N. 146 SENTENZA 2 - 7 maggio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Agricoltura - Normativa comunitaria in tema di prelievo supplementare
 sul  latte  di  vacca - Differimento dell'inizio dell'applicazione su
 tutto il territorio nazionale - Richiamo  alla  giurisprudenza  della
 Corte  in  materia di effettiva sussistenza di un contrasto tra norme
 di diritto interno e normativa comunitaria (v. sentenze nn.  15/1996,
 323/1989,  157/1987  e  ordinanze  nn.  75/1993  e  496/1991)  -  Non
 pertinenza del parametro  costituzionale  richiamato  erroneamente  -
 Insussistenza  di  un  eccesso di potere legislativo sotto il profilo
 dello sviamento - Discrezionalita' legislativa - Ragionevolezza - Non
 fondatezza.
 
 (Legge 10 luglio 1991, n. 201, art. 1, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 10, 24 e 97).
(GU n.20 del 15-5-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare
 MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott.
 Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.  Valerio  ONIDA,  prof.
 Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma,
 della  legge  10  luglio  1991,  n.  201, recante "Differimento delle
 disposizioni di cui  alla  legge  8  novembre  1986,  n.  752  (legge
 pluriennale   per   l'attuazione   di   interventi   programmati   in
 agricoltura)", promosso con ordinanza emessa il 27 maggio e 17 giugno
 1994 dalla Corte dei conti -  sezione  prima  giurisdizionale  -  nel
 giudizio  di  responsabilita' nei confronti di Filippo Maria Pandolfi
 ed altro,  iscritta  al  n.    737  del  registro  ordinanze  1995  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 46, prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
   Visti gli atti di costituzione  di  Filippo  Maria  Pandolfi  e  di
 Calogero  Mannino  nonche'  l'atto  di  intervento del Presidente del
 Consiglio dei Ministri;
   Udito nella udienza pubblica del 19 marzo 1996 il giudice  relatore
 Enzo Cheli;
   Uditi gli avvocati Franco Gaetano Scoca per Filippo Maria Pandolfi,
 Giulio  Correale  per Calogero Mannino e l'Avvocato dello Stato Oscar
 Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza del 27 maggio - 17  giugno  1994  la  Corte  dei
 conti  -  sezione  prima  giurisdizionale - ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge  10
 luglio  1991, n. 201, recante "Differimento delle disposizioni di cui
 alla  legge  8  novembre  1986,  n.  752   (legge   pluriennale   per
 l'attuazione   di   interventi   programmati   in  agricoltura)",  in
 riferimento agli artt. 3, 10, 24 e 97 della Costituzione, nonche' per
 eccesso di potere legislativo.
   La  norma  impugnata  prevede  che  gli  obblighi  derivanti  dalle
 disposizioni  in  materia  di  "prelievo  supplementare" sul latte di
 vacca, di cui al regolamento CEE n. 804/68 e successive modificazioni
 ed integrazioni, si applicano, a partire dal  periodo  1991-1992,  su
 tutto il territorio nazionale.
   L'ordinanza  di rimessione pone in luce che il Procuratore generale
 della Corte dei conti, con citazione in data  21  marzo  1991,  aveva
 iniziato  azione  di  responsabilita' nei confronti degli ex ministri
 dell'agricoltura  Filippo  Maria  Pandolfi  (in  carica  nel  periodo
 1984-1987)  e  Calogero  Mannino  (in  carica  nel  1988),  deducendo
 l'omessa applicazione  in  Italia  del  regime  delle  "quote  latte"
 previsto dalla normativa comunitaria (in particolare, dai regolamenti
 del  Consiglio  CEE  n.   804/68, come modificato dal n. 856/84, e n.
 857/84, nonche' dal regolamento della Commissione  n.  1371/84)  che,
 per    contenere    gli    eccessi    di   produzione   nel   settore
 lattiero-caseario, hanno introdotto, come  sanzione  finanziaria,  il
 c.d.  "prelievo  supplementare" sulle quantita' di latte eccedenti la
 quota di produzione assegnata ai vari paesi. La mancata  applicazione
 del  prelievo  supplementare  per  gli  anni  successivi  al  1984 ha
 comportato una condanna dello Stato italiano da parte della Corte  di
 giustizia  delle  Comunita' europee (sentenza 17 giugno 1987), con il
 conseguente addebito allo stesso, in sede di liquidazione  dei  conti
 FEOGA,  della  somma  di  lire  77.558.842.190,  riferita  all'omessa
 riscossione del prelievo  negli  anni  1985-86  e  1986-87.  Di  tale
 importo sono stati chiamati a rispondere, a titolo di danno erariale,
 gli  ex  ministri Pandolfi e Mannino, in quanto ritenuti responsabili
 della omessa applicazione dei regolamenti comunitari.
   Senonche',  nel  corso  del  giudizio,  e' sopravvenuta la legge 10
 luglio 1991, n. 201,  che,  con  l'art.  1,  terzo  comma,  ha  fatto
 decorrere dal periodo 1991-92 l'applicazione degli obblighi derivanti
 dalla normativa comunitaria in tema di prelievo supplementare.
   In  conseguenza  di  tale  nuova  disciplina,  la difesa dei due ex
 ministri  ha  eccepito  l'insussistenza  del  danno  erariale  ed  il
 conseguente    venir    meno    del    presupposto   dell'azione   di
 responsabilita'.
   La Corte dei conti ritiene, pertanto,  rilevante  la  questione  di
 costituzionalita' prospettata, non potendo decidere indipendentemente
 da  essa  in  ordine  all'azione  di  responsabilita'  che  e'  stata
 iniziata.
   Per quanto concerne il merito della  stessa  questione  l'ordinanza
 prospetta piu' profili di incostituzionalita'.
   In  primo luogo, risulterebbe violato l'art. 10, primo comma, della
 Costituzione, secondo il quale l'ordinamento  giuridico  italiano  si
 conforma   alle   norme   di   diritto   internazionale  generalmente
 riconosciute, dal momento che l'art. 1, terzo comma, della  legge  n.
 201  del  1991,  avendo fatto decorrere il prelievo supplementare sul
 latte di vacca a partire dal periodo 1991-92,  si  sarebbe  posto  in
 contrasto  con  i  regolamenti comunitari che hanno disciplinato tale
 prelievo (regolamenti del Consiglio n. 856/84 e  857/84;  regolamento
 della Commissione n.  1371/84).
   In  secondo  luogo  la  norma impugnata, per il fatto di comportare
 l'esclusione di un danno erariale  e,  quindi,  di  porre  nel  nulla
 un'ipotesi di responsabilita' amministrativa gia' realizzata a carico
 di soggetti determinati, integrerebbe un'ipotesi di eccesso di potere
 legislativo.
   Dopo   aver   richiamato  l'orientamento  dottrinale  favorevole  a
 includere  nel  sindacato  di  legittimita'  delle  leggi  anche   il
 controllo   sull'eccesso  di  potere  legislativo  conseguente  dalla
 violazione  di  principi  impliciti   nel   sistema   costituzionale,
 l'ordinanza  rileva  che,  nella  specie, l'eccesso di potere viene a
 configurarsi sotto il profilo dello sviamento, come "vizio del  falso
 scopo" ovvero "come falsita' di causa e falsita' di fine".
   Infine,  la  norma  impugnata verrebbe a violare: a) l'art. 3 della
 Costituzione, "in quanto la disposizione di legge che ponga nel nulla
 un'ipotesi  di  responsabilita'  amministrativa  contrasta   con   il
 principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge"; b) l'art.
 24  della  Costituzione, "in quanto la disposizione di legge che pone
 nel  nulla  un'ipotesi   di   responsabilita'   amministrativa   gia'
 realizzatasi  in  concreto  appare lesiva del diritto del Procuratore
 generale della Corte dei conti ad agire in giudizio per la tutela del
 diritto dell'erario al risarcimento dei danni"; c)  l'art.  97  della
 Costituzione,  "in  quanto  la  medesima disposizione esclusiva della
 responsabilita' amministrativa appare in contrasto con i principi  di
 buon  andamento  e  di  imparzialita' dell'amministrazione che devono
 presiedere   all'organizzazione   degli   uffici    della    pubblica
 amministrazione".
   2.  -  Si  e'  costituito  in  giudizio l'ex ministro Filippo Maria
 Pandolfi  per  chiedere  che  questa  Corte  dichiari  la   questione
 sollevata irrilevante ovvero manifestamente infondata.
   3.  -  Si  e'  pure  costituito  l'ex ministro Calogero Mannino per
 chiedere  che  la  Corte  dichiari  la  questione   inammissibile   o
 infondata.
   Secondo  la  difesa  del Mannino, con riferimento all'art. 10 della
 Costituzione, la questione sarebbe inammissibile sotto  due  profili:
 in  primo  luogo  perche'  sarebbe  errato  il  richiamo al parametro
 costituzionale, essendo pacifico che il contrasto tra diritto interno
 e diritto comunitario non e' regolato dall'art. 10, ma  dall'art.  11
 della  Costituzione;  in  secondo luogo perche', in caso di contrasto
 tra diritto interno e diritto comunitario, si porrebbe un problema di
 disapplicazione e non di costituzionalita'.
   Con riferimento all'art. 3 della Costituzione, si sottolinea,  poi,
 che  il  giudice  rimettente  ha  omesso di motivare sotto il profilo
 della disparita' di trattamento e si afferma la ragionevolezza  della
 norma in quanto diretta a tutelare determinati interessi.
   Neppure  fondato sarebbe il dubbio di costituzionalita' dedotto con
 riferimento all'art. 24 della Costituzione. Al riguardo  si  sostiene
 che  non esiste un diritto di tutela giurisdizionale riferibile ad un
 organo singolo quale il Procuratore generale della Corte dei conti  e
 che,  se  esiste  un  diritto all'integrita' dell'erario, questo puo'
 essere  bilanciato,  da  parte  del  legislatore,  con  quello  della
 produzione nazionale.
   Quanto  alla  pretesa  violazione  dell'art. 97 della Costituzione,
 proprio l'osservanza del principio di buon andamento avrebbe  indotto
 il  legislatore,  nella  ponderazione  degli interessi, a considerare
 prevalente  quello  di  attribuire  stabilita'  agli  assetti   della
 produzione, cosi' come si sono consolidati nel tempo.
   Inoltre,   la  difesa  del  Mannino  si  sofferma  sull'inesistenza
 dell'eccesso di potere legislativo, dal momento  che  mancherebbe  il
 presupposto  per  costruire  l'attivita'  legislativa  che, in quanto
 politica, e' libera nel fine, come attivita' discrezionale, vincolata
 nel fine.
   La stessa difesa sottolinea,  infine,  la  valenza  politica  delle
 scelte  che  vennero  operate  dal  ministro,  avendo  dovuto  questi
 provvedere a conciliare la disciplina  comunitaria,  che  penalizzava
 l'economia italiana - fondandosi anche sopra una inesatta rilevazione
 della  produzione  lattiera  -  con le esigenze di quest'ultima. Cio'
 sarebbe  confermato  dai  rapporti,  a  vari  livelli  politici,  tra
 l'Italia   e   gli  organi  comunitari  e  dall'ottenimento,  infine,
 dell'aumento della quota latte assegnata all'Italia.
   4. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.
   In primo luogo non sussisterebbe  alcun  contrasto  con  l'art.  10
 della  Costituzione,  dal  momento che tale articolo riguarda solo le
 norme  internazionali  consuetudinarie  e  non  quelle   comunitarie.
 Inoltre,  sarebbe insussistente la denunciata incostituzionalita' per
 eccesso di potere legislativo - sotto i profili degli artt. 3,  24  e
 97  della  Costituzione - perche' la norma di diritto sostanziale che
 regola una situazione, anche pregressa, senza  violare  un  giudicato
 ne'  modificare  il  contenuto di una sentenza non sottrae al giudice
 alcuna controversia,  ma  gli  fornisce  il  diritto  che  egli  deve
 applicare.
   5.  - In prossimita' dell'udienza, la difesa dell'on. Filippo Maria
 Pandolfi  ha  presentato  un'ampia  memoria,  dove  si   ricostruisce
 l'intera vicenda dell'applicazione delle quote latte in Italia.
   In  tale  memoria  si rileva, in particolare, come il sistema delle
 quote latte, adottato a partire dal 1984 per  il  contenimento  della
 produzione  di  latte  in  ambito  comunitario, si fosse rivelato fin
 dall'inizio particolarmente svantaggioso per l'Italia: sia in  quanto
 volto  a favorire i paesi eccedentari (mentre l'Italia e' tra i paesi
 deficitari), sia per essere stata la quota italiana  stabilita  sulla
 base  di  dati statistici inattendibili e quindi ampiamente inferiore
 alla  produzione  effettiva.  Inoltre,   il   sistema   delle   quote
 individuali  (relative  alle  singole aziende), adottato da tempo nei
 paesi eccedentari per il  regime  degli  ammassi,  si  presentava  di
 attuazione   particolarmente  difficile  in  Italia,  data  l'estrema
 frammentazione dei centri di produzione.
   Per queste ragioni, che impedivano al Governo italiano di accettare
 una diminuzione della produzione  pari  a  quella  imposta  ai  paesi
 eccedentari,  il  ministro Pandolfi, agendo sempre su indicazioni del
 Governo, aveva condotto una lunga  trattativa  in  sede  comunitaria.
 Tale  azione  consentiva  di  ottenere  adattamenti  dei  criteri  di
 determinazione delle quote, un  aumento  del  quantitativo  assegnato
 all'Italia  ed  una  deroga  alle ulteriori limitazioni di produzione
 stabilite con il regolamento CEE n. 775/1987.
   La conclusione di questo processo  conduceva,  in  sede  nazionale,
 all'approvazione  delle  leggi  n.  201  del  1991 e n. 468 del 1992,
 attraverso cui  si  e'  provveduto  alla  graduale  attuazione  della
 normativa   comunitaria;   in   sede   comunitaria,  all'aumento  del
 quantitativo  globale  di  produzione  concesso  all'Italia  con   il
 regolamento CEE n. 1560/93.
   L'azione  negoziale  del  ministro - prosegue la memoria - ha avuto
 sempre  il  pieno  sostegno  del  Governo  e  del  Parlamento   (come
 dimostrato  dai  dibattiti  parlamentari,  oltre  che dalle due leggi
 richiamate) ed ha consentito di evitare un grave  danno  all'economia
 nazionale,  quale  si sarebbe prodotto ove le statuizioni comunitarie
 fossero state pedissequamente attuate.
   La   memoria   si   sofferma   poi   sulle   singole   censure   di
 costituzionalita' rivolte alla norma impugnata.
   Per  quanto riguarda quella basata sull'art. 10 della Costituzione,
 si afferma che non vi e'  stata  alcuna  violazione  dei  regolamenti
 comunitari e che, comunque, e' improprio il richiamo a tale norma, in
 quanto   la   preminenza  delle  norme  comunitarie  nell'ordinamento
 italiano e' garantita non dall'art. 10, ma dall'art. 11.
   Per quanto riguarda la censura di eccesso di potere legislativo, la
 difesa del Pandolfi rileva come la legge n. 201 del 1991  rappresenti
 una   tappa   di  un  lungo  itinerario,  relativo  all'atteggiamento
 dell'Italia nei confronti del regime comunitario delle quote latte ed
 ispirato all'esigenza politica di rinegoziare questo regime.
   Tale legge - completata dalla successiva legge  n.  468  del  1992,
 nata nel quadro di un accordo con la Commissione CEE - non tendeva ad
 adottare  una sanatoria per i ministri ma soltanto a determinare, per
 esigenze  dell'economia  nazionale,  il  subentro  dello   Stato   ai
 produttori negli obblighi derivanti dai regolamenti comunitari. Essa,
 pertanto, ha rappresentato un momento di convalida parlamentare della
 politica agricola costantemente perseguita dall'Italia.
   La  memoria  contesta,  poi,  la  fondatezza della censura riferita
 all'art. 3 della Costituzione. La norma impugnata  non  porrebbe  nel
 nulla  un'ipotesi  di  responsabilita'  amministrativa perche', nella
 specie, non sarebbe configurabile una responsabilita' amministrativa,
 ne' vi sarebbe stato alcun  danno,  dovendosi  considerare  gli  atti
 compiuti  dal ministro come atti politici (o di alta amministrazione)
 e  non  potendosi  configurare  come  sanzione  l'importo  addebitato
 all'Italia.
   Si  osserva,  inoltre,  che  nella  disposizione  impugnata  non e'
 riscontrabile alcuna disparita' di trattamento, dal  momento  che  la
 scelta   legislativa  corrisponderebbe  ad  esigenze  di  un  settore
 dell'economia, e non sarebbe volta a beneficio degli ex ministri,  ma
 dei produttori di latte.
   Per  quanto  riguarda  la violazione dell'art. 24, oltre a ribadire
 che non e' configurabile alcuna  responsabilita'  amministrativa,  si
 rileva  che la disposizione impugnata non comprimerebbe in alcun modo
 il diritto d'azione del Procuratore della Corte dei conti,  che  puo'
 continuare  ad  esercitare l'azione in tutti i casi in cui sussistano
 gli estremi per la configurazione di una  responsabilita'  per  danno
 erariale.
   Si  esclude,  infine,  la  violazione dell'art. 97, dal momento che
 proprio l'osservanza del principio di buon andamento avrebbe  indotto
 il legislatore alla ponderazione tra diversi interessi operata con la
 norma impugnata.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La  Corte dei conti - sezione prima giurisdizionale - dubita
 della legittimita' costituzionale dell'art.  1,  terzo  comma,  della
 legge  10  luglio  1991, n. 201, dove si stabilisce che gli "obblighi
 derivanti dalle disposizioni in materia di prelievo supplementare sul
 latte di vacca di cui al regolamento CEE n. 804/1968  del  27  giugno
 1968  e  successive  modificazioni  e  integrazioni,  si  applicano a
 partire dal periodo 1991-92 su tutto il territorio nazionale".
   Ad avviso del giudice rimettente tale disposizione - per  il  fatto
 di   aver   differito   l'inizio  dell'applicazione  della  normativa
 comunitaria in tema di prelievo supplementare sul latte di  vacca  e,
 conseguentemente,  di  avere sanato la responsabilita' amministrativa
 dei soggetti (ministri dell'agricoltura) tenuti a tale applicazione -
 sarebbe incostituzionale:   a) per  violazione  dell'art.  10,  primo
 comma,  della  Costituzione, ponendosi in contrasto con i regolamenti
 del Consiglio (nn. 856/84 e  857/84)  e  della  Commissione  CEE  (n.
 1371/84),  che  hanno imposto il prelievo supplementare a partire dal
 1984; b) per eccesso di potere legislativo, sotto  il  profilo  dello
 sviamento  - o del vizio del fine o della causa - per avere la stessa
 disposizione  posto   nel   nulla   un'ipotesi   di   responsabilita'
 amministrativa gia' realizzatasi a carico di soggetti determinati; c)
 per  violazione  degli  artt.    3,  24  e 97 della Costituzione, dal
 momento che la disposizione in questione: - risulterebbe in contrasto
 con il principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla  legge;  -
 verrebbe  a  limitare  il  potere  di azione del Procuratore generale
 della Corte dei conti ad agire in giudizio per la tutela del  diritto
 dell'erario al risarcimento del danno; - verrebbe a contrastare con i
 principi  di  buon  andamento  e di imparzialita' che devono ispirare
 l'organizzazione della pubblica amministrazione.
   2. - La questione non e' fondata.
   Per  quanto  concerne l'asserita lesione dell'art. 10, primo comma,
 della   Costituzione,   va    preliminarmente    rilevato    che    -
 indipendentemente  dalla valutazione sull'effettiva sussistenza di un
 contrasto tra la norma impugnata e  la  normativa  comunitaria  -  il
 parametro  costituzionale  si  presenta,  nella  specie, erroneamente
 invocato.
   Questa  Corte,  con  giurisprudenza  costante,  ha  avuto  modo  di
 affermare  come  l'art.  10,  primo  comma,  della  Costituzione, nel
 richiamare, ai fini dell'adeguamento del diritto interno,  "le  norme
 del  diritto  internazionale generalmente riconosciute", abbia inteso
 riferirsi   soltanto   alle   norme    internazionali    di    natura
 consuetudinaria  e non a quelle di natura pattizia (v. sentenze n. 15
 del 1996, n. 323 del 1989, n. 157 del 1987; ordinanze n. 75 del 1993,
 n. 496 del 1991).  Devono, pertanto, ritenersi escluse dalla sfera di
 operativita' dell'art.  10, primo comma, della Costituzione le  norme
 del  Trattato  di  Roma  istitutivo  delle  comunita' europee che, in
 quanto pattizie,  trovano  la  loro  copertura  costituzionale  nelle
 limitazioni  di  sovranita'  richiamate,  al  fine  di  consentire la
 partecipazione    dell'Italia    ad    organizzazioni    di    natura
 sovranazionale,  dall'art.  11 della Costituzione (v. sentenze nn. 96
 del 1982,  81  del  1979,  183  del  1973).  Conseguentemente,  anche
 l'ipotesi  di  conflitto  tra  norme  di  diritto  interno e norme di
 diritto comunitario, che viene  nella  specie  denunciata,  non  puo'
 essere  ricondotta  al  campo  di  azione  dell'art. 10, primo comma,
 bensi' a quello dell'art. 11 della Costituzione.
   Sotto il  profilo  in  esame  la  questione  dev'essere,  pertanto,
 dichiarata   infondata,   stante  la  non  pertinenza  del  parametro
 richiamato.
   3. Infondata si presenta anche la censura prospettata in  relazione
 al  vizio  di  eccesso  di  potere legislativo sotto il profilo dello
 sviamento: vizio che discenderebbe dal fatto che la norma  impugnata,
 al  di  la'  del  suo  apparente contenuto dispositivo, sarebbe stata
 adottata soltanto al  fine  di  sottrarre  determinati  soggetti  (ex
 ministri)  ad  una  responsabilita'  amministrativa  gia' maturata e,
 conseguentemente, al giudizio per danno erariale attivato contro  gli
 stessi dalla Procura generale della Corte dei conti.
   L'esame di tale censura - che comporta, nella sostanza, un giudizio
 sulla  ragionevolezza  della norma impugnata riconducibile al profilo
 dell'art. 3 della Costituzione -  richiede  un  breve  richiamo  alle
 vicende  che  hanno condotto all'adozione della legge 10 luglio 1991,
 n. 201, e, successivamente, della legge 26 novembre 1992, n. 468, che
 (anche se in parte derogata dalla legge 24 febbraio 1995, n.  46, che
 ha  convertito  il  decreto-legge  23  dicembre  1994,  n.  727)   ha
 comportato  il  definitivo  assetto  della  disciplina  attuativa dei
 regolamenti comunitari relativi alla materia delle quote latte e  del
 prelievo supplementare.
   Come  risulta  dai  lavori  preparatori  di tali leggi e dagli atti
 governativi richiamati nelle memorie delle parti, il Governo italiano
 - dopo l'approvazione del regolamento del Consiglio CEE  n.  856  del
 1984,   che  introduceva  il  prelievo  supplementare  a  carico  dei
 produttori di latte - aveva adottato, anche sulla scorta di indirizzi
 espressi in sede parlamentare, una linea di politica agraria  diretta
 a  rinegoziare con le autorita' comunitarie sia la misura della quota
 latte spettante all'Italia sia le modalita' applicative del  prelievo
 supplementare.    Questo indirizzo veniva giustificato con l'esigenza
 di tutelare gli interessi della produzione nazionale (una produzione,
 a  differenza  di  quella  di  altri  paesi,  non   eccedentaria   ma
 deficitaria),  nonche' con la necessita' di aumentare l'importo della
 quota latte  assegnata,  in  quanto  calcolata  sulla  base  di  dati
 statistici  non piu' rispondenti alla realta' produttiva. A questo si
 aggiungeva la difficolta' di calcolare il prelievo  supplementare  da
 applicare  ai  singoli  produttori, stante il numero elevatissimo dei
 centri di produzione - per lo piu' di dimensioni modeste  -  operanti
 nel territorio nazionale.
   L'azione  del  Governo  si  svolgeva  nell'arco  di  piu'  anni  e,
 attraverso complesse trattative, conduceva a risultati graduali (come
 l'aumento  della  quota  assegnata  e   la   riduzione   dell'importo
 complessivo  dei prelievi supplementari non percepiti nei vari anni),
 ma non impediva la condanna  dell'Italia  da  parte  della  Corte  di
 giustizia  delle  comunita'  europee  per  violazione  degli obblighi
 derivanti dai regolamenti comunitari (sentenza 17 giugno  1987),  con
 il conseguente addebito, in sede di liquidazione dei conti del FEOGA,
 degli   importi   complessivi  non  riscossi  a  titolo  di  prelievo
 supplementare.
   Nella fase conclusiva di questa vicenda  interveniva  la  legge  n.
 201  del  1991,  dove  si  stabiliva: a) di far decorrere dal periodo
 1991-92 il nuovo termine per applicare il prelievo  supplementare  su
 tutto il territorio nazionale (art. 1, terzo comma); b) di trattenere
 le  somme  eventualmente  percepite  a  titolo di prelievo negli anni
 precedenti (art. 1, quarto  comma);  c)  di  imputare  alla  gestione
 finanziaria  dell'AIMA  i  saldi  contabili  con la comunita' europea
 derivanti dal calcolo del prelievo supplementare dovuto per i periodi
 dal 1987-88 al 1990-91 (art. 1, nono comma).
   A tale disciplina parziale seguiva quella organica  introdotta  con
 la  legge  n.  468 del 1992 - adottata a seguito degli sviluppi della
 trattativa condotta dal Governo in sede comunitaria - dove si  poneva
 una  regolamentazione  completa  delle  quote  latte  e  del prelievo
 supplementare, destinata  a  prendere  vigore  dal  periodo  1993-94.
 Quest'ultima  legge, tra l'altro, qualificava, sempre con riferimento
 al settore lattiero-caseario, il progressivo adattamento del  mercato
 agricolo  interno  all'assetto economico comunitario, "anche mediante
 la differita attuazione della normativa comunitaria",  come  atto  di
 indirizzo di politica agraria (art. 12, primo comma).
   Da  questi dati emerge che la disciplina introdotta con la legge n.
 201 del 1991 - e poi completata con legge n. 468 del 1992 - e'  stata
 determinata  da  scelte  politiche  adottate  in  sede parlamentare e
 governativa  e  destinate,  da  un  lato,  a   graduare   nel   tempo
 l'attuazione   della   normativa  comunitaria  in  tema  di  prelievo
 supplementare (che veniva messa a regime solo a decorrere dal periodo
 1993-94), dall'altro, ad imputare alla gestione finanziaria dell'AIMA
 le conseguenze economiche della responsabilita' assunta  dallo  Stato
 verso la comunita' in relazione a tale ritardo.
   Risulta,  pertanto,  evidente  che  anche  la  norma  impugnata  va
 ricondotta a questo quadro, che  concorre  a  qualificarla  non  come
 norma  di  sanatoria  per responsabilita' amministrative imputabili a
 singoli ministri in relazione a comportamenti  omissivi  bensi'  come
 scelta  legislativa volta ad evitare che, nelle more della trattativa
 condotta dal Governo  con  gli  organi  comunitari,  ricadessero  sui
 singoli  produttori le conseguenze della responsabilita' che lo Stato
 aveva ritenuto di assumere verso la comunita'.
   Tutto questo conduce, dunque, a escludere che la norma impugnata  -
 correttamente  inquadrata  nell'indirizzo  politico che ha concorso a
 determinarla - possa ritenersi incostituzionale per il fatto di  aver
 perseguito  un  fine  diverso  da quello desumibile dal suo contenuto
 dispositivo o, comunque, viziato sul piano della ragionevolezza.
   4. - Anche le censure sollevate con riferimento agli artt. 3, 24  e
 97 della Costituzione non sono fondate.
   Per  quanto concerne il richiamo all'art. 3 della Costituzione, non
 sussiste alcun elemento che  possa  indurre  a  riferire  alla  norma
 impugnata la violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo
 della  disparita'  di  trattamento.  La  norma  ha,  infatti, valenza
 generale, mentre nell'ordinanza non viene richiamato alcun termine di
 riferimento cui comparare la disciplina adottata.
   Parimenti  non  puo'  configurarsi  da  parte  della   disposizione
 impugnata  una  lesione  dell'art. 24 della Costituzione, dal momento
 che il diritto di azione  spettante  al  Procuratore  generale  della
 Corte  dei  conti  a  difesa dell'erario non comporta l'immutabilita'
 delle  norme  di  diritto  sostanziale  destinate  a   operare   come
 presupposto  per l'esercizio di tale diritto. E questo tanto piu' ove
 al mutamento di diritto sostanziale si pervenga -  come  e'  accaduto
 nella fattispecie in esame - prima dell'accertamento definitivo della
 responsabilita' dei soggetti intimati.
   Inconferente   si  prospetta,  infine,  la  censura  formulata  con
 riferimento all'art. 97 della Costituzione, ove si consideri  che  la
 norma  impugnata,  per  l'obiettivo perseguito, mentre e' destinata a
 incidere nell'assetto  del  mercato  dei  prodotti  lattiero-caseari,
 appare  estranea  alla  sfera dell'organizzazione dei pubblici uffici
 cui attiene il parametro costituzionale invocato.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 1, terzo comma, della legge 10 luglio 1991, n. 201, recante
 "Differimento  delle  disposizioni di cui alla legge 8 novembre 1986,
 n. 752 (legge pluriennale per l'attuazione di interventi  programmati
 in agricoltura)", sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, 24 e 97
 della   Costituzione,   dalla   Corte   dei  conti  -  sezione  prima
 giurisdizionale - con l'ordinanza di cui in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                          Il redattore: Cheli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 7 maggio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C0689