N. 869 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio - 22 novembre 1995
N. 869 Ordinanza emessa il 16 febbraio 1995 (pervenuta alla Corte costituzionale il 22 novembre 1995) dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana sul ricorso proposto dal Ministero della difesa contro Mandara' Guglielmo. Impiego pubblico - Militari - Perdita del grado e cessazione dal servizio per effetto di condanna penale - Ritenuta vigenza della norma impugnata per il suo carattere di specialita' rispetto all'art. 9 della legge n. 19/1990 abrogativo delle disposizioni di legge prevedenti la destituzione automatica - Automaticita' della inflizione di detta pena accessoria in contrasto con i principi dell'adeguamento della sanzione alla gravita' del reato e alla personalita' dell'autore nonche' della finalita' rieducativa della pena - Disparita' di trattamento rispetto ai dipendenti civili dello Stato - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 490/1989 e 104/1991. (Legge 18 ottobre 1961, n. 1168, artt. 12, lett. F), e 34, n. 7; c.p.m.p., art. 33). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.52 del 20-12-1995 )
IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello n. 693/1994 proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici e' per legge domiciliato in via Alcide De Gasperi, 81; contro Mandara' Guglielmo, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Chimento ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Pacini, 12, presso lo studio dell'avvocato Salvatore Lombardo; per l'annullamento della sentenza del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania (sez. int. I), n. 318 del 16 dicembre 1993 e 9 marzo 1994 avente per oggetto: perdita del grado e cessazione dal servizio; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'avv. Angelo Chimento per Mandara' Guglielmo; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore il consigliere Claudio Varrone; Uditi alla pubblica udienza del 16 febbraio 1995 l'avvocato dello Stato Pollara per il Ministero della difesa e l'avv. G. Garofalo, su delega dell'avv. A. Chimento, per Mandara' Guglielmo; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Il Ministero della difesa ha impugnato la sentenza di cui in epigrafe, con la quale e' stato annullato il provvedimento di perdita del grado e conseguente cessazione dal servizio nei confronti dell'appuntato dei carabinieri Guglielmo Mandara'. Detto provvedimento e' stato adottato a seguito della condanna dello stesso Mandara' a due anni, mesi dieci di reclusione e L. 400.000 di multa, nonche' all'interdizione temporanea dai pubblici uffici. Il Ministero lamenta il mancato rigetto del ricorso perche' irricevibile, nonche', in subordine, l'infondatezza, stante il carattere di pena militare accessoria propria di detto provvedimento, ai sensi degli artt. 34, n. 7, 12, lett. F), della legge 18 ottobre 1961, n. 1168, e 33 c.p.m. di pace. Pertanto, erroneamente il TAR, ha ritenuto che le disposizioni in esame risultino travolte dall'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19. Resiste l'appellato sul rilievo della infondatezza del gravame. D I R I T T O Come hanno rilevato i primi giudici, il ricorso introduttivo e' stato tempestivamente proposto, in quanto l'atto lesivo fu notificato all'interessato in data 20 luglio 1991. Il ricorso giurisdizionale e' stato notificato alla controparte il 31 agosto 1991, nel rispetto, cioe', del termine decadenziale previsto dalla vigente normativa. Nel merito l'amministrazione deduce che erroneamente il TAR ha ritenuto applicabile la disciplina prevista dall'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, trattandosi nella specie di applicare non una sanzione disciplinare ma una pena militare accessoria. La fondatezza della affermazione rende palese una prima grave anomalia della normativa dettata dagli artt. 12, lett. F), 34, n. 7, legge 18 ottobre 1961, n. 1168, e dell'art. 33 cod. pen. mil. di pace rispetto al principio costituzionale contenuto nell'art. 27. Ed invero, come e' dato rilevare dalla ordinanza della Corte costituzionale 25 ottobre-7 novembre 1989, n. 490, la pena accessoria, al di la' della denominazione normativa, e' vera e propria pena criminale, anche se a carattere interdittivo. Il che comporta che proprio perche' pena, soltanto il magistrato puo' applicarla, mentre la competenza ad infliggere la sanzione disciplinare e' attribuita alla pubblica amministrazione. Nel caso, quindi, di pena accessoria, il rispetto dei principi desumibili dal richiamato art. 27, primo e terzo comma Costituzione importa, da un lato che essa deve essere proporzionata all'entita' del fatto commesso e alla personalita' dell'autore e, dall'altro, che solo il giudice puo' compiere tale dosaggio. Entrambi tali fondamentali parametri non risultano rispettati dalla richiamata normativa ordinaria. A causa, infatti, della concorrente applicazione, in sede penale, delle norme del codice penale e, in sede amministrativa, della richiamata disciplina speciale, oltre che dell'art. 33 cod. pen. mil., la valutazione sulla pena accessoria risulta sottratta al giudice naturale e rimessa alla Pubblica amministrazione, senza, peraltro, che in tale sede possa essere formulato un qualsiasi apprezzamento discrezionale. Sulla base dell'indicato iter procedimentale si e' pervenuti, infatti, alla concreta applicazione all'attuale appellato della pena accessoria della perdita del grado e della automatica cessazione dal servizio, a seguito della condanna, passata in giudicato, della Corte d'appello di Catania alla pena di anni due, mesi dieci di reclusione e L. 400.000 di multa, oltre all'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata della pena. Il "dosaggio" operato dal giudice penale risulta del tutto travolto per la concorrente applicazione della normativa speciale, la cui natura di pena accessoria, in questo caso e' irrilevante per il legislatore, quanto alla determinazione dell'organo competente ad applicarla. Va, d'altro canto, sottolineato che la generale tendenza "al quanto piu' e' possibile avvicinamento dei diritti del cittadino militare a quelli del cittadino che tale non e'" ribadita dalla Corte costituzionale nell'interpretazione dell'art. 52 ultima parte Cost., non ha annullato del tutto le differenze, si che non appare condivisibile l'assunto dei primi giudici di circa la diretta applicazione nella specie dell'art. 9 legge n. 19/1990. Il Collegio non ignora quanto affermato, a proposito di tale disposizione, nella sentenza n. 104/1991 della Corte costituzionale, circa la previsione di una regolamentazione uniforme per tutti i pubblici dipendenti della destituzione di diritto, con la conseguente impossibilita' di differenziare, a questo fine, la posizione dei dipendenti pubblici da quelli militari. Malgrado cio', il Collegio rileva che lo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari di truppa dell'Arma dei carabinieri risulta regolato da una normativa tutt'affatto particolare, in ragione della particolarita' dei compiti ad essi affidati, del tutto distinti ed autonomi anche da quelli svolti dagli altri militari. Residua, pertanto, il fondato convincimento che il citato art. 9 legge n. 19/1990 non ha abrogato, stante la mancanza di una espressa menzione al riguardo, anche il complesso normativo costituito dagli artt. 12, lett. F), 34, n. 7, legge n. 1168/61 e 33 c.p.m. Cio' fa si' che assuma rilevanza, nel giudizio in corso, la questione di costituzionalita' di tali disposizioni, per contrasto oltre che con il richiamato art. 27, Cost., anche con il precedente art. 3, dal momento che, a seguito della richiamata pronunzia n. 104/1991, i restanti militari non sono piu' esposti all'applicazione automatica della destituzione di diritto.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, n. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, sospende il giudizio ed ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la soluzione delle questioni di legittimita' costituzionale relative agli artt. 12, lett. F), 34, n. 7, legge 18 ottobre 1961, n. 1168, e 33 cod. pen. mil., per contrasto con gli artt. 3 e 27 Costituzione; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato. Cosi' deciso in Palermo il 16 febbraio 1995. Il presidente: Scarcella L'estensore: Varrone 95C1544