N. 7 SENTENZA 6 dicembre 1995- 18 gennaio 1996

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 
 Costituzione  della  Repubblica  -  Ministro  di grazia e giustizia e
 Senato della Repubblica -  Mozione  di  sfiducia  individuale  del  4
 luglio  1995  all'ordine  del giorno della seduta del 18 ottobre 1995
 messa a votazione  nominale  nella  seduta  del  19  ottobre  1995  -
 Distinzione  della  responsabilita'  individuale del singolo Ministro
 rispetto all'azione politica del Governo nella  sua  collegialita'  -
 Difetto  dell'armonica  correlazione  tra  attivita'  collegiale  del
 Governo  e  attivita'  individuale  del   Ministro   in   riferimento
 all'unitario  obiettivo  della  realizzazione dell'indirizzo politico
 cui concorrono Parlamento e Governo -  Spettanza  a  ciascuna  Camera
 approvare  una  mozione di sfiducia anche nei confronti di un singolo
 Ministro - Spettanza al Presidente della Repubblica, su proposta  del
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri, sostituire il Ministro non
 dimissionario  ma  sfiduciato  -  Spettanza   al   Presidente   della
 Repubblica  il potere di conferimento al Presidente del Consiglio dei
 Ministri della titolarita' ad  interim  del  Ministero  di  grazia  e
 giustizia in sostituzione del Ministro sfiduciato dal Senato.
 
(GU n.4 del 24-1-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente:  avv. Mauro FERRI;
   Giudici:    prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo CHELI, dott. Renato
 GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI,    prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con ricorso del dott. Filippo Mancuso, nella
 qualita' di Ministro di grazia e giustizia-Guardasigilli pro-tempore,
 notificato il  30  ottobre  1995,  depositato  in  cancelleria  il  2
 novembre successivo ed iscritto al n. 35 del registro conflitti 1995,
 per conflitto di attribuzione sorto a seguito:
     1)  della  mozione in data 4 luglio 1995, cosi' come presentata e
 posta all'ordine del giorno del 18 ottobre 1995 e messa  a  votazione
 nominale  dal  Senato  della  Repubblica  nella seduta del 19 ottobre
 1995;
     2) dell'atto con cui il Presidente del Senato,  per  implicito  o
 per esplicito, ha ammesso a discussione la mozione di sfiducia;
     3)  della  proclamazione  dei  risultati  della  votazione  sulla
 mozione impugnata, di accoglimento della mozione stessa,  cosi'  come
 dichiarata  dal  Presidente  del Senato della Repubblica nella seduta
 del 19 ottobre 1995;
     4) della proposta del Presidente del Consiglio dei  ministri  per
 il conferimento, a se medesimo, dell'incarico di Ministro di grazia e
 giustizia ad interim;
     5)  del  decreto  in  data  19 ottobre 1995, del Presidente della
 Repubblica, con il quale e' stato conferito l'incarico di Ministro di
 grazia e  giustizia  ad  interim  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri, dott. Lamberto Dini;
     6) dell'atto successivo, in data 20 ottobre 1995, con il quale il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  dott.  Lamberto  Dini, ha
 chiesto ed ottenuto "il passaggio delle consegne"  del  Ministero  di
 grazia e giustizia;
   Visti  gli  atti di costituzione del Senato della Repubblica, della
 Camera dei deputati, del Presidente del Consiglio dei ministri e  del
 Presidente della Repubblica;
   Udito nell'udienza pubblica del 5 dicembre 1995 il Giudice relatore
 Massimo Vari;
   Uditi  gli avvocati Fabrizio Salberini, Donatella Resta e Franco G.
 Scoca per il dott. Filippo Mancuso; gli av- vocati Giuseppe Guarino e
 Paolo Barile per il Senato della Repubblica;  gli  avvocati  Giuseppe
 Abbamonte   e   Feliciano  Benvenuti  per  la  Camera  dei  deputati;
 l'Avvocato generale dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente  del
 Consiglio dei ministri e per il Presidente della Repubblica.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Con ricorso del 18 ottobre 1995, depositato il successivo 19,
 il dott. Filippo Mancuso, nella qualita'  di  Ministro  di  grazia  e
 giustizia-Guardasigilli  pro-tempore,  quale  "titolare del potere di
 esercizio delle funzioni amministrative della  giustizia,  conferite,
 in  via  specifica  ed  esclusiva",  dagli  artt.  107  e  110  della
 Costituzione, ha sollevato conflitto di attribuzione contro il Senato
 della  Repubblica, quale "titolare del potere di accordare o revocare
 la fiducia al Governo conferito  dall'art.  94  della  Costituzione".
 Ricordata la mozione del 18 maggio 1995, votata dal Senato in materia
 di  attivita'  ispettiva  del  Ministro  di  grazia  e  giustizia, il
 ricorrente impugna la  successiva  mozione  del  4  luglio  1995  "da
 discutere  nella  seduta  in  data  18 ottobre 1995", con la quale il
 Senato avrebbe espresso "sfiducia" al Ministro di grazia e  giustizia
 pro-tempore,  quale  responsabile  individuale degli atti del proprio
 dicastero.
   2. - Quanto all'individuazione e alla legittimazione delle parti in
 conflitto, si osserva che "laddove entrino  in  conflitto  con  altri
 poteri  dello Stato, quelli attribuiti dalla Costituzione al Ministro
 di grazia e giustizia, quale titolare del potere di  esercizio  delle
 funzioni  amministrative  della  giustizia  ex  artt. 107 e 110 della
 Costituzione,  e'  quel   Ministro   e   non   altri   il   legittimo
 contraddittore  dell'organo  investito  del  potere  contrapposto con
 espressa esclusione del Presidente  del  Consiglio".    Relativamente
 all'altra  parte  in conflitto, e' pacifico - secondo il ricorrente -
 che il Senato della Repubblica sia organo  competente  "a  dichiarare
 definitivamente  la  volonta'  del potere" (art. 37 della legge n. 87
 del 1953) "quanto  alla  formulazione  delle  mozioni  di  fiducia  o
 sfiducia    costituenti   un   potere   tipico,   istituzionale,   di
 quell'Organo".
   3. - Il profilo oggettivo del conflitto risiederebbe nella volonta'
 del  Senato  della  Repubblica  di   sfiduciare,   "personalmente   e
 singolarmente",  il  Ministro di grazia e giustizia, per le attivita'
 di cui agli artt.   107 e 110 della  Costituzione,  che  si  assumono
 esercitate   con   modalita'  "confliggenti  con  il  recupero  della
 serenita'  istituzionale  necessaria  ad  assicurare   l'indipendente
 esercizio  della  funzione  giudiziaria".    Pur  dando  atto  che il
 conflitto e',  allo  stato  di  proposizione  del  ricorso  "soltanto
 virtuale",  si  assume comunque la "inammissibilita' della iniziativa
 volta alla sfiducia de qua", sotto un triplice  profilo:    1)  della
 "inammissibilita'   di   una  personalizzazione  dell'istituto  della
 mozione parlamentare di sfiducia"; 2) della "inesistenza, nel caso di
 specie, di una responsabilita' politica  (e  di  qualsiasi  ulteriore
 responsabilita')  del  ministro  da  sfiduciare";  3)  infine  "della
 vindicatio  potestatis  del  Guardasigilli  in  relazione  ai  poteri
 specifici  che costituzionalmente gli competono".  Dopo aver rilevato
 che il rapporto fiduciario Camere-Governo "nel suo complesso"  appare
 "insuscettibile  di  essere parzializzato, e parzialmente revocato, a
 scapito della unitarieta' delle funzioni del Governo stesso (art.  95
 della  Costituzione e art. 2 della legge n. 400 del 1988) e della sua
 collegialita'",  si  osserva  che,  d'altra   parte,   le   eventuali
 conseguenze  dell'approvazione di una mozione di sfiducia individuale
 "sembrano   difficilmente   collocabili    nel    presente    assetto
 costituzionale  se non ipotizzando le dimissioni dell'intero Governo,
 in assenza di quelle del ministro sfiduciato, non certo revocabile in
 mancanza di qualsiasi indizio normativo che ne consenta il ritiro dal
 Governo con siffatte modalita'".  Sull'uso, invece, della mozione  di
 sfiducia come "procedura surrettizi  amente allusiva all'impeachement
 anglosassone",   attraverso   una  chiamata  di  responsabilita'  del
 Ministro di grazia e giustizia per atti e fatti del suo dicastero, si
 ritiene - muovendo dalla distinzione fra responsabilita' "politica" e
 "giuridica"   dei   ministri   -   che  la  responsabilita'  politica
 individuale  si  configuri  come  una   responsabilita'   imperfetta,
 "giacche'  le  Camere  possono bensi' chiedere conto dell'operato dei
 ministri  mediante   gli   strumenti   del   sindacato   parlamentare
 (interrogazioni,   interpellanze,  inchieste  parlamentari),  ma  non
 possono attivare  un  provvedimento  sanzionatorio  a  carico  di  un
 ministro  se  non  coinvolgendovi  collegialmente  l'intero Governo".
 Quanto alla responsabilita' giuridica,  "neppure  la  mozione  ostile
 contro  cui  si  ricorre ne ha potuto ipotizzare una qualsivoglia", a
 carico del ricorrente.   Lamentando  un'"indebita  interferenza"  del
 Senato nell'attivita' amministrativa del Guardasigilli, si rileva che
 sia  la  mozione di sfiducia in discussione il 18 ottobre, sia quella
 precedente del 18 maggio, "originano e si riducono sostanzialmente ad
 una critica  sommaria  circa  lo  svolgimento  di  alcune  incombenze
 amministrative,    ed    in   particolare   di   alcune   ispezioni",
 rappresentando siffatte valutazioni di merito come "risultato  di  un
 incondivisibile  (per  i presentatori) indirizzo politico proprio del
 ministro da sfiduciare", e suscitando il problema del "se" e "quanto"
 un organo parlamentare, ancorche' di indiscussa autorevolezza,  possa
 sovvertire  le  regole sulla responsabilita' amministrativa, civile e
 penale dei ministri per gli atti del  loro  dicastero.    La  mozione
 impugnata,   dando   per   scontato   che   l'esercizio   dei  poteri
 autonomamente spettanti al Ministro di grazia e giustizia in  materia
 ispettiva "non si sarebbe sempre ispirato agli indirizzi generali del
 Governo  in materia di equilibrato rapporto tra i poteri dello Stato,
 ovvero si sarebbe svolto secondo principi di inadeguatezza e  di  non
 proporzionalita'  tra  i  comportamenti  in  astratto addebitabili ai
 magistrati e la tutela dei beni a garanzia dei quali la  facolta'  di
 azione  disciplinare  e'  attribuita  al  Ministro", lamenterebbe "la
 mancanza  di  indirizzi  di  governo  in  ordine  alle  problematiche
 dell'attivita'  ispettiva  del  Ministro,  rivolti  per  un  verso ad
 evitare interferenze di tale  attivita'  sull'indipendente  esercizio
 della  funzione  giudiziaria,  e  per  altro  verso  a  prevedere che
 eventuali  interruzioni  del  rapporto  di   collaborazione   tra   i
 magistrati  ispettori  e il Ministro fossero adeguatamente motivate".
 Ad avviso del ricorrente, dette doglianze, "del tutto  infondate  nel
 merito",  costituirebbero  "una  indebita  intromissione di un organo
 legislativo nella attivita' dell'esecutivo, anche  per  la  ulteriore
 pretesa  di  voler  dettare  regole  di  buona amministrazione con un
 mezzo,  quello  della  mozione   di   sfiducia,   assolutamente   non
 preordinato  dal  Costituente  a  tale scopo".   Del resto, contro le
 attivita' amministrative che si assumano illegitt  ime, o addirittura
 illegali, "l'ordinamento appronta  piu'  di  un  mezzo  per  la  loro
 rimozione dal mondo giuridico", senza necessita' di chiamare in causa
 "la credibilita' politica del Ministro competente".
   4. - Con atto del 21 ottobre 1995, depositato il 23 successivo, "il
 Ministro   dott.  Filippo  Mancuso,  quale  titolare  del  potere  di
 esercizio delle funzioni amministrative della  giustizia,  conferite,
 in  via  specifica  ed  esclusiva",  dagli  artt.  107  e  110  della
 Costituzione, ha proposto  un  ulteriore  ricorso  per  conflitto  di
 attribuzione  tra  i  poteri  dello  Stato contro: a) il Senato della
 Repubblica, quale "titolare del potere di  accordare  o  revocare  la
 fiducia  al Governo conferito dall'art. 94 della Costituzione"; b) il
 Presidente del Consiglio dei ministri, "quale titolare del potere  di
 proporre  al  Presidente della Repubblica il suo nome per assumere ad
 interim le funzioni di Ministro Guardasigilli, ai sensi dell'art.  92
 della  Costituzione";  c)  il  Presidente  della  Repubblica,  "quale
 titolare  del  potere  di  affidare  al  Presidente   del   Consiglio
 l'incarico  ad  interim  di  Ministro di Grazia e Giustizia, ai sensi
 dell'art. 92 della Costituzione".
   5. - Il ricorrente ha chiesto l'annullamento dei seguenti atti:
     1) della mozione in data 4 luglio 1995, cosi' come  presentata  e
 posta  all'ordine  del giorno del 18 ottobre 1995 e messa a votazione
 nominale dal Senato della Repubblica  nella  seduta  del  19  ottobre
 1995;
     2)  dell'atto  con  cui il Presidente del Senato, per implicito o
 per esplicito, ha ammesso a discussione la  mozione  di  sfiducia  de
 qua;
     3)  della  proclamazione  dei  risultati  della  votazione  sulla
 mozione impugnata, di accoglimento della mozione stessa,  cosi'  come
 dichiarata  dal  Presidente  del Senato della Repubblica nella seduta
 del 19 ottobre 1995;
     4) della proposta del Presidente del Consiglio dei  ministri  per
 il conferimento, a se medesimo, ad interim, dell'incarico di Ministro
 di grazia e giustizia;
     5)  del  decreto  in  data  19 ottobre 1995, del Presidente della
 Repubblica,  con  il  quale  e'  stato  decretato   il   conferimento
 dell'incarico  di  Ministro  di  grazia  e  giustizia  ad  interim al
 Presidente del Consiglio dei ministri, dott. Lamberto Dini;
     6) dell'atto successivo, in data 20 ottobre 1995, con il quale il
 Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  dott.  Lamberto  Dini,  ha
 chiesto  ed  ottenuto  dal  Ministro  Mancuso,  che  ne contestava la
 legittimita', "il passaggio delle consegne" del Ministero di grazia e
 giustizia.
   6. - Il ricorrente ribadisce, anzitutto, la propria  legittimazione
 soggettiva  "quale  titolare  del  potere di esercizio delle funzioni
 amministrative  della  giustizia   ex   artt.   107   e   110   della
 Costituzione";  osserva,  poi,  relativamente  alle  altre  parti  in
 conflitto, che appare pacifico che esse siano  organi  competenti  "a
 dichiarare  definitivamente  la  volonta'  dei poteri" (art. 37 della
 legge n. 87 del 1953): il  Senato  "quanto  alla  formulazione  delle
 mozioni  di  fiducia  o  sfiducia";  il  Presidente del Consiglio dei
 ministri e il Presidente della  Repubblica  quanto  alla  nomina  dei
 ministri.  Questi  poteri  risultano  ora  "degenerati in conflitto",
 perche':  a)  il  primo  "non  indirizzato,  come   stabilito   dalla
 Costituzione,  al  Governo  nel  suo  complesso,  ma al solo Ministro
 Guardasigilli" e comunque volto a sindacare una funzione  propria  di
 questo; b) gli altri due carenti dei necessari presupposti e comunque
 al  di  la'  dei  poteri istituzionali (ove il decreto del Presidente
 della  Repubblica  voglia  intendersi  come  atto   di   destituzione
 implicita del Ministro dalla carica).
   7.  -  Quanto,  poi,  al  profilo  oggettivo  del  conflitto,  esso
 risiederebbe:   1) nella volonta'  del  Senato  della  Repubblica  di
 sfiduciare  il  Ministro di grazia e giustizia, per l'esercizio delle
 attivita' di cui agli artt. 107 e 110 della  Costituzione;  2)  nella
 volonta' del Presidente della Repubblica di nominare, su proposta del
 Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   un   altro  Ministro
 Guardasigilli (senza  peraltro  aver  assunto  alcuna  determinazione
 riguardo  al primo).   Premesso il carattere "attuale" del conflitto,
 si ribadisce, conformem   ente a quanto gia'  assunto  con  il  primo
 ricorso,  la  inammissibilita'  della  iniziativa volta alla sfiducia
 verso un singolo ministro, sotto il triplice profilo gia' prospettato
 nella prima impugnativa.  Nel ribadire le considerazioni gia'  svolte
 nel primo ricorso sul fatto che il rapporto fiduciario Camere-Governo
 "nel suo complesso" appare insuscettibile di essere "parzializzato, e
 parzialmente  revocato", si soggiunge che la fattispecie non potrebbe
 essere "giustificata con il ricorso alle non consolidate figure della
 convenzione parlamentare".  Infatti, premesso che "il regolamento del
 Senato non contempla le mozioni di sfiducia al singolo Ministro",  si
 potrebbe   supporre   "una  ipotesi  convenzionale",  ove  non  fosse
 intervenuto il dissenso di taluni gruppi parlamentari, come e' invece
 accaduto.   Tanto rilevato, il ricorso  riprende  sostanzialmente  le
 argomentazioni gia' svolte nel primo, segnatamente per quanto attiene
 alla mozione di sfiducia individuale.
   8.  -  Quanto poi all'atto di proposta del Presidente del Consiglio
 dei ministri al Presidente della Repubblica per  il  conferimento  ad
 interim  dell'incarico  di  Ministro  di  grazia  e  giustizia, se ne
 sostiene il "contrasto con il dettato costituzionale", per le ragioni
 di seguito esposte.  Premesso che "i conflitti  tra  ministri  devono
 essere  risolti nell'ambi   to del Consiglio dei ministri", si rileva
 che la vicenda de qua denuncia invece l'esistenza  di  una  "frattura
 verificatasi  in  seno  al  Governo"  e  che "tale situazione sarebbe
 inconcepibile  se  avesse  riguardato  un  conflitto   di   carattere
 politico",  da  risolvere  comunque  nel  Consiglio dei ministri, "in
 quanto una scelta politica assume  sempre  carattere  globale  ed  e'
 imputabile   all'intero  Governo".  Si  ritiene  che  la  vicenda  in
 questione sia "stata invece resa possibile per il fatto che non si e'
 mai contraddetto un atto  politico  del  Ministro,  ma  piuttosto  la
 decisione  di  adottare,  ovvero  l'aver  adottato  uno  o  piu' atti
 amministrativi     rientranti     nelle      funzioni      specifiche
 costituzionalmente  proprie  del  Guardasigilli".   Osservato che dal
 decreto presidenziale risulta che il Presidente della  Repubblica  ha
 "preso  atto"  che  con  l'approvazione  di  una  mozione di sfiducia
 individuale e' venuta meno la condizione essenziale  e  indefettibile
 della  permanenza  del ricorrente nella carica di ministro, si rileva
 l'anomalia del conferimento dell'incarico di Guardasigilli ad interim
 "senza pero' nulla disporre riguardo al Ministro Mancuso in carica  e
 senza  decretarne  esplicitamente la revoca", non senza osservare che
 "la pronuncia di sfiducia obbliga il Governo  alle  dimissioni",  che
 costituiscono   comunque   un   atto   spontaneo   ed   una  autonoma
 manifestazione  di  volonta'   da   parte   dell'organo   sfiduciato.
 Ricordato  che la dottrina si e' a lungo interrogata sul punto se "il
 rifiuto di dimissioni da  parte  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  il  cui Governo sia stato colpito da sfiducia, consenta al
 Presidente della Repubblica di intervenire autoritativamente  per  il
 ripristino   dell'ordine   costituzionale   con  un  atto  di  revoca
 dell'incarico (rectius, di destituzione)", si rileva che "tanto  meno
 sarebbe  ipotizzabile  un  atto  di  revoca nei confronti del singolo
 ministro".   Peraltro, non essendo, nel  caso  presente,  intervenuta
 "alcuna  proposta ne' alcun decreto di revoca dall'incarico", l'unica
 indicazione  al  riguardo  risulterebbe  costituita  dalla   premessa
 formulata  nel  preambolo  del  decreto,  "come "presa d'atto" di una
 circostanza  che,  come tale, e' insuscettibile di produrre l'effetto
 giuridico della decadenza dall'incarico".   Se  ne  ricaverebbe  che,
 affidato  l'incarico  di  Ministro  Guardasigilli  al  Presidente del
 Consiglio dei ministri, il Ministro Mancuso sia stato "sospeso" dalle
 funzioni  di  Guardasigilli,  mantenendo  la  carica   di   Ministro,
 "rimanendo   cosi'   nella   compagine   governativa   in   posizione
 assimilabile a quella del ministro senza portafoglio".    Affermando,
 in  conclusione, che la revoca dalla carica di ministro, non prevista
 in Costituzione, non e' "ne' legittima, ne'  possibile"  e  che  essa
 "comunque  non  e' stata pronunciata", si chiede l'annullamento degli
 atti impugnati.
   9. - In data 23  ottobre  1995  il  ricorrente  ha  presentato,  in
 riferimento al ricorso per conflitto di attribuzione contro il Senato
 della Repubblica proposto a questa Corte in data 18 ottobre 1995, una
 "memoria  illustrativa"  contenente "motivi aggiunti".  Si precisa in
 detta memoria che, a seguito della votazione nominale  della  mozione
 approvata  dal Senato nella seduta del 19 ottobre 1995, il ricorrente
 reputa "necessario" impugnare, "oltre alla mozione in data  4  luglio
 1995  cosi'  come  presentata  e  messa  all'ordine del giorno del 18
 ottobre 1995" una serie di atti puntualmente indicati  corrispondenti
 a quelli gia' oggetto del secondo ricorso.  Nel merito, si deduce che
 la  mozione  di  sfiducia inizialmente impugnat  a, costituita da una
 "proposta" e da un provvedimento  di  "messa  in  discussione"  della
 proposta medesima, avrebbe attivato "un meccanismo confittuale la cui
 virtualita',  nel  caso  di  specie,  e'  da  riferire  agli  effetti
 ulteriori, eventuali e  concreti  della  sfiducia  richiesta  con  la
 mozione".    Ne  conseguirebbe  che "la mozione di sfiducia de qua, e
 l'atto che ne autorizzo' la discussione, certamente condussero ad una
 ipotesi, per cosi' dire, iniziale,  di  conflitto  di  attribuzioni",
 "suscettibile  o  di  esaurirsi, o di condurre ad ulteriori effetti".
 Riprendendo le argomentazioni gia' svolte,  soprattutto  nel  secondo
 ricorso, si osserva tra l'altro che:
     a)  la  mozione  di  sfiducia de qua - la cui "praticabilita'" si
 definisce  "scarsissima"  -  ha  portato   alla   revoca,   ancorche'
 implicita,  al Ministro Mancuso della sola attribuzione del dicastero
 della giustizia;
     b) il Ministro Guardasigilli viene  chiamato  "a  responsabilita'
 inesistenti   e   comunque  inammissibili  sul  piano  della  fiducia
 governativa", posto che l'ordinamento "prevede piu'  di  un  mezzo  a
 tutela  di  quanti siano interessati dai provvedimenti ministeriali".
 Anche in ordine al conferimento dell'incarico ad interim si  ripetono
 sostanzialmente  le  argomentazioni  gia' svolte nel secondo ricorso,
 chiedendo conclusivamente l'annullamento degli atti impugnati.
   10. - Con ordinanza n. 470 del 27 ottobre 1995, la Corte,  premesso
 che  ai  fini  della  determinazione  del  thema  decidendum il primo
 ricorso puo' ritenersi contenuto e ricompreso nel secondo; e premesso
 altresi' che  l'oggetto  del  conflitto  riguarda  essenzialmente  la
 mozione  di sfiducia votata il 19 ottobre 1995, nonche' il decreto in
 pari data con il quale il Presidente della  Repubblica,  su  proposta
 del   Presidente   del   Consiglio   dei  ministri,  ha  conferito  a
 quest'ultimo l'incarico ad interim di Ministro  della  giustizia,  ha
 dichiarato  ammissibile  il  conflitto  sollevato  nei  confronti del
 Senato della Repubblica, del Presidente del Consiglio dei ministri  e
 del  Presidente della Repubblica; ha disposto, a cura del ricorrente,
 la  notifica del ricorso e dell'ordinanza al Senato della Repubblica,
 al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  al  Presidente  della
 Repubblica,   nonche'  alla  Camera  dei  deputati,  ritenendo  anche
 quest'ultima interessata al conflitto.
   11. - In data 17 novembre 1995 si  e'  costituito  in  giudizio  il
 Senato  della  Repubblica,  chiedendo  di  dichiarare inammissibile e
 comunque infondato il ricorso.   Dopo  aver  eccepito  che  il  primo
 ricorso,  depositato il 19 ottobre 1995, non essendo stato notificato
 al Senato, dovrebbe essere giudicato inammissibile  od  irricevibile,
 si  deduce,  quanto al secondo ricorso e cioe' quello recante la data
 21 ottobre 1995, notificato al Senato della  Repubblica  in  data  30
 ottobre 1995, che alla data del ricorso il dottor Filippo Mancuso era
 privo  di  qualsiasi  legittimazione  a  ricorrere  nella qualita' di
 Ministro della giustizia, in quanto tale qualita' era venuta meno sin
 dal 19 ottobre 1995 per effetto della nomina del nuovo Ministro.  Ne'
 il  conflitto  puo'  ritenersi sollevato dal dott. Filippo Mancuso in
 proprio, giacche', in questo caso,  egli  avrebbe  dovuto  rivolgersi
 specificamente  contro  il  Ministero della giustizia.  Nel merito il
 ricorso sarebbe infondato. La mozione, infatti, ivi  compresa  quella
 di  sfiducia,  e'  un  atto  politico  e  come tale insindacabile nel
 merito, anzi, irrilevante sotto qualsiasi profilo che non sia  quello
 politico.    L'atto del Senato appare conforme alla Costituzione, ne'
 rileva il fatto che la mozione sia o meno  prevista  dal  regolamento
 delle singole Camere. Gli effetti derivanti dalla approvazione di una
 mozione  siffatta  sono  esterni  al Senato: in primis, l'obbligo del
 titolare dell'organo  colpito  da  sfiducia  di  dimettersi.  Qualora
 questo  obbligo  non  sia  rispettato, il Presidente della Repubblica
 puo' nominare il nuovo titolare dell'ufficio,  con  sostituzione  del
 titolare sfiduciato.
   12.  -  Nella medesima data si e' costituita, altresi', in giudizio
 la Camera  dei  deputati,  la  quale  evidenzia  che  essa,  a  norma
 dell'art.    115  del  suo regolamento, puo' votare la sfiducia ad un
 singolo ministro, affermando, nel contempo,  che  le  Camere  possono
 sempre  verificare  la persistenza del rapporto di fiducia, anche per
 quel che riguarda gli atti di competenza dei singoli ministri.    Con
 una successiva memoria depositata in data 21 novembre 1995, la difesa
 della  Camera  dei  deputati,  eccepito che il primo ricorso dovrebbe
 essere  dichiarato  improcedibile,  per  mancata  notifica,   deduce,
 altresi',  l'inammissibilita'  del secondo ricorso in quanto proposto
 dal dott. Filippo Mancuso in una qualita', quella di  Ministro  della
 giustizia, che aveva perduto fin dal 19 ottobre 1995.  Nel merito, si
 riafferma  il  potere della Camera di sfiduciare un singolo ministro,
 ai sensi dell'art. 115 del proprio regolamento.  Ricordato, altresi',
 che non e' ammesso il controllo della Corte  costituzionale  ne'  sui
 regolamenti  parlamentari,  ne'  sulla  loro applicazione, si deduce,
 quanto alla sfiducia votata dal Senato al singolo  ministro,  che  si
 tratta  di attivita' di controllo che non puo' non spettare all'uno e
 all'altro ramo del Parlamento, anche in  assenza  di  una  previsione
 regolamentare    espressa.      Ricordate   le   altre   disposizioni
 costituzionali che,  in  aggiunta  all'art.  95  della  Costituzione,
 fondano  la  responsabilita'  dei singoli ministri, per le competenze
 individualmente esercitate (in primis l'art. 89 della  Costituzione),
 si sostiene che e' la stessa posizione costituzionale rivendicata dal
 ricorrente, di autonomia nell'esercizio delle funzioni ex artt. 107 e
 110  della  Costituzione,  che,  in  regime  parlamentare,  lo  rende
 individualmente responsabile verso il Parlamento.  A seguito del voto
 di sfiducia, la correttezza costituzionale e lo stesso  tenore  degli
 artt.  94 e 95 della Costituzione avrebbero imposto le dimissioni. Il
 Ministro ha risposto elevando conflitto ed il  Capo  dello  Stato  ha
 garantito  la  continuita'  della  funzione  conferendo  l'interim al
 Presidente del Consiglio dei ministri.
   13. - In data 18 novembre 1995 si sono costituiti in giudizio anche
 il Presidente della Repubblica e  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentati e difesi dall'Avvocato generale dello Stato,
 per chiedere che il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque
 infondato.   Premesso che il ricorso  ha  sollevato  "due  diversi  e
 distinti  conflitti  di  attribuzione  tra  poteri dello Stato" - uno
 contro il Senato della Repubblica, l'altro contro il Presidente della
 Repubblica e il Presidente del Consiglio dei ministri  -  si  chiede,
 quanto al secondo, "una nuova valutazione della ricorrenza di tutti i
 requisiti soggettivi e oggettivi del conflitto sollevato", osservando
 che  "il  potere di nomina dei ministri non esprime un potere proprio
 del  Presidente  della  Repubblica":    con  la  controfirma  e'   il
 Presidente    del    Consiglio   dei   ministri   che   assume   ogni
 responsabilita',  non  solo  politica,  ma   anche   giuridica,   del
 provvedimento.    Atteso  che  il ricorrente lamenta la lesione delle
 attribuzioni garantite al Ministro di grazia e giustizia dagli  artt.
 107  e  110  della  Costituzione,  si  osserva  che  il provvedimento
 impugnato "realizza ed esaurisce i suoi effetti in termini  puramente
 soggettivi",  senza  provocare "alcuna menomazione delle attribuzioni
 dell'organo", per cui non puo' formare oggetto di conflitto.   Quanto
 ai  presupposti  soggettivi,  all'atto della proposizione del secondo
 ricorso il ricorrente non rivestiva piu' la  carica  di  Ministro  di
 grazia  e  giustizia  e non aveva pertanto legittimazione a sollevare
 conflitto ne' a "proporre alcunche' a nome e nell'interesse  di  quel
 potere  dello  Stato".    "Ne'  il ricorrente potrebbe sostenere che,
 tuttavia, egli rivestiva la carica di Ministro di grazia e  giustizia
 quando  ha  presentato  il  primo  ricorso": questo, infatti, diretto
 soltanto  nei  confronti  del  Senato  della  Repubblica,  e'   stato
 "correttamente  ed  opportunamente ritenuto" dalla Corte compreso nel
 secondo, i cui effetti e' da escludere che "possano, in qualche modo,
 retroagire alla presentazione del primo ricorso", almeno  per  quanto
 riguarda  il  conflitto  elevato a seguito del decreto del Presidente
 della Repubblica.  "Del tutto destituita di fondamento in fatto e  in
 diritto"   e'   infine  la  tesi  del  ricorrente  secondo  cui  egli
 "conserverebbe comunque la carica di ministro, pur senza le  funzioni
 proprie di titolare del Ministero di grazia e giustizia". E comunque,
 in   ogni   caso,   "atteso   che  la  denunciata  menomazione  delle
 attribuzioni costituzionali riguarda in modo esclusivo proprio quelle
 del Ministro di grazia e  giustizia",  "nessun  altro  ministro  puo'
 ritenersi  legittimato  a  sollevare  conflitto"  per la tutela delle
 medesime. Ne consegue che al ricorrente "manca  altresi'  titolo  per
 proseguire  il  giudizio".    Nel merito, si osserva che la questione
 riguarda due diversi profili:   a)  l'ammissibilita'  della  sfiducia
 individuale;  b)  l'ammissibilita'  della  medesima nei confronti del
 Ministro di grazia e giustizia, in relazione alle attribuzioni a  lui
 specificamente  attribuite  dalla  Costituzione.    Quanto  al  primo
 profilo si osserva che il Costituente, pur introducend  o la forma di
 governo  parlamentare,  "ha  poi lasciato tale forma aperta a diverse
 opzioni  e  a  possibili  diverse  soluzioni",  per  consentire  "una
 adattabilita'  nel tempo alle concrete esigenze del naturale sviluppo
 della societa' civile e politica".  In  tale  contesto,  il  costante
 rapporto  fiduciario  tra  Governo  e Parlamento "non puo' che valere
 tanto per il Governo nel suo insieme, quanto per i singoli ministri".
 Quanto alla circostanza che il regolamento del Senato,  a  differenza
 di  quello  della  Camera  dei  deputati,  non  prevede la mozione di
 sfiducia individuale, si  rammenta  che  il  Senato  ne  ha  tuttavia
 riconosciuto l'ammissibilita' sin dal 1984.  Osservato, in fatto, che
 "non  risponde al vero che la mozione approvat  a dal Senato riguardi
 esclusivamente" le attribuzioni del Ministro di grazia e giustizia e,
 in diritto, che le medesime non possono risultare  insindacabili,  si
 osserva  che  "le  funzioni  attribuite dalla Carta costituzionale al
 Ministro di grazia  e  giustizia  non  sono  diverse,  per  natura  e
 finalita',  da  quelle  che  le norme ordinarie attribuiscono ad ogni
 ministro nel settore  di  competenza":  la  ragione  della  specifica
 previsione  costituzionale  consiste  nell'obiettivo di delimitare la
 sfera di competenza del  Governo  rispetto  a  quella  del  Consiglio
 superiore  della  magistratura.    Rilevato,  poi,  che,  in  sede di
 conflitto tra poteri, non sono sindacab  ili "le ragioni per le quali
 l'altro potere  sia  stato  esercitato",  si  deduce,  in  ordine  al
 provvedimento di conferimento dell'incarico ad interim ed ai connessi
 atti,  che:  1)  e'  "assurda"  la tesi secondo la quale un ministro,
 privato  dell'incarico  a  suo  tempo  attribuito,   resti   tuttavia
 ministro,  pur  senza  il  conferimento  di  un altro incarico; 2) la
 pronuncia di sfiducia comporta  l'obbligo  delle  dimissioni;  3)  la
 necessita'  dell'intervento  del  Presidente  della  Repubblica o del
 Presidente del Consiglio dei ministri puo' ben presentarsi di  fronte
 ad inerzie o mancati adempimenti di obblighi costituzionali, come nel
 caso  di  mancate  dimissioni; 4) il decreto impugnato contiene "quel
 provvedimento  di  accertamento  che  e'  divenuta  contro  legge  la
 permanenza   nell'incarico   e   quel  conseguente  provvedimento  di
 sostituzione" dei quali il ricorrente nega la sussistenza.
   14. -  In  data  28  novembre  1995  la  difesa  del  Senato  della
 Repubblica  ha  depositato  una  ulteriore  memoria,  nella  quale si
 sostiene che, ferma la responsabilita' collegiale  dei  ministri  nei
 confronti  delle  Camere, il principio della responsabilita' politica
 solidale non puo' valere  nel  caso  in  cui  un  ministro  operi  in
 contrasto  con  il Governo.   Affermato che il fondamento del voto di
 sfiducia  individuale,  con  il  conseguente  obbligo  del   ministro
 sfiduciato  di  presentare  le  dimissioni, deriva dal "principio che
 contraddistingue  il  regime   parlamentare,   quello   cioe'   della
 responsabilita'  politica  del  Governo  e  dei  singoli ministri nei
 confronti del Parlamento", si rileva che "in Senato si e' formata una
 ormai non contestabile prassi  nel  senso  dell'ammissibilita'  della
 sfiducia  al singolo ministro", che si configura come interpretazione
 della disciplina costituzionale. Si osserva, tra l'altro, che, mentre
 la fiducia al Governo non puo' che essere unica, poiche'  investe  il
 programma, la sfiducia individuale puo' essere necessaria proprio per
 garantire  il  rispetto del programma governativo.  Rammentato che il
 principio espresso dall'art. 95 della  Costituzione  "non  limita  in
 alcun   modo   la   responsabilita'   del   singolo   Ministro   alla
 responsabilita' giuridica", si rileva che, con la mozione di sfiducia
 individuale,  il Senato ha espresso un giudizio politico sull'operato
 del ricorrente. D'altronde  "e'  impensabile  che  l'attribuzione  di
 specifiche   competenze   costituzionali  al  Ministro  di  grazia  e
 giustizia valga  a  renderlo  irresponsabile  politicamente  del  suo
 operato".    Le  censure del ricorrente sarebbero inammissibili anche
 "per la parte in cui tendono a censurare  il  contenuto  di  un  atto
 politico  espresso  da  un  organo  parlamentare".    Nel contempo si
 ribadiscono   le   considerazioni,   gia'   presenti   nell'atto   di
 costituzione,  secondo  le  quali  il  dottor  Mancuso  ha  sollevato
 conflitto in una qualita' e cioe' quella di ministro  che  alla  data
 della  proposizione  del ricorso non aveva piu'.  Si insiste, infine,
 sulla legittimita' della proposta del Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri  e  dell'atto  del Presidente della Repubblica di nomina del
 nuovo Ministro della giustizia,  a  fronte  del  mancato  adempimento
 dell'obbligo di dimissioni dell'organo colpito dalla sfiducia.
   15.  -  Sempre  in  data  28  novembre  1995  anche  la  difesa del
 ricorrente ha presentato una memoria per  insistere  nelle  richieste
 gia'  formulate.    Premesso,  in  fatto,  un  resoconto  dettagliato
 dell'attivita' relativa alle iniziative legislative assunte dal dott.
 Mancuso come  titolare  del  Ministero  di  grazia  e  giustizia,  si
 ribadisce,  in  diritto,  che "nessun dubbio puo' residuare in ordine
 alla legitimatio ad  processum  e  alla  legitimatio  ad  causam  del
 Ministro   di  grazia  e  giustizia",  in  considerazione  della  sua
 peculiare  posizione  costituzionale,  ex  artt.  107  e  110   della
 Costituzione.      Precisato  che  "il  conflitto  involge  la  falsa
 applicazione degli artt. 94 e 95 della Costituzione da  cui  discende
 la  lesione  delle  attribuzioni  di  cui  agli artt. 107 e 110 della
 Costituzione" si osserva quanto alle eccezioni  di  inammissibilita',
 irricevibilita'  ed  improcedibilita'  sollevate  dalla  Camera e dal
 Senato che "cosi' argomentando le Camere finiscono con il  confondere
 due  fasi  distinte  delle procedure in esame", quella della verifica
 dei requisiti soggettivi e oggettivi e quella  della  ammissibilita',
 confondendo  "il  possesso  dei  requisiti  con  la legittimazione al
 conflitto".   Ad avviso del ricorrente,  il  giudizio  sui  requisiti
 circa  l'ammissibil    ita' del conflitto va considerato nel contesto
 della presentazione di due ricorsi, uno precedente e  uno  successivo
 al  voto sulla mozione di sfiducia, e nei quali la continuita' stessa
 della procedura e l'identita' di motivi eliminavano ogni  dubbio  sul
 possesso  dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti per accedere
 a questo tipo di procedure.   D'altra parte, l'assunto  della  difesa
 del  Senato  "secondo  il  quale  l'atto  costituzionale lesivo delle
 competenze o delle attribuzioni di un  altro  organo  costituzionale,
 non  potrebbe, salvo ipotesi limite, considerarsi inesistente ma solo
 illegittimo", "conduce  a  conseguenze  inaccettabili  proprio  nelle
 fattispecie  piu'  gravi  (cioe'  quando  un  potere  viene spogliato
 sostanzialmente e formalmente  delle  attribuzioni  costituzionali)".
 Quanto  alla  tesi,  sostenuta  dall'Avvocatura  generale, secondo la
 quale la  lamentata  menomazione  sarebbe  solo  conseguenziale  alla
 sostituzione nella titolarita' dell'organo, si osserva che, stando al
 tenore dell'ordinanza di ammissibilita', "il conflitto non e' fondato
 sulla incidenza soggettiva (nella persona del Ministro dott. Mancuso)
 degli atti impugnati (in particolare del decreto del Presidente della
 Repubblica),   ma   e'   stato  sollevato  in  relazione  ad  atti  e
 comportamenti  che  invadono  nella  sostanza  e   nella   forma   le
 attribuzioni  costituzionali che spettano al Ministro Guardasigilli".
 Circa la sfiducia individuale, se  ne  ribadisce  l'inammissibilita',
 anche  alla  luce  dei  lavori  preparatori della Costituzione, anche
 perche'   "la   formalizzazione    di    un    rapporto    fiduciario
 Parlamento-ministro,  incidendo sulla distribuzione della sovranita',
 modificherebbe la forma di governo", ponendo in dubbio "non  soltanto
 la  supremazia  del  Presidente  del Consiglio dei ministri, ma anche
 quella del Consiglio dei Ministri".  D'altro canto, se il  Parlamento
 non ha votato alcuna fiducia al singolo ministro, non si vede come si
 possa poi procedere a troncare un rapporto che non si e' mai formato.
 Comunque,   anche   se   si   potesse   ipotizzare   l'ammissibilita'
 dell'istitut  o, "la mozione di sfiducia ha come sua funzione  tipica
 quella di censurare soltanto le deviazioni dall'indirizzo politico su
 cui il rapporto fiduciario si era instaurato".  Nella specie, invece,
 "tale  istituto  e'  stato impiegato per censurare la legittimita' di
 atti che il  Ministro  ha  posto  in  essere  nell'esercizio  di  una
 funzione  amministrativa a lui attribuita dalla Carta costituzionale"
 non in quanto componente del Governo, quanto, piuttosto, come  organo
 monocratico  posto  al  vertice  del  dicastero  della giustizia, con
 manifesto sviamento nell'esercizio del potere.  Invero, piuttosto che
 trattarsi di una mozione  di  sfiducia  individuale    ,  si  sarebbe
 trattato di una "mozione di censura" che "non determina alcun obbligo
 di  dimissioni".  Rilevato poi che una eventuale incompatibilita' tra
 l'indirizzo politico dell'intero Governo e  l'azione  di  un  singolo
 componente  del  Consiglio  dei  ministri  va  risolta all'interno di
 quest'ultimo,  specialmente  attraverso  iniziative  e   poteri   del
 Presidente  del  Consiglio,  si contesta, in punto di fatto, che "sia
 sorto un effettivo conflitto tra l'indirizzo politico del  Governo  e
 quello  perseguito dal Ministro Guardasigilli", stante la consapevole
 approvazione delle iniziative da parte del Presidente del Consiglio e
 stante il fatto che egli non avrebbe "mai portato tale  (eventuale  e
 solo  ipotetico)  conflitto  all'attenzione  della  collegialita' del
 Governo".  Ricordato che "la legittimita' dei  provvedimenti  assunti
 dal  Ministro  Mancuso e' stata ampiamente confermata dai giudici del
 TAR di Milano", si nega, sempre in punto di fatto, con un dettagliato
 resoconto, la fondatezza del rilievo  secondo  cui  il  Ministro  non
 avrebbe   "assunto   immediate   iniziative  per  il  recupero  della
 funzionalita' del  servizio  giustizia",  dirigendosi  esclusivamente
 verso    "iniziative    che    hanno    determinato   condizioni   di
 conflittualita'".   Quanto agli effetti  della  mozione  di  sfiducia
 votata  dal Senato, si ribadisce che la stessa non comporta l'obbligo
 di dimettersi.   Comunque il ministro non si  e'  dimesso;  ne'  puo'
 ipotizzarsi una sua automatica decadenza.  In conclusione, secondo la
 memoria,  il decreto del Presidente della Repubblica, nel disporre la
 sostituzione del Ministro di grazia e giustizia, si  basa  su  di  un
 presupposto  erroneamente  dato per certo, il cui mancato verificarsi
 determina la nullita' del dispositivo, producendo "l'anomalo  effetto
 della presenza contemporanea di due Ministri nello stesso dicastero",
 e  comunque  l'effetto  che "il Ministro Mancuso, pur spogliato delle
 funzioni   di   Guardasigilli,   in   conseguenza   del   decreto   e
 dell'assunzione  delle  stesse funzioni da parte del Presidente Dini,
 ha mantenuto la qualifica di Ministro, che non gli e' stata  tolta  e
 non  ha  volontariamente  rimesso  nelle  mani  del  Presidente della
 Repubblica", e che gli da' "piena legittimazione ad agire  in  questa
 sede".
                        Considerato in diritto
   1.  -  Come  risulta  dalla  narrativa di fatto, sono stati portati
 all'esame della Corte due ricorsi per conflitto di attribuzione.  Con
 il primo, depositato il 19 ottobre 1995, il  dott.  Filippo  Mancuso,
 nella  qualita'  di  Ministro  di  grazia  e  giustizia-Guardasigilli
 pro-tempore, ha proposto  censure  nei  confronti  del  Senato  della
 Repubblica, in relazione alla mozione presentata il 4 luglio 1995, da
 discutere  nella  seduta  del 18 ottobre 1995, con la quale il Senato
 stesso "esprimeva sfiducia" nei suoi confronti, "ai  sensi  dell'art.
 95  della Costituzione, quale responsabile individuale degli atti del
 proprio dicastero".
   Con il secondo, depositato il successivo 23 ottobre 1995, lo stesso
 ricorrente ha chiesto -  nei  confronti  del  medesimo  Senato  della
 Repubblica,  nonche'  del Presidente del Consiglio dei ministri e del
 Presidente della Repubblica - l'annullamento dei  seguenti  atti  "in
 quanto  invasivi della sfera di attribuzioni conferita al Ministro di
 grazia e giustizia sia dall'art. 95, che, e soprattutto, dagli  artt.
 107 e 110 della Costituzione":
     1)  la  mozione  presentata in data 4 luglio 1995 al Senato della
 Repubblica, posta all'ordine del giorno della seduta del  18  ottobre
 1995 e messa a votazione nominale nella seduta del 19 ottobre 1995;
     2)  l'atto con cui il Presidente del Senato, "per implicito o per
 esplicito", ha ammesso a discussione la mozione di sfiducia;
     3) la proclamazione dei risultati della votazione  sulla  mozione
 impugnata,   di   accoglimento   della  mozione  stessa,  cosi'  come
 dichiarata dal Presidente del Senato della  Repubblica  nella  seduta
 del 19 ottobre 1995;
     4)  la  proposta del Presidente del Consiglio dei ministri per il
 conferimento, a se' medesimo, dell'incarico di Ministro di  grazia  e
 giustizia ad interim;
     5)  il  decreto  in  data  19  ottobre  1995 del Presidente della
 Repubblica, con il quale e' stato conferito l'incarico di Ministro di
 grazia e  giustizia  ad  interim  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri dott.  Lamberto Dini;
     6)  l'atto  successivo  in  data  20 ottobre 1995 con il quale il
 Presidente del Consiglio dei ministri,  dottor    Lamberto  Dini,  ha
 chiesto  ed  ottenuto  "il passaggio delle consegne" del Ministero di
 grazia e giustizia.
   2. - Vanno, preliminarmente, esaminate le  eccezioni  sollevate  da
 taluna  delle  parti  in  causa  nel  sostenere  che il primo ricorso
 sarebbe da dichiarare improcedibile (secondo la difesa  della  Camera
 dei  deputati),  irricevibile  o inammissibile (secondo la difesa del
 Senato della Repubblica) in ragione della mancata notifica alle parti
 stesse.    Anche  allo  scopo  di  precisare  l'ambito  del  presente
 giudizio,  e'  da  rammentare  che  la  Corte,  nella fase delibativa
 dell'ammissibilita' dei conflitti, con  l'ordinanza  n.  470  del  27
 ottobre  1995,  "individuando"  il  thema  decidendum e identificando
 l'interesse del ricorrente,  ha  considerato  il  primo  ricorso,  in
 ragione dei termini in cui risultava proposto, contenuto e ricompreso
 nel secondo.
   Difatti,  il  ricorrente,  sia  con  il  primo  che  con il secondo
 ricorso, lamenta una lesione delle sue attribuzioni da  ascrivere  ad
 una  unica  sequenza  di atti, imputabili, rispettivamente, al Senato
 della Repubblica, al Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  al
 Presidente della Repubblica.
   I  due  ricorsi  sono  sostanzialmente  sovrapponibili,  pur  nella
 prospettazione di  censure  che  tengono  conto  della  diversa  fase
 temporale  alla quale lo svolgimento della vicenda era pervenuto, nel
 momento della  proposizione  di  ciascuno  di  essi.  La  mozione  di
 sfiducia  che  all'atto  del  primo  ricorso  risultava solo iscritta
 all'ordine del giorno dell'assemblea, una volta discussa e votata  e'
 divenuta oggetto del secondo ricorso, che viene cosi' naturalmente ad
 assorbire e a ricomprendere anche l'oggetto del primo.
   Le eccezioni sono, pertanto, infondate.
   3.  -  Sempre  in  via preliminare, va esaminata la questione della
 legittimazione a sollevare conflitto che il  ricorrente,  negli  atti
 introduttivi  del  giudizio,  ritiene  di  far  discendere  dalle sue
 peculiari attribuzioni, quale Ministro di grazia e giustizia, e dalla
 specifica considerazione di cui esse godono a livello costituzionale,
 segnatamente negli artt.  107  e  110,  tali  da  collocarlo  in  una
 posizione che egli reputa differenziata rispetto a quella degli altri
 componenti  del  Governo,  richiamando a tal fine un precedente della
 giurisprudenza costituzionale che riguarda la legittimazione  passiva
 del  medesimo  in  un  conflitto  con  il  Consiglio  superiore della
 magistratura (sentenza n. 379 del 1992).
   Nel caso in esame non sono quelle sopra accennate  le  ragioni  che
 possono essere poste a base della legittimazione a ricorrere da parte
 del  Ministro  di grazia e giustizia, la cui posizione infatti non si
 differenzia, ai fini qui considerati, da quella degli altri ministri,
 dovendosi ricondurre anch'essa in quella prospettiva generale che  ha
 indotto   la   giurisprudenza  costituzionale  ad  escludere  che  la
 posizione del  singolo  ministro  possa  assumere  specifico  rilievo
 costituzionale   in  ordine  ai  conflitti  di  attribuzione  e  che,
 pertanto, lo stesso  si  qualifichi  come  potere  dello  Stato  agli
 effetti dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953.
   E questo in quanto il potere esecutivo, come la Corte ha avuto gia'
 occasione   di  affermare  piu'  volte,  non  costituisce  un  potere
 "diffuso", ma  si  risolve,  sotto  il  profilo  che  qui  interessa,
 nell'intero  Governo,  abilitato  a prendere parte ai conflitti tra i
 poteri dello Stato in base alla configurazione dell'organo  stabilita
 nella  Costituzione  (v., da ultimo, in tal senso, la sentenza n. 420
 del 1995).
   La  logica  del  governo  parlamentare,  proprio  perche'  volta  a
 privilegiare  l'unita'  di indirizzo, fa si' che l'individualita' dei
 singoli  ministri  resti  di  norma  assorbita  nella   collegialita'
 dell'organo  di  cui  essi  fanno  parte.  Pertanto, il contrasto che
 eventualmente insorga  fra  un  potere  dello  Stato  ed  il  singolo
 ministro si profila come conflitto che interessa e coinvolge l'intero
 Governo.
   Diverso  discorso va, invece, fatto quando la posizione del singolo
 ministro  sia  messa  in  discussione  da  una  mozione  di  sfiducia
 individuale  che,  investendone  l'operato,  lo  distingua e lo isoli
 dalla responsabilita' correlata all'azione politica del Governo nella
 sua  collegialita',  dando  luogo  non  solo  ad  una  sua  specifica
 legittimazione  sul piano del conflitto con le Camere, ma comportando
 anche peculiari implicazioni, come si vedra' piu' avanti,  sul  piano
 della responsabilita' individuale.
   4.  - Sempre in ordine alla legittimazione del ricorrente, sotto il
 profilo  dei  necessari  requisiti  soggettivi,   il   Senato   della
 Repubblica  e  la  Camera  dei  deputati  eccepiscono  inoltre  che i
 provvedimenti  impugnati  realizzerebbero  ed  esaurirebbero  i  loro
 effetti  in  termini  puramente  soggettivi  e  cioe'  esclusivamente
 riferiti  alla  persona  del  ricorrente,  senza   provocare   alcuna
 menomazione  delle  attribuzioni dell'organo; e che il ricorrente, al
 momento della proposizione del  secondo  ricorso,  avrebbe  perso  il
 titolo a ricorrere, perche' ormai spogliato della carica. In ordine a
 tali  eccezioni,  va osservato che il ricorrente lamenta, nel caso di
 specie, che, a causa di un'illegittima interferenza esercitata  sulle
 sue  attribuzioni  da  altri  poteri,  si e' verificata, come effetto
 finale e conclusivo,  la  sua  estromissione  dall'ufficio.  E  tanto
 basta,   dal   punto   di   vista  oggettivo,  per  rinvenire,  nella
 prospettazione del ricorso, la configurazione del petitum proprio dei
 giudizi su conflitti, nei quali la  Corte  e'  chiamata  a  stabilire
 l'ambito  delle  competenze di ciascuno dei poteri in causa. Al tempo
 stesso  e'  evidente  la  sussistenza  dei  requisiti  soggettivi  di
 legittimazione,  per  l'impossibilita'  di  opporre  al ricorrente il
 venir  meno  della  carica,  dal  momento  che  nella  prospettazione
 dell'interessato  e'  proprio  l'illegittimita'  degli  atti  e della
 spoliazione subita a costituire la ragione delle doglianze  e  quindi
 il fondamento della causa petendi.
   Le eccezioni sollevate vanno, percio', respinte.
   5.  -  Per  quanto  concerne  la  legittimazione  a  resistere,  e'
 sufficiente ribadire quanto gia'  affermato  nella  citata  ordinanza
 relativa  all'ammissibilita'  del  conflitto,  e  cioe'  che  essa va
 indubbiamente riconosciuta sia  al  Senato  della  Repubblica,  quale
 titolare  del  potere  di  accordare  e  revocare la fiducia ai sensi
 dell'art. 94 della Costituzione, sia al Presidente del Consiglio  dei
 ministri   e   al   Presidente   della   Repubblica,  quali  titolari
 rispettivamente del potere di proposta e del potere di nomina di  cui
 all'art. 92 della Costituzione.
   Va,  inoltre,  confermato  che,  poiche'  il  conflitto investe, in
 generale, come si dira' in seguito, il  problema  dell'ammissibilita'
 nel  nostro ordinamento costituzionale dell'istituto della mozione di
 sfiducia nei  confronti  di  un  singolo  ministro,  tra  gli  organi
 interessati  al  conflitto  medesimo,  la cui individuazione spetta a
 questa Corte (v. sentenza n. 420  del  1995),  deve  essere  compresa
 anche la Camera dei deputati.
   6. - Nel merito il ricorso deve essere respinto.
   Come  gia'  rilevato  nell'ordinanza  adottata  in sede di giudizio
 sull'ammissibilita' del conflitto, gli atti che il ricorrente  assume
 lesivi  delle  sue  attribuzioni  sono  da individuare essenzialmente
 nella mozione di sfiducia votata dal Senato  della  Repubblica  nella
 seduta del 19 ottobre 1995, nonche' nel decreto, in pari data, con il
 quale  il Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del
 Consiglio dei ministri, ha conferito  a  quest'ultimo  l'incarico  di
 Ministro di grazia e giustizia ad interim.
   Nei  confronti  degli  stessi,  il  ricorso prospetta tre ordini di
 censura generali:
     a) l'inammissibilita' della personalizzazione dell'istituto della
 mozione parlamentare di sfiducia;
     b)  l'inesistenza di una responsabilita' politica (e di qualsiasi
 ulteriore responsabilita') del Ministro da sfiduciare;
     c) la  lesione  degli  specifici  poteri  che  costituzionalmente
 competono  al  Guardasigilli e che vengono percio' fatti valere sotto
 il profilo della vindicatio potestatis.
   7. - Con la prima delle richiamate censure, il ricorrente  sostiene
 che  "il  rapporto  fiduciario  Camere-Governo  nel suo complesso non
 sarebbe  suscettibile  di  essere   parzializzato,   e   parzialmente
 revocato",  a  scapito  della unitarieta' e della collegialita' delle
 funzioni del Governo.
   Si  solleva,  in  tal  modo,   il   problema   dell'ammissibilita',
 nell'ordinamento   costituzionale   italiano,   dell'istituto   della
 sfiducia  individuale,  quale   conseguenza   della   responsabilita'
 politica dei singoli ministri.
   Pur  nel  silenzio della Costituzione, il dibattito in argomento e'
 risalente, tanto che se ne trova traccia nei lavori preparatori della
 Costituzione stessa, soprattutto negli aspetti della  responsabilita'
 politica  del  singolo  componente  del  Governo  e  dell'obbligo  di
 dimissioni  eventualmente  sul  medesimo   incombente.   Gia'   nella
 Commissione   Forti,  istituita  nell'ambito  del  Ministero  per  la
 Costituente, si discusse ampiamente della possibilita' di far  valere
 la  responsabilita' politica dei singoli ministri, pervenendo, pero',
 alla conclusione della inopportunita'  di  "enunciare  esplicitamente
 che  la  responsabilita'  politica,  oltre che dell'intero Gabinetto,
 possa essere anche individuale, preferendo lasciare  la  questione  a
 principi non scritti".
   Che l'argomento, sia pure nella sua problematicita', fosse presente
 nel dibattito allora in corso, si evince anche dal progetto che venne
 sottoposto   dalla  "Commissione  dei  settantacinque"  all'Assemblea
 costituente; progetto  che  prevedeva,  in  quello  che  poi  sarebbe
 divenuto l'art.  94 della Costituzione, che la fiducia del Parlamento
 dovesse investire "primo ministro e ministri", mentre solo in seguito
 il  destinatario  divenne,  con formula piu' sintetica, "il Governo".
 Aggiungasi che vari emendamenti presentati, in tema di conseguenze di
 un voto contrario ad una proposta governativa, prevedevano  che  esso
 non  avrebbe comportato "come conseguenza le dimissioni del Governo o
 del ministro interessato".
   D'altro canto, il fatto che l'istituto della  sfiducia  individuale
 non  sia  stato tradotto in una espressa previsione non porta a farlo
 ritenere fuori dal  quadro  costituzionale.  Non  avendo  l'Assemblea
 costituente  preso  esplicita  posizione sul tema, e' da ritenere che
 essa non abbia inteso pregiudicare  le  modalita'  attuative  che  la
 forma  di  governo,  cosi'  come  definita, avrebbe consentito. Nella
 interpretazione della Costituzione, occorre privilegiare  l'argomento
 logico-sistematico:  si  tratta,  allora, di accertare se la sfiducia
 individuale, benche' non contemplata espressamente, possa,  tuttavia,
 reputarsi elemento intrinseco al disegno tracciato negli artt. 92, 94
 e  95  della  Costituzione,  suscettibile  di  essere  esplicitato in
 relazione alle esigenze poste  dallo  sviluppo  storico  del  governo
 parlamentare.
   8. - La Costituzione, nel prevedere, all'art. 95, secondo comma, la
 responsabilita'   collegiale   e   la   responsabilita'  individuale,
 conferisce sostanza alla responsabilita' politica dei ministri, nella
 duplice veste di componenti della compagine governativa da un canto e
 di vertici dei rispettivi dicasteri dall'altro.  Risulta  dai  lavori
 preparatori  che, nella discussione relativa alla responsabilita' del
 singolo ministro, la stessa, qualificata in  un  primo  momento  come
 "personale",  divento'  nel  testo  definitivo "individuale", con una
 modifica alla quale sarebbe ingiustificato  attribuire  solo  rilievo
 lessicale,  ignorando  cosi'  il ben piu' sostanziale intento, che e'
 invece dato cogliere, di stabilire una correlazione fra le due  forme
 di  responsabilita'  -  collegiale ed individuale - nel comune quadro
 della responsabilita' politica.
   Nella forma di governo parlamentare, la relazione tra Parlamento  e
 Governo  si  snoda  secondo  uno  schema  nel  quale  la' dove esiste
 indirizzo  politico  esiste  responsabilita',  nelle  due   accennate
 varianti,  e  la'  dove  esiste responsabilita' non puo' non esistere
 rapporto fiduciario.
   L'indirizzo politico che si  colloca  al  centro  di  una  siffatta
 articolazione   di   rapporti   e'   assicurato,  dunque,  nella  sua
 attuazione, dalla responsabilita' collegiale e dalla  responsabilita'
 individuale   contemplate   dall'art.      95   della   Costituzione;
 responsabilita' che fanno capo ai  soggetti  specificamente  indicati
 dall'art.  92  della  Costituzione,  vale  a  dire  il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri  ed  i  ministri,  nella  duplice  veste  di
 componenti del Governo e di vertici dei dicasteri; e responsabilita',
 infine,  definite,  giusta  l'art.  94  della  Costituzione, nei loro
 termini anche temporali di  riferimento,  dall'instaurazione,  da  un
 canto, e dal venir meno, dall'altro, del rapporto fiduciario.
   L'attivita'  collegiale  del  Governo e l'attivita' individuale del
 singolo  ministro  -  svolgendosi  in  armonica  correlazione  -   si
 raccordano  all'unitario obiettivo della realizzazione dell'indirizzo
 politico a determinare il quale concorrono Parlamento e  Governo.  Al
 venir  meno  di  tale  raccordo,  l'ordinamento  prevede strumenti di
 risoluzione   politica   del   conflitto   a    disposizione    tanto
 dell'esecutivo,  attraverso  le dimissioni dell'intero Governo ovvero
 del singolo ministro; quanto del Parlamento, attraverso la  sfiducia,
 atta  ad  investire,  a  seconda  dei  casi,  il  Governo  nella  sua
 collegialita' ovvero il  singolo  ministro,  per  la  responsabilita'
 politica che deriva dall'esercizio dei poteri spettantigli.
   Ne'  a  smentire  tali  conclusioni  puo'  valere  il  rapporto  di
 simmetria che il ricorrente tende a delineare fra mozione di  fiducia
 e  mozione  di  sfiducia.  Ad  escludere, infatti, che la sfiducia si
 configuri come atto  eguale  e  contrario  alla  fiducia,  donde  una
 identica    conseguente    finalizzazione    all'organo   nella   sua
 collegialita', e'  sufficiente  considerare  che  la  fiducia  e'  la
 necessaria  valutazione  globale  sulla  composizione e sul programma
 politico del Governo al momento della sua presentazione  alle  Camere
 (art.  94),  mentre la sfiducia e' giudizio eventuale e successivo su
 comportamenti e, quindi, e' valutazione non  necessariamente  rivolta
 al  Governo  nella  sua  collegialita', bensi' suscettibile di essere
 indirizzata anche al singolo ministro.
   Il vizio di fondo che inficia il ragionamento  del  ricorrente  sta
 non   certo  nella  convinzione  che  l'attivita'  di  governo  debba
 ispirarsi al criterio della collegialita', quale mezzo necessario per
 assicurarne l'unitarieta' dell'indirizzo, quanto piuttosto nella tesi
 che  il  principio  della  collegialita'  debba  astringere  tutti  i
 componenti   del   Governo  ad  una  comune  sorte  nella  simultanea
 permanenza in carica ovvero nella cessazione  dalla  medesima,  senza
 considerare   che  la  collegialita'  stessa  e'  metodo  dell'azione
 dell'esecutivo che puo' essere  infranto  proprio  dal  comportamento
 dissonante  del  singolo,  e  che  il  recupero  dell'unitarieta'  di
 indirizzo puo' essere favorito proprio dal ricorso, quando una  delle
 Camere lo ritenga opportuno, all'istituto della sfiducia individuale.
   Se  una  corrispondenza  sul  piano  logico e' dato istituire, essa
 attiene, invece, al rapporto fra responsabilita' e sfiducia, giacche'
 la Costituzione -  in  particolare  nell'art.  95,  secondo  comma  -
 configura  una  responsabilita' politica individuale che non puo' non
 avere correlate implicazioni per quanto attiene alle conseguenze. Ne'
 v'e' da temere che dall'ammissibilita' dell'istituto  della  sfiducia
 individuale derivi, nel rapporto fra Parlamento e Governo, il rischio
 di  una  preminenza  dell'organo parlamentare tale da amplificarne il
 ruolo  e  tale  da  esporre  individualmente  i  singoli   componenti
 dell'esecutivo  ai mutevoli e contingenti orientamenti di maggioranze
 parlamentari, anche occasionali. Di  fronte  a  mozioni  di  sfiducia
 presentate  nei  confronti  dei  singoli  ministri, il Presidente del
 Consiglio che ne condivida l'operato puo' sempre, come del resto gia'
 accaduto  in  passato,  trasferire   la   questione   della   fiducia
 sull'intero Governo.
   9.  -  A disegnare il modello di rapporti sopra indicato concorrono
 anche  le  fonti  integrative  del  testo  costituzionale.  A  questo
 proposito  non  vengono  qui  in  considerazione tanto le convenzioni
 parlamentari, che il ricorrente  definisce  figure  non  consolidate,
 quanto  piuttosto i regolamenti parlamentari e le prassi applicative,
 che, nel  caso  in  esame,  rappresentano  l'inveramento  storico  di
 principi  contenuti  nello  schema  definito  dagli artt. 92, 94 e 95
 della Costituzione.
   In tal senso, e al fine di assicurare alla sfiducia individuale  le
 stesse  garanzie  procedimentali  previste  dalla Costituzione in via
 generale per la mozione  di  sfiducia,  va  considerata  la  modifica
 apportata, nel 1986, dalla Camera dei deputati al proprio regolamento
 (art.  115),  con  la  quale  si e' disposto che "alle mozioni con le
 quali si richiedono le dimissioni di  un  ministro",  si  applica  la
 stessa  disciplina  della  mozione  di sfiducia al Governo. Quanto al
 Senato della Repubblica, non si  rinviene  analoga  disposizione  nel
 relativo  regolamento,  ma  gli atti parlamentari testimoniano, nella
 prassi, il tutt'altro che isolato ricorso al medesimo  istituto,  con
 il supporto di conformi pareri della Giunta per il regolamento.
   A  questi  elementi  -  quando  siano  in  armonia  con  il sistema
 costituzionale, come nel  caso  di  specie  -  non  puo'  non  essere
 riconosciuto  grande significato, perche' contribuiscono ad integrare
 le norme costituzionali scritte  e  a  definire  la  posizione  degli
 organi costituzionali, alla stregua di principi e regole non scritti,
 manifestatisi  e  consolidatisi attraverso la ripetizione costante di
 comportamenti uniformi  (o  comunque  retti  da  comuni  criteri,  in
 situazioni  identiche o analoghe): vale a dire, nella forma di vere e
 proprie consuetudini costituzionali.
   10. - Sotto altro profilo, il ricorrente, dopo aver negato che, nei
 suoi  comportamenti,  possano   ravvisarsi   gli   estremi   di   una
 responsabilita' sia politica che di qualsiasi altro tipo, lamenta che
 si  sia  fatto  un  uso dello strumento della sfiducia individuale in
 vista di un fine diverso da quello proprio  di  tale  mezzo,  con  lo
 scopo di censurare iniziative rientranti nell'ambito delle competenze
 amministrative del Guardasigilli.
   La  Corte  osserva che la sfiducia - quali che ne possano essere le
 varianti, di atto indirizzato al Governo ovvero al singolo ministro -
 comporta un giudizio soltanto politico;  e,  in  ogni  caso,  che  la
 doglianza  con  la  quale  il  ricorrente deduce che si sarebbe fatto
 ricorso all'istituto  della  mozione  di  sfiducia  in  vista  di  un
 risultato  improprio  - indipendentemente dal fondamento o meno delle
 ipotesi avanzate in ordine ai motivi ispiratori della mozione  stessa
 -  si risolve in una prospettazione di per se' inammissibile, perche'
 presuppone la sindacabilita' nelle ragioni e nel fine dell'iniziativa
 assunta dal Senato. L'atto oggetto del ricorso  contiene  valutazioni
 del  Senato  che,  proprio  perche' espressione della politicita' dei
 giudizi a quest'ultimo spettanti, si sottraggono, in questa  sede,  a
 qualsiasi  controllo attinente al profilo teleologico. Nel caso della
 mozione di sfiducia, si tratta di un atto che va annoverato  fra  gli
 strumenti  funzionali  al ruolo proprio delle Camere di verificare la
 consonanza con il Governo rispetto  all'indirizzo  politico,  il  cui
 svolgimento  spetta a quest'ultimo; ruolo che muove dall'approvazione
 del   programma   governativo   e    che,    attraverso    successive
 specificazioni,  integrazioni  ed  anche modifiche degli orientamenti
 dettati,  si  traduce  in  un  apprezzamento  continuo   e   costante
 dell'attivita' svolta.
   11.  -  Per  motivi analoghi sono da disattendere le censure con le
 quali il ricorrente sostiene che l'iniziativa del Senato  avrebbe  il
 fine  di dettare regole di buona amministrazione utilizzando un mezzo
 assolutamente  non  preordinato  dal  Costituente   a   tale   scopo.
 Peraltro,  poiche' il ricorrente stesso si da' carico di precisare di
 agire in chiave di vindicatio  potestatis  "in  relazione  ai  poteri
 specifici  che  costituzionalmente  gli  competono", sembra opportuno
 chiarire  che  la  previsione  in  Costituzione  delle  funzioni  del
 Ministro  di  grazia  e giustizia, specie per quanto attiene all'art.
 110 e ai poteri di organizzazione ivi contemplati, fu  introdotta,  a
 suo  tempo,  essenzialmente  con  l'intento,  nel  momento  in cui si
 prevedeva l'istituzione del Consiglio superiore  della  magistratura,
 di definire anche le competenze del Ministro della giustizia.
   Se,  pertanto, la ratio delle disposizioni costituzionali in parola
 e' di delimitare il campo  di  intervento  del  Ministro  rispetto  a
 quello  riservato  al  Consiglio  superiore  della  magistratura,  il
 sindacato del Parlamento, nei confronti degli atti del Guardasigilli,
 e' identico a quello che  si  esercita  nei  confronti  di  qualsiasi
 componente del Governo, salva la particolare garanzia che circonda le
 relative competenze che, discendendo direttamente dalla Costituzione,
 non potrebbero essere caducate con una legge ordinaria.
   Il controllo del Parlamento, proprio perche' politico, non incontra
 dunque  limiti,  investendo  l'esercizio  di  tutte le competenze del
 ministro, considerato che lo stesso e', ad un tempo, organo  politico
 e vertice del dicastero, e che il suo compito e' quello di raccordare
 l'ambito  delle  scelte  politiche con i tempi e i modi di attuazione
 delle stesse da parte dell'amministrazione.
   A  mutare  una  siffatta  conclusione   non   possono   valere   le
 osservazioni   del   ricorrente,   secondo   le   quali  l'intervento
 parlamentare  troverebbe  ostacolo  nell'incidenza  sulla  sfera   di
 funzioni    tipicamente    amministrative,    giacche'    non    v'e'
 incompatibilita' fra natura amministrativa delle funzioni e controllo
 del Parlamento, nella prospettiva propria di quest'ultimo.
   Ne'  puo'  valere l'ulteriore considerazione del ricorrente secondo
 cui un'eventuale  incompatibilita'  tra  l'indirizzo  del  Governo  e
 l'azione  del  singolo  ministro  avrebbe  dovuto  trovare  soluzione
 nell'ambito del Consiglio dei  ministri,  attraverso  iniziative  del
 Presidente.    Ed  invero,  anche  se  detta  via  appare in astratto
 coerente con  i  poteri  e  le  responsabilita'  del  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri,  quale garante dell'unita' di indirizzo del
 Governo, non e' questa la sede per indagare  sulle  ragioni  che  non
 hanno  consentito,  nel  caso  di  specie,  una  soluzione  siffatta,
 essendo, invece, compito della Corte accertare solo se il  potere  di
 controllo  del  Parlamento  sia  stato legittimamente esercitato, nel
 rispetto dei limiti derivanti dalle  competenze  spettanti  ad  altri
 poteri dello Stato.
   12.  -  Restano  da  esaminare,  a  questo  punto, le doglianze che
 riguardano in modo specifico il provvedimento assunto dal  Presidente
 della  Repubblica,  nel  conferire  al  Presidente  del Consiglio dei
 ministri, su proposta  di  quest'ultimo,  l'incarico  ad  interim  di
 Ministro di grazia e giustizia.
   Il  provvedimento  viene  censurato  sotto  un duplice profilo: sia
 perche' adottato senza nulla disporre riguardo al Ministro in  carica
 e   senza   decretarne  esplicitamente  la  revoca,  sia  perche'  le
 dimissioni, ancorche' obbligatorie per  effetto  della  pronuncia  di
 sfiducia,  costituirebbero - ad avviso del ricorrente - pur sempre un
 atto spontaneo ed una autonoma manifestazione di  volonta'  da  parte
 del titolare dell'organo.
   Anche queste doglianze non sono fondate.
   Muovendo  dal secondo profilo che, per la sua portata di principio,
 precede, dal punto di vista logico, l'altro, la Corte  rammenta  che,
 per  pacifica e comune opinione in materia, la fiducia del Parlamento
 e' il presupposto indefettibile  per  la  permanenza  in  carica  del
 Governo   e  dei  ministri,  sicche',  quando  essa  viene  meno,  le
 dimissioni si configurano come atto dovuto  in  base  ad  una  regola
 fondamentale  del  regime parlamentare. In questo senso, l'obbligo di
 dimissioni  del  Governo,  in  caso  di   sfiducia,   ancorche'   non
 espressamente  previsto,  puo'  farsi  discendere  -  oltre  che  dal
 principio sancito nel  primo  comma  dell'art.  94  -  dall'argomento
 desumibile a contrario dal quarto comma di tale disposizione, secondo
 la  quale  "il  voto  contrario  di una o d'entrambe le Camere su una
 proposta del Governo  non  importa  obbligo  di  dimissioni".  Se  la
 fiducia  vale a creare il raccordo politico tra Parlamento e Governo,
 la volontarieta' delle dimissioni, dopo  un  voto  di  sfiducia,  non
 significa,  contrariamente  a  quanto  sembra ritenere il ricorrente,
 liberta' di valutazione in ordine al se ed al quando.
   Poiche'  la  revoca  della  fiducia  esaurisce   i   suoi   effetti
 nell'ambito  del  rapporto  Parlamento-Governo,  ma  non  comporta la
 caducazione dell'atto di nomina, la presentazione delle dimissioni e'
 il normale tramite per consentire al Presidente della  Repubblica  di
 procedere  alla  nomina del nuovo Governo, ovvero del nuovo ministro.
 Il Presidente della Repubblica, in tale fase, e' chiamato, dunque, ad
 un ruolo attivo che, in mancanza di dimissioni, richiede  l'esercizio
 di  poteri  che  attengono alla garanzia costituzionale, in vista del
 ripristino del corretto funzionamento delle istituzioni. Nel caso qui
 in esame, sulla base di una presa d'atto della  volonta'  del  Senato
 che  ha espresso sfiducia nei confronti del Ministro della giustizia,
 si e' posto in essere  un  procedimento  complesso,  nell'ambito  del
 quale  e'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri, con
 l'atto  di  iniziativa  inteso   a   tener   conto   della   volonta'
 parlamentare,  cioe'  con  la  proposta  di  sostituzione, nonche' il
 Presidente della Repubblica che, una volta investito  della  proposta
 medesima,  ha  adempiuto  il  ruolo  suo  proprio  di  garante  della
 Costituzione, sollevando il  Ministro  dall'incarico,  e  provvedendo
 alla sua sostituzione in conformita'.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara che:
     a)  spetta  a  ciascuna  Camera approvare una mozione di sfiducia
 anche nei confronti di un singolo ministro e, pertanto,  spettava  al
 Senato approvare la mozione di sfiducia nei confronti del Ministro di
 grazia e giustizia votata il 19 ottobre 1995;
     b)  spetta  al  Presidente  della  Repubblica,  su  proposta  del
 Presidente del Consiglio dei ministri, sostituire il ministro nei cui
 confronti una Camera abbia approvato una mozione di sfiducia,  quando
 questi  non  si sia dimesso e, pertanto, spettava al Presidente della
 Repubblica adottare, su proposta del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  il  decreto  del  19  ottobre  1995,  col  quale  e' stata
 conferita al  medesimo  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  la
 titolarita'  ad  interim  del  Ministero  di  grazia  e  giustizia in
 sostituzione del ministro nei cui confronti il Senato aveva approvato
 la mozione di sfiducia.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1995.
                         Il Presidente: Ferri
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 gennaio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C0058