N. 898 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 settembre 1995

                                N. 898
 Ordinanza emessa il 20 settembre  1995  dal  pretore  di  Milano  nel
 procedimento penale a carico di Salzano Domenico ed altro
 Pena  -  Possesso  ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli
 (nella specie: attrezzi  atti  a  forzare  serrature)  -  Trattamento
 sanzionatorio - Previsione di una pena minima edittale di sei mesi di
 arresto   -  Lamentata  eccessiva  afflittivita'  -  Irragionevolezza
 rispetto ai delitti contro il patrimonio - Riferimento alla  sentenza
 della Corte costituzionale n. 341/1994.
 (C.P., art. 707).
 (Cost., artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma).
(GU n.1 del 3-1-1996 )
                              IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel proc. pen n. 6655/1995,
 r.g.p.d., imputati: Salzano Domenico e Chiarelli Giovanni.
   Agli  attuali  imputati  e'  stata  contestata  la  contravvenzione
 all'art.    707  c.p.,  perche',  essendo  stato  gia' condannato per
 delitti determinati da fini di lucro, venivano colti in possesso, non
 giustificato, di attrezzi atti a forzare serrature.
   Preso atto che del fatto materiale riportato in imputazione  vi  e'
 stata  conferma  in sede di istruttoria dibattimentale, in diritto e'
 ben  noto  quali  e  quanti  problemi  sia  interpretativi   sia   di
 costituzionalita'  abbia dato luogo la norma in questione, sottoposta
 a  fortissime  critiche  dottrinali  (che  hanno  trovato  larga  eco
 soprattutto nella giurisprudenza di merito) per la natura di reato di
 "sospetto",  per  il  correlativo preponderante e anomalo rilievo che
 assume lo status di pregiudicato; per l'inversione  dell'onere  della
 prova; per la sproporzione della pena.
   Proprio sotto quest'ultimo profilo pare al giudicante che il minimo
 edittale   dell'art.   707   determini   conseguenze   paradossali  e
 contraddizioni talmente stridenti da  determinare  nella  persistenza
 inerzia  del  legislatore dubbi di compatibilita' con la Costituzione
 non  eludibili  con interpretazioni "adeguatrici", dal momento che se
 anche il giudice ha una discrezionalita' -  fortemente  esaltata  con
 riferimento al reato de quo sin dal 1975 della Corte costituzionale -
 che  si  estende  "previamente  al giudizio sull'esistenza stessa del
 reato" e cosi' "essendo a lui attribuito  il  piu'  largo  potere  in
 ordine  alle cause generali di giustificazione (i cosiddetti elementi
 negativi del reato)... non puo' negarsi che rientri  nel  sistema  la
 sussunzione   ad   elemento   oppure   a   condizione  della  mancata
 giustificazione  del  possesso  di  determinati  oggetti"  (cosi'  si
 esprimeva  la  sent. n. 236/1975 della Corte costituzionale), nessuna
 discrezionalita' possiede, invero, il giudice  di  fronte  al  limite
 edittale   della   pena  (fatta  salva  la  sola  applicazione  delle
 attenuanti  generiche,  che  non  sposta  comunque  i  termini  della
 questione),  che  nel  minimo  l'art.  707  stabilisce in mesi sei di
 arresto.
   Trattasi di una "soglia" particolarmente alta,  se  rapportata  sia
 alla  previsione generale dell'art. 25 c.p. ("La pena dell'arresto si
 estende  da  cinque  giorni..."),  sia  alle  altre   contravvenzioni
 concernenti  la prevenzione di delitti contro il patrimonio (cfr.  ad
 es. il minimo edittale di tre mesi dell'art. 708 c.p., che ha  comune
 presupposto  soggettivo),  sia  ancora  al  piu' generale trattamento
 sanzionatorio  dei  delitti  contro  il  patrimonio,  dove  il  furto
 semplice  e' punito con minimo di giorni quindici di pena detentiva e
 la stessa pena, per effetto di intervento del legislatore ormai  piu'
 che  ultraventennale  (legge  n.  220 del 1974) e' possibile irrogare
 attraverso  l'equivalenza  tra  attenuanti  generiche  e   aggravanti
 dell'art. 625 anche quando ricorrano tali aggravanti.
   Se il sistema poteva avere una sua coerenza (naturalmente opinabile
 dal  punto  di  vista  delle  scelte di politica criminale, di pura e
 drastica repressione) prima della riforma del 1974,  non  altrettanto
 puo'  dirsi  per  la  situazione  vigente,  in  cui  un semplice atto
 preparatorio, in  se'  non  punibile,  viene  sottoposto  a  sanzione
 detentiva decisamente pesante, spesso molto maggiore di quella che in
 concreto e' normalmente irrogata nel caso di inizio di esecuzione del
 furto:  si  pensi,  ad es. (per fare un caso di cui si e' occupata la
 Corte sotto il profilo processuale della legittimita' dell'arresto in
 flagranza) alla  sottrazione  di  capo  di  abbigliamento  in  grande
 magazzino con l'aggravante della violenza sulle cose consistita nella
 asportazione  della  "piastra"  magnetica  antifurto mediante piccole
 pinze o altri strumenti analoghi,  il  cui  possesso,  ricorrendo  le
 condizioni  soggettive  ivi  previste e non essendovi un principio di
 esecuzione, comporta l'assoggettamento alla pena dell'art. 707.
   Essendo arresto e  detenzione  species  di  un  unico  genus  (pena
 detentiva)   con   effetti  sostanzialmente  identici,  senza  volere
 inutilmente dilungarsi in problematiche ben note, pare al  giudicante
 che punire con pena cosi' eccessiva come quella dell'art. 707 c.p. il
 possesso  anche  di un unico attrezzo (ad es., cacciavite, un paio di
 forbici, una chiave inglese, ecc.), in se' non indice di  particolare
 pericolosita' del soggetto, e non tale da agevolare in modo rilevante
 il  compimento  di atti delittuosi contro il patrimonio, comporti una
 situazione di disagio in chi e' demandato a applicare  la  norma  del
 tutto  affine  a  quella  di cui si e' recentemente occupata la Corte
 costituzionale in materia di oltraggio a pubblico ufficiale (sent. n.
 341/1994), decisione cui questo giudice si richiama anche ai fini del
 rinvenimento  nel sistema del trattamento sanzionatorio minimo (nella
 specie:  art.    25  c.p.),  senza  interferenza   nella   sfera   di
 discrezionalita' legislativa.
   Anche  in  materia  di art. 707 c.p. a buon diritto si puo' infatti
 parlare di vanificazione  del  fine  rieducativo  della  pena,  e  di
 sanzione   penale  manifestamente  eccessiva  rispetto  al  disvalore
 dell'illecito, essendo stato dalla Corte costituzionale affermato  in
 via  generale che la finalita' rieducativa della pena non e' limitata
 alla sola fase della esecuzione ma costituisce  "una  delle  qualita'
 essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo contenuto
 ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione
 normativa, fino a quando in concreto si estingue", e d'altro lato che
 "il principio  di  proporzionalita'  nel  campo  del  diritto  penale
 equivale  a  negare  legittimita'  alle  incriminazioni  che anche se
 presumibilmente  idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali   di
 prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
 suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
 maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
 tutela dei beni o valori offesi delle predette incriminazioni".
 
                               P. Q. M.
   Visto  l'art.  23 della legge n. 87/1953, ritenutane la rilevanza e
 la  non  manifesta  infondatezza,  solleva  d'ufficio  questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  707  c.p. nella parte in cui
 prevede il minimo edittale di mesi sei di reclusione anziche'  quello
 generale  dell'art.    25  c.p.,  con riferimento agli artt. 3, primo
 comma, e 27, terzo comma, della Costituzione;
   Sospende il giudizio limitatamente a tale imputazione;
   Dispone che effettuate  a  cura  della  cancelleria  le  prescritte
 notifiche  e  comunicazioni,  gli  atti  siano  trasmessi  alla Corte
 costituzionale.
   Cosi' deciso in Milano il giorno 20 settembre 1995
  Il pretore:  Punzo
 95C1573