N. 511 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 1996
N. 511 Ordinanza emessa il 9 febbraio 1996 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Salot Giacomo ed altra e il comune di Corio Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo nonche' delle espropriazioni di aree edificabili e aree agricole - Incidenza sul principio della tutela del diritto di proprieta', sul diritto di difesa, per atti illeciti, e sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. e della responsabilita' dei funzionari e dipendenti della p.a. - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 283/1993. (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, sessantacinquesimo comma; d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, sesto comma, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359). (Cost., artt. 3, 42, secondo e terzo comma, e 97).(GU n.23 del 5-6-1996 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 4493/80 registro generale promossa da Salot Giacomo e Alda, rappresentati e difesi dall'avv. F. Paolo Videtta con studio in Torino, via Cernaia n. 30 come da delega in atti, attori contro il comune di Corio, in persona del sindaco legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso ai fini del giudizio dall'avv. prof. C. Dal Piaz, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Torino, via S. Agostino n. 12, come da procura speciale agli atti, convenuto. Svolgimento del processo Con atto notificato in data 23 maggio 1980 Salot Giacomo e Alda, eredi di Salot Michele, evocavano in giudizio avanti al Tribunale di Torino il comune di Corio, esponendo: che con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica Salot Michele aveva impugnato il decreto del presidente della Giunta regionale 25 novembre 1975, n. 4954 con il quale era stata dichiarata la pubblica utilita', nonche' l'idifferibilita' e l'urgenza dell'opera di realizzazione di un parco pubblico nel comune di Corio su un terreno di sua proprieta' di mq. 4721 sito al f. 31 mapp. 377; che il Salot aveva impugnato contestualmente la delibera della Giunta regionale n. 47.518 del 14 ottobre 1975, avente il medesimo oggetto, la delibera 24 settembre 1974, n. 69 del consiglio comunale di Corio con la quale era stato approvato il piano di esproprio ed il decreto 2 agosto 1976 del presidente della Giunta regionale pertinente all'esproprio del terreno in questione; che con decreto 20 luglio 1979 il Presidente della Repubblica, su conforme parere del Consiglio di Stato, aveva accolto il suddetto ricorso straordinario, sicche' gli atti dichiarativi dell'espropriazione erano carenti del loro indefettibile presupposto logico e giuridico; che a seguito dell'occupazione del terreno l'amministrazione comunale deteneva abusivamente l'immobile in oggetto e pertanto era tenuta al risarcimento dei danni ex art. 2043 codice civile. Gli attori concludevano chiedendo la condanna del comune di Corio al risarcimento dei danni dai medesimi patiti oltre rivalutazione monetaria e interessi. Il comune di Corio, costituitosi in giudizio, eccepiva il difetto di legittimazione degli attori, in considerazione della mancanza di prove della loro qualita' di eredi Salot Michele, assumendo altresi' che l'annullamento della dichiarazione di pubblica utilita' era stato disposto per motivi formali ed ininfluenti sull'effettivo potere dell'amministrazione di procedere all'esproprio previa rinnovazione dell'iter di legge. Parte convenuta concludeva pertanto chiedendo rigettarsi le domande avversarie. Nel corso dell'istruttoria, dopo l'espletamento di una consulenza tecnica volta ad accertare il valore reale dell'immobile al momento dell'occupazione, il comune di Corio eccepiva altresi' che gli attori non avevano dato prova dell'effettiva titolarita' della proprieta' del terreno, dovendosi tener conto dell'intestazione della relativa partita catastale alla ditta "eredi di Domenico Salot: Maria, Domenica e Caterina Salot", dell'opposizione proposta da Garigliet Ciapus Natalina al decreto di riconoscimento della proprieta' ex legge n. 1610/62 in capo a Salot Michele emesso dal pretore di Cirie' in data 28 maggio 1974 (giudizio quest'ultimo poi riassunto avanti al Tribunale e quindi abbandonato), nonche' del successivo giudizio instaurato, con citazione notificata il 30 gennaio 1979, onde ottenere la revoca di detto decreto dal curatore speciale, dott. Biongiovanni, degli scomparsi eredi di Domenico Salot. Dopo la precisazione delle conclusioni, a seguito della presentazione in data 26 settembre 1983 da parte del comune di Corio alla S.U. della Corte di cassazione di ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, con ordinanza 30 settembre 1983 il tribunale disponeva la sospensione del procedimento ex art. 367 cpc. Con sentenza 20 marzo 1986, n. 1968 la Suprema Corte dichiarava la giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria. Dopo la riassunzione della causa con ordinanza 13 febbraio 1987 il tribunale disponeva la rimessione in istruttoria per mancanza dei verbali del giudizio. Nel prosieguo, in considerazione del mutamento dell'orientamento giurisprudenziale il g.i. disponeva altra consulenza tecnica volta ad accertare il valore dell'immobile al momento dell'irreversibile trasformazione del fondo. Rimessa nuovamente la causa a decisione, con ordinanza 27 aprile 1990 il tribunale disponeva la sospensione del procedimento ex art. 295 c.p.c. fino all'esito del giudizio instaurato dal Bongioanni nei confronti degli odierni attori. Conclusosi detto giudizio con sentenza della Corte d'appello 23 ottobre 1993 n. 1319, con ricorso notificato in data 21 dicembre 1994 gli attori provvedevano alla riassunzione del procedimento. All'udienza del 9 febbraio 1996 la causa venita trattenuta a decisione dal tribunale. Motivi della decisione Nell'ultima comparsa conclusionale la difesa del comune di Corio ha invocato l'applicabilita', nella fattispecie di causa, dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995 n. 549, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 1995 ed immediatamente entrata in vigore. Trattasi di norma sostitutiva dell'art. 5-bis, comma sesto, del d.-l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, alla stregua della quale le disposizioni del citato articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o il risarcimento del danno alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Cio' ovviamente comporta che le disposizioni di cui all'art. 5-bis costituzionalmente ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale con sentenza 10-16 giugno 1993 n. 283 - implicanti la determinazione della misura dell'indennita' di espropriazione con un meccanismo escludente il riferimento al valore venale dell'immobile in libera contrattazione - si applicano anche al caso in cui siano state avanzate pretese risarcitorie a seguito di un'occupazione abusiva e a tutte le controversie pendenti, in quanto tali caratterizzate dalla mancanza di una determinazione in via definitiva dell'entita' del risarcimento del danno. Sulla base di tali premesse parte convenuta ha richiesto la rimessione in istruttoria del procedimento affinche' venga nuovamente determinata l'entita' del risarcimento del danno, non potendosi utilizzare ai fini della decisione la consulenza in atti facente riferimento esclusivo al valore venale dell'immobile in oggetto. Con memoria di replica datata 2 febbraio 1996 parte attrice ha prospettato l'incostituzionalita' dell'art. 1, comma 65, della legge 29 dicembre 1995 n. 549, chiedendo la remissione della questione al giudice delle leggi, con particolare riferimento all'applicazione ad una fattispecie risarcitoria di criteri dichiarati validi per una fattispecie indennitaria e ad una asserita violazione degli art. 3, 42, secondo comma, 42, terzo comma, 97 della Costituzione, oltre che del principio di ragionevolezza anche in correlazione all'applicazione retroattiva dei criteri suddetti. Ad avviso del tribunale, la questione prospettata e' certamente rilevante ai fini del decidere, posto che e' pregiudiziale per la definizione della causa la risoluzione della stessa. Ed invero, in caso di accertamento positivo della costituzionalita' della norma, il tribunale dovra' adeguarsi ai criteri indicati da detta disposizione e conseguentemente rimettere la causa in istruttoria onde consentire la determinazione del danno; nel caso contrario, di declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma, la controversia potra' essere decisa sulla base delle risultanze processuali gia' acquisite. Il tribunale ritiene altresi' che la questione sollevata non sia manifestamente infondata. Il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. non impone di dare alle leggi un contenuto eguale per tutti i cittadini cosi' che tutti godano dello stesso trattamento. Viceversa la sua applicazione esige, che a diversita' di situazioni corrisponda una diversita' di trattamento, da valutarsi, nell'ambito dell'esercizio del potere legislativo, secondo le comuni regole della logica necessariamente proposta al preventivo accertamento dell'effettiva sussistenza delle peculiarita' dei singoli rapporti regolati che prima facie non devono essere prive di ogni carattere di ragionevolezza. Cio' ovviamente comporta che a situazioni differenti non si possa riservare tout court il medesimo trattamento, fatto salvo l'accertamento di elementi di comunanza tali da giustificare la scelta legislativa in oggetto, senza incorrere, cosi' facendo, in una violazione del citato principio di eguaglianza. Orbene, nella fattispecie la riserva di trattamenti simili a situazioni radicalmente diverse emerge laddove si consideri che l'art. 5-bis d.-l. 11 luglio 1992 n. 222 e' norma regolatrice della determinazione dell'indennita' di espropriazione nell'ambito delle procedure amministrative di siffatta natura, destinate alla realizzazione di opere di pubblica utilita'. E proprio in considerazione di tale funzione e' stata ritenuta la legittimita' costituzionale di detta norma, ponendosi in evidenza la giustificazione di un diverso trattamento riservato a situazioni pertinenti ad immobili situati nella medesima zona, rispettivamente caratterizzata dalla ricorrenza ovvero dall'esclusione della idoneita' alla realizzazione di un'opera di pubblico interesse e pertanto reputate provviste di peculiarita' differenti. Viceversa l'equiparazione, derivante dalla modifica di legge in discussione, tra un'ipotesi di abuso, implicante una lesione patrimoniale da ripristinarsi in toto sulla base dei principi generali mediante il riconoscimento del risarcimento del danno, e un'ipotesi di legittimo esproprio, in quanto tale suscettibile di indennizzo ricollegabile ad atto lecito, determina inevitabilmente il risconto di un trattamento paritario riservato a situazioni profondamente diverse e come tale, a contrario, lesivo del principio dinanzi menzionato. Ne' ritiene il tribunale che a tale assunto si possa controbbattere ponendosi l'accento sull'interesse pubblico di fatto ricollegabile alla destinazione irreversibile dell'immobile, dovendosi osservare al riguardo che, alla stregua dei principi generali, il perseguimento di finalita' pubbliche dev'essere strettamente collegato ad una scrupolosa osservanza delle procedure all'uopo contemplate dalla legge onde evitare, per l'appunto, la realizzazione di eccessi di poteri. Tale rilievo introduce l'ulteriore prospettazione della violazione dell'art. 97 Cost., norma implicante la previsione dei principi, preposti alle disposizioni di legge in materia, del buon andamento e dell'imparzialita' dell'amministrazione. Ed infatti, non si puo' non constatare che l'equiparazione agli effetti pratici tra procedure imposte dalla legge a garanzia delle posizioni individuali dei singoli cittadini ed atti assimilabili ad uno spoglio contrasta con i principi anzidetti che necessariamente, a norma dell'art. 97 Cost., devono improntare l'organizzazione della p.a. in previsione dell'azione successiva dalla medesima espletata. Ed ancora ritiene il tribunale che siano ravvisabili altresi' violazioni del dettato costituzionale con riferimento agli art. 42, secondo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione, norme alla stregua delle quali la proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge e puo' essere, nei casi previsti dalla legge, espropriata per motivi di interesse generale. Se, da un lato, in correlazione al primo parametro e alla mancanza delle necessarie garanzie della proprieta' privata non si puo' non rimarcare la non adeguatezza e congruita' del "ristoro" assicurato dalla disposizione di legge in oggetto alla vittima dell'illecito, e soprattutto la mancata corrispondenza del "risarcimento" ai criteri generali di integrale ripristino della situazione patrimoniale lesa, in guisa che appare fuori luogo lo stesso riferimento ad una reintegrazione del danno, dall'altro si deve evidenziare che l'art. 42, terzo comma, Cost. consente la perdita della proprieta' dietro corresponsione di un indenizzo solo nei casi di una regolare procedura d'esproprio, certamente non ricorrente nell'ipotesi di una appropriazione irreversibile conseguente ad abusiva occupazione. Ne', del resto, tali assunti trovano smentita in quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra citata, laddove si consideri che in detta sentenza e' stato ribadito il principio, gia' in precedenza affermato, secondo cui, in considerazione degli scopi di pubblica utilita' perseguiti dal procedimento espropriativo, l'indennita' di espropriazione non dev'essere esattamente commisurata al valore venale del bene e nel contempo, tenuto conto altresi' del rilievo riconosciuto alla proprieta' privata dalla Costituzione, non dev'essere meramente simbolica o irrisoria. Trattasi di principio alla stregua del quale e' stata ritenuta la legittimita' di criteri legislativi "mediati", purche' caratterizzati dalla costante di un riferimento al valore del bene, tra cui, da ultimo, per l'appunto, i criteri dall'art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992 n. 333, contenenti il richiamo alle disposizioni della legge 15 gennaio 1985 n. 2892, con la contestuale previsione della sostituzione dei fitti coacervati dell'ultimo decennio mediante il riferimento al reddito domenicale rivalutato ai sensi degli art. 24 T.U. delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e con la contestuale previsione di una riduzione del 40% dell'importo cosi' determinato. Ma proprio tali rilievi rafforzano gli assunti dianzi esposti, se si considera che i principi enunciati alla Corte hanno attinenza esclusiva alla funzione indennitaria, collocabile solo nell'ambito di una legittima procedura d'esproprio, certamente non richiamabile nell'ipotesi di perpetrazione di un illecito, a meno di non riconoscere come giustificato il sacrificio di un singolo privato a fronte del perseguimento di fatto di finalita' di natura pubblica al di fuori delle ordinate procedure di legge e dei canali amministrativi previsti in via esclusiva dalla stessa Carta costituzionale onde consentire la perdita della proprieta' privata. Tutto quanto fin qui esposto ha altresi' dei riflessi inevitabili sull'esigenza generale che l'azione del legislatore sia improntata a coerenza logica e ragionevolezza. Non appare infatti ragionevole che una normativa - destinata tra l'altro a supplire la mancanza di un'organica disciplina dell'espropriazione per pubblica utilita', cosi' come recita espressamente il primo capoverso dell'art. 5-bis - sia sic et simpliciter estesa ad ipotesi del tutto differenti, quali per l'appunto quelle conseguenti ad un fatto illecito, gia' oggetto di una regolamentazione propria discendente dai principi generali e prive di qualsivoglia connessione con la fattispecie normativa richiamata per relationem. Tanto piu' appare irragionevole l'applicazione retroattiva dei criteri in questione. Posto che, pur essendo ammissibile una disciplina a carattere retroattivo, il legislatore, deve comunque uniformarsi, oltre che ai canoni costituzionali, ai principi della ragionevolezza e della coerenza logica, nella fattispecie non sono ravvisabili le ragioni giustificative espresse nella citata sentenza della Corte con riferimento ad una situazione di carenza normativa, laddove si consideri che per il risarcimento del danno no esiste vuoto normativo alcuno, stante la richiamabilita' della disciplina generale dell'art. 2043 c. civ. e dei principi enucleabili in materia dell'interpretazione giurisprudenziale.
P. Q. M. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione relativa alla legittimita' costituzionale dell'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge 28 dicembre 1995 n. 549 - sostitutivo del sesto comma dell'art. 5-bis del d.l. 11 luglio 1993 n. 333, convertito con legge 8 agosto 1992 n. 359 - nella parte in cui contempla l'estensione ad una fattispecie risarcitoria dei criteri previsti dalla legge per una fattispecie indennitoria, con riferimento alla violazione degli art. 3, 42, secondo terzo comma e 97 della Costituzione e del principio generale di ragionevolezza; Dispone la sospensione del giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Torino, addi' 9 febbraio 1996 Il presidente: Rischin Il giudice estensore: Mazzitelli 96C0736