N. 496 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 ottobre 1995- 6 maggio 1996

                                N. 496
 Ordinanza  emessa  il  25  ottobre   1995   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  6  maggio  1996)  dal  pretore  di Udine, sezione
 distaccata di Cervignano del Friuli nel procedimento penale a  carico
 di Flebus Rodolfo ed altri
 Ambiente  (tutela  dell')  -  Inquinamento  -  Rifiuti  (nella specie
 residui ferrosi) - Esclusione dalla categoria in caso di possibilita'
 di riutilizzo o se quotati in borse merci  o  in  listini  mercuriali
 istituiti   presso  le  locali  camere  di  commercio  -  Conseguente
 inapplicabilita' della disciplina penale in tema di rifiuti a seguito
 di scelta amministrativa - Disparita' di trattamento a seconda che il
 materiale sia o meno incluso nei listini ufficiali  della  camera  di
 commercio nelle diverse regioni - Lesioni del principio di tutela del
 paesaggio  in senso ampio; della salubrita' dell'ambiente, nonche' di
 adeguamento dell'ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto
 internazionale generalmente riconosciute e, in  particolare,  con  le
 direttive  CEE  -  Lamentata eccessiva reiterazione dei decreti-legge
 con conseguente esautoramento dei poteri delle assemblee parlamentari
 in materia penale.
 (D.-L. 7 settembre 1995, n. 373, art. 12, quarto e sesto comma).
 (Cost., artt. 3, 10, 11, 25, 32, 41 e 77).
(GU n.23 del 5-6-1996 )
                              IL PRETORE
 O s s e r v a
   Gli imputati sono stati tratti a giudizio  di  questo  pretore  per
 rispondere del reato p. e p., primo comma, del d.P.R. n. 915/1982 per
 avere,  Corradini  Francesco,  nella  sua  qualita' di amministratore
 della ditta omonima corrente in  S.  Vito  al  Torre,  effettuato  in
 assenza  della  autorizzazione  prescritta  dall'art. 6, lett. d) del
 d.P.R.  n. 915/1982 lo smaltimento di rifiuti  speciali  prodotti  da
 terzi  (rottami  ferrosi) stoccandoli provvisoriamente presso la sede
 dell'azienda e provvedendo al loro trattamento, nel corso degli  anni
 1989,  1990,  1990  e 1991; avendo invece Flebus Rodolfo e Bortolussi
 Adriano, quali amministratori della  Ecosystem  S.r.l.  concorso  nel
 reato  sopra indicato conferendo numerosi carichi di rifiuti speciali
 nel corso del 1990, 1991 e 1992.
   In permanenza alla data del 17 aprile 1992.
   L'istruttoria   dibattimentale  ha  confermato  sia  attraverso  la
 escussione dei testi sia attraverso la produzione documentale che  la
 ditta   Ecosystem,   di   cui  il  Flebus  e  Bortolussi  risultavano
 amministratori,  aveva  effettuato  negli  anni  suindicati  numerosi
 conferimenti  di  carichi di rifiuti speciali (rottami ferrosi), alla
 impresa  Corradini,  di  cui  il  Corradini  Francesco   era   legale
 rappresentante (teste Duri' e bolle di accompagnamento).
   Quest'ultima  impresa provvedeva allo stoccaggio e allo smaltimento
 dei rifiuti per conto della Ecosistem.
   Nella bolla di accompagnamento, i rottami sono ceduti gratuitamente
 e sono identificati quali MPS e  quindi  astrattamente  destinati  al
 riutilizzo.
   Nessuna  indagine  e'  stata  effettuata  sulla  mancata  effettiva
 riutilizzazione.
   L'istruttoria non ha evidenziato che le sostanze rinvenute  fossero
 merci  escluse  dall'applicazione  del d.P.R. n. 915/1982 e dal d.-l.
 n. 373/1995 in esame.
   Infatti, non tutti i rottami risultano quotati, bensi' solo  quelli
 che  per  le  caratteristiche  di  spessore, lunghezza, purezza etc.,
 possano avere un valore  commerciale.  Cio'  e'  di  ovvia  evidenza,
 atteso che in caso contrario si dovrebbe ritenere che qualsiasi pezzo
 di  ferro,  anche  uno scarto di lavorazione possa essere considerato
 quotabile.
   Cosi' facendo pero' di fatto si verrebbe a vanificare  il  concetto
 di  rifiuto,  se e' vero che qualsiasi rottame puo' essere quotato in
 borsa.
   L'imputazione di cui oggi si discute, non attiene al  trasporto  in
 se' dei rottami, bensi' allo stoccaggio e al trattamento.
   E'  emerso in istruttoria che il trasporto degli stessi e' l'indice
 della corresponsabilita' degli imputati nella condotta ascritta loro.
   Non poteva, cioe',  svolgersi  alcuna  attivita'  di  stoccaggio  e
 successivo  trattamento  da  parte del Corradini se non a seguito del
 trasporto dei rottami ferrosi prodotti da terzi.
   Pertanto privo  di  rilievo  e',  ad  avviso  dello  scrivente,  il
 riferimento  alla normativa regionale che consentiva  il trasporto da
 parte di soggetti privati per conto terzi, sulla base della  semplice
 bolla  di accompagnamento  (l.r. n. 65/1988 e d.P.G.R. 6 maggio 1980,
 n.  160/Pres.).
   Posto che i concetti di stoccaggio e trasporto sono  distinti,  che
 uno stoccaggio vi fu e' poi indubitabile dalla stessa identificazione
 quasi  costante  nelle bolle di accompagnamento dei beni, quali MPS e
 quindi sicuramente non destinati allo smaltimento.
   Ad  una  piu'  attenta   riflessione,   pare   necessario   aderire
 all'indirizzo  che  viene  espresso  dalla  s.c.  a  sezioni unite 28
 dicembre 1994 n.  12753 che considera il reato di  stoccaggio  avente
 natura permanente.
   Nell'ipotesi  de  quo  pertanto  la  permanenza  si  evidenzia  nel
 mantenimento  del  deposito  temporaneo   dei   beni   conferiti   ed
 identificati  come  destinati  al riutilizzo (secondo quanto indicato
 nelle bolle).
   Qualora  si  ritenesse  la  pluralita'  di  condotte  autonomamente
 punibili  quali  reati permanenti per i singoli conferimenti, in ogni
 caso in difetto di prova contraria, si evidenzia  che  la  cessazione
 della  permanenza  viene a coincidere con la pronuncia della sentenza
 di primo grado: cio' viene detto al fine di escludere la declaratoria
 di estinzione del reato per prescrizione, nonche' la pronuncia di una
 sentenza assolutoria per difetto dell'elemento psicologico, derivante
 dalla   conformita'  della  condotta  tenuta  dai  prevenuti  con  la
 normativa regionale poi dichiarata incostituzionale.
   Infine, per quanto riguarda il Flebus e il  Bortolossi  osserva  lo
 scrivente che la responsabilita' degli stessi non puo' essere esclusa
 per   difetto  dell'elemento  psicologico,  aderendosi  all'indirizzo
 giurisprudenziale consolidato,  in  base  al  quale  nell'ipotesi  di
 affidamento  a  terzi  di  rifiuti  sussiste in capo all'affidante un
 dovere positivo di controllo, nel senso della verifica  del  possesso
 in   capo   all'affidatario   dei   requisiti   e   delle  prescritte
 autorizzazioni (Cass. pen. sez. III,  18  dicembre  1993,  n.  11600,
 Cass.  III,  9  settembre  1992,  n.  9429  e Cass. pen. sez. III, 30
 gennaio 1988, n.1051). Ne' puo' escludersi l'ipotesi del concorso  di
 terzi con il titolare dell'impresa, essendo configurabile il concorso
 di  terzi  nel  reato "proprio" commesso da soggetto agente avente la
 qualita' di imprenditore (Cass. pen. sez.    III,  30  gennaio  1988,
 n.1051 e Cass. III, 19.12.9,  n. 16474).
   Ritenuto infine che il reato ascritto agli imputati risulta provato
 sotto  il profilo oggettivo e soggettivo,  che conseguentemente per i
 motivi esposti astrattamente potrebbe  applicarsi  la  causa  di  non
 punibilita'  di  cui    all'art. 12, d.-l. n. 373/1995, si ritiene la
 questione di costituzionalita' rilevante. Quanto alla  non  manifesta
 infondatezza  si  osserva: a seguito della sentenza n. 512/1990 della
 Corte costituzionale si e' annullata gran parte del  d.m. 26  gennaio
 1990  con la conseguenza che non si e' sottratto dalla disciplina del
 d.P.R. n. 915/1982 lo  smaltimento della MPS. La conseguenza e' stata
 di aver di fatto svuotato il principio secondo cui la disciplina  dei
 residui  riutilizzabili  doveva essere separata da quella dei rifiuti
 cosi' come  stabilito  dal  legislatore  con  l'art.  2,  legge    n.
 475/1988.   Pertanto una disciplina distinta dalle MPS avrebbe potuto
 realizzarsi  all'esito  del   verificarsi   di   quattro   condizioni
 (individuazione  delle tipologie; norme tecniche; norme di indirizzo;
 normativa regionale di esonero).
   Di qui un' intensa attivita' giurisprudenziale e dottrinale  si  e'
 sviluppata  nel  tentativo  di distinguere concettualmente il rifiuto
 dal residuo, secondo interpretazioni  che  ponevano  l'interesse  ora
 sulla  destinazione  ontologica  del bene ovvero su quella soggettiva
 impressa dal produttore, stante la  difficolta'  di  individuare  una
 differenza  intrinseca  (merceologica,  chimica,  fisica)  tra  MPS e
 rifiuti.
   A  fronte  dell'impossibilita'  di  tale   distinzione,   si   rese
 necessario  trovare  un  fondamento  unicamente  nel diritto positivo
 ossia pur, aderendo ad una nozione onnicomprensiva di rifiuto, pareva
 opportuno sottrarre dal rigoroso regime di controlli e sanzioni  quei
 rifiuti destinati a essere riutilizzati.
   La  direttiva CEE 91/156 proseguendo su tale strada, introdusse una
 distinzione concettuale tra gestione del rifiuto e suo recupero (art.
 1)  e  parrebbe  dunque  non  riferirsi  alla  vecchia   nozione   di
 smaltimento.
   Daltronde  la  direttiva, non attuata all'interno dell'ordinamento,
 prevede  inoltre  per  gli  stati  membri  l'adozione  delle   misure
 necessarie  per  assicurare  il rispetto della salute e dell'ambiente
 nell'attivita' di recupero, nonche'  la  realizzazione  di  piani  di
 gestione  di  rifiuti  per le finalita' di recupero e di smaltimento.
 Venendo alla disciplina introdotta dal d.-l. n. 373/1995, l'ultimo di
 una serie di d.-l.  non convertiti, si puo' osservare che nel  titolo
 del  provvedimento  sono state inserite le parole "nonche' in materia
 di smaltimento dei rifiuti". Tale innovazione risale a far  data  dal
 d.-l.  n.  438/1994  che ha aggiunto tale dizione a quella originaria
 che prevedeva esclusivamente i residui.
   Devesi ricordare peraltro: il d.-l.  in  esame,  disciplina:  a)  i
 rifiuti,  b)  i  residui, si noti che la prima normativa sulle MPS al
 comma 2 dell'art. 2 del d.-l. n.  397/1988  convertito  in  legge  n.
 475/1988,  escludeva dal novero delle MPS le sostanze suscettibili di
 essere impiegate nell'ambito di processi di combustione  destinati  a
 produrre  energia;  c) la sottrazione alla disciplina del d.-l. e del
 d.P.R. n. 915/1982 dei residui riutilizzati nell'ambito della  stessa
 attivita'  produttiva,  dei  materiali  quotati  in  borsa merci o in
 listino e mercuriali nonche' di altre attivita'.
   All'art. 12 si prevedono come cause di non punibilita' le attivita'
 di raccolta e trasporto, stoccaggio, trattamento  o  per  trattamento
 recupero o riutilizzo residui, purche' effettuate nei modi e nei casi
 previsti ed in conformita' alle disposizioni del decreto del Ministro
 dell'ambiente in data 26 gennaio 1990 ovvero di norme regionali.
   La  normativa  de  quo  introduce  un  concetto di residuo che solo
 apparentemente appare in  contrasto  con  il  giudicato  della  Corte
 costituzionale n.  512/1990.
   Non  si  tratta ad avviso dello scrivente di una individuazione del
 residuo  puramente  documentale,  prescindendo  dalla  finalita'   di
 riutilizzo.
   La   tesi   pur   suggestiva   non   appare   convincente,  laddove
 l'individuazione documentale e'  da  ritenersi  un  posterius  logico
 rispetto  alla attitudine al riutilizzo del bene. Tant'e' che restano
 comunque  sottoposte  alla  disciplina  del  d.P.R.  n.  915/1982  le
 attivita'  inerenti  a  residui  che  non  siano  destinate  in  modo
 effettivo o oggettivo al riutilizzo.
   Si e' detto che la  piu'  recente  normativa  comunitaria,  con  la
 direttiva quadro n. 155 del 18 marzo 1991, la direttiva n. 689 del 12
 dicembre  1991  ed  il  regolamento  n.  259  del  1 febbraio 1993 ha
 introdotto  procedure  semplificate  per  i  residui   destinati   al
 riutilizzo  o alla produzione di energia; in particolare la direttiva
 91/156,  per  la  quale  e'  gia'  scaduto  il  termine   ultimo   di
 recepimento,   nel   prevedere  una  semplificazione  degli  obblighi
 inerenti i rifiuti riutilizzabili, rimandando all'adozione  di  norme
 generali  per  ciascun  tipo  di  attivita' e precisa in due appositi
 allegati le operazioni che  comportano  possibilita'  di  recupero  e
 quelle da cui consegue smaltimento senza recupero.
   Seppur tale direttiva non puo' ritenersi immediatamente applicabile
 negli Stati membri, in quanto non e "self-executing", per il richiamo
 all'adozione,  da  parte  degli  Stati membri, di "norme generali che
 fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni in base alle
 quali l'attivita' puo'  essere  dispensata  dall'autorizzazione",  la
 stessa  detta  certamente  criteri  guida  a  livello  europeo per la
 disciplina uniforme del riutilizzo dei residui.
   In  tale  contesto  si  inserisce  il  d.-l.  n.  373/1995,  la cui
 disciplina dei residui riutilizzabili appare contrastante,  non  solo
 con l'orientamento della giurisprudenza nazionale e comunitaria sopra
 delineato,  ma  soprattutto  con le direttive CEE richiamate, con con
 seguente mancata conformazione  dell'ordinamente  giuridico  italiano
 alle  norme  di  diritto  internazionale  riconosciute e agli impegni
 assunti con la CEE per la limitazione della sovranita' nazionale,  in
 violazione  degli  artt.    10  e 11 della Carta costituzionale. Deve
 ritenersi infatti una sostanziale coincidenza tra i residui, definiti
 dal d.-l. n. 373/1995  "sostanza  residuale  suscettibile  di  essere
 utilizzata  come materia prima o come fonte di energia", e i "rifiuti
 destinati al recupero" della normativa comunitaria. Tale  coincidenza
 emerge dallo stesso testo del d.-l., ove e' ripetutamente espresso il
 concetto  che  i  residui,  ove  non sia applicabile la normativa del
 d.-l., rientrano nella disciplina generale dettata per i rifiuti  dal
 d.P.R.  n. 915/1982: in particolare si e' visto che l'art. 12, ultimo
 comma, sancisce l'applicazione delle sanzioni di cui al d.P.R. n. 915
 qualora i residui non siano destinati in modo effettivo ed  oggettivo
 al riutilizzo.  Peraltro che la decretazione d'urgenza si sovrapponga
 alla  recente  normativa  comunitaria  e'  espressamente riconosciuto
 nello stesso d.-l., ove all'art. 1, si dice che "le disposizioni  del
 presente   decreto  si  applicano  in  attesa  dell'attuazione  delle
 direttive 91/156 CEE e 91/689/CEE, con particolare  riferimento  alla
 definizione  ed  alla  classificazione  dei  rifiuti effettuata dalle
 direttive comunitarie stesse".  Con riguardo al  Regolamento  CEE  n.
 259/93,  si  rileva  che  lo  stesso  e' gia' in vigore, in quanto di
 immediata applicazione, ed il decreto-legge, all'art. 7, prende  atto
 di tale circostanza, nel prevedere che i "residui" sono disciplinati,
 quanto   all'import-export,   da   tale   Regolamento,  che  peraltro
 disciplina i "rifiuti".  Stante l'identita' del concetto di  "rifiuto
 destinato  al  recupero",  di cui alla recente normativa comunitaria,
 con quello  di  residuo,  disciplinato  con  decretazione  d'urgenza,
 appare evidente la non conformita' della disciplina introdotta con il
 d.-l.  n. 373/1995 in particolare alla direttiva-quadro 91/156.  Tale
 direttiva prevede infatti,  all'art.  11,  l'obbligo  di  "iscrizione
 presso le competenti autorita'" per gli stabilimenti e le imprese che
 recuperano  rifiuti, mentre il d.-l. n. 373/1995 prevede una semplice
 "comunicazione".  Il decreto-legge introduce  inoltre,  all'art.  12,
 una   sanatoria   delle   situazioni  pregresse,  prevedendo  la  non
 punibilita' di coloro che abbiano commesso, prima della  sua  entrata
 in vigore, un fatto previsto come reato dal d.P.R. 10 settembre 1982,
 n.  915,  nell'esercizio  di attivita' qualificate come operazioni di
 raccolta  e  trasporto,  trattamento  o  pretrattamento,  recupero  o
 riutilizzo  di residui nei modi e dei casi previsti ed in conformita'
 alle disposizioni del
  d.m. 26 gennaio 1990, ovvero di norme regionali.   Con  riguardo  al
 d.m.  26  gennaio  1990,  si  osserva  che viene utilizzato, peraltro
 parzialmente e solo agli effetti della non  punibilita',  un  decreto
 ministeriale annullato per gran parte dalla Corte costituzionale (con
 sentenza  n.  512  del  15  ottobre  1990). Anche il richiamo a norme
 regionali   di   favore,   appare   contrastante   con   i   principi
 costituzionali,  poiche'  viene  a  demandare alle singole regioni il
 potere di interferire in materia penale, con  conseguente  violazione
 della  riserva di legge statale di cui all'art. 25 della Costituzione
 e  possibile  disparita' di trattamento (art. 3, della Costituzione).
 Si osserva infine che  la  non  punibilita'  viene  fatta  discendere
 dall'art.  12,  quarto  comma, all'osservanza di normative emanate in
 precedenza,  che  non  prevedevano  la   categoria   dei   "residui",
 introdotta   e  disciplinata  solo  con  i  reiterati  decreti-legge.
 Ulteriore disparita' di trattamento appare ipotizzabile in  relazione
 alle   imprese   che,   nella   vigenza  della  precedente  normativa
 sanzionatoria, si sono adeguate alla stessa, sopportando  i  relativi
 oneri  economici,  rispetto a coloro che non vi hanno provveduto, con
 evidenti ripercussioni sul piano della concorrenza tra le  imprese  e
 possibile  contrasto  con  l'art.  41 della Costituzione.   Si rileva
 infine come, mentre l'art. 12 del d.-l. n. 3/1995  subordina  la  non
 punibilita'  delle  violazioni  pregresse  al  rispetto del d.m.   26
 gennaio  1990  ovvero  delle  norme  regionali,  l'ultimo  comma  del
 medesimo  articolo prevede piu' genericamente che le disposizioni del
 d.P.R.  n.  915/1982  non   si   applichino,   anche   agli   effetti
 sanzionatori,  alle  attivita'  che il decreto disciplina e qualifica
 come attinenti al riutilizzo dei rifiuti.    Tale  ultima  norma,  se
 interpretata come rivolta alle sole situazioni successive all'entrata
 in  vigore  del  decreto-legge,  appare  superflua e ripetitiva della
 disciplina stessa del decreto; qualora invece la  stessa  si  ritenga
 applicabile  alle violazioni pregresse, come sembrerebbe anche per la
 sua collocazione testuale, sarebbe in contrasto con il  comma  4  che
 limita  la  non  punibilita'  ai  soli  casi  di rispetto del d.m. 26
 gennaio 1990 o delle norme regionali.   Circa il  ritenuto  contrasto
 dell'ultimo  comma dell'art. 12, cosi' interpretato, con la normativa
 comunitaria,  e  conseguentemente  con  gli  artt.  10  e  11   della
 Costituzione,  si  richiama  quanto  sopra  esposto in linea generale
 circa la nuova disciplina dei residui destinati al riutilizzo.
   A fronte delle considerazioni suesposte pare evidente il  tentativo
 di   ampliare   surrettiziamente  la  nozione  di  residuo  facendovi
 confluire anche i rifiuti.
   Indubbiamente in attuazione alle direttive CEE e' necessario che la
 legislazione interna individui un ambito di sostanze suscettibili  di
 riutilizzazione.    Pare   pero'   quanto   mai   dubbio   che   tale
 individuazione, con conseguente declaratoria di  non  punibilita'  di
 attivita'  di  riutilizzo,  possa porsi in contrasto con la tutela di
 beni costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla salute e  la
 difesa dell'ambiente.
   Veniamo  ad un esempio concreto: al punto 8.4.3 dell'all. 3 al d.m.
 5  settembre  1994  si  prevede  per  il  residuo  inerte  "calci  di
 defecazione" il riutilizzo per ripristini ambientali previa eventuale
 disidratazione.  In parole povere cio' vuol dire che esso puo' essere
 utilizzato  per  riempire  depressioni  del  terreno o per realizzare
 rilevati e quindi di fatto possono essere attuate  attivita'  che  se
 soggette  alla normativa prevista dal d.P.R. n. 915/1982 sarebbero da
 considerare discariche in depressione o in rilevato.
   In tal caso si attua una deregulation  della  discarica  che  viene
 denominata, paradossalmente, ripristino  ambientale.
   Analogo   rilievo   potrebbe  farsi  per  i  residui  destinati  al
 riutilizzo mediante combustione.
   Per tali motivi la norma appare in contrasto con  l'art.  32  della
 Costituzione  laddove  nel  concetto  di  tutela   della salute, deve
 ricomprendersi quella piu' vasta di salute pubblica nel  senso  della
 salubrita'  dell'ambiente  natu-rale  ed urbano ove ciascun cittadino
 vive (tale eccezione risulta ormai accolta dalla giurisprudenza Cass.
 sez. un.  n. 517/1990 e Corte cost. n. 641/1987 e 127/1990).
   Infine  non  puo' non sottrarsi   il contrasto della norma invocata
 con l'art. 77 della Costituzione. A fronte di  una  reiterazione  dei
 decreti-legge  si  e'  di  fatto spodestato l'organo parlamentare del
 monopolio a legiferare in maniera esclusiva nell'ambito  penale,  con
 assunzione,   da   parte   del   governo  di  esorbitanti  poteri  di
 bilanciamento e valutazione degli interessi in gioco,  a  tacere  del
 fatto  che una reiterazione di decreti-legge non convertiti a partire
 dal novembre 1993 fa ritenere la norma in contrasto con l'art. 77 per
 mancanza  della  urgenza  che  legittima   l'adozione   della   forma
 decreto-legge.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.  1  della  legge  n. 1/1948 e 23, legge n. 1/1953
 dichiara rilevante e non manifestatamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  12, comma 4 e 6, del d.-l. 7
 settembre 1995, n. 373, in relazione agli artt. 3, 10, 11, 25, 32, 41
 e 77 della Costituzione.
   Sospende il presente giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Manda  alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  la   comunicazione   ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Cervignano del Friuli, addi' 25 ottobre 1995
                          Il pretore: Barresi
 96C0721