conforto nei criteri di giudizio elaborati ed  applicati  dalla
 giurisprudenza   della  Corte  costituzionale.    La  legge  nel  suo
 complesso si colloca in una prospettiva di  attuazione  dell'art.  97
 della  Costituzione.  L'art.  1, comma 1, della legge, stabilendo che
 nella costruzione delle opere pubbliche va perseguita l'efficienza  e
 l'efficacia  dell'azione  amministrativa,  che  puo' essere raggiunta
 solo con procedure corrette e  trasparenti,  rispettose  del  diritto
 comunitario  e  della  liberta'  di concorrenza, si richiama a valori
 giuridici di grande importanza  economico-sociale,  che  trovano  ora
 piena  ed efficace realizzazione nel settore dei lavori pubblici.  Si
 realizza,  cosi',  un mutamento di prospettiva nella disciplina di un
 settore di  vitale  interesse  per  l'economia  e  per  il  benessere
 sociale,   in  linea  con  i  criteri  dettati  dalla  giurisprudenza
 costituzionale per la qualifica  di  norme  fondamentali  di  riforma
 economico-sociale.    La  potesta'  delle  regioni  e  delle province
 autonome di sviluppare  un'autonoma  politica  di  realizzazione  nel
 territorio  di  infrastrutture e di opere occorrenti ai bisogni della
 collettivita' locale non sarebbe toccata dalla legge n. 109 del 1994,
 che interverrebbe soltanto nella disciplina della fase terminale,  in
 cui gli atti di gestione del settore devono tradursi nella formazione
 di  un  progetto  di  concessione o di un contratto d'appalto e nella
 conseguente apertura di un confronto  con  il  libero  mercato  delle
 imprese.    In  questa  fase,  la  dimensione regionale o provinciale
 dell'interesse alla realizzazione delle opere incrocerebbe  interessi
 di   rilevanza   nazionale,   che  esigono  una  concomitante  e  non
 subordinata soddisfazione.    L'Avvocatura  ritiene  non  fondata  la
 censura  che  ravvisa  nell'art.   1, comma 3, della legge n. 109 del
 1994 una lesione del principio di legalita' sostanziale.  L'esercizio
 della   funzione   di   indirizzo  e  coordinamento  sarebbe  infatti
 sufficientemente sorretto e vincolato dai contenuti precettivi  della
 legge  e  dalla  finalita' di rendere operanti i nuovi principi anche
 negli ambiti amministrativi regionali.  Le questioni di  legittimita'
 costituzionale concernenti l'art.  3 della legge quadro sarebbero non
 fondate, perche' la prevista integrazione regolamentare risponderebbe
 ad  un  corretto  impiego  della  fonte  secondaria,  in  conformita'
 dell'art.  17  della  legge  n.  400  del  1988.  In  particolare  la
 delegificazione  sarebbe  ancorata ad un'ampia base di norme primarie
 generali e non sarebbe violato il  limite  costituito  dalla  riserva
 assoluta   di  legge,  che  coprirebbe  la  normazione  di  principio
 individuata in testi legislativi ai quali il regolamento deve  essere
 conforme,  essendo destinato a produrre su quella base una disciplina
 di dettaglio.   L'Avvocatura considera  l'istituzione  dell'Autorita'
 per  la  vigilanza  sui lavori pubblici, introdotta dall'art. 4, come
 una delle maggiori innovazioni.   L'Autorita' costituisce  un'istanza
 indipendente,  estranea all'apparato di governo statale, i cui membri
 sono nominati dai Presidenti delle  Camere,  ed  ha  la  funzione  di
 garanzia  imparziale  dell'osservanza  dei  principi  ordinatori  del
 sistema.  I poteri, anche coercitivi, dell'Autorita' verso  gli  enti
 ed  organi  amministrativi  che  operano  per  l'esecuzione  di opere
 pubbliche  sarebbero   limitati   alla   funzione   conoscitiva.   La
 valutazione  da  parte  dell'Autorita'  per  la  vigilanza sui lavori
 pubblici  delle  informazioni  acquisite  non  implicherebbe   alcuna
 ingerenza  negli  indirizzi  e  nelle  scelte degli enti, quanto alla
 promozione di  opere  pubbliche,  dato  che  l'Autorita'  vigilerebbe
 soltanto  sulla  rispondenza  della  fase esecutiva e contrattuale ai
 principi  informatori  della  legge.  L'azione   dell'Autorita'   non
 potrebbe  essere  assimilata ad una funzione di controllo, tanto piu'
 che  essa,  se  accerta  delle  irregolarita',  puo'  soltanto  farne
 denuncia  agli  organi  competenti.    L'Avvocatura ritiene anche non
 fondate le questioni di  legittimita'  costituzionale  relative  alla
 disciplina  del  responsabile  del  procedimento, dettata dall'art. 7
 della legge n. 109 del 1994. Questa disposizione si  manterrebbe  nel
 solco   della   configurazione  generale  data  al  responsabile  del
 procedimento dalla legge n. 241 del  1990,  le  cui  norme,  definite
 principi  generali  dell'ordinamento  giuridico,  gia'  vincolano  le
 regioni e le province autonome. La stessa disposizione  definisce  il
 ruolo del responsabile del procedimento nella fase di programmazione,
 esecuzione  ed affidamento delle opere pubbliche, in modo da renderlo
 garante del rispetto di regole essenziali, strettamente connesse alle
 esigenze fondamentali fissate dall'art. 1 della legge quadro.   Anche
 l'utilizzazione   della  conferenza  di  servizi  per  l'acquisizione
 dell'intesa urbanistica (art. 7, comma 5,  della  legge  n.  109  del
 1994)   non   determinerebbe  alcuna  violazione  delle  attribuzioni
 regionali e provinciali, tenuto conto che  la  norma  si  riferirebbe
 all'intesa  che dichiara la conformita' del progetto alle indicazioni
 degli strumenti di pianificazione (art. 81, secondo comma, del d.P.R.
 n.  616  del  1977).     L'Avvocatura  ritiene,   inoltre,   che   la
 programmazione  dei  lavori  pubblici, disciplinata dall'art. 14, non
 interferisca sostanzialmente con  il  potere  di  decisione  politica
 relativo  alla  dotazione di infrastrutture e di pubblici servizi, ma
 ponga solo  un  vincolo  di  metodo  nell'azione  amministrativa.  La
 programmazione  sarebbe strumentale al rispetto dei principi generali
 dell'art. 1  della  legge  quadro,  che  richiede  la  trasparente  e
 razionale  allocazione  delle risorse disponibili per la destinazione
 dei  fondi  ad  opere  completamente   realizzabili,   effettivamente
 eseguibili  e  fruibili  dalla  collettivita'. Non sarebbero, quindi,
 sacrificate   le   manifestazioni   di   autonomia   attinenti   alle
 attribuzioni  in  materia di lavori pubblici di interesse regionale o
 provinciale.  Inoltre  la  tecnica   della   programmazione   sarebbe
 presupposta  dalla  direttiva  71/305/CEE  in materia di procedure di
 aggiudicazione degli appalti di lavori  pubblici,  che,  all'art.  12
 come  modificato dalla direttiva 89/440/CEE, prevede la pubblicazione
 di un avviso periodico indicativo dei lavori da eseguire.
   18. - In prossimita' dell'udienza, inizialmente fissata per  il  25
 ottobre  1994,  tutte  le  ricorrenti,  ad  eccezione  della  Regione
 Toscana, hanno depositato memorie,  per  ribadire  le  argomentazioni
 svolte nei loro ricorsi e per replicare alle difese dell'Avvocatura.
   19. - Successivamente - con il decreto-legge 3 aprile 1995, n.  101
 (Norme  urgenti  in materia di lavori pubblici), convertito in legge,
 con modificazioni, con la legge 2 giugno 1995, n. 216  -  sono  state
 apportate  modifiche  a numerose disposizioni della legge n.  109 del
 1994.  La sola Regione Valle d'Aosta (R. Ric.  n.  39  del  1995)  ha
 denunciato  l'art.  4-bis  del  decreto-legge n. 101 del 1995, il cui
 comma 1, lettera a), sostituisce, tra l'altro,  l'art.  7,  comma  1,
 della  legge  n. 109 del 1994.  La disposizione sottoposta a verifica
 di   legittimita'   costituzionale   modifica   la   disciplina   del
 responsabile  del  procedimento  e  prevede  che  i  soggetti  di cui
 all'art. 2, comma 2, lettera  a),  della  legge  quadro  nominino  un
 coordinatore  unico delle fasi di formazione del programma dei lavori
 pubblici da eseguire nel triennio e di attuazione  degli  interventi,
 in  aggiunta al responsabile del procedimento previsto dalla legge n.
 241 del 1990.  La ricorrente considera questa disposizione vincolante
 anche per le regioni a statuto speciale e ritiene che  essa  comprima
 la potesta' di organizzazione degli uffici regionali.
   20.  -  Anche in questo giudizio si e' costituito il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  sostenendo  che  l'innovazione apportata non
 recherebbe elementi ulteriori ai fini del sindacato  di  legittimita'
 costituzionale.    Il  nuovo testo dell'art. 7 della legge n. 109 del
 1994 dovrebbe essere inquadrato nei principi generali della legge  n.
 109  del  1994,  per  quanto  concerne  la  definizione degli effetti
 vincolanti  per  le  regioni  anche  ad  autonomia  speciale,   nella
 prospettiva  della  qualificazione  della  legge in termini di grande
 riforma economico-sociale.
   21. - In prossimita' dell'udienza del 17 ottobre  1995  le  Regioni
 Emilia-Romagna,   Lombardia,   Friuli-Venezia   Giulia,  le  Province
 autonome di Bolzano e di Trento e le Regioni Sardegna e Valle d'Aosta
 (quest'ultima con riferimento ad entrambi i ricorsi presentati) hanno
 depositato memorie, per illustrare e  ribadire  le  conclusioni  gia'
 espresse  nei rispettivi ricorsi.  La Regione Emilia-Romagna sostiene
 che, nonostante la legge n.  109 del 1994 abbia subito  modificazioni
 anche  rilevanti,  i  vizi  denunciati in larga parte permarrebbero e
 molti di essi potrebbero essere esaminati nel merito,  tenendo  conto
 che  la Corte ha ammesso la possibilita' di utilizzare il giudizio di
 costituzionalita'  in  via  principale  per  depurare   l'ordinamento
 nazionale  da  norme  statali  incompatibili  con  quelle comunitarie
 (sentenza n. 94 del 1995).   Secondo la  Regione  Emilia-Romagna,  le
 contraddizioni rispetto al diritto comunitario permarrebbero anche in
 relazione  a  norme  che  sembrerebbero  letteralmente superate dalle
 disposizioni  sopravvenute.    La  previsione  della  valutazione  in
 contraddittorio  dell'anomalia  delle  offerte,  introdotta nel nuovo
 testo dell'art. 21, comma 1-bis, della legge quadro, e'  circoscritta
 ai  soli  lavori  di  importo  pari  o  superiore a 5 milioni di ECU,
 mantenendo il contrasto con la direttiva comunitaria per gli  appalti
 sotto  quella  soglia,  per  i  quali  continua  ad  essere  prevista
 l'esclusione automatica delle offerte.   Conserverebbe tutta  la  sua
 ragion  d'essere  anche  la  denuncia di illegittimita' dell'art. 24,
 comma 1, della legge n. 109 del 1994, che esclude in  modo  assoluto,
 per  gli  appalti  di  importo  superiore  ai  5  milioni  di ECU, la
 possibilita' di utilizzare  la  procedura  negoziata  prevista  dalla
 normativa comunitaria.  Una limitazione dell'autonomia legislativa ed
 amministrativa  regionale  , determinata dal divieto di utilizzazione
 di strumenti necessari ed opportuni per la buona  e  corretta  azione
 amministrativa,  deriverebbe anche dall'art. 20, comma 2, della legge
 n. 109 del 1994, che impone per le concessioni di lavori pubblici  la
 licitazione   privata,   mentre  la  normativa  comunitaria  consente
 liberta' nelle forme di scelta del contraente.   Quanto  all'art.  3,
 comma  4,  della  legge n. 109 del 1994, che prevede l'abrogazione di
 tutti gli atti normativi preesistenti con  l'entrata  in  vigore  del
 regolamento  seguente  alla  disposta  delegificazione, la ricorrente
 ritiene che una pronuncia interpretativa della Corte  possa  chiarire
 che  la  disposizione  non  comprende le leggi regionali.  La Regione
 Friuli-Venezia Giulia, le Province autonome di Bolzano e di Trento  e
 la  Regione  Sardegna  hanno depositato memorie di analogo contenuto,
 affermando che le modifiche alla legge n. 109 del 1994, apportate dal
 decreto-legge  n.  101   del   1995,   convertito   in   legge,   con
 modificazioni, con la legge n. 216 del 1995, non farebbero venir meno
 l'interesse  all'esame  nel  merito  delle censure.   Con riferimento
 all'autoqualificazione di tutte le disposizioni  della  legge  quadro
 come  norme  fondamentali di riforma economico-sociale, le ricorrenti
 ribadiscono che  la  legge  n.  109  del  1994  sarebbe  priva  della
 copertura  comunitaria,  che  l'esplicito  richiamo al rispetto degli
 obblighi internazionali dello Stato vorrebbe fornire. Sarebbe toccato
 il  modello  dei  rapporti  fra  competenze  legislative  statali   e
 regionali,  in  settori  interessati  dalla disciplina comunitaria ed
 appartenenti alla competenza esclusiva  delle  regioni  ad  autonomia
 speciale,  quale e' stato configurato dall'art. 9 della legge 9 marzo
 1989, n. 86 ed attuato, in materia, dal decreto  legislativo  n.  406
 del 1991.  Il contrasto tra legge quadro e disciplina comunitaria non
 potrebbe  essere  superato considerando che la legge italiana e' piu'
 restrittiva  e  rigida  della  normativa  comunitaria,  giacche'   la
 finalita' della disciplina comunitaria non e' solo quella di favorire
 la  libera  concorrenza,  ma  anche quella di garantire l'uniformita'
 della disciplina degli Stati membri della Comunita'.   Le  ricorrenti
 ritengono  che  una  valutazione  diversa  si  dovrebbe  dare  se  il
 legislatore avesse attribuito la qualificazione di norme fondamentali
 di riforma economico-sociale ai soli principi espressi, o che possono
 essere ricavati,  dalla  legge  quadro,  secondo  una  piu'  corretta
 formulazione   del   testo  legislativo  altre  volte  impiegata  dal
 legislatore.  Con riferimento alla disciplina della  delegificazione,
 contenuta  nell'art.  3  della legge quadro, nelle memorie si ricorda
 che  il  principio  che  preclude  ai  regolamenti   governativi   di
 intervenire in materie di competenza regionale e provinciale e' stato
 di  recente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n.
 69 del 1995). Le ricorrenti sottolineano, inoltre, che sono del tutto
 indeterminate le norme legislative, anche solo  quelle  statali,  che
 risulteranno abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del
 regolamento.    Per  quanto  riguarda,  infine,  l'Autorita'  per  la
 vigilanza sui lavori pubblici, disciplinata dall'art. 4  della  legge
 n.  109  del 1994, le ricorrenti ritengono che le modifiche apportate
 dall'art. 3-bis del decreto-legge n. 101 del 1995 non siano di grande
 rilievo.   La  Regione  Valle  d'Aosta  riafferma  che  non  si  puo'
 attribuire  alcuna efficacia all'autoqualificazione del provvedimento
 impugnato  come  portatore   di   norme   fondamentali   di   riforma
 economico-sociale  ed  esclude  che la legge n. 109 del 1994 trovi la
 sua   giustificazione   costituzionale   nell'attuazione   di   norme
 comunitarie.    Le  norme introdotte dalla legge quadro non avrebbero
 lasciato  alla  Regione  alcuno  spazio   significativo   per   poter
 esercitare  la propria competenza legislativa. Si osserva tra l'altro
 che l'ambito non direttamente coperto dalla legge n. 109 del 1994  e'
 destinato  ad essere oggetto di un successivo intervento, nella forma
 del regolamento governativo.  La ricorrente sostiene, con riferimento
 all'art. 4 della legge n. 109 del 1994, che  l'azione  dell'Autorita'
 rientrerebbe  nella  nozione  di  controllo.  Si  tratterebbe  di  un
 controllo che si aggiunge e si sovrappone al sistema  previsto  dalla
 disciplina  dello  statuto  speciale  di autonomia, ed in quanto tale
 illegittimo.
                        Considerato in diritto
   1. - Le questioni di legittimita' costituzionale concernono diverse
 disposizioni della legge 11 febbraio 1994, n. 109  (Legge  quadro  in
 materia di lavori pubblici).
   Le   Regioni   Emilia-Romagna,  Lombardia,  Friuli-Venezia  Giulia,
 Sardegna, Toscana, Valle d'Aosta e le Province autonome di Bolzano  e
 di  Trento  denunciano la violazione dell'autonomia ad esse riservata
 da norme della Costituzione o dai rispettivi statuti speciali.
   La materia dei lavori pubblici di interesse regionale e' attribuita
 alla  competenza  legislativa  concorrente  delle  Regioni  a statuto
 ordinario dall'art. 117 della Costituzione.  Quanto  alle  Regioni  a
 statuto  speciale,  il  Friuli-Venezia Giulia ha potesta' legislativa
 primaria per "i lavori pubblici  di  interesse  locale  e  regionale"
 (art. 4, numero 9, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1);
 la  Sardegna  per  i  "lavori  pubblici  di esclusivo interesse della
 Regione" (art.  3, lettera e), della legge costituzionale 26 febbraio
 1948, n. 3); la Valle d'Aosta per i  "lavori  pubblici  di  interesse
 regionale"  (art.    2,  lettera  f),  della  legge costituzionale 26
 febbraio 1948, n. 4).  Analoga competenza hanno le Province  autonome
 di   Bolzano  e  di  Trento  per  i  "lavori  pubblici  di  interesse
 provinciale" (art. 8, numero 17, del d.P.R. 31 agosto 1972, n.  670).
 La  legge  n.  109  del  1994, dopo avere enunciato principi generali
 (art.  1),  precisato  l'ambito  oggettivo  e  soggettivo  della  sua
 applicazione  (art.  2) e previsto un'ampia delegificazione demandata
 alla disciplina regolamentare (art. 3), istituisce l'Autorita' per la
 vigilanza sui lavori pubblici (artt. 4 e 5) e detta norme che toccano
 molteplici  aspetti  del  settore:   gli   organi,   i   sistemi   di
 qualificazione  dei  soggetti, la programmazione degli interventi, la
 loro progettazione e realizzazione, le procedure di  affidamento  dei
 lavori  e  le  relative  garanzie,  la direzione ed il collaudo degli
 stessi.   Oltre  ad  alcuni  principi  generali  della  legge,  anche
 specifici  contenuti  di  essa  sono  denunciati,  in quanto ritenuti
 lesivi dell'autonomia regionale e, in alcuni casi, in  contrasto  con
 vincoli  che  derivano  da  norme  della  Comunita' europea, le quali
 riguardano anche le regioni e le province autonome.
   2. - Tutti i ricorsi investono, sia pure con ampiezza  diversa,  la
 medesima  materia  e concernono le stesse disposizioni o norme tra di
 loro  complementari.  I  relativi  giudizi,  evidentemente  connessi,
 possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.
   3.  -  Un  primo  nucleo  di  questioni  ruota  attorno ai principi
 generali della legge,  enunciati  dall'art.  1,  e  riguarda:  a)  la
 qualificazione   delle   disposizioni   della   stessa   come  "norme
 fondamentali  di   riforma   economico-sociale   e   principi   della
 legislazione  dello  Stato"  (art.   1, comma 2); b) la previsione di
 atti  governativi  di  indirizzo   e   coordinamento   dell'attivita'
 amministrativa  delle  regioni  in conformita' alle norme della legge
 (art.  1,  comma  3);  c)  l'esclusione  di  deroghe,   modifiche   o
 abrogazioni  delle norme stesse se non per dichiarazione espressa con
 riferimento a singole disposizioni (art. 1, comma 4).
   4. - Tutte le ricorrenti  denunciano,  con  diversa  latitudine  di
 argomentazioni,  l'illegittimita' costituzionale della qualificazione
 delle disposizioni della legge, che costituiscono "norme fondamentali
 di riforma economico-sociale  e  principi  della  legislazione  dello
 Stato  ai  sensi  degli  statuti  delle  regioni a statuto speciale e
 dell'articolo 117 della Costituzione, anche  per  il  rispetto  degli
 obblighi internazionali dello Stato" (art. 1, comma 2).
   L'autoqualificazione   normativa   prescinde,   ad   avviso   delle
 ricorrenti,  dal  reale  contenuto   di   principio   delle   singole
 disposizioni   della  legge,  che  anzi  conterrebbe  una  disciplina
 puntuale e di dettaglio, tale  da  limitare  l'autonomia  legislativa
 regionale  sino  a  configurarla  non  piu' come concorrente, ma come
 meramente  attuativa,  e  tale  da  restringere  anche  la competenza
 legislativa primaria, riservata alle  regioni  ed  alle  province  ad
 autonomia  speciale.    La sola Regione Emilia-Romagna ritiene che la
 particolare qualificazio  ne normativa, disposta dall'art.  1,  comma
 2,  della  legge  n.  109  del  1994,  violi  anche  l'art.  11 della
 Costituzione, perche' essa si riferirebbe  anche  a  disposizioni  in
 contrasto  con  la  direttiva  89/440/CEE  (recepita  con  il decreto
 legislativo  19  dicembre  1991,  n.  406),  sicche'  il  legislatore
 regionale  non  potrebbe conformarsi alla disciplina comunitaria.  Le
 questioni, prospettate con riferimento agli artt.  116  e  117  della
 Costituzione  ed  alle  norme  statutarie  delle Regioni ad autonomia
 speciale, sono fondate nei sensi appresso precisati.  La legge n. 109
 del 1994  innova  profondamente  il  quadro  legislativo  sui  lavori
 pubblici.  Essa  e' diretta a riordinare complessivamente la materia,
 modificando   tratti   essenziali   della   precedente    disciplina,
 considerata  inadeguata  per un'efficace amministrazione del settore,
 che richiede la programmazione e l'effettiva esecuzione  delle  opere
 pubbliche  in  tempi ed a costi certi e prefissati, secondo procedure
 trasparenti  ed  idonee  a  garantire  la  correttezza  e  la  libera
 concorrenza, con una netta separazione, anche per gli aspetti tecnici
 che  vanno  dalla  progettazione  al  collaudo,  dei  compiti  propri
 dell'amministrazione committente rispetto all'attivita' di chi esegue
 le opere.  La complessiva e profonda innovazione normativa  tocca  un
 settore   che,  negli  aspetti  disciplinati  dalla  riforma,  assume
 importanza nazionale e richiede l'attuazione di principi uniformi  su
 tutto il territorio del Paese. Tali principi comportano, tra l'altro,
 l'omogeneita'   e   la   trasparenza   delle   procedure,  l'uniforme
 qualificazione dei soggetti, la libera concorrenza degli operatori in
 un mercato senza restrizioni regionali. Inoltre si afferma l'esigenza
 di  costituire  un  organismo  indipendente,  al  quale  affidare  la
 vigilanza  e  la  garanzia  del  rispetto  dei principi fissati dalla
 legge.  Nel caso in esame ricorrono, dunque, gli  elementi  richiesti
 dalla  Corte  perche'  una disciplina legislativa veda riconosciuti i
 caratteri   sostanziali   delle   norme   fondamentali   di   riforma
 economico-sociale  (sentenze nn. 406, 153, 29 del 1995, 356 del 1994,
 359 e 355 del 1993).  Tuttavia la valutazione,  riferita  alla  legge
 nel  suo complesso, non consente di attribuire all'autoqualificazione
 enunciata dal legislatore un valore ed un'estensione cosi'  assoluti,
 da  attribuire  a  tutte  le  disposizioni  e  ad  ogni  prescrizione
 normativa il valore di principio e di norma fondamentale del settore.
 Piu' volte la Corte ha  affermato  che  l'autoqualificazione  non  e'
 determinante   per   ritenere   che  le  singole  disposizioni  siano
 effettivamente   principi   o   norme   fondamentali    di    riforma
 economico-sociale,  dovendo  essere sempre valutato, in ciascun caso,
 il carattere sostanziale delle norme cui il  legislatore  attribuisce
 tale  qualifica  (sentenze nn. 355, 354 del 1994 e 1033 del 1988). La
 qualificazione del legislatore  non  puo',  quindi,  assumere  valore
 precettivo,  tale  da  attribuire  alle  norme  una natura diversa da
 quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva  sostanza.
 Essa costituisce, piuttosto, un'esplicita indicazione dell'intenzione
 del  legislatore ed acquista valore sintomatico delle caratteristiche
 delle disposizioni.  L'Avvocatura dello Stato, pur chiedendo  che  la
 questione  di legittimit  a' costituzionale sia dichiarata infondata,
 ritiene tuttavia che la qualificazione enunciata dal legislatore vale
 per   quanto   risulta   effettivamente   rispondente   alla  portata
 riformatrice ed ai contenuti sostanziali del provvedimento. Anche  in
 questa  prospettiva  rimarrebbe,  quindi,  escluso  il riconoscimento
 generalizzato della qualificazione normativa di principio o di  norma
 fondamentale,  che  non  si  estenderebbe  a  tutte  le  previsioni e
 prescrizioni della  legge,  ma  dovrebbe  essere  interpretativamente
 ristretto  solo  a  quei  principi  ed  a quelle norme che presentano
 effettivamente  tali  caratteristiche  sostanziali.      La   tecnica
 legislativa  adottata  nella  legge  n.  109 del 1994 accomuna in uno
 stesso contesto normativo  l'enunciazione  dei  principi  e  la  loro
 articolazione   attuativa.  Questa  non  sempre  rappresenta  l'unico
 possibile svolgimento dei principi, ne' e' in tutti i casi legata  ad
 essi  da  un  rapporto di necessaria integrazione. I principi, se non
 espressamente  enunciati,  possono   anche   essere   desunti   dalla
 disciplina  di dettaglio, che ad essi si ispira o che necessariamente
 li implica e presuppone.
   Nel contesto di una incisiva riforma, la qualifica di  fondamentale
 da  attribuire  alle  norme  della nuova disciplina puo' derivare dal
 costituire   esse   un    elemento    coessenziale    alla    riforma
 economico-sociale,  in quanto la caratterizzano o formano la base del
 suo sviluppo normativo.   Non tutte  le  disposizioni,  ne'  il  loro
 compiuto  tenore  letterale,  costituiscono  "norme  fondamentali  di
 riforma  economico-sociale"  e  "principi  della  legislazione  dello
 Stato",  ma  solo  i  nuclei  essenziali  del contenuto normativo che
 quelle disposizioni esprimono, per i principi  enunciati  o  da  esse
 desumibili.      La   distinzione   non   si   risolve  in  una  mera
 chiarificazione espressiva o  nominalistica,  ma,  nella  complessiva
 disciplina   di   settore,   tocca   il  livello  della  legittimita'
 costituzionale e deve essere manifestata nella  legge  per  escludere
 che  tutte le singole disposizioni e tutti i loro contenuti normativi
 costituiscano un vincolo per la legislazione regionale.  Deve  dunque
 essere  dichiarata l'illegittimita' dell'art. 1, comma 2, della legge
 n. 109 del 1994, nella parte in cui prescrive che costituiscono norme
 fondamentali  di   riforma   economico-sociale   e   principi   della
 legislazione  dello  Stato  "le  disposizioni  della presente legge",
 anziche'  solo  "i  principi  desumibili  dalle  disposizioni   della
 presente  legge".  Non puo' trovare accoglimento, invece, l'ulteriore
 profilo prospettato  dalla  Regione  Emilia-Romagna  con  riferimento
 all'art.   11  della  Costituzione.    L'attuazione  delle  direttive
 comunitarie - disciplinata, per quanto riguarda le  competenze  delle
 regioni  e  delle province autonome, dall'art.  9 della legge 9 marzo
 1989, n. 86 - e la  qualificazione  delle  disposizioni  della  legge
 quali  norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociale e principi
 della  legislazione  dello  Stato  muovono  su  piani  diversi  (cfr.
 sentenza  n.  349  del  1991),  e non e' in discussione la prevalenza
 della  disciplina  comunitaria  nell'ambito  di  competenze  ad  essa
 riservato.
   5.  - Ricondotta la qualificazione di norme fondamentali di riforma
 economico-sociale e di principi della  legislazione  dello  Stato  ai
 soli  nuclei  essenziali  della  legge n. 109 del 1994 ed ai principi
 desumibili  dalle  sue  disposizioni,  risultano  anche  superate  le
 doglianze   espresse   in   relazione  a  numerose  disposizioni  che
 detterebbero una disciplina di  dettaglio,  ritenuta  vincolante  per
 effetto  dell'autoqualificazione,  giacche'  si  puo' in ciascun caso
 distinguere  correttamente  tra principi ed altre norme.  Il criterio
 di  distinzione  tra  principio,   enunciato   o   desumibile   dalle
 disposizioni  della  legge, e attuazioni dello stesso, opera per piu'
 norme  non  denunciate  espressamente,  ma  indicate  dalle  Province
 autonome di Bolzano e di Trento e dalla Regione Sardegna come esempio
 di  lesione  della  loro  autonomia, in relazione alla qualificazione
 enunciata dall'art. 1, comma 2, della stessa legge.
   Tale  criterio  vale,  tra  l'altro,  per   il   responsabile   del
 procedimento,  per  quanto  la  disciplina  che  ad esso si riferisce
 risponde ad un  principio  generale  che  investe  ogni  procedimento
 amministrativo.
   Le   Regioni   Friuli-Venezia   Giulia,  Toscana  e  Valle  d'Aosta
 denunciano la specifica disciplina del responsabile del procedimento,
 che e' delineata dall'art. 7, commi 1, 2 e 3 della legge n.  109  del
 1994;  la Valle d'Aosta denuncia anche la disciplina sopravvenuta del
 coordinatore  unico  (art.  4-bis,   comma   1,   lettera   a),   del
 decreto-legge  3  aprile  1995,  n.  101, che detta "Norme urgenti in
 materia di lavori pubblici", convertito in legge, con  modificazioni,
 con la legge 2 giugno 1995, n. 216).
   L'art.  7  della  legge  n.  109  del  1994,  nel testo originario,
 prevedeva un'unica figura di responsabile del procedimento per  tutte
 le  fasi tecniche ed amministrative di programmazione, progettazione,
 affidamento ed esecuzione dei lavori. Il testo che risulta a  seguito
 delle  modifiche  apportate  dall'art. 4-bis del decreto-legge n. 101
 del 1995 configura un coordinatore unico delle fasi di programmazione
 triennale dei lavori e di attuazione dei lavori programmati, distinto
 dal responsabile di ciascuna fase del procedimento.  Le questioni non
 sono fondate. Difatti la disciplina denunciata non trova applicazione
 alle regioni: il nuovo testo rinvia, per determinare i  soggetti  cui
 si  applica,  all'art. 2, comma 2, lettera a) della stessa legge, che
 elenca i destinatari della norma  senza  indicare  e  comprendere  le
 regioni.    La distinzione dei principi e del nucleo essenziale della
 nuova disciplina dalle  prescrizioni  di  dettaglio  vale  anche  per
 l'attivita' di progettazione e per la definizione dei progetti (artt.
 16  e  17  della  legge  n.  109  del  1994,  sostituiti  dagli artt.
 5-quinquies e 5-sexies del decreto-legge n. 101 del 1995).  La  legge
 distingue  nettamente, nella definizione tecnica del progetto, quello
 preliminare dal definitivo e dall'esecutivo. Questa articolazione  e'
 essenziale per assicurare, con il progetto esecutivo, l'eseguibilita'
 dell'opera ed e' ritenuta indispensabile per rendere certi i tempi ed
 i  costi di realizzazione.  Risponde ad una scelta di principio anche
 la preferenza per la  redazione  dei  progetti  da  parte  di  uffici
 tecnici  delle  stesse  amministrazioni  aggiudicatrici  o  di  altre
 pubbliche  amministrazioni,  assicurandosi  in  ogni  caso  la  netta
 separazione  tra  il  momento  della  progettazione  e  quello  della
 esecuzione dell'opera.  La distinzione tra principio e disciplina  di
 dettaglio opera anche nelle disposizioni, relative alla direzione dei
 lavori (art. 27) ed ai collaudi (art. 28). L'esigenza fondamentale e'
 di  assicurare  il netto distacco dell'esecuzione dell'opera, rimessa
 all'imprenditore, dalle attivita' riservate  all'amministrazione.  Ne
 segue la necessita' di istituire o adeguare gli uffici tecnici propri
 dell'amministrazione  aggiudicatrice, di prevedere come complementare
 l'affidamento ad altre amministrazioni  pubbliche  e  come  residuale
 l'attribuzione  dell'incarico  a  professionisti selezionati, secondo
 criteri oggettivi ed in conformita' alle disposizioni comunitarie.
   6.  -  Le  Regioni  Emilia-Romagna,  Lombardia e Toscana denunciano
 l'illegittimita' costituzionale della prevista emanazione,  ai  sensi
 dell'art.  2,  comma  3,  lettera  d), della legge 23 agosto 1988, n.
 400,  di   atti   di   indirizzo   e   coordinamento   dell'attivita'
 amministrativa  delle  regioni  in conformita' alle norme della legge
 stessa (art.   1, comma  3,  della  legge  n.  109  del  1994).    Le
 ricorrenti sostengono che questa disposizione, se non fosse meramente
 ricognitiva di un'astratta competenza prevista dalla legge n. 400 del
 1988,  violerebbe  gli  artt.  117 e 118 della Costituzione.  Sarebbe
 difatti in contrasto  con  il  principio  di  legalita'  sostanziale,
 giacche' non sarebbero specificati i presupposti ed i contenuti degli
 atti  di  indirizzo  e  coordinamento,  ne'  sarebbero individuate le
 esigenze unitarie da soddisfare.  Le questioni non sono fondate.
   La disposizione denunciata non svincola l'esercizio della  funzione
 governativa  di  indirizzo e coordinamento dal principio di legalita'
 sostanziale. Stabilendo che tale potere  puo'  essere  esercitato  in
 materia  di  lavori pubblici, la norma lo consente solo nei limiti in
 cui altre specifiche disposizioni della stessa legge offrono,  quanto
 ai  contenuti,  una  precisa  base  normativa, idonea ad orientare la
 discrezionalita' del Governo. Ammessa la legittimita'  dell'esercizio
 del  potere nella materia disciplinata dalla legge, solo in relazione
 ai singoli atti di indirizzo e coordinamento, che verranno  adottati,
 potra'  essere in concreto verificata la rispondenza dei contenuti di
 ciascun  atto  alle  indicazioni  sostanziali  della  legge  ed  alle
 esigenze unitarie da soddisfare.
   7.   -   La   sola   Regione  Lombardia  denuncia  l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 1, comma 4, della legge n. 109 del 1994,  il
 quale dispone che le norme della legge quadro sui lavori pubblici non
 possono   essere   derogate,   modificate   o  abrogate  se  non  per
 dichiarazione  espressa   con   specifico   riferimento   a   singole
 disposizioni.    La  ricorrente  ritiene  che sia violata l'autonomia
 garantita dall'art.    117  della  Costituzione,  in  quanto  non  si
 consentirebbe  alla  Regione  di adempiere l'obbligo di rispettare le
 innovazioni  che  dovessero   essere   apportate   nella   disciplina
 comunitaria.  Nelle  disposizioni  statali  di  recepimento  potrebbe
 difatti mancare un'espressa  deroga,  modifica  o  abrogazione  delle
 disposizioni  della  legge  n. 109 del 1994 con esse contrastanti. In
 questo caso, secondo la ricorrente, la  disposizione  denunciata  non
 consentirebbe  alla  Regione di applicare il diritto comunitario.  La
 questione non e' fondata.
   Le norme comunitarie muovono su un piano diverso da quello  proprio
 delle  norme nazionali. Il rapporto tra le due fonti e' di competenza
 e non di gerarchia o di successione nel tempo, con l'effetto  che  la
 norma  nazionale  diviene  non  applicabile  se  e  nei limiti in cui
 contrasti con le disposizioni comunitarie precedenti  o  sopravvenute
 (sentenze nn. 389 del 1989 e 170 del 1984).
   8. - Tutte le ricorrenti denunciano l'illegittimita' costituzionale
 della  delegificazione  disposta  dall'art.  3 della legge n. 109 del
 1994, da attuare con regolamento  governativo  secondo  le  modalita'
 previste  dall'art.  17,  comma  2,  della  legge n. 400 del 1988. Le
 Province autonome di Bolzano e di Trento  e  le  Regioni  Sardegna  e
 Valle d'Aosta impugnano anche l'art. 2, comma 2, della legge quadro.
   Le  ricorrenti muovono dal presupposto che l'ambito di applicazione
 della norma denunciata  riguardi  anche  le  regioni  e  le  province
 autonome.    Il  regolamento  comprenderebbe  i  lavori  pubblici  di
 interesse  regionale  o   provinciale   e   la   delegificazione   si
 estenderebbe  alle  leggi regionali e provinciali che disciplinano la
 materia, le quali sarebbero pertanto abrogate dalla data  di  entrata
 in   vigore  del  regolamento.    Le  ricorrenti  sostengono  che  un
 regolamento  governativo  non  possa  legittimamente  intervenire  in
 materie  di  competenza  regionale  o  provinciale  e  che  una legge
 ordinaria statale non possa delegificare ne' abrogare la legislazione
 regionale, demandando ad un regolamento la facolta' di sostituirsi ad
 essa.   Vengono anche  prospettati  vizi  propri  della  disposizione
 denunciata,  che  le  ricorrenti  ritengono  di  poter far valere per
 salvaguardare competenze ad  esse  spettanti.  Mancherebbero  difatti
 norme generali regolatrici della materia, necessarie per orientare la
 disciplina  regolamentare,  e  non sarebbero indicate le disposizioni
 legislative  abrogate  a   seguito   dell'entrata   in   vigore   del
 regolamento.  La Regione Friuli-Venezia Giulia prospetta il dubbio di
 legittimita'  costituzionale solo per cautela, ritenendo che le norme
 legislative regionali siano destinate sempre  a  prevalere  su  fonti
 statali  secondarie.   Le questioni non sono fondate.  Il presupposto
 interpretativo dal quale muovono le ricorrenti non e' esatto.
   I regolamenti  governativi,  compresi  quelli  delegati,  non  sono
 legittimati   a   disciplinare  materie  di  competenza  regionale  o
 provinciale (sentenza n.  333  del  1995).  Ne'  lo  strumento  della
 delegificazione  previsto  dall'art.  17  della legge n. 400 del 1988
 puo' operare per fonti di diversa natura,  tra  le  quali  vi  e'  un
 rapporto di competenza e non di gerarchia.
   Nel caso in esame la disposizione denunciata prevede esclusivamente
 la  delegificazione  statale,  rispettando  l'attribuzione alla legge
 della disciplina dei rapporti con le regioni e le province  autonome.
 Difatti  queste ultime non sono comprese tra le amministrazioni e gli
 enti destinatari del regolamento, secondo  l'espressa  previsione  ed
 elencazione  che  ne fa l'art. 2, comma 2, lettera a), della legge n.
 109 del 1994. Solo la diretta incompatibilita' delle norme  regionali
 con  i sopravvenuti principi e norme fondamentali della legge statale
 puo' determinare, ai sensi dell'art. 10, primo comma, della legge  10
 febbraio  1953,  n.  62, l'abrogazione delle prime (sentenze nn.  153
 del 1995, 498 e 497 del 1993, 50 del 1991, 151 del 1974).
   La disposizione  denunciata  non  trova  quindi  applicazione  alle
 ricorrenti,  che  non  hanno  pertanto  interesse  a  far  valere gli
 ulteriori  vizi  prospettati,  mancando  la  lesione   dell'autonomia
 costituzionalmente  garantita  alle regioni ed alle province autonome
 (sentenze nn. 314 del 1990 e 961 del 1988).  Esclusa l'applicabilita'
 alle regioni dell'emanando regolamento, ogni dubbio  di  legittimita'
 costituzionale  riferito  ai  suoi  contenuti (in particolare, per il
 rinvio ad esso operato dall'art. 8, comma 2, della legge n.  109  del
 1994, secondo quanto prospettano le Province autonome di Bolzano e di
 Trento e la Regione Sardegna) non ha ragion d'essere.
   9.  - Tutte le ricorrenti denunciano la violazione di competenze ad
 esse costituzionalmente riservate, che  deriverebbe  dall'istituzione
 dell'Autorita'  per  la  vigilanza  sui lavori pubblici (art. 4 della
 legge n. 109 del 1994).
   Il  nuovo organismo garantisce l'osservanza dei principi che devono
 ispirare l'attivita' amministrativa in materia  di  lavori  pubblici,
 improntata   a   procedure   trasparenti,  al  rispetto  del  diritto
 comunitario,  all'affermazione  della  libera  concorrenza  tra   gli
 operatori.
   La  disposizione denunciata disciplina, oltre alla composizione, le
 attribuzioni, l'organizzazione e l'attivita' dell'Autorita', alle cui
 dipendenze opera anche l'Osservatorio dei lavori pubblici.
   Le  ricorrenti  deducono  la  violazione   della   loro   autonomia
 legislativa ed amministrativa in materia di ordinamento degli uffici,
 di  disciplina  dell'attivita'  del  personale  regionale e di lavori
 pubblici di interesse  locale  e  regionale.  Inoltre  denunciano  la
 mancanza  di  qualsiasi  loro  partecipazione  alla  designazione dei
 componenti di un organo  che  comprende  nella  propria  attivita'  i
 lavori pubblici regionali.
   In  particolare  e'  considerato lesivo dell'autonomia regionale il
 potere  dell'Autorita'  di  richiedere  informazioni,   documenti   o
 chiarimenti   e   di   disporre   ispezioni  a  carico  di  qualsiasi
 amministrazione aggiudicatrice di lavori pubblici (art. 4, comma  6),
 nonche'  di  irrogare  sanzioni  amministrative pecuniarie per chi si
 rifiuti di fornire le informazioni richieste o le dia  non  veritiere
 (art.   4,   comma   7).  E'  pure  considerata  lesiva  la  prevista
 applicazione delle sanzioni disciplinari  stabilite  dall'ordinamento
 per   gli   impiegati  dello  Stato  agli  appartenenti  a  pubbliche
 amministrazioni che non forniscano i dati e le informazioni richiesti
 dall'Autorita' (art. 4, comma 8).
   Alcune ricorrenti sostengono anche  che  il  complesso  dei  poteri
 attribuiti  al nuovo organismo rappresenterebbe l'introduzione di una
 nuova figura di controllo sugli atti delle regioni e  delle  province
 autonome, in contrasto con il principio di tassativita' che regola la
 materia.  Inoltre l'istituzione dell'Osservatorio dei lavori pubblici
 duplicherebbe l'attivita' di analoghi organi regionali, in violazione
 del principio di ragionevolezza e di buon  andamento  della  pubblica
 amministrazione (artt. 3 e 97 della Costituzione).
   Le questioni non sono fondate.
   L'istituzione  dell'Autorita'  per la vigilanza sui lavori pubblici
 rappresenta uno  dei  cardini  della  riforma  della  materia.  Viene
 difatti  costituito,  secondo  linee  che si affermano anche in altri
 settori nei quali si e' manifestata l'esigenza di avere  un'autorita'
 indipendente,  un  nuovo organismo collegiale di alta qualificazione,
 chiamato  ad  operare  in  piena  autonomia  rispetto  agli  apparati
 dell'esecutivo ed agli organi di ogni amministrazione. L'esercizio di
 questa  funzione  di  vigilanza  e  garanzia  implica  una conoscenza
 completa ed integrata del settore dei  lavori  pubblici,  unitaria  a
 livello nazionale.
   Caratterizza  la speciale configurazione e collocazione della nuova
 Autorita' il sistema di nomina dei  suoi  cinque  membri,  effettuata
 d'intesa  dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
 Repubblica. Il particolare rapporto con il Parlamento e' sottolineato
 anche  dalla  relazione  che  l'Autorita'  deve   ad   esso   inviare
 annualmente.    Le  attribuzioni dell'Autorita' non sostituiscono ne'
 surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo;
 esse esprimono una funzione di garanzia, in ragione  della  quale  e'
 configurata   l'indipendenza   dell'organo.   Le   attivita'  rimesse
 all'Autorita' assumono carattere strumentale rispetto alla conoscenza
 ed alla vigilanza nel complessivo settore dei lavori pubblici.
   In  questa  prospettiva  si  giustifica  anche  l'organizzazione di
 propri  uffici  e  di   un   Osservatorio   direttamente   dipendente
 dall'Autorita'.     Quanto  all'obbligo  per  le  amministrazioni  di
 comunicare all'Osservatorio dei lavori pubblici  dati  relativi  agli
 appalti  di  importo  superiore a 80.000 ECU, esso e' espressione del
 dovere di cooperazione tra Stato, regioni e province  autonome,  piu'
 volte  affermato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 29
 del 1995 e 412 del 1994).
   Anche le ispezioni o le indagini a campione, che  l'Autorita'  puo'
 disporre,  sono  strumentali  per  lo  svolgimento  delle funzioni di
 vigilanza e non comportano ingerenze negli indirizzi e  nelle  scelte
 relative alla realizzazione delle opere.
   Il   potere   dell'Autorita'   di   sanzionare   con  provvedimento
 amministrativo  l'omessa  o  non  veridica   trasmissione   di   dati
 richiesti,  gia'  riconosciuto  ad  altre  autorita' indipendenti, e'
 connesso al rispetto  dell'obbligo  di  comunicare  gli  elementi  di
 informazione  necessari  per l'esercizio delle funzioni di vigilanza.
 Quanto alle sanzioni disciplinari previste per i pubblici dipendenti,
 che rifiutino od omettano di fornire all'Autorita'  le  informazioni,
 si   e'   in  presenza  non  di  un  potere  disciplinare  attribuito
 all'Autorita', ma della prevista  sanzionabilita'  di  comportamenti,
 per  i  quali  dovra'  essere  promosso  il procedimento dagli organi
 competenti secondo le regole proprie degli ordinamenti di settore.
   10. - Le Regioni Emilia-Romagna  e  Toscana  denunciano  l'art.  6,
 comma  5,  della  legge  n.  109  del  1994,  che  prevede  il parere
 obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici su  tutti  i
 progetti  per  opere  di  importo  superiore a 100 milioni di ECU. Le
 ricorrenti ritengono violato l'art. 118 della Costituzione, in quanto
 l'obbligo di richiedere il  parere  di  un  organo  tecnico  centrale
 inserirebbe le regioni nell'ambito amministrativo statale.
   La  disposizione  denunciata  e' stata interamente sostituita (art.
 4, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 101 del 1995, convertito
 in legge, con modificazioni, con la legge n.  216  del  1995),  e  la
 nuova  disciplina, che pure prevede il parere del Consiglio superiore
 dei lavori pubblici, lo rende non  necessario,  giacche'  le  regioni
 hanno la facolta' e non l'obbligo di richiederlo.  Sono quindi venute
 meno  le ragioni delle censure proposte dalle ricorrenti e la materia
 del contendere e' cessata.  Per gli stessi motivi si deve  dichiarare
 cessata  la  materia del contendere anche in ordine alla questione di
 legittimita' costituzionale concernente l'art.  20,  comma  4,  della
 legge  n.  109  del  1994,  impugnato  dalle Regioni Emilia-Romagna e
 Toscana per contrasto  con  l'art.  118  della  Costituzione.  Questa
 disposizione  affida  al  Consiglio  superiore dei lavori pubblici il
 parere vincolante sull'affidamento, da  parte  delle  amministrazioni
 aggiudicatrici,  di  lavori pubblici mediante appalto-concorso. In un
 sistema che - a seguito della modifica dell'art.  6, comma  5,  della
 legge  n. 109 del 1994 ad opera dell'art. 4, comma 1, lettera c), del
 decreto-legge n. 101 del 1995  -  prevede  come  facoltativo  per  le
 regioni  e le province autonome il parere del Consiglio superiore dei
 lavori  pubblici,  anche  il  parere  previsto   dalla   disposizione
 denunciata,  vincolante  se  richiesto,  si inquadra nella disciplina
 generale che attribuisce una facolta', ma non  obbliga  ad  avvalersi
 della competenza tecnica del Consiglio superiore.
   11.   -   Le   Regioni  Emilia-Romagna  e  Toscana  denunciano,  in
 riferimento all'art. 118 della Costituzione ad al principio di  leale
 collaborazione  tra  Stato  e regioni, anche l'art. 7, comma 5, della
 legge n. 109 del 1994, che prevede, per le opere pubbliche di  rilevo
 nazionale  o  di  iniziativa  di amministrazioni statali comprese nel
 programma di settore e per le quali siano immediatamente utilizzabili
 i  relativi  finanziamenti,  che  le  intese  relative   ai   profili
 urbanistici,  se  non  perfezionate  entro  60 giorni dalla richiesta
 dell'amministrazione statale  competente,  possono  essere  acquisite
 nell'ambito  della conferenza di servizi.  Ad avviso delle ricorrenti
 sarebbe stata cosi' trasferita l'intesa tra Stato e regione, prevista
 dall'art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616,  dal  piano  politico
 costituzionale   al   piano  amministrativo.    In  caso  di  mancato
 raggiungimento dell'intesa nella conferenza di servizi, l'opposizione
 regionale potrebbe essere superata applicando la norma generale per i
 procedimenti amministrativi. La mancata unanimita'  nella  conferenza
 dei  servizi  sarebbe  superata  dalle  determinazioni  adottate  dal
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  previa  deliberazione  del
 Consiglio  dei  ministri  (art. 14, comma 2-bis, della legge 7 agosto
 1990, n. 241).
   Le questioni non sono fondate. Il  presupposto  interpretativo  dal
 quale le ricorrenti muovono e' inesatto.
   Il  sistema  complessivo  delineato dal legislatore prevede che, se
 l'intesa tra lo Stato e la  regione  interessata  non  si  perfeziona
 entro  il  termine  stabilito, essa puo' essere acquisita nell'ambito
 della  conferenza  di  servizi,  nella  quale  tuttavia  deve  essere
 raggiunta l'unanimita' dei consensi. In difetto di essa si applica la
 disciplina speciale, prevista in materia urbanistica dall'art. 81 del
 d.P.R.  n. 616 del 1977.
   Anche per le questioni relative all'art. 8, comma 8, della legge n.
 109   del  1994,  il  presupposto  interpretativo  da  cui  muove  la
 ricorrente e' inesatto. La Regione Lombardia denuncia, in riferimento
 agli artt.  117 e 118 della Costituzione,  il  divieto  di  ricorrere
 all'utilizzazione  di  elenchi ed albi speciali di fiducia come forme
 semplificate di qualificazione per l'affidamento dei lavori pubblici.
 La legislazione e l'amministrazione regionali  non  potrebbero  cosi'
 effettuare scelte preliminari ed operative.
   La questione non e' fondata, giacche' la disposizione denunciata si
 applica  esclusivamente ai soggetti indicati nell'art. 2 della stessa
 legge, tra i quali  non  sono  comprese  le  regioni  e  le  province
 autonome.
   12.  - Le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana denunciano il
 contrasto della disciplina dettata per la programmazione  dei  lavori
 pubblici (art. 14 della legge n. 109 del 1994) con gli artt. 117, 118
 e 119 della Costituzione.
   Le   amministrazioni   aggiudicatrici   devono   approvare,   anche
 nell'ambito di documenti programmatori gia' previsti dalla  normativa
 vigente,  il  programma  finanziario e tecnico dei lavori pubblici da
 eseguire  nel  triennio,  indicando  le  finalita'  ed  i  tempi   di
 realizzazione  degli  interventi  secondo una valutazione dei costi e
 dei benefici, attribuendo priorita' alla manutenzione e  al  recupero
 del patrimonio pubblico ed al completamento delle opere gia' iniziate
 (art. 14, comma 1).
   La  stessa disposizione prevede che il Ministro dei lavori pubblici
 definisca con proprio decreto lo schema tipo di  programma  triennale
 (art.  14,  comma 5); che le pubbliche amministrazioni non concedano,
 di regola, finanziamenti per realizzare  lavori  non  ricompresi  nei
 programmi  (art.  14,  comma  6);  che  non  sia alterato l'ordine di
 priorita' degli interventi indicato nel  programma,  salvo  modifiche
 imposte da eventi imprevedibili, da calamita' o da nuove disposizioni
 normative  (art.  14,  comma  7).    Le  ricorrenti sostengono che vi
 sarebbe una riappropriazione di funzioni  regionali  da  parte  dello
 Stato,  perche'  sarebbero  derogati gli strumenti di programmazione,
 anche finanziaria, rimessi alla competenza regionale gia' previsti da
 norme vigenti. In  particolare  lederebbe  l'autonomia  regionale  il
 carattere  vincolante del programma previsto dall'art. 14 della legge
 n. 109  del  1994,  che  impedirebbe  alle  regioni  di  determinarsi
 diversamente.   Anche   la  legge  regionale  non  potrebbe  disporre
 interventi non inseriti nello strumento di programmazione triennale.
   La Regione Toscana ritiene anche che l'intervento dello Stato nella
 previsione e nella  definizione  di  atti  programmatori  degli  enti
 locali  comporterebbe  una  lesione dell'autonomia regionale, essendo
 stato assegnato alle regioni il compito di individuare gli atti e gli
 strumenti  di  programmazione  socio-economica  e  di  pianificazione
 territoriale   degli   enti   locali,   rilevanti   ai   fini   della
 programmazione regionale (art. 3 della legge 8 giugno 1990, n.  142).
 L'art.  14  della  legge  n.  109  del 1994, inoltre, disciplinerebbe
 minutamente i contenuti del programma triennale dei  lavori  pubblici
 che gli enti locali sono tenuti ad adottare.
   Le  questioni  non sono fondate.   L'art. 14 della legge n. 109 del
 1994 innova profondamente la discipli  na del settore,  predisponendo
 strumenti  ritenuti necessari per indirizzare l'azione amministrativa
 secondo criteri oggettivi. L'esigenza e'  quella  di  determinare  le
 opere  pubbliche  che  possono  essere effettivamente e completamente
 realizzate, in base alle  disponibilita'  finanziarie  e  secondo  un
 ordine  di  priorita'  che  si basa sulla valutazione dei costi e dei
 benefici.   Il metodo  della  programmazione  triennale  delle  opere
 pubbliche  e',  dunque,  collegato  al rispetto dei principi generali
 fissati dall'art.  1 della legge. Nei  suoi  contenuti  di  principio
 l'art.  14  non  lede  competenze  delle regioni ne' ostacola la loro
 potesta' di programmazione.   In particolare non  impedisce  ad  esse
 determinazioni  aggiuntive.  Difatti il programma dei lavori pubblici
 non costituisce uno strumento chiuso e statico,  giacche'  lo  stesso
 art.  14  dispone,  al comma 7, che le amministrazioni aggiudicatrici
 possono discostarsi dalle priorita' fissate nel  programma  non  solo
 per gli interventi imposti da eventi imprevedibili e da calamita', ma
 anche  se vi sono modifiche dipendenti da nuove disposizioni di legge
 o da  atti  amministrativi,  anche  a  livello  regionale.    Ne'  il
 programma   di   lavori   pubblici,  configurato  dalla  disposizione
 denunciata, esclude gli altri strumenti programmatori  gia'  previsti
 dalla  normativa  vigente,  ai  quali  la stessa disposizione fa anzi
 riferimento.  La  definizione  di  uno  schema  tipo   di   programma
 triennale,  a carattere orientativo, emanato con decreto del Ministro
 dei lavori pubblici (art. 14,  comma  5),  risponde  all'esigenza  di
 omogeneita'  ed  uniformita'  nella  definizione, nell'acquisizione e
 nell'elaborazione  di  elementi  conoscitivi  e  di  dati,  lasciando
 integra l'autonomia di determinazione nella programmazione regionale.
   13.  -  La sola Regione Emilia-Romagna denuncia l'art. 19, comma 1,
 della legge n. 109 del 1994, che definisce i contratti di appalto  di
 lavori   pubblici   come   quei   contratti  che  hanno  per  oggetto
 l'esecuzione di lavori da parte dell'impresa contraente in base ad un
 progetto  esecutivo,  ad   eccezione   di   quelli   riguardanti   la
 manutenzione periodica e gli scavi archeologici.
   Ad    avviso   della   ricorrente,   la   definizione   legislativa
 restringerebbe  la  nozione  di  appalto  rispetto   alla   normativa
 comunitaria e ne deriverebbe la violazione degli artt. 11, 117, primo
 comma,  e  118,  primo  comma,  della  Costituzione.  L'art.  1 della
 direttiva 89/440/CEE (recepita con il decreto legislativo n. 406  del
 1991)  offre  una  definizione degli appalti che consente di affidare
 all'impresa, oltre alla esecuzione dei lavori, anche la progettazione
 totale o parziale o l'esecuzione di un'opera rispondente  ai  bisogni
 specificati   dall'amministrazione  aggiudicatrice.    In  base  alla
 disposizione denunciata non e'  possibile  affidare,  con  l'appalto,
 anche,  in  tutto  o  in parte, l'attivita' di progettazione.  Questo
 limite puo'  essere  superato  in  casi  eccezionali,  nei  quali  le
 caratteristiche  particolari delle opere consentono di provvedere con
 appalto-concorso, o quando  sia  ammessa  la  concessione,  che  deve
 riguardare  unitamente  la costruzione e la gestione dell'opera (art.
 19, comma 2).   Successivamente alla  proposizione  del  ricorso,  la
 disposizione denunciata e' stata sostituita dall'art. 6-bis, comma 1,
 lettera  a),  del decreto-legge n. 101 del 1995, convertito in legge,
 con modificazioni, con la legge n. 216 del 1995.  Permane,  tuttavia,
 la  stessa disciplina sostanziale, che prevede, come regola generale,
 che oggetto del contratto di  appalto  sia  la  sola  esecuzione  dei
 lavori.
   La questione non e' fondata.
   La  diversita'  delle  definizioni espresse dalle norme comunitarie
 rispetto a quelle enunciate dalla legislazione statale non  determina
 necessariamente  un  conflitto  di discipline, anche in ragione della
 relativita' delle qualificazioni normative dei distinti  ordinamenti.
 Comunque,  nel  caso in esame, il contrasto non si verifica, giacche'
 l'esclusione della progettazione dall'appalto per l'esecuzione  delle
 opere  e'  conseguenziale rispetto all'obbligo per le amministrazioni
 aggiudicatrici  di  predisporre,  per  i  lavori  pubblici,  progetti
 esecutivi,  sicche'  non  e'  dato  avere  appalti che implichino una
 attivita' di progettazione, ammessa ma non  imposta  dalla  normativa
 comunitaria.
   14.  -  Le  Province  autonome  di Bolzano e di Trento e la Regione
 Sardegna denunciano anche, deducendo il contrasto con  la  disciplina
 da  esse  dettata  nell'ambito della loro autonomia, la disposizione,
 considerata di dettaglio, che prescrive, per i contratti di  appalto,
 la  determinazione del prezzo solo a corpo e non a misura, ammettendo
 un'eccezione solo per quelli relativi alla manutenzione periodica  ed
 agli  scavi  archeologici  (art.  19, comma 4, della legge n. 109 del
 1994).  La disposizione denunciata e' stata sostituita, con contenuto
 normativ  o del tutto diverso, dall'art. 6-bis, comma 1, lettera  b),
 del   decreto-legge  n.  101  del  1995,  convertito  in  legge,  con
 modificazioni, con la  legge  n.  216  del  1995.    La  materia  del
 contendere e' pertanto cessata.
   15.  -  Altre  questioni  riguardano  le  procedure  di  scelta del
 contraente ed i criteri di aggiudicazione (artt.  20,  comma  2,  21,
 comma 1, e 24 della legge n. 109 del 1994).
   L'art.  20,  comma  2,  stabilisce  che  le  concessioni  di lavori
 pubblici  sono  affidate   mediante   licitazione   privata.   Questa
 disposizione  e' impugnata dalla Regione Emilia-Romagna per contrasto
 con gli artt.   11, 117, primo  comma,  e  118,  primo  comma,  della
 Costituzione.  Viene dedotta la lesione dell'autonomia regionale e la
 violazione  del  diritto  comunitario,   in   quanto   la   direttiva
 89/440/CEE,  a  differenza della norma censurata, lascerebbe completa
 liberta' nella forma di gara, consentendo in taluni casi  il  ricorso
 alla trattativa privata.
   La  Regione Emilia-Romagna denuncia anche l'art. 24, comma 1, della
 legge n. 109 del 1994, che esclude  l'utilizzazione  della  procedura
 negoziata  per  appalti  di  importo  superiore  a  5 milioni di ECU,
 procedura che, in alcuni casi, la normativa europea consente.  Se  ne
 deduce  la  violazione  degli artt. 11, 118, primo comma, e 97, primo
 comma, della Costituzione.
   La Regione Toscana rivolge analoga denuncia all'art. 24,  comma  1,
 lettera  b),  in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione ed al
 principio di ragionevolezza. La trattativa privata sarebbe esclusa in
 casi nei quali e' consentita,  per  importi  notevolmente  superiori,
 dalla  normativa  comunitaria.    Anche  la Regione Sardegna denuncia
 l'art. 24 della legge n. 109 del 1994, facendo  tuttavia  riferimento
 all'essere  questa  disposizione di dettaglio, vincolante per effetto
 della   qualificazione   come   norma   fondamentale    di    riforma
 economico-sociale,  prevista  in  via  generale dall'art. 1, comma 2,
 della stessa legge.  Successivamente alla proposizione  dei  ricorsi,
 l'art.  24,  comma 1, della legge n. 109 del 1994 e' stato sostituito
 (art. 8-bis, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 101 del  1995,
 convertito  in  legge,  con  modificazioni,  con  la legge n. 216 del
 1995),  ma  il  contenuto  normativo  della  disciplina  e'   rimasto
 sostanzialmente  identico,  sicche'  le  censure  vanno esaminate nel
 merito.
   Le questioni non sono fondate.
   La legge denunciata stabilisce, negli appalti di  opere  pubbliche,
 il  principio della gara per la selezione del contraente cui affidare
 la realizzazione delle  opere.  L'esigenza  di  fondo  e'  quella  di
 assicurare  la  massima  trasparenza nella scelta del contraente e la
 concorrenza tra diverse imprese. La  trattativa  privata  e'  ammessa
 solo  in  ambiti  piu'  ristretti e rigorosi di quanto non preveda la
 normativa  comunitaria,  che  peraltro  configura  il  ricorso   alla
 "procedura  negoziata"  come  eccezione  rispetto  alla  regola della
 "procedura aperta" o della "procedura ristretta", le quali  implicano
 una  gara  tra  imprese concorrenti.   La norma nazionale assicura in
 modo ancor piu' esteso la concorrenza e non determina una lesione del
 diritto comunitario, che  consente,  ma  non  impone,  la  trattativa
 privata.
   16.  - La Regione Emilia-Romagna denuncia l'art. 21, comma 1, della
 legge n. 109 del 1994, in  riferimento  agli  artt.  11,  118,  primo
 comma,  e 97, primo comma, della Costituzione, sotto due profili: sia
 in quanto esclude che la licitazione privata possa essere aggiudicata
 con il criterio dell'offerta economicamente piu'  vantaggiosa  e  non
 prevede  la  possibilita'  di  presentare  varianti  ai progetti; sia
 perche' l'amministrazione non potrebbe  verificare  ed  eventualmente
 escludere  le offerte anomale, eccezionalmente basse, prevedendosi in
 questo caso solo l'aumento dell'importo della garanzia  da  prestare.
 Successivamente  alla proposizione del ricorso, la disciplina dettata
 dalla disposizione denunciata e' stata modificata, nei suoi contenuti
 sostanziali, dal decreto-legge n. 101 del 1995, convertito in  legge,
 con  modificazioni, con la legge n. 216 del 1995 (che, all'art. 7, ha
 sostituito l'art. 21, comma  1,  della  legge  n.  109  del  1994  ed
 aggiunto,  dopo tale disposizione, il comma 1-bis). La disciplina che
 ne risulta consente all'amministrazione di valutare, ed eventualmente
 ammettere, l'offerta anomala secondo criteri prefissati dalla legge.
   E', dunque, cessata la materia del contendere.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
     1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2,
 della legge 11 febbraio 1994, n. 109  (Legge  quadro  in  materia  di
 lavori  pubblici), nella parte in cui dispone che costituiscono norme
 fondamentali  di   riforma   economico-sociale   e   principi   della
 legislazione  dello  Stato  "le  disposizioni  della  presente legge"
 anziche'  solo  "i  principi  desumibili  dalle  disposizioni   della
 presente legge";
     2)  dichiara  non  fondate  -  in  riferimento,  per le Regioni a
 statuto ordinario ricorrenti, agli artt. 115, 117, 118, 119, 125, 97,
 3 e 11 della Costituzione; per la Regione Friuli-Venezia Giulia, agli
 artt. 4, numeri 1 e 9, 8 e 58 della legge costituzionale  31  gennaio
 1963,  n.  1, nonche' all'art. 70 della Costituzione; per le Province
 di Bolzano e di Trento, agli artt. 8, numeri 1 e 17,  16,  54,  primo
 comma,  numero  5,  e  107  del  d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e alle
 relative norme di attuazione nonche' all'art. 70 della  Costituzione;
 per  la  Regione Sardegna, agli artt. 3, lettere a) ed e), 6, 46 e 56
 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.  3  e  alle  relative
 norme  di  attuazione  nonche' all'art. 70 della Costituzione; per la
 Regione Valle d'Aosta, agli artt. 2, lettere a) e  f),  4,  43  e  46
 della  legge  costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 - le questioni di
 legittimita' costituzionale  promosse,  con  i  ricorsi  indicati  in
 epigrafe,  avverso  le  seguenti disposizioni della legge 11 febbraio
 1994, n. 109:
      art.   1,   comma   3   (questioni   promosse   dalle    Regioni
 Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana);
      art. 1, comma 4 (questione promossa dalla Regione Lombardia);
      art.  2,  comma 2 (questioni promosse dalle Province autonome di
 Bolzano e di Trento e dalle Regioni Sardegna e Valle d'Aosta);
      art. 3 (questioni promosse nei confronti dell'intero testo dalle
 Regioni  Emilia-Romagna,  Lombardia,  Friuli-Venezia  Giulia,   dalle
 Province  autonome  di  Bolzano e di Trento, dalle Regioni Sardegna e
 Valle d'Aosta, e nei confronti dei commi  1,  2  e  6  dalla  Regione
 Toscana);
      art. 4 (questioni promosse nei confronti dell'intero testo dalla
 Regione  Emilia-Romagna,  dalle  Province  autonome  di  Bolzano e di
 Trento, dalle Regioni Sardegna e Valle  d'Aosta;  nei  confronti  dei
 commi 1, 3, 4, lettera f), numero 3, e lettera h), 5, 7, 8 e 17 dalla
 Regione  Lombardia;  nei  confronti  dei  commi  6,  8, 12 e 17 dalla
 Regione Friuli-Venezia Giulia; nei confronti dei commi 1, 6, 14, 16 e
 17 dalla Regione Toscana);
      art.  7,  commi  1,  2,  3 e 5 (questioni promosse dalla Regione
 Friuli-Venezia Giulia nei confronti dei commi 1, 2 e 3, dalla Regione
 Toscana nei confronti dei commi 1, 2, 3  e  5,  dalla  Regione  Valle
 d'Aosta  nei  confronti del comma 1, dalla Regione Emilia-Romagna nei
 confronti del comma 5);
      art. 8, comma 8 (questione promossa dalla Regione Lombardia);
      art. 14 (questioni promosse  dalla  Regione  Emilia-Romagna  nei
 confronti  dei  commi 5, 6 e 7, dalla Regione Lombardia nei confronti
 dei commi 1, 5,  6  e  7,  e  dalla  Regione  Toscana  nei  confronti
 dell'intero testo);
      art.   19,   comma   1   (questione   promossa   dalla   Regione
 Emilia-Romagna);
      art.   20,   comma   2   (questione   promossa   dalla   Regione
 Emilia-Romagna);
      art.  24  (questioni  promosse, nei confronti del comma 1, dalle
 Regioni Emilia-Romagna e Toscana, quest'ultima  nei  confronti  della
 lettera  b)  di  tale  disposizione,  e  dalla  Regione  Sardegna nei
 confronti dell'intero testo);
     3) dichiara cessata la materia  del  contendere  in  ordine  alle
 questioni  di  legittimita' costituzionale:   dell'art. 6, comma 5, e
 dell'art. 20,  comma  4,  della  legge  11  febbraio  1994,  n.  109,
 promosse,  in  riferimento  all'art.  118  della  Costituzione, dalle
 Regioni Emilia-Romagna e Toscana con i ricorsi indicati in  epigrafe;
 dell'art.  19,  comma  4,  della  legge  11  febbraio  1994,  n. 109,
 promosse,  in  riferimento  ai  rispettivi  statuti  speciali,  dalle
 Province autonome di Bolzano e di Trento e dalla Regione Sardegna con
 i ricorsi indicati in epigrafe; dell'art. 21, comma 1, della legge 11
 febbraio  1994,  n. 109, promossa, in riferimento agli artt. 11, 118,
 primo comma, e 97, primo comma,  della  Costituzione,  dalla  Regione
 Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
     4)   dichiara   non   fondata   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.   4-bis,   comma   1,   lettera   a),   del
 decreto-legge  3  aprile  1995,  n.  101 (Norme urgenti in materia di
 lavori pubblici), convertito in  legge,  con  modificazioni,  con  la
 legge  2  giugno  1995, n. 216, promossa, in riferimento all'art. 116
 della Costituzione e agli artt.  2 e 4 della legge costituzionale  26
 febbraio  1948,  n.  4,  dalla  Regione  Valle d'Aosta con il ricorso
 indicato in epigrafe.  Cosi' deciso in Roma, nella sede  della  Corte
 costituzionale, Palazzo della Consulta, il  23 ottobre 1995.
                       Il presidente: Caianiello
                        Il redattore: Mirabelli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 7 novembre 1995.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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