N. 500 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 marzo 1996

                                N. 500
 Ordinanza emessa il  28  marzo  1996  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  pretura  di  Roma  nel procedimento penale a
 carico di Balili Dejui
 Processo penale - Giudizio  abbreviato  -  Giudice  per  le  indagini
 preliminari  che  abbia  applicato una misura cautelare personale nei
 confronti dello stesso imputato - Incompatibilita' ad  esercitare  le
 funzioni  giudicanti nel suddetto rito speciale - Omessa previsione -
 Irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto   a   situazioni
 analoghe - Irragionevole parita' di trattamento di situazioni diverse
 -  Compressione  del  diritto di difesa - Violazione del principio di
 soggezione del  giudice  solo  alla  legge  -  Richiamo  ai  principi
 espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 432/1995.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 24 e 101, secondo comma).
(GU n.23 del 5-6-1996 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha  emesso  in  camera  di  consiglio  il 28 marzo 1996 la seguente
 ordinanza nel giudizio abbreviato nei confronti di Balili Dejui, nato
 a Valona il 20 febbraio 1977, senza fissa dimora, detenuto presso  la
 casa circondariale Regina Coeli di Roma.
                    Ritenuto in fatto e in diritto
   Balili Dejui e' stato tratto a giudizio abbreviato dinanzi a questo
 giudice  per rispondere del reato di cui agli artt. 110, 648 del c.p.
 e di altri.
   L'imputato si trova in stato  di  custodia  cautelare  in  carcere,
 misura disposta da questo stesso giudicante.
   Cio'  posto,  si rileva che l'art. 34, secondo comma, del codice di
 procedura penale  appare  viziato  da  illegittimita'  costituzionale
 limitatamente alla parte in cui non prevede che non possa partecipare
 al  giudizio  abbreviato  il  giudice per le indagini preliminari che
 abbia applicato nei  confronti  dell'imputato  una  misura  cautelare
 personale.
   Occorre anzitutto richiamare la sentenza della Corte costituzionale
 n.   432  del  1995,  che  ha  riconosciuto  l'incompatibilita'  alla
 partecipazione al giudizio dibattimentale del giudice per le indagini
 preliminari che abbia emesso una delle anzidette misure cautelari.
   In  tale  decisione  la  Corte,  dopo  aver  ricordato  di  essersi
 inizialmente  pronunciata  con  la  sentenza  n.  502 del 1991 per la
 infondatezza  della  questione  relativa  alla   incompatibilita'   a
 partecipare  al  giudizio del giudice per le indagini preliminari che
 ha adottato misure cautelari, afferma di avere successivamente "avuto
 occasione di enucleare alcuni principi di base i quali  -  unitamente
 alla convinzione di dover affermare un piu' pregnante significato dei
 valori  costituzionali  del  giusto processo (e del diritto di difesa
 che ne e' componente essenziale), ed  all'intervenuto  mutamento  del
 quadro normativo a seguito della recente legge 8 agosto 1995, n. 332,
 la  quale,  accentuando ancor piu' il carattere di eccezionalita' dei
 provvedimenti limitativi  della  liberta'  personale  disposti  prima
 della  condanna,  comporta  indubbiamente  una  maggiore  incisivita'
 dell'apprezzamento del giudice sul punto  -  si  pongono  come  utili
 termini  di  raffronto  e  consentono  di  pervenire  ora  a  diversa
 conclusione".
   Tanto premesso,  la  Corte  osserva:  "Ai  sensi  del  primo  comma
 dell'art.    273  del  codice di procedura penale la prima condizione
 generale  per  l'emissione   di   misure   cautelari   personali   e'
 l'apprezzamento   di   ''gravi  indizi  di  colpevolezza''  a  carico
 dell'imputato.
   E' evidente che  la  norma  puo'  esprimersi  solo  in  termini  di
 ''indizi''  per  l'ovvio motivo che tutti gli elementi raccolti nella
 fase delle indagini preliminari, sia a favore che contro  l'imputato,
 non  hanno ancora avuto riscontro nel contraddittorio dibattimentale,
 e' altrettanto chiaro pero' che, ai fini che qui  interessano,  detti
 ''indizi''  vengono  comunque  ritenuti  idonei a dimostrare una qual
 certa  fondatezza   dell'accusa,   almeno   fino   all'emergere,   in
 dibattimento,  di  nuovi,  ed eventuali, elementi in contrario avviso
 (...).
   Ora,  se  e'  vero  che  rimangono  non   equiparabili   situazioni
 processuali  sicuramente  diverse, quali quella della decisione circa
 l'applicazione di una misura  cautelare  peronale  e  quella  di  una
 decisione  di  merito  sulla  fondatezza dell'accusa (caratterizzata,
 quest'ultima, dall'esigenza d'individuazione di prove certe circa  la
 sussistenza  del  fatto  e  la  commissione  dello  stesso  da  parte
 dell'imputato),  nondimeno occorre prendere atto che ''i gravi indizi
 di  colpevolezza''  richiesti  dall'art.    273,  primo  comma,   per
 l'applicabilita'  delle misure cautelari si sostanziano pur sempre in
 una  serie  di  elementi   probatori   individuati   nelle   indagini
 preliminari   e  idonei  a  fornire  una  consistente  e  ragionevole
 probabilita' di colpevolezza dell'imputato.
   Piu' in particolare, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha
 sottolineato che il concetto di ''gravita''' degli indizi (certamente
 piu' rigoroso di  quello  di  ''sufficienza''  richiesto  nel  codice
 previgente)  postula  una  obiettiva  precisione dei singoli elementi
 indizianti  che,  nel  loro  complesso,   consentono   di   pervenire
 logicamente  ad  un  giudizio  che, pur senza raggiungere il grado di
 certezza  richiesto  per  la  condanna,  sia  di  alta   probabilita'
 dell'esistenza  del  reato  e  della  sua  attribuzione all'indagato;
 indizi, quindi, capaci di resistere ad interpretazioni alternative.
   A cio' si aggiunga che,  ai  sensi  dell'art.  292,  lett.  c),  il
 giudice  e' tenuto ad esporre con adeguata motivazione gli indizi che
 giustificano in concreto la misura disposta (con l'indicazione  degli
 elementi  di  fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi
 assumono rilevanza), ed inoltre - elemento di sostanziale  importanza
 -  che l'applicazione della misura cautelare comporta una valutazione
 negativa non solo circa l'esistenza  di  condizioni  legittimanti  il
 proscioglimento,    ex    art.   273,   secondo   comma   (cause   di
 giustificazione, di non punibilita', di estinzione del reato o  della
 pena),  ma  anche  in  ordine  alla  possibilita'  di ottenere con la
 sentenza (che evidentemente si ritiene di  condanna)  la  sospensione
 condizionale  della  pena  (art.  275,  comma 2-bis, introdotto dalla
 citata legge n. 332 del 1995).
   Tali essendo, in sintesi, le valutazioni  che  il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  deve  compiere allorquando disponga una misura
 cautelare, si  deve  riconoscere  che  detta  attivita'  comporta  la
 formulazione  di  un  giudizio  non di mera legittimita' ma di merito
 (sia pure prognostico e allo stato  degli  atti)  sulla  colpevolezza
 dell'imputato)".
   La  Corte ricorda, poi, che nelle precedenti sentenze nn. 124 e 186
 del 1992 "e' gia' stato affermato il principio che una valutazione di
 merito circa l'idoneita' delle risultanze delle indagini  preliminari
 a   fondare   un   giudizio   di   responsabilita'  vale  a  radicare
 l'incompatibilita'"  nel  caso  che  il  giudice  per   le   indagini
 preliminari  abbia  rigettato la richiesta di applicazione della pena
 concordata; e richiama altre sentenze (le nn. 496 del 1990, 401 e 502
 del 1991) in cui  ebbe  ad  affermare:  "con  l'ordine  di  formulare
 l'imputazione  il  giudice  per  le  indagini  preliminari compie una
 valutazione contenutistica dei risultati di queste  e  da'  anzi,  ex
 officio,   l'impulso   determinante   alla  procedura  che  condurra'
 all'affermazione di una  sentenza.  Di  conseguenza  (...)  non  puo'
 essere   lo  stesso  giudice  che  ha  compiuto  una  cosi'  incisiva
 valutazione di merito ad adottare la decisione conclusiva  in  ordine
 alla  responsabilita'  dell'imputato;  per  concludere  che  ''non e'
 ravvisabile ... una sostanziale diversita'  tra  la  valutazione  dei
 risultati   che  conduce  alla  pronuncia  di  una  misura  cautelare
 personale e quello che conduce all'ordine di formulare  l'imputazione
 o al rigetto della richiesta di applicazione di pena concordata".
   Come  si  e'  prima  evidenziato,  i principi cosi' stabiliti dalla
 Corte costituzionale riguardano il giudizio dibattimentale. Non vi e'
 pero' dubbio che essi valgono pure,  e  a  maggior  ragione,  per  il
 giudizio abbreviato.
   Anche  a  tale riguardo appare pregnante l'orientamento del giudice
 delle leggi, il quale nella sentenza n. 401 del 1991  rileva  che  la
 locuzione  "giudizio"  contenuta  nel citato secondo comma, dell'art.
 34 del c.p.p. "e' di per se' tale da ricompredere qualsiasi  tipo  di
 giudizio,  cioe'  ogni  processo  che in base ad un esame delle prove
 pervenga ad una decisione di merito, compreso quello  che  si  svolge
 con  il  rito  abbreviato. Anzi la circostanza che tale locuzione sia
 stata  adottata  in  luogo  di  quella  restrittiva   (''divieto   di
 esercitare  le  funzioni  di giudice del dibattimento...'') contenuta
 nella ...    direttiva  n.  67  e'  indice  univoco  di  una  precisa
 determinazione in tal senso del legislatore"; e nella stessa sentenza
 n. 432 del 1995 sopra richiamata osserva che "se l'imputato chiede il
 ''patteggiamento''   o  il  giudizio  abbreviato...  e'  ancora  piu'
 evidente che i medesimi elementi che nella fase delle indagini  erano
 semplici indizi vengono sostanzialmente apprezzati come prove".
   Da  quanto  fin  qui esposto discende che la mancata previsione nel
 secondo comma dell'art. 34, del c.p.p.,  della  incompatibilita'  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari  a  partecipare  al  giudizio
 abbreviato nei confronti di un imputato  per  il  quale  egli  stesso
 abbia disposto una misura cautelare personale contrasta anzitutto con
 il  principio sancito dall'art. 3, primo comma della Costituzione, in
 quanto viene a determinare non solo una situazione  di  irragionevole
 disparita'  di  trattamento  rispetto  alle altre analoghe situazioni
 d'incompatibilita'  ritenute  dalla  Corte  costituzionale,  come  da
 questa  evidenziato,  ma  anche  perche'  ne discende una altrettanto
 irragionevole parita' di trattamento di due situazioni manifestamente
 diverse, quali  sono  quelle  di  chi  viene  sottoposto  a  giudizio
 abbreviato senza un previo provvedimento cautelare nei suoi confronti
 o  con  un provvedimento cautelare emesso da un magistrato diverso da
 quello che celebra il rito abbreviato e di chi invece  affronta  tale
 giudizio dopo essere stato raggiunto da una misura cautelare disposta
 proprio dal magistrato che procede.
   La  norma  impugnata  vulnera altresi' i principi sanciti dall'art.
 24, secondo comma, e 101, secondo comma della  Carta  costituzionale,
 giacche'  determina  rispettivamente  un processo non improntato a un
 giudizio sereno e impregiudicato, con connessa violazione del diritto
 di difesa, e un condizionamento del giudice diverso da  quello  della
 mera soggezione alla legge.
                               P. Q. M.
   Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,   1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
 ordina che gli atti  del  procedimento  siano  trasmessi  alla  Corte
 costituzionale  per  la  risoluzione  della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del codice  di  procedura
 penale  in  relazione  agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma e
 101, secondo comma della Costituzione, limitatamente alla parte della
 norma  che  non  prevede  che  non  possa  partecipare  al   giudizio
 abbreviato il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato
 una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato;
   Dispone la sospensione del giudizio abbreviato in corso;
   Manda  alla cancelleria perche' notifichi il presente provvedimento
 al Presidente del Consiglio dei Ministri e ne  dia  comunicazione  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Cosi' deciso in Roma, addi' 28 marzo 1996
                           Il giudice: Goggi
 96C0725